Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2730 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2730 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
NOME , rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma , INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa da ll’ Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia n. 1387/2020, pubblicata il 9.7.2020, non notificata.
Oggetto:
Intermediazione
finanziaria
obblighi
informativi
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28.1.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .-Con ricorso ex art. 702bis c.p.c. depositato il 22.10.2012, COGNOME NOMECOGNOME deduceva:
di aver acquistato il 12/15.12.2003 con modalità telefonica dalla filiale di Scorzé della Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a. azioni Parmalat per complessivi € 90.380,34;
b) che l’acquisto non poteva considerarsi preceduto da un valido contratto quadro essendo quello trasmesso dall’istituto di credito a sua specifica richiesta carente della sottoscrizione per accettazione del legale rappresentante della banca, donde la sua nullità ex art. 23, comma 6, T.U.F. e la conseguente nullità degli acquisiti eseguiti in esecuzione dello stesso;
che la banca si era resa in ogni caso responsabile della violazione degli obblighi informativi previsti a carico dell’intermediario dagli articoli 21 T.U.F. e 26, 28 e 29 del regolamento Consob n. 11522/1998, donde la sussistenza delle condizioni legittimanti la risoluzione per inadempimento dei contratti di acquisto (delle azioni Parmalat di cui si tratta), ovvero, comunque, la richiesta del risarcimento dei danni patiti, pari al capitale investito (non valendo le azioni Parmalat ormai più nulla), come riscontrato da numerose pronunce di merito emesse in relazione a casi analoghi. 2. ─ L’adito tribunale di Treviso con sentenza n. 924/2016 rigettava
le domande attoree.
─ COGNOME NOME proponeva gravame dinanzi alla Corte di appello di Venezia che, con sentenza qui impugnata, rigettava l’appello.
─ Per quanto qui di interesse la Corte di merito, richiamata la giurisprudenza di questa Corte sul cosiddetto contratto monofirma, ed escluso che il contratto quadro validamente stipulato all’epoca della sua sottoscrizione fosse rimasto travolto dalla normativa
sopravvenuta, ha ritenuto che l’appellante non avesse dedotto, né ab initio , né in seguito, il comportamento asseritamente omissivo posto in essere dall’intermediario e tale da dar luogo ad inadempimento dell’obbligo informativo su di esso gravante , dovendosi altresì confermare la sentenza di primo grado in ordine all’assenza del nesso dii causalità tra il preteso inadempimento della banca e l’altrettanto preteso danno subito dal cliente mai efficacemente allegato.
4. ─ COGNOME NOME ha presentato ricorso per cassazione con tre motivi ed anche memoria.
Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. ha presentato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente deduce:
5. ─ Con il primo motivo: Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 23 TUF. Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La circostanza che il contratto possa non essere sottoscritto dall’intermediario impone, però che la copia del contratto venga consegnata al cliente e la prova dell’avvenuta consegna non può essere supplita dalla produzione successiva agli acquisti o da confessioni o da documenti inviati dalla Banca.
5.1 -La censura, ha recepito l’ormai consolidato orientamento di questa Corte che in tema d’intermediazione finanziaria, il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dall’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998, va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assunta dalla norma, sicché tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di
comportamenti concludenti dallo stesso tenuti (Cass., Sez. U., n. 898/2016 e successive conformi).
Trascura, però, di considerare che questa Corte ha anche statuito che il requisito della forma scritta ad substantiam , previsto dall’art. 117 del d.lgs. n. 385 del 1983 e dall’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998, attiene alla veste esteriore del contratto e alla modalità espressiva dell’accordo, non estendendosi alla consegna del documento contrattuale concluso in tale forma, che ove omessa non produce alcuna nullità negoziale (Cass., n. 18230/2024).
6. – Con il secondo motivo: Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 TUF, e degli artt. 28 e 29 reg. Consob n. 11522-1998. Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
7. ─ Con il terzo motivo: Ancora violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 TUF, e degli artt. 28 e 29 reg. Consob n. 11522-1998. Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
7.1 -Il secondo e il terzo motivo sono connessi e possono essere valutati unitariamente.
I motivi sono inammissibili perché del tutto astratti e non conferenti alla ratio decidendi posta dal giudice di merito a fondamento della propria decisione.
Non v’è dubbio, in generale, che gravi sull’intermediario la prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta e, dunque, la dimostrazione di avere correttamente informato i clienti (Cass., n.19891/2022; Cass., n. 7288/2023), con particolare riferimento alla natura dell’investimento ed indipendentemente da ogni valutazione di adeguatezza dell’investimento (Cass., n. 15936/2018), il tutto con ulteriore precisazione che la carenza di prova di avere dato adeguate informazioni determina una presunzione in ordine alla esistenza di un danno risarcibile a carico
del cliente, posto che l’inosservanza dei doveri informativi da parte dell’intermediario è, in ogni caso, fattore di disorientamento dell’investitore, che condiziona le sue scelte di investimento (Cass., n. 7288/2023), quantunque si sia in presenza di un investitore aduso ad operazioni finanziarie a rischio elevato (Cass., n. 35789/2022). Ma è altrettanto ovvio, ancor più a monte, che, in ossequio alle regole generali, l’investitore il quale lamenti la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario debba allegare specificamente l’inadempimento di tali obblighi, mediante la pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe omesso di somministrare (Cass., n. 10111/2018).
Ciò detto, il punto è che, nel caso di specie, la corte d’appello ha ritenuto, con accertamento di merito non sindacabile in questa sede, che il materiale probatorio acquisito al giudizio stesse a testimoniare l’assolvimento degli obblighi informativi, mentre l’investitore , per parte sua, non aveva dedotto quali ulteriori informazioni fossero state omesse, tali che, ove comunicate, avrebbero indotto una sua diversa decisione sull’investimento , né tantomeno quale danno avrebbe comportato il deficit informativo così genericamente indicato . Secondo la corte d’appello, cioè, il ricorrente non avrebbe chiarito « in cosa si sarebbe in concreto sostanziato l’inadempimento della banca e cioè quali sarebbero state le informazioni in concreto comunicabili di cui questa disponeva -ovvero, comunque, avrebbe potuto (e quindi dovuto) disporre, acquisendole secondo il parametro di diligenza qualificata attendibile da un operatore finanziario professionale nelle condizioni che si presentavano al momento dell’inoltro degli ordinativi di acquisto delle azioni di cui si tratta, disponendone, quindi, laddove non riservate, in favore della propria clientela – diverse ed ulteriori rispetto al mero andamento del titolo (dato questo perfettamente noto all’investitore ricorrente, come si evince dal tenore delle conversazioni registrate) e che invece
non gli sono state comunicate, ma che se avesse tempestivamente conosciuto avrebbero condizionato in termini decisivi la propria determinazione di procedere all’inoltro degli ordini di acquisto di cui si tratta (sulla necessaria specificità del lamentato “deficit informativo” … Ciò costituisce indubbiamente una carenza rilevante dell’impostazione difensiva assunta dal ricorrente nell’atto introduttivo (e non successivamente corretta nel giudizio di primo grado mediante idonea implementazione delle allegazioni necessarie), posto che la domanda risarcitoria presuppone, non solo l’individuazione dell’inadempimento rilevante, ma anche la sua valutazione in concreto ».
Orbene, siffatta ratio decidendi , riassumibile in ciò, che l’investitore non aveva compiutamente allegato l’inadempimento, non è attinta dai motivi spiegati, essenzialmente incentrati sulla consistenza degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario.
Le ulteriori doglianze sulla valutazione dell’adeguatezza/inadeguatezza dell’operazione compiute dall’investitore risentono delle medesime carenze già evidenziate. I giudici di merito hanno valutato una serie di circostanze emerse durante l’istruttoria e h anno accertato nel merito che sulla base di una pluralità di elementi (significativo lasso temporale di negoziazione rispetto all’effettivo accertamento del default della società, valutazione del profilo del cliente che aveva dichiarato un’esperienza finan ziaria approfondita con alta propensione al rischio etc. ) l’investimento non presentava profili di inadeguatezza. Ed anche in proposito la Corte di merito sottolinea che « nessuna apprezzabile critica sia stata svolta dall’appellante » e che l’investitore non aveva nemmeno tentato di delineare motivazioni adeguate e non generiche sull’inadeguatezza dell’operazione rispetto al profilo di rischio.
Le censure, che comunque si connotano per un contenuto meritale estraneo al sindacato di legittimità, non attaccano la ratio decidendi svolta dal giudice di merito.
-Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo
P.Q.M .
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 7.000 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione