Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15665 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15665 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 01400/2021 R.G. proposto da:
Deutsche Bank s.p.aRAGIONE_SOCIALE in persona del RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dal l’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
Contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa da ll’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
Oggetto:
intermediazione finanziaria
AC –
10/06/2025
avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 2871/2020, pubblicata il 9 novembre 2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 giugno 2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Deutsche Bank s.p.a. (in prosieguo, breviter : ‘la banca’) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza in epigrafe con cui la Corte di appello di Milano ha parzialmente riformato la sentenza del locale Tribunale che l’aveva condannata a pagare in favore di NOME COGNOME la somma di euro 314.987,40, oltre accessori e, altresì, al pagamento dell’ ulteriore somma di euro 40.000,00, in relazione alle transazioni avvenute sul conto di deposito e amministrazione titoli sottoscritto tra le parti in data 14 giugno 2001.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, ha osservato: a) che l’inadempimento della banca relativo alla mancata comunicazione alla cliente della prima e della seconda OPA relativa alle obbligazioni AIB detenute in portafoglio era coperto da giudicato interno; b) che, in relazione alle obbligazioni BOI detenute in portafoglio, sussisteva inadempimento della banca per non aver comunicato alla cliente le conseguenze potenzialmente derivanti dalla mancata adesione all’OPA lanciata nel giugno del 2001.
Le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso lamenta:
«Primo motivo di ricorso: violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 324 c.p.c. ai sensi dell’ art.
360, comma primo, n. 3) c.p.c.», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha ritenuto sussistere un giudicato interno sulla sussistenza delle lacune informative addebitate alla banca per effetto di una presunta, quanto insussistente, acquiescenza di essa banca alle relative allegazioni attoree svolte in primo grado.
Il motivo è inammissibile perché non intercetta la ratio decidendi della sentenza impugnata, che è sul punto rinvenibile non già su una preclusione da giudicato, come pure effettivamente la Corte territoriale afferma a pagina 13 della sentenza, bensì sull’accertamento della sussistenza, in iure , di un obbligo informativo preventivo alla sottoscrizione dell’acquisto dei titoli nell’ambito del contratto di custodia e amministrazione. È questa, a ben vedere, la ragione della reiezione dell’appello della banca sul punto. E tale reiezione si basa sulla constatazione non già del ‘giudicato interno ‘ ma , come si evince dalla lettura di pagg. da 14 a 17 della sentenza impugnata, dell’ accertata sussistenza del deficit informativo, ritenuta addebitabile alla banca , sulla base dell’esame della relativa posizione difensiva che si fondava non sulla deduzione di aver informato il cliente, bensì, anch’essa in iure , di non avere l’ obbligo di farlo.
b) «Secondo motivo di ricorso: violazione e falsa applicazione dell’art. 21 del D. lgs. n. 58/1998, dell’art. 1838 cod. civ. e degli artt. 1175, 1176 e 1375 cod. civ. -errata individuazione degli obblighi informativi a carico dell’intermediario finanziario nel contratto accessorio di deposito titoli a custodia e amministrazione -ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3) c.p.c., 11 76 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. », deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha ritenuto la
sussistenza di un inadempimento della banca agli obblighi informativi su di essa ricadenti per effetto della stipula del contratto di deposito titoli a custodia e amministrazione.
Il motivo è infondato.
Questa Corte (già con sentenza Sez. 1, Sentenza n. 21890 del 27/10/2015) ha affermato che gli obblighi di diligenza e trasparenza, gravanti sull’intermediario ex art. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998, riguardano anche il servizio di deposito titoli a custodia e amministrazione accessorio ad un contratto di negoziazione dei medesimi strumenti finanziari sicché, una volta avvenuta la negoziazione, persiste in capo all’intermediario l’obbligo di «acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che questi siano sempre adeguatamente informati», il cui oggetto, peraltro, non concerne genericamente l’andamento dei titoli, ma anche la comunicazione al cliente di specifiche circostanze quali, ad esempio, la conoscenza, da parte della banca di notizie particolari e non riservate, o l’esito di analisi economiche, condotte dalla stessa banca, che l’obbligo di correttezza suggerisca di divulgare.
Ciò consente di affermare che, se è vero che non grava sulla banca che abbia sottoscritto un contratto di deposito titoli a custodia e amministrazione uno specifico obbligo di fornire al cliente specifiche informazioni successive alla concreta erogazione del servizio, ciò che è proprio del contratto di gestione del portafoglio titoli (si vedano Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4602 del 22/02/2017; Sez. 1, Sentenza n. 16318 del 03/07/2017), tuttavia sussiste un obbligo di informare il cliente sulle caratteristiche che il titolo possiede al momento del suo
acquisto, in tal modo consentendo al cliente di orientare consapevolmente le sue decisioni di investimento.
Nella specie, la Corte di appello (a pag. 17 della sentenza impugnata) ha correttamente escluso l’applicabilità alla fattispecie della pronuncia di questa Corte n. 10112 del 2018, poiché ha accertato, in fatto e insindacabilmente in questa sede stante il tenore dei motivi di ricorso, che ciò che nella specie era oggetto di mancata comunicazione non erano informazioni successive inerenti alla gestione del portafoglio dei titoli acquistati, ma informazioni necessarie a orientare le scelte di acquisto dei titoli stessi, che avrebbero dovuto essere adottate nell’ imminenza del loro acquisto o che, in ogni caso, erano foriere di conseguenze negative per il cliente in caso di mancata esercizio delle relative opzioni.
Come si vede, quindi, la Corte territoriale non ha affatto confuso i piani di indagine in diritto ma, proprio partendo dalla loro chiara e netta distinzione, ha compiuto un accertamento in fatto che l’ha condotta a ritenere nella specie che le informazioni omesse erano consustanziali all’orientamento della decisione di acquisto dei titoli per cui è causa e che, sebbene tali decisioni dovessero essere prese dopo l’ acquisto, erano comunque necessarie a completare quel bagaglio di conoscenze che l’ obbligo informativo gravante sull’ intermediario professionale mira a garantire al cliente.
c) «Terzo motivo di ricorso: violazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 2729 cod. civ. onere della prova del nesso causale -ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3) c.p.c. », deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha ritenuto
sussistere nella specie il nesso causale tra le ritenute lacune informative e il danno lamentato dal cliente.
Il motivo è inammissibile perché, sotto l’apparente deduzione di un vizio in iure , è in effetti totalmente versato in fatto, finendo per contestare l’ accertamento della sussistenza del collegamento tra l’operato della banca e la scelta del cliente, pretendendo da questa Corte un non consentito riesame delle prova, al fine di pervenire a diversa conclusione decisoria, ciò che in questa sede non è consentito, quante volte, come nella specie, non si contestino in astratto i criteri di valutazione delle prove (legali o libere) previsti dall’ordinamento processuale.
«Quarto motivo di ricorso: violazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 23, ultimo comma, T.U.F., degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 214 e 215 c.p.c. nella decisione sull’appello incidentale ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3) c.p.c. », deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha ritenuto sussistere la prova dell’ inadempimento della banca alle istruzioni ricevute dalla cliente in relazione alle obbligazioni BOI.
Il motivo è inammissibile per le medesime ragioni esplicitate a commento del terzo motivo di ricorso.
Le spese di lite della presente fase di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna Deutsche Bank s.p.a. a rifondere a COGNOME NOME le spese della presente fase di legittimità, che liquida in complessivi euro 12.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 giugno