Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 115 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 115 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 03/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26427/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , e da NOME COGNOME e NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di eredi della defunta NOME COGNOME elettivamente domiciliati in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME, rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
-ricorrenti –
contro
FALLIMENTO dell’RAGIONE_SOCIALE, in persona del curatore, elettivamente domiciliato in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
-controricorrente –
nonché contro
COED DI NOME RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliata ex lege in Roma alla INDIRIZZO presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentata e difesa dalle avv.te NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
-controricorrente – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 1389/2021 pubblicata il 7 luglio 2021
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con contratto preliminare del 17 marzo 2005, seguìto da due scritture private integrative recanti le date del 29 settembre 2005 e del 29 settembre 2006, l’RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE -ciascuno per la quota di volumetria di cui era titolare, pari, rispettivamente, al 64,5%, al 26% e al 9,5% -promettevano di vendere all’RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti RAGIONE_SOCIALE), che a loro volta promettevano di acquistare, alcuni terreni siti nel Comune di Montelupo Fiorentino (FI), facenti parte della zona di riqualificazione dell’area ex Artinvetro.
Scaduto il termine, più volte prorogato, convenuto per la stipula dell’atto pubblico di trasferimento, sul presupposto che i promittenti venditori si fossero resi inadempienti all’obbligo, su di loro asseritamente gravante, di ottenere il rilascio della concessione edilizia necessaria per l’attuazione del previsto progetto di riqualificazione urbanistica della suddetta area, le promissarie acquirenti recedevano dal contratto, ai sensi dell’art. 1385, comma 2, c.c., con lettera raccomandata a.r. del 31 dicembre 2008.
Successivamente esse chiedevano e ottenevano dal giudice della sezione distaccata di Empoli del Tribunale di Firenze -soppressa, in pendenza della lite, con l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 155 del 2012 -l’emissione nei confronti dei promittenti venditori di un decreto ingiuntivo di pagamento della somma di 1.600.000 euro, pari al doppio della caparra da questi ricevuta.
Gli intimati proponevano tempestiva opposizione con tre distinti atti
di citazione, che davano origine ad altrettanti procedimenti, iscritti nel ruolo generale degli affari contenziosi sotto i numeri 2426/2009, 2427/2009 e 2428/2009, poi riuniti ai sensi dell’art. 274 c.p.c..
Tali procedimenti venivano a loro volta riuniti a quello recante il numero 91238/2006 R.G., precedentemente promosso dinanzi al medesimo ufficio giudiziario empolese dall’RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALEn.RAGIONE_SOCIALE contro l’RAGIONE_SOCIALE, il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, avente originariamente ad oggetto l’istanza di esecuzione specifica del contratto preliminare stipulato inter partes , in sèguito modificata in domanda di accertamento della legittimità del recesso esercitato dalle attrici nel dicembre 2008.
In corso di causa il COGNOME raggiungeva un’intesa transattiva con l’RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE e veniva, quindi, estromesso dal processo con il consenso delle altre parti.
In ragione del concluso accordo, le prefate società rinunciavano agli effetti del decreto ingiuntivo per la quota di credito riferibile al Peragnoli, pari al 26% del totale.
All’esito del giudizio di primo grado, proseguito fra gli altri contendenti, il Tribunale di Firenze così definitivamente statuiva con sentenza n. 996/2018 del 6 aprile 2018: 1)dichiarava legittimo il recesso dal contratto preliminare esercitato dall’RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE.n.c. il 31 dicembre 2008; 2)revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava l’RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE a pagare alle società istanti in INDIRIZZO, rispettivamente, il 64,5% e il 9,5% della somma di 1.600.000 euro, oltre agli interessi legali, nonché a rifondere loro le spese processuali.
La decisione veniva impugnata dinanzi alla Corte d’Appello di Firenze dall’RAGIONE_SOCIALE nonché da NOME COGNOME e da NOME e NOME COGNOME gli ultimi tre nella qualità di
ex soci e successori della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, cancellata dal registro delle imprese.
Pronunciando nel contraddittorio della RAGIONE_SOCIALE e del fallimento dell’RAGIONE_SOCIALE, nel frattempo sopravvenuto, l’adìta Corte gigliata respingeva il gravame con sentenza n. 1389/2021 del 7 luglio 2021.
Avverso tale sentenza, notificata ai sensi dell’art. 285 c.p.c. il 19 luglio 2021, l’RAGIONE_SOCIALE nonché NOME e NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di eredi della defunta madre NOME COGNOME, hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, resistiti con separati controricorsi dal fallimento dell’RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
Le parti hanno depositato memorie illustrative.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. con riferimento all’interpretazione degli artt. 3 e 4 del contratto preliminare di compravendita del 17 marzo 2005, delle clausole di cui alle lettere A), B), C), D), F) della scrittura privata integrativa del 29 settembre 2005, nonché degli artt. 4 e 5 dell’ulteriore scrittura integrativa del 29 settembre 2006.
Si assume che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte fiorentina, dal tenore degli atti negoziali innanzi richiamati non si evince affatto che i promittenti venditori fossero tenuti a rispondere di eventuali ritardi nella definizione della pratica amministrativa per il rilascio della concessione edilizia.
D’altro canto, anche le intervenute proroghe del termine stabilito per la conclusione del definitivo, lungi dal costituire il frutto di delle promissarie acquirenti, rientravano nell’àmbito di una progressiva rimodulazione degli accordi operata dalle parti nel loro comune interesse.
Il collegio toscano avrebbe, inoltre, omesso di considerare che, in base alle previsioni contrattuali (in particolare l’art. 3 del preliminare del 17 marzo 2005), i promittenti alienanti dovevano semplicemente svolgere il ruolo di del progetto predisposto dall’RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE con l’assistenza dei loro tecnici di fiducia.
In un simile contesto, una volta rilasciata dall’ARPAT la certificazione di avvenuta bonifica dell’area da edificare, i tempi di definizione della pratica edilizia venivano a dipendere di fatto dall’attività propulsiva posta in essere dalle promissarie acquirenti.
Queste ultime, tuttavia, non soltanto non si erano attivate per la realizzazione della prima fase delle opere di urbanizzazione, posta a loro carico, ma avevano persino ritardato l’ iter amministrativo, essendosi risolte, nell’anno 2008, a frazionare l’originaria domanda di rilascio di un unico titolo abilitativo in quattro distinte richieste di permesso di costruire.
Con il secondo motivo vengono prospettate la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. con riferimento all’interpretazione dell’art. 3 del contratto preliminare di compravendita del 17 marzo 2005 e dell’art. 7 della scrittura privata integrativa del 29 settembre 2006, nonché la violazione e la falsa applicazione degli artt. 32, 57 e 122 D. Lgs. n. 163 del 2006, nel testo applicabile ratione temporis .
Si deduce, al riguardo:
-che dalla lettura coordinata delle clausole contrattuali testè citate si ricava inequivocabilmente che l’obbligo di realizzare le opere di urbanizzazione gravasse sulle promissarie acquirenti, le quali avrebbero dovuto curare ogni adempimento progettuale, operativo ed economico necessario per il rilascio del relativo permesso di costruire, e non semplicemente limitarsi -come a torto ritenuto dalla Corte d’Appello -a prestare fideiussione in favore del Comune di Montelupo Fiorentino;
-che avrebbe, quindi, errato il giudice distrettuale nell’affermare
che detto obbligo facesse capo ai promittenti venditori, i quali, invece, erano esclusivamente tenuti a sottoscrivere la documentazione predisposta dalla controparte e a presentarla all’autorità amministrativa;
-che la diversa soluzione interpretativa accolta dalla sentenza gravata, oltre ad apparire incompatibile con la comune intenzione delle parti risultante dalle pattuizioni stipulate, contrasta pure con la disciplina normativa in materia di contratti pubblici dettata dal D. Lgs. n. 163 del 2006, applicabile all’esecuzione in via diretta di opere di urbanizzazione da parte di soggetti privati a scomputo totale o parziale del contributo previsto per il rilascio del permesso di costruire.
I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro intima connessione, sono infondati.
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, al fine di criticare efficacemente, in sede di legittimità, l’esito dell’attività ermeneutica del giudice di merito non basta contestare la violazione degli artt. 1362 e ss. c.c., ma occorre indicare specificamente i canoni in concreto violati e il punto e il modo in cui l’impugnata sentenza si sarebbe dagli stessi discostata, non potendo la doglianza risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione propugnata dal ricorrente a quella accolta dal giudice, giacché quest’ultima non deve essere l’unica possibile, o la migliore in astratto, bensì soltanto una delle possibili e plausibili interpretazioni (cfr. Cass. n. 18467/2023, Cass. n. 22538/2022, Cass. Sez. Un. n. 9774/2020, Cass. n. 28319/2017).
Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Firenze, all’esito di un’interpretazione del testo contrattuale condotta in applicazione del criterio letterale e di quello logico -sistematico, ha ricostruito la comune intenzione delle parti nel senso che i promittenti venditori fossero obbligati a trasferire alle promissarie acquirenti l’area oggetto del preliminare «completa dei necessari titoli abilitativi per
la realizzazione del progetto edificatorio di riqualificazione» .
A tale risultato ermeneutico essa è giunta mediante la lettura coordinata delle clausole di cui alla lettera A) e all’art. 3 del preliminare, le quali ponevano espressamente a carico dei promittenti venditori l’obbligo di trasferire alle promissarie acquirenti la piena ed esclusiva proprietà dell’area in questione «con tutti i parametri urbanistici precedentemente richiamati dall’art. 2, e comunque tutto quanto necessario e niente escluso per la completa realizzazione dell’intervento in oggetto» , nonchè «ogni onere relativo alla presentazione dei documenti necessari alla definizione del progetto… fino al rilascio della concessione edilizia» .
Il collegio toscano non ha peraltro mancato di precisare che, in ragione dell’ampia portata dell’impegno assunto con le suddette clausole, i promittenti venditori erano pure tenuti ad assicurare il conseguimento dei titoli abilitativi occorrenti per la realizzazione delle opere di urbanizzazione, adempimento propedeutico al rilascio del permesso di costruire relativo ai fabbricati; e ciò in piena conformità a quanto stabilito dalla convenzione urbanistica stipulata dagli stessi promittenti venditori con il Comune di Montelupo Fiorentino il 13 novembre 2007, che per l’appunto aveva posto a carico dei proprietari dell’area «la presentazione della pratica per il permesso di costruire inerente alle opere di urbanizzazione» .
L’interpretazione fornita dalla Corte gigliata appare, dunque, rispettosa delle regole di ermeneutica contrattuale e sorretta da congrua motivazione.
I ricorrenti si limitano a proporre un’alternativa esegesi del testo negoziale, senza tuttavia dimostrare che l’esito interpretativo cui è pervenuto il giudice di merito -il quale, come si è già avuto modo di chiarire, non deve per forza essere l’unico possibile o il migliore in astratto -sia del tutto erroneo e inconciliabile con le regole summenzionate.
Segnatamente, essi attribuiscono un significato restrittivo alla locuzione , intendendola come riferita ai soli da sostenere per il disbrigo della pratica edilizia; si soffermano, inoltre, sulla clausola che poneva espressamente a carico delle promissarie acquirenti l’obbligo di , dalla quale sostengono doversi necessariamente inferire che spettasse alla controparte procurarsi il titolo abilitativo richiesto per l’esecuzione delle suddette opere; sottolineano, ancora, che il rilascio della concessione edilizia fungeva da condizione di efficacia del contratto, ma non costituiva oggetto di un’obbligazione dei promittenti venditori.
Le surriferite argomentazioni non appaiono, tuttavia, idonee a far emergere l’assoluta implausibilità della diversa soluzione interpretativa alla quale è approdata la Corte locale, che per giunta trova un preciso riscontro, con specifico riferimento alla questione inerente alle opere di urbanizzazione, nei patti della convenzione urbanistica intercorsa fra i promittenti venditori e il Comune di Montelupo Fiorentino.
Quanto, poi, alla dedotta violazione o falsa applicazione delle altre norme di diritto evocate, la formulata censura non coglie nel segno. La Corte fiorentina non ha mai negato che l’obbligo di realizzare le opere di urbanizzazione gravasse sull’RAGIONE_SOCIALE e sulla RAGIONE_SOCIALE
Essa ha però accertato che alla data del 30 dicembre 2008 -entro la quale sarebbe dovuta avvenire la stipula del contratto definitivo, in forza degli accordi risultanti dalla scrittura privata integrativa del 29 settembre 2006 -le promissarie acquirenti non avevano potuto dare inizio alle suddette opere a causa del mancato rilascio del titolo abilitativo all’uopo necessario, che i promittenti venditori non ancora si erano premurati di richiedere.
A ben vedere, quindi, il problema decisivo che si poneva non era quello di stabilire su chi incombesse per contratto l’obbligo di eseguire materialmente le opere di urbanizzazione, bensì quello di individuare la parte tenuta a procurare il titolo abilitativo occorrente per la loro realizzazione.
Il giudice distrettuale lo ha risolto nel modo che si è visto, in base all’interpretazione delle clausole negoziali, e le norme richiamate dai ricorrenti appaiono inconferenti rispetto alla ratio dell’impugnata decisione.
Invero:
-l’art. 32, comma 1, lettera g), dell’abrogato D. Lgs. n. 163 del 2006 («Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE»), in vigore fino al 18 aprile 2016, si limitava a prevedere l’applicabilità delle norme contenute nel titolo I della parte II, nonché nelle parti I, IV e V -salvo quanto disposto dai commi 2 e 3 dello stesso articolo -, ai contratti, di importo pari o superiore alle soglie di cui all’art. 28, aventi ad oggetto «lavori pubblici da realizzarsi da parte dei soggetti privati, titolari di permesso di costruire, che assumono in via diretta l’esecuzione delle opere di urbanizzazione a scomputo totale o parziale del contributo previsto per il rilascio del permesso, ai sensi dell’articolo 16, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 e dell’articolo 28, comma 5, della legge 17 agosto 1942, n. 1150» ;
-l’art. 57 dello stesso decreto legislativo contemplava le ipotesi in cui le stazioni appaltanti avrebbero potuto aggiudicare contratti pubblici mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara;
-l’art. 122 del medesimo provvedimento normativo dettava una disciplina specifica per i contratti di lavori pubblici sotto soglia comunitaria.
Per il resto, nella parte in cui tendono a contestare l’imputabilità ai
promittenti venditori del ritardo nella definizione della pratica edilizia, anche con riguardo all’operato dei tecnici incaricati di predisporre la documentazione all’uopo necessaria, le lagnanze in esame si risolvono in un’inammissibile critica alla valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice di merito, esulante dal paradigma del dedotto vizio di violazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c..
In definitiva, il ricorso deve essere respinto.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, con distrazione della somma attribuita a tale titolo alla RAGIONE_SOCIALE in favore delle sue procuratrici, dichiaratesi antistatarie ex art. 93, comma 1, c.p.c..
Stante l’esito del giudizio, viene resa nei confronti dei ricorrenti l’attestazione di cui all’art. 13, comma 1 -quater , D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, a rifondere ai controricorrenti le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate:
-quanto al fallimento dell’RAGIONE_SOCIALE, in complessivi 18.200 euro (di cui 200 per esborsi), oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge;
-quanto alla RAGIONE_SOCIALE, in complessivi 20.200 euro (di cui 200 per esborsi), oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge, con distrazione in favore delle avv.te NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME procuratrici antistatarie.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , D.P .R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda