Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18867 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18867 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/07/2024
ORDINANZA
OGGETTO: risoluzione di contratto – effetti restitutori
R.G. 35004/2019
C.C. 3-7-2024
sul ricorso n. 35004/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliati in Roma presso di lui, nel suo studio in INDIRIZZO
ricorrenti
contro
COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, con domicilio digitale EMAIL e EMAIL controricorrente
nonché contro
COGNOME NOME
intimato avverso la sentenza n. 1866/2019 della Corte d’appello di Bari pubblicata in 4-9-2019,
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3-72024 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con ordinanza ex art. 702-ter cod. proc. civ. depositata il 1711-2015 il Tribunale di Foggia ha accolto la domanda di NOME COGNOME volta a ottenere la risoluzione del contratto di compravendita del 9-10-2002 avente a oggetto due locali commerciali e un appartamento siti in San Giovanni Rotondo al prezzo di Euro 86.750,00 interamente versato, per inadempimento dei venditori NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME, i quali non avevano adempiuto all’obbligo assunto contrattualmente di cancellare l’ipot eca sui beni compravenduti; per l’effetto ha condannato i convenuti a pagare al ricorrente Euro 111.578,32, pari al prezzo di vendita di Euro 86.750,00 maggiorato degli interessi legali dal 9-10-2002 alla data della pronuncia, oltre all’eventuale differenza tra il tasso di rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi e il saggio di interessi legali dal 9-10-2002 alla pronuncia e gli interessi legali dalla pronuncia al saldo; li ha altresì condannati a pagare Euro 80.650,00 a titolo di risarcimento del danno, pari alla differenza tra il valore del bene alla data della domanda e il prezzo pattuito; ha condannato il ricorrente a pagare ai convenuti Euro 134.400,00 a titolo di restituzione dei canoni di locazione percepiti fino a luglio 2011, pari a Euro 1.200,00 per ogni mensilità.
2. Avverso l’ordinanza entrambe le parti hanno proposto appello, che la Corte d’appello di Bari ha deciso con sentenza n. 1866/2019 pubblicata il 4-92019 che, in parziale riforma dell’ordinanza impugnata, ha condannato l’acquirente COGNOME al pagamento a favore dei venditori COGNOME della minore somma di Euro 13.500,00 a titolo di canoni percepiti e ha condannato i venditori al pagamento a favore del venditore della minore somma di Euro 20.212,72 a titolo di risarcimento del danno; ha compensato per un terzo le spese di lite di
entrambi i gradi e ha condannato NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME in solido alla rifusione dei residui due terzi.
Per quanto interessa in relazione ai motivi di ricorso proposti, la sentenza ha dichiarato che aveva errato il Tribunale a ritenere non contestato il canone di locazione di Euro 1.200,00 mensili e che la documentazione in atti dimostrava che il canone patt uito per l’unico immobile concesso in locazione dal compratore ammontava a Euro 250,00; quindi ha determinato il credito restitutorio in Euro 13.500,00 da gennaio 2007 a luglio 2011; ha dichiarato che nulla spettava ai venditori, il cui grave inadempimento aveva determinato la risoluzione del contratto, per gli altri immobili non locati, in quanto l’efficacia retroattiva della risoluzione faceva venire meno la causa delle attribuzioni patrimoniali derivanti dal contratto, determinando a carico della parte non inadempiente un obbligo restitutorio avente a oggetto le cose ricevute con i frutti percepiti, ma non anche un obbligo risarcitorio.
3.Avverso la sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
NOME COGNOME è rimasto intimato.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 3-7-2024 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo , intitolato ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 345, 702-quater c.p.c. (censura ex art. 360, comma 1, n.4 c.p.c.)’ , i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata abbia ritenuto che in primo grado l’acquirente avesse
tempestivamente contestato la quantificazione di Euro 1.200,00 a titolo di canoni degli immobili oggetto di compravendita e che agli atti del giudizio fosse stato prodotto il contratto di locazione del locale commerciale; dichiarano che l’importo del canon e quantificato in Euro 1.200,00 non era stato contestato in primo grado ma solo in appello e che il contratto di locazione non era stato prodotto e quindi sostengono che la mancata contestazione avesse determinato la definizione del thema probandum e decidendum, escludendo che in esso potesse rientrare la verifica di un diverso quantum.
2.Con il terzo motivo, intitolato ‘ violazione e falsa applicazione degli articoli 115 -116 c.p.c. e 1223 -1458 -2041 c.c. (censura ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)’, i ricorrenti ulteriormente deducono che l’acquirente COGNOME aveva contestato genericamente solo con l’atto di appello la quantificazione del canone di locazione eseguita dai COGNOME, mentre avrebbe dovuto eseguire la contestazione in primo grado.
3.Con il quarto motivo, intitolato ‘ violazione, sotto diverso profilo, dell’art. 112 115 c.p.c. (censura ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)’, i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello sia incorsa in errore, non avendo rilevato che l’immobile che essa assumeva essere stato concesso in locazione era immobile diverso da quello che risultava locato dalla perizia del AVV_NOTAIO e non avendo considerato che in tale perizia il c.t.u. aveva dato atto che anche l’appartamento risultava locato con contratto del 13-5-2013.
4.Il primo, terzo e quarto motivo, esaminati congiuntamente stante la stretta connessione, sono inammissibili.
La sentenza impugnata ha dichiarato che era incontestato che solo uno degli immobili -il locale commerciale identificato con la lettera A nella relazione depositata nella procedura esecutiva dal AVV_NOTAIO COGNOME stato locato a terzi dal COGNOME, come del resto era provato dal
contratto 8-1-2007 di locazione a terzi in atti, da cui risultava che l’immobile era stato locato al canone mensile di Euro 250,00; ha dichiarato che perciò aveva errato il Tribunale ad affermare che la non contestazione si estendesse anche alla quantificazione del canone di Euro 1.200,00, in primo luogo perché la quantificazione del credito da parte dei COGNOME in Euro 1.200,00 mensili non si riferiva al canone di locazione dell’unico dei tre immobili oggetto di compravendita che era stato locato, ma a una asserita redditività degli immobili che, a detta di costoro, non sarebbe stata inferiore a Euro 1.200,00 mensili.
In questo modo la Corte d’appello ha escluso che la non contestazione avesse riguardato il fatto della percezione di canoni di locazione per l’importo di Euro 1.200,00 mensili, svolgendo la funzione riservata al giudice di merito di interpretare il contenuto degli atti di parte, in termini che rimangono estranei al sindacato di legittimità. Infatti, l’accertamento della sussistenza di una contestazione o di una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’ atto della parte, è funzione del giudice di merito , nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato (Cass. Sez. 2 28-10-2019 n. 27490 Rv. 655681-01, Cass. Sez. 6-1 7-2-2019 n. 3680 Rv. 653130-01). Ne consegue che non si pone la questione della violazione delle disposizioni richiamate dai ricorrenti, in quanto da loro fondata sull’esistenza di una non contestazione che il giudice di merito ha escluso, con valutazione non sindacabile in sede di legittimità.
Neppure le affermazioni dei ricorrenti in ordine al fatto che il contratto di locazione non era stato prodotto e in ordine al fatto che l’immobile identificato con la lettera A era diverso da quello che dalla perizia risultava locato hanno un qualche rilievo in questa sede, perché tale prospettazione dei ricorrenti è esclusivamente nel senso dell’esistenza di errori revocatori, in quanto tali estranei al sindacato di
legittimità. Per di più, gli argomenti si fondano su una lettura della sentenza impugnata che non corrisponde al suo tenore letterale, perché la sentenza non ha dichiarato che la locazione risultava dalla perizia, ma che era incontestato che COGNOME aveva locato solo un immobile, quello identificato con la lettera A nella perizia, e tale circostanza risultava dal contratto di locazione dell’8 -1-2007 dal quale risultava anche il canone mensile di Euro 250,00. Neppure la circostanza che la c.t.u. desse atto di altro contratto di locazione, di data 13-5-2013, è utile a fare emergere un qualche vizio della sentenza impugnata, in quanto la sentenza -senza censura sul punto dei ricorrentiha posto a carico dell’acquirente l’obbligo di restituire i canoni percepiti solo fino alla data di luglio 2011.
5.Il secondo motivo è rubricato ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 1458 c.c. 2041 c.c. 1223 c.c. (censura ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)’ e con esso i ricorrenti lamentano che la sentenza abbia escluso il diritto dei venditori al riconoscimento dei frutti civili per gli immobili non locati. Evidenziano che, nel caso di risoluzione di contratto di compravendita di immobile per inadempimento del venditore, sussiste in capo all’acquirente l’obbligo di corrispondere i frutti civili percepiti o l’equivalente pecuniario dell’uso e del godimento del bene per il periodo.
5.1.Il motivo è infondato per le ragioni di seguito esposte, seppure la motivazione della sentenza impugnata debba essere corretta.
In linea generale, è acquisito il principio secondo il quale nei contratti a prestazioni corrispettive la retroattività ex art. 1458 co.1 cod. civ. della pronuncia costitutiva di risoluzione per inadempimento, collegata al venire meno della causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite, comporta l’insorgenza, a carico di ciascun contraente e indipendentemente dalle inadempienze a lui eventualmente imputabili, dell’obbligo di restituire la prestazione
ricevuta e, nel caso in cui la stessa abbia avuto per oggetto una cosa fruttifera, i frutti (naturali o civili) percepiti; a tale obbligo restitutorio si aggiunge, per la parte colpevolmente inadempiente, l’obbligo di risarcimento del danno (Cass. Sez. 2 5-4-1990 n. 2802 Rv. 46641401, Cass. Sez. 2 24-2-1995 n. 2135 Rv. 490701-01, Cass. Sez. 2 205-1997 n. 4465 Rv. 504526-01, per tutte). Ugualmente, in caso di risoluzione per inadempimento di contratto preliminare, l’efficacia retroattiva della risoluzione comporta l’insorgenza dell’obbligo di restituire le prestazioni ricevute, rimaste prive di causa, e pertanto comporta per il promissario acquirente che abbia ottenuto la consegna anticipata l’obbligo non solo di restituire il bene, ma anche i frutti per l’anticipato godimento, in funzione restitutoria e non risarcitoria (Cass. Sez. 2 14-3-2017 n. 6575 Rv. 643371-01, Cass. Sez. 2 30-11-2022 n. 35280 Rv. 666326-01, Cass. Sez. 2 5-3-2024 n. 5891 Rv. 670863-01).
I ricorrenti nel ricorso richiamano a fondamento della loro pretesa il precedente di Cass. Sez. 2 12-3-1997 n. 2209 (Rv. 502973-01), laddove ha affermato che a carico dell’acquirente sorge anche l’obbligo di corrispondere alla contropar te ‘l’equivalente pecuniario dell’uso e del godimento del bene per il relativo periodo’ ; però, tale medesimo precedente specifica che sussiste la necessità che la parte ‘ne abbia fatto espressa richiesta’ , così come nel precedente di Cass. 5891/2024 richiamato dai ricorrenti nella memoria illustrativa risulta che la domanda per ottenere l’equivalente pecuniario dell’uso era stata proposta e accolta. Invece, nella fattispecie i convenuti con la loro domanda riconvenzionale, secondo quanto dedotto in ricorso (pag.4) avevano chiesto esclusivamente la restituzione dei frutti percepiti dagli immobili compravenduti, corrispondenti ai canoni di affitto effettivamente riscossi; quindi esattamente la Corte d’appello ha esaminato e accolto la domanda così come formulata, disponendo la restituzione ai venditori dei frutti civili effettivamente percepiti in
ragione dell’avvenuta locazione dell’immobile , in quanto non risulta fosse stata formulata domanda volta a ottenere l’equivalente pecuniario del godimento dell’immobile .
6.Il quinto motivo è intitolato ‘ violazione dell’art. 91 -92-113 c.p.c. (censura ex art. 360, comma 1, n.4 c.p.c.)’ e con esso i ricorrenti sostengono che appaia sproporzionata e ingiustificata la compensazione nella sola misura di un terzo delle spese di lite e la condanna dei COGNOME per due terzi, non essendo la statuizione sorretta da giustificazioni adeguate e perciò viziata da violazione di legge; aggiungono che la soccombenza reciproca imponeva la compensazione integrale delle spese.
6.1.Il motivo è inammissibile, in quanto la sentenza impugnata ha disposto la parziale compensazione delle spese di lite in ragione della parziale reciproca soccombenza e si deve dare continuità al principio secondo il quale la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali devono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 co.2 cod. proc. civ., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito; tale potere discrezionale resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo il giudice di merito tenuto a rispettare una esatta proporzionalità tra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass. Sez. 2 31-1-2014 n. 2149 Rv. 62938901, Cass. Sez. 2 20-12-2017 n. 30592 Rv. 646611-01, Cass. Sez. 6-3 26-5-2021 n. 14459 Rv. 661569-01).
7.In conclusione il ricorso è integralmente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, i ricorrenti sono condannati alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, in dispositivo liquidate.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co . 1quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza
dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.200,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione