Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21051 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21051 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/07/2024
R.G. 9213/2021
COGNOME.
Rep.
C.C. 24/4/2024
C.C. 14/4/2022
LOCAZIONE ABITATIVA.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9213/2021 R.G. proposto da: COGNOME
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avv. COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente principale- contro
NOME, rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di ROMA n. 4554/2020 depositata il 16 ottobre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME intimò lo sfratto per morosità, con contestuale citazione per la convalida, a NOME COGNOME davanti al Tribunale di Roma, in relazione ad un appartamento condotto in locazione dalla convenuta.
Espose a sostegno della domanda, tra l’altro, di aver locato l’immobile ad uso abitativo, con decorrenza dal 1° settembre 2010, alla convenuta e a NOME COGNOME, contestualmente riservandosi una stanza da destinare alla propria figlia NOME COGNOME. Aggiunse che la COGNOME le aveva successivamente comunicato la propria intenzione di lasciare l’appartamento, recesso che era stato accettato da essa proprietaria con decorrenza dal 1° novembre 2012. Successivamente a tale data, però, la COGNOME, rimasta unica conduttrice dell’immobile, non le aveva più versato l’intero canone pattuito che era di euro 900 mensili -ma somme sistematicamente inferiori, per cui al febbraio 2013 la conduttrice era debitrice della somma di euro 1.718,60.
Si costituì in giudizio l’intimata, opponendosi alla convalida a causa della mancata instaurazione del contraddittorio nei confronti della COGNOME e della COGNOME e chiedendo il rigetto della domanda per insussistenza del diritto della COGNOME ad esercitare il recesso anticipato.
Il Tribunale, senza pronunciare l’ordinanza di rilascio di cui all’art. 665 cod. proc. civ., con la sentenza definitiva accolse la domanda, dichiarò il contratto di locazione risolto per grave inadempimento della conduttrice, ordinò a quest’ultima il pagamento della somma richiesta e il rilascio dell’appartamento, con il carico delle spese di lite.
A fondamento della propria decisione il Tribunale rilevò, tra l’altro, che la COGNOME era tenuta al pagamento dell’intero canone, trattandosi di un’obbligazione solidale, e che il recesso della
COGNOME non aveva mutato il vincolo di solidarietà, stante la sopravvenuta unicità della parte debitrice.
La pronuncia è stata impugnata dalla COGNOME e la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 16 ottobre 2020, ha accolto il gravame e, in riforma della decisione del Tribunale, ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME, condannando quest’ultima alla rifusione alla controparte della metà delle spese dei due gradi di giudizio.
Ha osservato la Corte territoriale, innanzitutto, che doveva essere rigettata la censura relativa alla presunta violazione dell’art. 102 cod. proc. civ. per la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di NOME COGNOME, dal momento che il contratto di locazione prevedeva solo che la proprietaria aveva riservato alla propria figlia l’utilizzo di una stanza dell’appartamento; il che non consentiva di qualificare il contratto come contratto a favore di terzi.
Analogamente, doveva essere respinta la censura con la quale l’appellante aveva lamentato l’asserita violazione del contraddittorio in relazione alla posizione della co-conduttrice COGNOME, posto che l’unico soggetto legittimato a dolersi dell’eventuale illegittimità del recesso era la proprietaria, dovendosi ritenere escluso un potere di sindacato sui gravi motivi da parte di un soggetto diverso (nella specie, appunto, la NOME).
Quanto al merito della domanda di risoluzione per inadempimento, la Corte capitolina ha escluso l’applicabilità dell’art. 1301 cod. civ., rilevando che nulla consentiva di affermare che la COGNOME avesse rimesso alla conduttrice COGNOME il debito relativo ai canoni di locazione, ma solo quello al preavviso nei limiti di tre mensilità, come risultava dall’atto di transazione con contestuale riconsegna dell’immobile.
Tanto premesso, la Corte d’appello ha osservato che la ricostruzione operata dal Tribunale -in base alla quale la
conduttrice NOME aveva l’obbligo di versare l’intero canone concordato -non teneva conto «delle modificazioni intervenute rispetto agli accordi originari basati, si precisa, sulla solidarietà passiva delle co-conduttrici ancorché detentrici ab origine di una sola stanza oltre i servizi comuni, di corrispondere alla locatrice l’intero canone, ovverosia la medesima prestazione ex art. 1292 cod. civ. (essendo la suddivisione dell’intero frutto di accordi interni non opponibili alla creditrice)». Una volta venuta meno la duplicità dei debitori a seguito del recesso della COGNOME, l’unico soggetto obbligato al pagamento del canone era la COGNOME; tuttavia, poiché era pacifico che quest’ultima fosse rimasta «nella detenzione della stanza originariamente occupata (dovendosi escludere la consegna della stanza occupata dalla COGNOME»), la pretesa della locatrice di ottenere il pagamento dell’intero canone non poteva essere accolta, «per mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sulla medesima».
Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma propone ricorso principale NOME COGNOME, con atto affidato a due motivi.
Resiste NOME COGNOME con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato affidato a quattro motivi.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ricorso principale.
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1460 e 2697 cod. civ., nonché dell’art. 115 cod. proc. civ. per erronea ripartizione dell’onere della prova.
Sostiene la ricorrente che la Corte d’appello ha rigettato la domanda di risoluzione in base all’assunto secondo cui la locatrice non aveva fornito la prova di aver consegnato alla COGNOME anche la stanza già occupata dalla co-conduttrice receduta. Senonché tale
questione era stata posta dalla COGNOME, nell’atto di costituzione in primo grado, sul presupposto che era incerto lo status giuridico di quella stanza, posto che la convenuta aveva sempre ritenuto invalido e inefficace il recesso esercitato dalla COGNOME. Non era dunque in contestazione la mancata consegna, quanto, piuttosto, la situazione di incertezza giuridica; mentre rimaneva «assolutamente pacifico che il contratto di locazione aveva ad oggetto l’intero appartamento e non singole stanze», per cui, una volta receduta la COGNOME, la stanza era rimasta a disposizione della COGNOME. Ne consegue che, accertata la legittimità del recesso della COGNOME, era venuta meno l’incertezza giuridica riguardo alla stanza da lei occupata; per cui la Corte d’appello avrebbe violato le regole sull’onere della prova, onerando la locatrice di dimostrare una circostanza che derivava ipso iure dall’accertamento di legittimità del recesso.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., nullità della sentenza in relazione all’art. 1460 cod. civ. e agli art. 112, 115, 167 e 345 cod. proc. civ., per erroneo rilievo d’ufficio dell’eccezione di inadempimento, non proposta tempestivamente in primo grado e formulata tardivamente in appello.
La ricorrente osserva che la COGNOME avrebbe sollevato solo in appello, e perciò tardivamente, l’eccezione di mancata consegna della stanza in uso alla COGNOME, ipotizzando che la locatrice avesse utilizzato quel locale come deposito. L’eccezione di inadempimento è un’eccezione in senso stretto, per cui la sua proposizione solo in appello ne determinerebbe l’inammissibilità.
La Corte rileva che l’esame del primo motivo di ricorso esige che si ritorni su alcuni passaggi, decisivi, della sentenza impugnata.
La Corte d’appello era chiamata, in ordine logico, ad esaminare innanzitutto il problema dell’esistenza o meno del vincolo della solidarietà dell’obbligazione contratta dalle due
conduttrici. Di tanto la sentenza mostra consapevolezza là dove osserva che, in base agli accordi originari, vi era solidarietà passiva delle co-conduttrici, benché detentrici ciascuna di una sola stanza con l’uso dei servizi comuni; e aggiunge che dalla solidarietà del vincolo derivava l’obbligo di corrispondere alla locatrice l’intero canone (si richiama l’art. 1292 cod. civ.), posto che la suddivisione era «frutto di accordi interni non opponibili alla creditrice».
Ciò premesso, la sentenza continua aggiungendo che, a seguito del recesso esercitato dalla COGNOME, era venuta meno la duplicità dei soggetti passivi dell’obbligazione e la COGNOME era rimasta l’unica obbligata alla corresponsione del canone. Tuttavia, poiché ella continuava a detenere una sola stanza -in mancanza di prova contraria, che la locatrice avrebbe dovuto fornire -la conduttrice superstite non poteva essere obbligata al pagamento dell’intero.
Tale ricostruzione mostra in modo evidente il salto logico compiuto dalla Corte d’appello e svela la fondatezza del primo motivo di ricorso.
Ed invero, delle due l’una: o il contratto di locazione era stato stipulato in modo tale che le due conduttrici fossero solidalmente obbligate al pagamento dell’intero canone, a prescindere dal fatto che ciascuna di loro occupasse solo una stanza o meno; o tale contratto era sorto, fin dall’origine, come locazione di una sola singola stanza per ciascuna delle due co-conduttrici, di talché esse erano debitrici pro quota solo di una parte del canone complessivo di locazione. Il dubbio è stato positivamente sciolto dalla Corte d’appello, in base a quanto si è riportato, nel primo senso, perché la sentenza ha fatto riferimento in modo indiscutibile alla natura solidale dell’obbligazione; ed è evidente che, se il contratto prevedeva la solidarietà passiva, una volta che un debitore è venuto meno, l’altro è rimasto obbligato al pagamento dell’intero .
Detto in altri termini, in presenza di un’obbligazione solidale, non può assumere alcun rilievo il fatto che una co-conduttrice abbia lasciato l’appartamento e che vi sia un dubbio sulla sorte della stanza da quest’ultima occupata, perché la premessa della motivazione resa dalla Corte d’appello dimostra in modo non discutibile che la locazione non era per singole stanze , bensì per l’intero . E da questo deriva l’evidente errore commesso dalla Corte di merito nel far derivare dalla mancata prova della messa a disposizione della COGNOME anche della stanza occupata dalla COGNOME la conseguenza della riduzione dell’obbligazione a carico della prima, fino a trasformarla in un’obbligazione pro quota , giuridicamente incompatibile con la premessa.
Per poter giungere alla conclusione accolta, la Corte di merito avrebbe dovuto muovere dalla seconda delle due possibilità suindicate, ma così non è stato.
La sentenza ha fatto cenno anche ad una transazione tra la locatrice e la co-conduttrice COGNOME; trattandosi di una transazione intervenuta tra l’unico creditore e uno dei debitori, la COGNOME avrebbe potuto, semmai, dichiarare di volerne profittare (art. 1304, primo comma, cod. civ.); ma tale circostanza non risulta essere stata nemmeno ipotizzata.
Consegue da tale ricostruzione che il primo motivo del ricorso principale è accolto; il che comporta l’assorbimento del secondo.
Ricorso incidentale condizionato.
L’accoglimento del ricorso principale determina la necessità di esaminare il ricorso incidentale condizionato.
4.1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1411 cod. civ. e dell’art. 102 cod. proc. civ., con conseguente nullità della sentenza, oltre ad omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
La ricorrente osserva che dal testo del contratto si desumeva in modo evidente che la COGNOME, in quanto destinataria di una stanza dell’appartamento, con annessa possibilità di utilizzare i bagni, la cucina e il soggiorno, era titolare di una «posizione soggettiva azionabile nei confronti delle conduttrici»; per cui la Corte d’appello avrebbe dovuto riconoscere l’esistenza di un contratto a favore di terzo ed il conseguente litisconsorzio necessario tra tutte le parti.
4.2. La Corte osserva che il primo motivo è inammissibile, perché teso in modo evidente ad ottenere in questa sede un diverso e non consentito esame del merito. La sentenza impugnata, infatti, si è soffermata in modo più che sufficiente sulla questione qui prospettata ed ha escluso che fosse ipotizzabile, nella specie, un contratto a favore di terzo; e tanto per la semplice ragione che nel contratto la locatrice si era limitata a riservare una stanza alla propria figlia (la COGNOME, appunto), senza che quest’ultima potesse far valere «una posizione giuridica autonomamente azionabile nei confronti della locatrice». In altri termini, una stanza dell’appartamento era stata esclusa dal contratto; tale ricostruzione dei fatti non è sindacabile in questa sede e comporta l’impossibilità di configurare anche la violazione dell’art. 102 cit., perché non era evidentemente configurabile un caso di litisconsorzio necessario.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1300, 1301, 1304, 1316 e 1317 cod. civ., nonché dell’art. 4, secondo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, in combinato disposto con l’art. 4, comma 2, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, e con l’art. 3, comma 5, lettera d ), del d.m. 5 marzo 1999.
Il motivo censura l’affermazione della sentenza secondo cui la locatrice era l’unica parte legittimata a sindacare la sussistenza di un valido recesso da parte della co-conduttrice COGNOME. In realtà,
simile ricostruzione potrebbe essere condivisibile se la Corte avesse ritenuto che ciascuna della due conduttrici era titolare della detenzione di una sola stanza. La tesi della ricorrente principale, però, è diversa e si fonda sulla diversa convinzione per cui la locazione aveva ad oggetto l’intero immobile e non le singole stanze; per cui, a fronte di una sola parte locatrice, vi sarebbe «una parte conduttrice complessa formata da due distinti soggetti». In tal caso, però, anche l’altro conduttore dovrebbe essere legittimato a valutare il recesso del co-conduttore, trattandosi di decisione che assume rilievo anche nella sua sfera personale. La ricorrente richiama, a supporto, le regole sulle locazioni temporanee agli studenti universitari, nelle quali è ammessa la facoltà di recesso parziale da parte anche di uno solo dei conduttori dello stesso immobile; norma che, però, rappresenta un’eccezione, appositamente prevista dalla legge.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 4), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione delle stesse norme di cui al secondo motivo, con nullità della sentenza per violazione dell’art. 102 del codice di rito.
Il terzo motivo è strettamente connesso col secondo. Se, infatti, si ammette che la COGNOME poteva interloquire sulla legittimità del recesso della COGNOME, ne deriva che anche quest’ultima era litisconsorte necessaria nel procedimento, per cui il contraddittorio si sarebbe dovuto estendere nei suoi confronti.
I motivi secondo e terzo, da trattare congiuntamente in considerazione dell’evidente connessione che li unisce, sono, quando non inammissibili, comunque privi di fondamento.
Si deve rilevare, innanzitutto, che essi tendono a mettere nuovamente in discussione la questione della presenza in causa della coconduttrice COGNOME, esaminata dalla Corte d’appello, dimostrando di sollecitare un ulteriore esame del merito.
Ma anche volendo prescindere da tale rilievo, la Corte osserva che le censure qui in esame traggono da una premessa (in fatto) corretta una conclusione che tale non è. Ed invero il terzo motivo ricostruisce i termini di fatto della vicenda dando indirettamente la conferma della bontà del primo motivo del ricorso principale (di cui si è detto), posto che sostiene che la Corte d’appello avrebbe ricostruito il rapporto di locazione come unitario (con conseguente solidarietà passiva). La conseguenza che se ne trae non è, invece, corretta, posto che è solo il locatore ad essere titolare di un potere di accettazione del recesso anticipato da parte del conduttore (o di uno solo dei conduttori). La circostanza che la locazione prevedesse la presenza di due conduttori non si traduce, contrariamente a quanto qui sostenuto, nella necessità di introdurre un potere di sindacato sul recesso di uno dei conduttori in capo all’altro. Il conduttore rimasto, cioè la COGNOME, avrebbe dovuto semmai attivarsi, una volta rimasta l’unica obbligata, nel senso di negoziare una riduzione del canone o, quale extrema ratio , di esercitare anch’ella la facoltà di recesso anticipato. Ma da questo non può dedursi che l’odierna ricorrente incidentale dovesse essere ritenuta titolare di una sorta di potere di controllo o di veto sul recesso dell’altro.
La COGNOME avrebbe semmai potuto, ragionando in astratto, agire in regresso contro la COGNOME a titolo risarcitorio quale obbligata solidale (art. 1299 cod. civ.), ma non certo sindacare la legittimità del recesso di quest’ultima.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1301 cod. civ., nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., oltre ad omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
La censura ha ad oggetto l’affermazione della sentenza riguardante la presunta rimessione del debito, da parte della
locatrice, nei confronti della COGNOME. Osserva la ricorrente che, se si fosse accertato che il recesso di quest’ultima era «impossibile, inesistente, invalido e improduttivo di effetti», si sarebbe dovuto interpretare l’accordo intervenuto tra la COGNOME e la COGNOME in base all’art. 1301 cod. civ.; con la conseguenza che la rinuncia ai canoni da parte della locatrice doveva essere ritenuta liberatoria anche nei confronti dell’altra conduttrice, «non essendo mai state allegate e tantomeno provate clausole limitative dell’effetto liberatorio della rimessione».
8.1. Il motivo non è fondato.
La Corte osserva, innanzitutto, che la censura formulata muove da una premessa in fatto -e cioè che il recesso della coconduttrice COGNOME avrebbe dovuto essere considerato impossibile, inesistente o invalido -la quale è stata smentita dall’esame del ricorso principale e dei precedenti motivi del ricorso incidentale condizionato.
Ma, anche volendo tralasciare quest’aspetto, si deve mettere in evidenza che la sentenza impugnata, nel fare riferimento alla presunta rimessione dei canoni di locazione da parte della locatrice in favore della sola COGNOME, ha anche richiamato il contenuto di un atto di transazione (p. 5 della sentenza) intervenuto tra le parti, senza che il motivo in esame abbia in alcun modo contestato questa circostanza. Il che viene a significare, in primo luogo che, se vera rimessione ci fu, essa fu piuttosto il frutto di un accordo transattivo; e di conseguenza, in secondo luogo, che non è corretto il richiamo all’art. 1301 cod. civ., perché l’odierna ricorrente avrebbe dovuto, semmai, invoc are l’art. 1304 cod. civ. e dimostrare di aver voluto a suo tempo profittare della transazione intervenuta tra la creditrice e l’altra debitrice solidale. La ricorrente incidentale, invece, non ha né dedotto né tantomeno dimostrato di volersi avvalere della norma sulla transazione ora richiamata, per
cui la censura si dimostra eccentrica rispetto all’effettiva motivazione della sentenza impugnata.
In conclusione, è accolto il primo motivo del ricorso principale, con assorbimento del secondo, mentre è rigettato il ricorso incidentale condizionato.
La sentenza impugnata è cassata in relazione e il giudizio è rinviato alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione