Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 24317 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 24317 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/09/2025
composta dai signori magistrati:
dott. NOME COGNOME
Presidente
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere relatore
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 8263 del ruolo generale dell’anno 2024, proposto da
FICO NOME (C.F.: TARGA_VEICOLO SAPORITO NOME (C.F.: TARGA_VEICOLO) COGNOME NOME (C.F.: TARGA_VEICOLO)
COGNOME NOME (C.F.: TARGA_VEICOLO rappresentati e difesi dall’avvocat o NOME COGNOMEC.F.: COGNOME
72A24 C352H)
-ricorrenti-
nei confronti di
COMUNE DI MESORACA (KR) -(C.F. 00301240792), in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso dall’avvocat o NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di Catanzaro n. 193/2024, pubblicata in data 26 febbraio 2024; udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio dell’8 luglio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
NOME COGNOME, NOME COGNOME nonché NOME e NOME COGNOME, hanno agito in giudizio nei confronti del Comune di Mesoraca (KR) per ottenere il risarcimento dei danni causati ad un
Oggetto:
RESPONSABILITÀ CIVILE DANNI DA COSE IN CUSTODIA
Ad. 08/07/2025 C.C.
R.G. n. 8263/2024
Rep.
immobile di loro proprietà dall’errata realizzazione di un tombino nella strada comunale, il quale, in mancanza di un sistema di rete fognaria, raccoglieva le acque pluviali riversandole nelle proprietà limitrofe.
La domanda è stata accolta dal Tribunale di Crotone, che ha condannato l’ente comunale al pagamento, in favore degli attori, dell’importo di € 58.976,00, oltre accessori.
La Corte d’a ppello di Catanzaro, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha ridotto la condanna dell’ente convenuto, in favore degli attori, al minor importo di € 12.869,00, oltre accessori.
Ricorrono NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME, sulla base di quattro motivi.
Resiste con controricorso il Comune di Mesoraca.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
Ragioni della decisione
Con il primo motivo del ricorso si denunzia « nullità della sentenza impugnata ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione degli artt. 1316, 1317 e 1319 c.c., nonché 24 della Cost., per avere la Corte di Appello di Catanzaro erroneamente interpretato e applicato contenuto e principi di diritto che regolano la materia delle obbligazioni indivisibili ».
I ricorrenti contestano la decisione impugnata nella parte in cui la Corte d’appello non ha ritenuto conforme a diritto il riconoscimento, in loro favore, a titolo risarcitorio, dell’intero importo stimato dal consulente tecnico di ufficio come necessario per l’esecuzione dei lavori di ripristino di tutti gli immobili danneggiati, dal momento che tale importo era stato determinato dal consulente in relazione alle opere da eseguire anche per il ripristino di immobili danneggiati di proprietà di terzi, sull’a ssunto che non era possibile scorporare preventivamente l’incidenza dei suddetti lavori in relazione alle singole proprietà.
Assumono che, in base ai principi di diritto applicabili nella fattispecie, « quando il creditore chieda il risarcimento in forma specifica per conseguire il rimborso delle spese occorrenti per il ripristino di un bene che risulti essere indivisibile, anche il credito risarcitorio debba ritenersi indivisibile, poiché, essendo indivisibile per finalità e funzione la prestazione, indivisibile è anche il fatto e il risultato del ripristino ».
Richiamano un precedente di questa stessa Corte in cui si è affermato il principio per cui « con riguardo al risarcimento del danno, il credito dei comproprietari di un bene unico ed indivisibile per il rimborso delle spese occorrenti alla sua riparazione, deve considerarsi indivisibile perché essendo indivisibile, per finalità e funzione, la prestazione che ne è oggetto, indivisibile è anche il fatto ed il risultato del ripristino; tale credito può essere pertanto fatto valere da ciascuno dei comproprietari per l ‘ intero, ai sensi dell ‘ art. 1319 c.c. (salva la successiva definizione del rapporto all ‘ interno della contitolarità) » (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 4804 del 17/05/1994).
Il motivo è infondato.
1.1 Va premesso che l’obbligazione di cui si discute è una obbligazione di risarcimento del danno per equivalente, cioè una obbligazione avente ad oggetto il pagamento di una somma di danaro, e che, secondo i principi di diritto affermati da questa Corte , cui va senz’altro data continuità, « l’obbligazione è indivisibile ai sensi dell’art. 1316 c.c. solo quando la prestazione abbia per oggetto una cosa o un atto che non è suscettibile di divisione per sua natura (oggettivamente indivisibile) o per il modo in cui è stato considerato dalle parti contraenti (soggettivamente indivisibile) » (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2822 del 7/02/2014; Sez. 3, Ordinanza n. 34251 del 6/12/2023, in cui si afferma che « l’i ndivisibilità dell ‘ obbligazione va rapportata non alla prestazione, ma all ‘ oggetto di essa, ex art. 1316 c.c. », con la espressa precisazione, in motivazione, che la
« obbligazione risarcitoria per equivalente, avendo ad oggetto una somma di danaro, è divisibile e non dà luogo a solidarietà del credito dal lato attivo »).
Non può dirsi, in altri termini, di per sé indivisibile l’obbligazione di pagamento di una somma di danaro, finanche laddove si trattasse di una obbligazione di risarcimento per equivalente di danni la cui integrale eliminazione avrebbe richiesto necessariamente l’esecuzione di una obbligazione di facere assolutamente non divisibile (il che è, in verità, nella specie, controverso).
Sotto tale profilo, dunque, va senz’altro condivisa l’affermazione della Corte d’appello per cui, nella specie, non era applicabile il regime normativo delle obbligazioni indivisibili e, in particolare, quello della solidarietà attiva.
1.2 Il precedente di questa Corte richiamato dai ricorrenti a sostegno del loro contrario assunto riguarda, in realtà, la questione attinente alla legittimazione a richiedere il risarcimento dei danni arrecati ad un unico bene indivisibile di proprietà comune di più soggetti: in tal caso, è stata ammessa la legittimazione ad agire per l’intero anche di uno solo dei comproprietari, salva la successiva definizione del rapporto all’interno della contitolarità.
Diversa è, però, l’ipotesi in cui i danni siano relativi ad immobili distinti ed autonomi, di proprietà di diversi soggetti.
Potrebbe eventualmente ammettersi, in tal caso, l’indivisibilità dell’obbligazione di ripristino in forma specifica, cioè quella avente ad oggetto la condanna del danneggiante ad un facere di per sé indivisibile che implichi necessariamente l’intervento su una pluralità di immobili (fatte salve le questioni processuali sulla eventuale necessità del litisconsorzio con tutti i danneggiati, in siffatta ipotesi).
Nella specie, peraltro, è stata in radice esclusa la possibilità di una condanna dell’ente danneggiante al risarcimento in forma
specifica e si discute esclusivamente del risarcimento per equivalente, cioè mediante il pagamento di una somma di danaro. In tal caso, come già chiarito, è certamente da escludere la solidarietà attiva di tutti i danneggiati, in relazione al credito risarcitorio complessivo per equivalente; del pari, va, ovviamente, esclusa la possibilità che ciascuno dei proprietari di ognuno dei singoli immobili danneggiati possa agire separatamente nei confronti del danneggiante al fine di conseguire da quest’ultimo il risarcimento integrale del danno per equivalente, nella misura necessaria ad effettuare le opere di ripristino di tutte le diverse proprietà immobiliari danneggiate (il che comporterebbe una evidente indebita moltiplicazione dell’obbligazione risarcitoria); né sarebbe, infine, possibile attribuire la legittimazione ad agire per l’intero a ciascuno dei titolari delle singole pr oprietà, anche nell’interesse degli altri danneggiati, come in caso di danni all’unico bene comune, non essendovi la possibilità di una « successiva definizione del rapporto all’interno della contitolarità », in mancanza della stessa contitolarità di un bene comune e non sussistendo neanche, quindi, in tal caso, una disciplina normativa dell’amministrazione collettiva della cosa comune (come avviene in base agli artt. 1100 e ss. c.c.), che attribuisce a ciascun contitolare il diritto ed il potere di parteciparvi.
1.3 In definitiva, la Corte d’appello ha correttamente ritenuto che -una volta esclusa la possibilità di un risarcimento in forma specifica mediante condanna dell’ente convenuto all’esecuzione dei lavori di ripristino integrale dei luoghi interessati dal fatto dannoso (questione che non è in contestazione nella presente sede) -nella specie gli attori avessero diritto esclusivamente al risarcimento per equivalente del danno da loro subito, che tale risarcimento dovesse essere commisurato in proporzione all ‘incidenza del danno complessivo sul solo immobile di loro esclusiva proprietà e, nell’impossibilità di determinare con esattezza
tale quota di incidenza senza la preventiva esecuzione dei lavori di ripristino di tutti gli immobili danneggiati (secondo quanto emergente dalla consulenza tecnica di ufficio), che esso dovesse essere inevitabilmente liquidato in via equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c..
Va, pertanto, esclusa la dedotta violazione delle disposizioni invocate dai ricorrenti in tema di obbligazioni indivisibili.
Con il secondo motivo si denunzia « nullità della sentenza impugnata ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., nonché degli artt. 81, 99, 100, 163, 189 c.p.c. ».
I ricorrenti, premesso che « in tema di risarcimento del danno in materia di obbligazioni indivisibili » … … « il danneggiato ha diritto di richiedere l’intera somma riparatoria », sostengono che la Corte d’appello avrebbe errato nel negare loro l’integrale risarcimento dei danni subiti anche dal fondo limitrofo di proprietà di terzi per « carenza di legittimazione attiva » e « carenza di domanda per avere gli attori richiesto il danno limitatamente alla loro proprietà ».
Il motivo è infondato.
Le censure con esso formulate si fondano sul presupposto che l’obbligazione di pagamento di una somma di danaro a titolo di risarcimento per equivalente costituirebbe obbligazione di per sé indivisibile, laddove succedanea di una obbligazione risarcitoria di fare in forma specifica indivisibile e, come tale, essa sarebbe soggetta al regime della solidarietà attiva.
Ma tale assunto di diritto è senz’altro infondato, come già ampiamente chiarito in relazione al precedente motivo di ricorso, cui si fa rinvio (e ciò, quindi, anche a prescindere dalla fondatezza o meno dell’ulteriore presupposto, implicito e di fatto, relativo alla pretesa impossibilità di eseguire lavori di ripristino relativamente al solo immobile degli attori, che i ricorrenti
danno per scontato benché l’ente controricorrente lo contesti espressamente).
Ne consegue che deve ritenersi correttamente esclusa, dalla Corte territoriale, la legittimazione degli attori (sul piano sostanziale: vale a dire la titolarità del diritto fatto valere) ad ottenere il risarcimento per equivalente anche in relazione ai danni subiti dai terzi proprietari degli immobili limitrofi, oltre che in relazione ai danni subiti dal proprio immobile, il che assorbe anche la questione del difetto di domanda in proposito. Dovendo, infatti, escludersi la sussistenza della relativa legittimazione, è irrilevante stabilire se gli attori avessero chiesto o meno il risarcimento per equivalente spettante ai terzi.
Con il terzo motivo si denunzia « nullità della sentenza impugnata ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. per avere il giudice di merito omesso di valutare fatti rilevanti risultanti dalla c.t.u., che, se valutati, sarebbero stati decisivi per il giudizio ».
Con il quarto motivo si denunzia « nullità della sentenza impugnata ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 132 c.p.c. ».
Il terzo ed il quarto motivo del ricorso sono connessi, logicamente e giuridicamente, e possono, quindi, essere esaminati congiuntamente.
Essi sono inammissibili.
3.1 I ricorrenti contestano la statuizione con cui la Corte d’appello ha liquidato, in via equitativa, il danno per equivalente in loro favore, nella misura di un quarto dell’importo stimato come necessario per l’esecuzione dei lavori di ripristino di tutti gli immobili danneggiati (inclusi quelli di proprietà di terzi) sull’assunto che « a ben esaminare la documentazione allegata alla CTU COGNOME, e in particolare l’estratto di mappa foglio 32 del Comune di Mesoraca, è agevole constatare che la fenditura del terreno generata dall’erosione delle acque meteoriche risulta ubicata prevalentemente nella particella n. 94 in testa al
NOME e solo in minima parte nella particella 93 di cui sono proprietari i ricorrenti ».
Sostengono che sussistevano contrari e decisivi elementi di prova, emergenti dalla medesima relazione di consulenza, che avrebbero dovuto indurre la Corte territoriale a riconoscere un diverso posizionamento della fenditura, precisamente lungo il confine tra il loro fondo e quello limitrofo di proprietà di terzi, se non addirittura in maggior misura nel proprio fondo e che, in proposito, la decisione sarebbe fondata su un vero e proprio travisamento delle risultanze probatorie e, sostanzialmente, priva di una vera e propria intelligibile motivazione.
3.2 Le censure formulate con i motivi di ricorso in esame hanno, in realtà, ad oggetto un accertamento di fatto operato dalla Corte d’appello sulla base di una valutazione de gli elementi istruttori rilevanti e fondato su adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico e, come tale, non sindacabile nella presente sede.
D’altra parte, è appena il caso di ribadire che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, « l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, prin cipale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il ‘fatto storico’, il cui esame sia stato omesso, il ‘dato’, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il ‘come’ e il ‘quando’ tale fatto sia stato oggetto di discussione
processuale tra le parti e la sua ‘decisività’, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie » (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 7/04/2014; Sez. U, Sentenza n. 8054 del 7/04/2014; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 25216 del 27/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 9253 del l’ 11/04/2017; Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018; Sez. 2, Ordinanza n. 17005 del 20/06/2024).
Nella specie, non vi è dubbio che il fatto storico rilevante (e, cioè, l’esatto posizionamento della fenditur a del terreno generata dall’erosione delle acque meteoriche , in particolare la sua ubicazione prevalente in una limitrofa particella di proprietà di terzi e solo in minor parte nella particella di proprietà dei ricorrenti) sia stato preso in considerazione e specificamente valutato ed accertato dalla Corte territoriale, sulla base di motivazione adeguata (quanto meno rispettosa del cd. minimo costituzionale), onde non può attribuirsi alcun rilievo alla circostanza che nella sentenza non si sia dato conto di tutte le ulteriori risultanze probatorie, evidentemente non ritenute decisive, in senso contrario.
3.3 Deve, d’altra parte, certamente escludersi la sussistenza di una ipotesi di cd. travisamento delle prove, tale da costituire violazione dell’art. 115 c.p.c.: non è, infatti, dedotta una svista concernente il fatto probatorio in sé, contestandosi, al più, il processo di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, peraltro al di fuori dei presupposti di cui all’art. 360, comma 1, n. 4 e 5, c.p.c. (cfr., in proposito, Cass., Sez. U, Sentenza n. 5792 del 5/03/2024).
In definitiva, le censure formulate con i motivi di ricorso in esame finiscono per risolversi nella contestazione di insindacabili accertamenti di fatto operati dai giudici del merito sulla base
di adeguata motivazione, nonché nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito in sede di legittimità.
Il ricorso è rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte:
-rigetta il ricorso;
-condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dell’ente controricorrente, liquidandole in complessivi € 4.300,00, oltre € 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge;
-dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento al competente ufficio di merito, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-