Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14472 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14472 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/05/2024
sul ricorso n. 30250/2019, nella causa
TRA
COGNOME, elett. domic. in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO, dal quale è rappres. e difeso, con procura speciale in atti;
-ricorrente-
-contro-
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappres. p.t., elett.te domic. in Roma, alla INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO, che la rappres. e difende unitamente agli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME, con procura speciale in atti;
-controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 3078/2019 pubblicata il 24/07/2019;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/11/2023 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME convenne in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, assumendo: di aver sottoscritto, in data 3.7.2000, con la RAGIONE_SOCIALE un contratto di negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini d’acquisto e vendita di strumenti finanziari e, in data 7.11.2002, un ulteriore contratto relativo alla negoziazione di strumenti finanziari; che trasformatasi la RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE, l’attore sottoscriveva con quest’ultima il contratto relativo alla prestazione di servizi bancari e d’investimento, con con RAGIONE_SOCIALE; di aver operato dal 2008 in derivati, accumulando perdite, fino a che, nel 2011, la banca, a fronte di un saldo negativo e della mancata integrazione dei margini di garanzia, aveva venduto azioni RAGIONE_SOCIALE possedute dal cliente, chiudendo 35 contratti derivati.
L’attore lamentava che la banca convenuta non l’avesse informato dell’inadeguatezza delle operazioni, non gli avesse comunicato le perdite superiori alla soglia predeterminata con l’intermediario, e non gli avesse richiesto la ricostituzione dei margini di garanzia prima di chiudere i contratti derivati.
Pertanto, l’attore chiedeva il risarcimento dei danni pari alle perdite subite in ragione delle suddette operazioni.
Il Tribunale di Padova rigettò la domanda, esponendo che: la banca aveva avvisato il cliente della non appropriatezza delle operazioni; quest’ultimo era consapevole del funzionamento dei derivati e di rischi connessi; non sussisteva un nesso di causalità t ra l’asserito inadempimento della banca e il danno, che secondo l’attore sarebbe consistito nel fatto che la chiusura anticipata delle operazioni non gli avrebbe permesso di ridurre le perdite profittando della chiusura in
rialzo degli indici; era stato provato che la banca aveva comunicato all’attore il superamento della soglia pattuita di euro 2000,00 di perdite potenziali, ed anche richiesto il ripristino dei margini di garanzia, prima di avvalersi della facoltà di chiudere le posizioni e di vendere i titoli in deposito per coprire con il ricavato le perdite dei derivati.
NOME COGNOME propose, avverso la suddetta sentenza, appello che, con sentenza del 2019, la Corte territoriale rigettava osservando che: anzitutto, emergeva la contraddittorietà delle argomentazioni difensive dell’appellante il quale, da un lato, aveva la mentato che la banca avesse consentito il compimento per tre anni di operazioni speculative su strumenti derivati e, dall’altro, che il 9.8.2011 la RAGIONE_SOCIALE ne avesse bloccato l’operatività in ragione delle consistenti perdite accumulate; successivam ente, l’appellante inviò la mail del 10.8.2011 con cui protestava per l’iniziativa della banca, assicurando che « nella peggiore delle ipotesi la perdita si sarebbe azzerata entro la fine dell’anno successivo» , sostenendo che la chiusura della posizione gli aveva impedito di ridurre le perdite, data la forte chiusura al rialzo di alcuni indici borsistici internazionali; l’attore, dunque, lungi dal contestare che la banca gli aveva consentito di compiere le operazioni rischiose, rivendicava il diritto di pros eguire con l’attività speculativa che evidentemente non riteneva inappropriata alle sue conoscenze e alla sua conoscenza dei mercati finanziari; tale contraddittorietà delle tesi difensive dell’appellante era già stata rilevata dal Tribunale, che aveva escluso il nesso di causalità tra le comunicazioni, con cui la banca avrebbe dovuto indurlo a desistere dal compimento dell’attività speculativa, e un danno che si sarebbe concretizzato non per la prosecuzione dell’operatività sui derivati, ma per la cessazio ne della stessa; l’appellante non aveva censurato il suddetto rilievo sulla contraddittorietà delle difese, continuando a dolersi sia che gli fu
consentito di effettuare ulteriori operazioni speculative, sia che tale operatività gli fu improvvisamente sospesa; le operazioni in strumenti derivati non erano nulle o inesistenti, come invece richiesto, in via subordinata, dall’appellante nelle sue conc lusioni senza tuttavia motivare tale richiesta; era stata rispettata la forma scritta del contrattoquadro, avendo l’attore concluso un primo contratto con la banca il 7.11.2002, e un ulteriore contratto scritto di adesione ai servizi di IWRAGIONE_SOCIALE (nuova den ominazione dell’intermediario), mentre il 25.4.05 era stato sottoscritto il contratto di adesione all’operatività in derivati; la banca non prestava attività di consulenza, e l’attore operava autonomamente attraverso la piattaforma di trading-online messa a disposizione dall’intermediario; il motivo d’appello riguardante la violazione dell’art. 55 Reg. Consob n. 16190/07 (in ordine alla mancata comunicazione delle perdite superiori alla soglia predeterminata convenuta con l’intermediario) era generic o, essendosi limitato l’appellante ad affermare che la banca non aveva comunicato le perdite, contestando un documento prodotto dalla banca (avente ad oggetto il contenuto delle mail inviate all’appellante), ma senza chiarire se tali comunicazioni non erano state ricevute, oppure se non avevano un contenuto corretto, omettendo anche di spiegare le ragioni per le quali i documenti suddetti non avrebbero valore; in ogni caso, le comunicazioni in esame avevano un valore informativo, per cui dalla loro omissione non conseguiva necessariamente una pretesa risarcitoria, occorrendo, al riguardo, che il cliente non si fosse reso conto autonomamente delle perdite cagionate dai derivati, sì che il danno poteva configurarsi nell’aggravio della perdita della posizione non temp estivamente chiusa; al riguardo, l’appellante non aveva allegato di non essersi reso conto del superamento della soglia predeterminata e di avere perciò mantenuto aperte le posizioni
negative, considerando altresì che venivano in rilievo centinaia di operazioni compiute con cadenza giornaliera; nonostante ciò, lo COGNOME aveva continuato ad operare in derivati con la necessaria consapevolezza che l’entità delle perdite superava il cap itale di riferimento; le doglianze dell’appellante nascevano dalla confusione in cui egli era incorso tra il ‘capitale di riferimento’ che indica la soglia di perdita superata la quale la banca è tenuta ad informare il cliente dell’andamento negativo dell’operazione con i margini di garanzia richiesti per continuare ad operare in derivati i quali possono comportare perdite superiori al capitale investito; lo stesso appellante non aveva contestato che, in caso d’insufficienza della liquidità a coprire i margini di garanzia, il sistema rigettava automaticamente l’ordine del cliente, tuttavia a suo parere il limite di operatività avrebbe dovuto dipendere non dalla liquidità disponibile, bensì dal capitale di riferimento, che secondo lui avrebbe dovuto esser e ‘ricostruito’ ogni volta che la perdita superava la soglia prevista di 2.000 euro: il che era errato in quanto l’importo predetto rappresentava non già un capitale conferito per l’operatività in derivati, cioè un capitale in qualche modo vincolato per poterlo impiegare nel compimento di operazioni in derivati, bensì una soglia di allerta convenzionalmente determinata, fermo restando che la concreta operatività dipendeva dalla volontà del cliente e dall’esistenza di margini disponibili; né l’art. 55 Reg. C onsob, né altre norme prevedevano l’obbligo dell’intermediario di intervenire chiudendo le posizioni aperte ed inibendo il compimento di ulteriori operazioni; nella specie veniva in rilievo l’art. 4, c.3, delle condizioni generali di contratto secondo il q uale, successivamente all’apertura delle posizioni, il cliente deve mantenere continuativamente in deposito presso la banca i margini di garanzia richiesti, a pena della facoltà della banca di procedere, di sua iniziativa, alla chiusura delle posizioni del
medesimo cliente, dal che si desumeva che la banca non era tenuta a bloccare l’operatività del cliente, avendo però facoltà di farlo non nel caso di superamento della soglia capitale di riferimento indicato nel contratto, ma esclusivamente qualora fossero venuti meno i suddetti margini; la banca era dunque legittimamente intervenuta il 9.8.11 a seguito della perdita dei margini, mentre si sarebbe resa inadempiente agli obblighi contrattuali se avesse precedentemente chiuso posizioni in derivati aperte dal cliente in presenza di margini di garanzia; parimenti legittima era stata la vendita dei titoli azionari RAGIONE_SOCIALE a copertura delle perdite maturate poiché, a norma dell’art. A9 delle condizioni generali di contratto, l’appellante aveva riconosciuto che il conto-deposito titoli fungeva da rapporto di provvista per le operazioni effettuate, ed era vincolato a garanzia per tutta la durata del contratto per la soddisfazione di ogni e qualsiasi ragione creditoria della banca, nonché di ogni importo maturato a suo favore rinveniente dalla suddetta operatività; non avendo la banca svolto attività di consulenza finanziaria, non era applicabile l’art. 40 Reg. Consob 16190/07, bensì l’art. 42 del medesimo regolamento, secondo il quale, nella prestazione dei ser vizi d’investimento diversi dalla consulenza in materia d’investimenti e dalla gestione di portafogli, gli intermediari verificavano il livello di conoscenza ed esperienza del cliente necessario alla comprensione dei rischi dell’investimento offerto o rich iesto, e tale valutazione di appropriatezza era stata correttamente effettuata dall’intermediaria, secondo quanto accertato dal tribunale e non fondatamente e adeguatamente contestato dall’appellante.
NOME COGNOME ricorre in cassazione con sette motivi, illustrati da memoria. RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione dell’art. 55 Reg. Consob n. 16190/07 e degli artt. 2697, 2712, c.c., 115 c.p.c., per aver la Corte d’appello ritenuto che la banca avesse provato di aver comunicato al cliente che le operazioni in derivati compiute avevano generato perdite superiori a euro 2420,00 al 24.12.08, esaurendo la disponibilità riservata all’operatività in questione, perdite poi aumentate a euro 46.000,00, e per aver la banca, nonostante ciò, continuato a prelevare denaro dal conto del ricorrente per ricostituire i margini di garanzia.
Al riguardo, il ricorrente assume che il documento prodotto dalla banca in primo grado era privo di valenza probatoria, in quanto mero elenco di asserite mail che sarebbero state inviate al ricorrente dal gennaio 2009, documento contestato, anche perché illeggibile, sia con la comparsa di costituzione che con la memoria ex art. 183, c.6, c.p.c. Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha statuito che la contestazione dell’accertamento, effettuato dal tribunale, della sussistenza delle comunicazioni di cui all’art. 55 Reg. Consob 16190/2007 (a mente del quale gli intermediari «comunicano al cliente eventuali perdite che superino una soglia predeterminata convenuta tra l’intermediario e il cliente…» ) era inammissibile in quanto generica. A fronte, infatti, della produzione, da parte dell’intermediaria, dell’elenco delle e -mail con cui tali comunicazioni erano state effet tuate, l’investitore appellante si era limitato ad obiettare che le comunicazioni non erano state invece effettuate, ma non aveva chiarito «se le comunicazioni stesse non erano state ricevute ovvero se non avevano un contenuto corretto: neppure spiega perché non avrebbe valore il doc. n 22 di controparte» (contenente elenco delle e-mail inviate). A tali statuizioni della cda il ricorrente obietta (sfrondando il motivo di ricorso delle osservazioni non pertinenti) non esser vero che la sua contestazione in
appello era generica, «in quanto il tabulato , in difetto di mail allegate per esteso, non prova il contenuto delle comunicazioni». Sennonché tale obiezione il ricorrente formula soltanto in questa sede, mentre avrebbe dovuto fo rmularla, appunto, con l’atto di appello, e non deduce di averle formulate in quella sede.
Ulteriore ragione di inammissibilità è che non viene neppure censurata, dal ricorrente, l’autonoma ratio decidendi per cui la violazione dell’obbligo di comunicazione non comportava comunque l’automatico sorgere di una responsabilità, ma occorreva che l’investitore deducesse di non essersi reso conto altrimenti del superamento della soglia del capitale di riferimento e che se lo avesse saputo avrebbe smesso di investire in quei prodotti: il che però l’appellante si era guardato dal dedurre.
Il secondo motivo denunzia violazione dell’art. 28 reg. Consob 11522/98 -richiamato con ‘rinvio fisso’ nell’art. 4 delle condizioni generali del contratto sottoscritto il 25.4.2005 e pertanto vincolante nonostante la già avvenuta abrogazione all’epoca degli investimenti di cui trattasi -e degli artt. 1362 e 2697, c.c., per aver la corte d’appello disatteso la censura riguardante l’omissione, da parte della banca, della comunicazione di cui all’art. 28, cit., delle perdite effettiv e o potenziali superiori al 50% della provvista.
Il motivo, declinato come violazione di norme di diritto ai sensi del n. 3 dell’art. 360, primo comma, c.p.c., è inammissibile in quanto si basa su una circostanza di fatto -il richiamo dell’art. 28 reg. Consob 11522/1998 nell’art. 4 delle condizioni gene rali di contratto -che non risulta dalla sentenza impugnata e non può essere accertato nel giudizio di legittimità.
Il terzo motivo denunzia violazione dell’art. 28 reg. Consob 11522/98 -vigente alla sottoscrizione del contratto e poi abrogato dal reg.
Consob del 2007, ma comunque richiamato con ‘rinvio fisso’ dalle condizioni generali di contratto -nonché «omessa valutazione di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ossia la violazione dell’art. 28 reg. Consob n. 11522/1998 richiamato nell’art. 4 delle condizioni del contratto di adesione alla operatività derivati sottoscritto il 25.4.2005».
Il motivo è inammissibile per plurime ragioni.
La tesi del ricorrente è che trovasse applicazione, in quanto richiamato nel contratto, l’abrogato art. 28 reg. Consob 11522/1998, che al comma 3 impone all’intermediario di informare l’investitore «appena le operazioni in strumenti derivati e in warrant da lui disposte per finalità diverse da quelle di copertura abbiano generato una perdita, effettiva o potenziale, pari o superiore al 50 % del valore dei mezzi costituiti a titolo di provvista e gara nzia per l’esecuzione delle operazioni. Il valore di riferimento di tali mezzi si ridetermina in occasione della comunicazione all’investitore della perdita, nonché in caso di versamenti o prelievi. Il nuovo valore di riferimento è prontamente comunicato all’investitore.» , e che -a quanto è dato comprendere -la provvista messa a disposizione dal ricorrente era pari a 2.000 euro. Sennonché di siffatta tesi non v’è traccia nella sentenza impugnata, onde era onere del ricorrente precisare come e quando essa fosse stata proposta nel giudizio di appello. Il contenuto del ricorso, però, è in proposito quanto mai generico, limitandosi il ricorrente a dedurre di aver riproposto la questione della violazione dell’art. 28, cit., con l’atto di appello, senza tuttavia riportare, neanche per sintesi, il contenuto delle sue difese al riguardo nel giudizio di gravame, tanto più che -come rileva correttamente la controricorrente -della medesima questione non vi è traccia nelle conclusioni finali rassegnate in grado di appello e trascritte nell’epigrafe della sentenza impugnata.
La questione, inoltre, come si è già osservato del disattendere il motivo precedente, presuppone l’accertamento di un fatto il richiamo dell’art. 28 reg. Consob 11522/1998 nell’art. 4 delle condizioni generali di contratto del 25.4.2005 -che non risulta dalla sentenza impugnata. Vero è che con il motivo ora in esame si denuncia anche il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma, c.p.c., riguardante appunto gli accertamenti di fatto. Il ricorrente indica, come si è visto, quale fatto non esaminato d al giudice di appello, «la violazione dell’art. 28 reg. Consob n. 11522/1998 richiamato nell’art. 4 delle condizioni del contratto di adesione alla operatività derivati sottoscritto il 25.4.2005», la quale violazione non è in realtà un ‘fatto’ storico (nel senso chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, a partire da Cass. S.U. 8053/2014), bensì una valutazione.
Il motivo è inammissibile, infine, anche perché si basa su un documento prodotto soltanto nel giudizio di cassazione, in violazione dell’art. 372 c.p.c. La controricorrente, infatti, fa presente che il testo delle richiamate condizioni generali di contratt o, prodotto con l’allegato B2 al ricorso per cassazione dal ricorrente -il quale ha precisato che si tratterebbe del medesimo documento prodotto dalla banca nel giudizio di primo grado con l’allegato 6 alla comparsa di costituzione e risposta -è invece diverso da quello effettivamente prodotto a suo tempo dalla banca con detto allegato 6: il quale non fa alcun riferimento all’art. 28 reg. Consob 11522/1998, come risulta dal fascicolo di parte di primo grado della controricorrente, prodotto unitamente al controricorso per cassazione. In difetto di prova della tempestiva produzione del documento nel giudizio di merito, il motivo di ricorso su di esso basato è destinato, anche per questa ragione, alla inammissibilità.
Il quarto motivo denunzia violazione degli artt. 1362, 1364, 1366, 1371, c.c., per non aver la Corte d’appello censurato l’inadempimento della banca, riguardo all’aver consentito al ricorrente di operare in derivati dopo aver superato la provvista data o capitale di riferimento, utilizzando la liquidità senza il consenso esplicito alla ricostituzione dei margini di garanzia.
In particolare, il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia interpretato il predetto art. 4 delle condizioni generali di contratto -che richiamava, come detto, il testo del poi abrogato art. 28 reg. Consob 11522/1998 -violando i richiamati principi ermeneutici, in tema di comunicazione delle perdite in derivati, nella parte in cui era stato affermato che l’appellante confondeva il capitale di riferimento, quale soglia di perdita superata la quale la banca è tenuta ad informare il cliente dell’andamento negativo dell’operazione, con i margini di garanzia che erano determinati volta per volta dalla piattaforma di trading della banca, e dipendevano dalla liquidità disponibile.
Il quinto motivo, in subordine al precedente, denunzia violazione degli artt. 132, c. 2, n.4, c.p.c., 118, c.1, disp. att. c.p.c., per aver la Corte d’appello adottato una motivazione apparente in ordine alla questione della mancata comunicazione delle perdite, e alle successive operazioni con il superamento dei margini di garanzia, dedotta con riferimento all’art. 4 delle condizioni generali di contratto, di cui sopra.
Tali motivi sono a loro volta inammissibili, in conseguenza di quanto già osservato sopra a proposito della inammissibilità della questione della violazione dell’art. 28 reg. Consob 11522/1998, che sarebbe stato richiamato nel menzionato art. 4 delle condizioni generali di contratto. Il sesto motivo denunzia violazione degli artt. 21, 23, d.lgs. n. 58/98, 27, 34, 40, 42, 44, reg. Consob 16190/07. Osserva il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe dovuto accertare il diligente adempimento
degli obblighi gravanti sull’intermediario, obblighi che poi vengono specificati, a pag. 33 e ss. del ricorso, in quelli di informazione ‘attiva’ di cui all’art. 27 reg. Consob 16190/2007.
Sennonché, di una siffatta censura avverso la sentenza di primo grado non v’è traccia nella sentenza di appello; né il ricorso precisa come, quando e in quali esatti termini la questione fosse stata posta nel giudizio di secondo grado. Il motivo è pertanto inammissibile.
Il settimo motivo denunzia violazione degli artt. 115, 116, c.p.c., 2697, c.c., per il mancato accoglimento dell’istanza di c.t.u. e dell’ordine di esibizione di documentazione in possesso della banca, per averne la Corte d’appello ravvisato l’inutilità in ragione dell’accertamento dell’insussistenza dell’inadempimento della banca. Osserva in contrario il ricorrente che la CTU si renderà necessaria, al fine di quantificare il danno da lui subito, «anche a seguito dell’accoglimento del presente ricorso per c assazione.» L’ordine di esibizione, invece, era necessario al fine di accertare il reiterato inadempimento della banca.
Il motivo è inammissibile: quanto alla CTU, perché presuppone l’accoglimento del ricorso e dunque non costituisce un’autonoma censura; quanto all’ordine di esibizione, perché è dedotto un vizio di violazione di legge al cospetto di un potere, invece, discrezionale del giudice di merito (cfr., da ult., Cass. 31251/2021).
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di euro 10.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 22 novembre 2023.