Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5665 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5665 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10434/2022 R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo in ROMA INDIRIZZO
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo in ROMA INDIRIZZO
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOME
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 782/2022 depositata il 04/02/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/01/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME e NOME COGNOME, in qualità di fideiussori della società RAGIONE_SOCIALE, cessionaria dell’azienda avente ad oggetto l’attività di ristorazione denominata RAGIONE_SOCIALE, ubicata in Roma, in due locali attigui siti in INDIRIZZO e INDIRIZZO, proposero opposizione ad un decreto ingiuntivo con cui la società RAGIONE_SOCIALE, cedente il contratto di affitto di azienda alla cessionaria RAGIONE_SOCIALE, aveva intimato ai fideiussori e alla debitrice principale il pagamento di somme dovute a vario titolo in ragione del contratto di affitto d’azienda e del contratto di fideiussione stipulato in favore della cessionaria.
A sostegno dell’opposizione rappresentarono che il debito era estinto in conseguenza dell’avvenuto incasso, da parte della creditrice, di un assegno firmato dal COGNOME; che, in ogni caso, il credito azionato non era né liquido né esigibile; che il contratto di fideiussione era nullo ai sensi dell’art. 1957 c.c. per non avere il creditore coltivato tempestivamente le proprie ragioni di credito nei confronti della debitrice principale; che comunque la fideiussione era nulla per indeterminatezza dell’oggetto; ciò premesso, chiesero la revoca del decreto ingiuntivo e la condanna della società opposta al risarcimento dei danni.
La società RAGIONE_SOCIALE nel costituirsi in giudizio, rappresentò di aver notificato con esito negativo il decreto anche alla debitrice principale, RAGIONE_SOCIALE risultata irreperibile, di vantare un credito liquido ed esigibile nei confronti dei fideiussori, in conseguenza di numerosi inadempimenti da parte della società garantita alle obbligazioni assunte con il contratto di affitto d’azienda; che l’assegno del COGNOME non era mai stato incassato come riconosciuto dal medesimo con una scrittura stipulata a latere della fideiussione; che la garanzia fideiussoria copriva
i fatti accaduti prima della scadenza del contratto di affitto e che le eccezioni sollevate in ordine alla fideiussione erano tutte infondate così come la domanda riconvenzionale di danni.
Nel corso del giudizio svolse intervento volontario la società RAGIONE_SOCIALE affermando che il decreto ingiuntivo non le era stato notificato e che la domanda era infondata nel merito.
Il Tribunale di Roma ritenne l’ammissibilità dell’intervento della debitrice principale, qualificò la garanzia rilasciata quale connotata dalla clausola del pagamento a prima richiesta, riconobbe la deroga contrattuale alla decadenza di cui all’art. 1957 c.c., ritenne che, in ogni caso, i fatti erano accaduti nelle more della garanzia seppur non tempestivamente contestati al debitore principale, che il preteso pagamento della somma da parte del fideiussore non aveva trovato positivo riscontro in quanto lo stesso garante aveva dichiarato di non aver provveduto al pagamento della somma e di aver rilasciato l’assegno al solo fine di ottenere la riabilitazione. Conclusivamente il Tribunale, ritenuto che il decreto ingiuntivo avesse perso efficacia nei confronti della debitrice principale, rigettò l’opposizione dei fideiussori, condannandoli alle spese.
A seguito di appello dei soccombenti, basato su tre motivi error in procedendo per omessa declaratoria di improcedibilità ed inefficacia del d.i. per mancata notifica al debitore principale, violazione dell’art. 1957 c.c. e dell’art. 1362 c.c., nonché ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e violazione dell’art. 1346 c.c. per omessa declaratoria di nullità della fideiussione per indeterminatezza dell’oggetto, nonché violazione degli artt. 115 e 116 c.c.- la Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 782 del 2022, depositata in data 4/2/2022, ha rigettato l’appello.
Avverso la sentenza il COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
Resiste la RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
La difesa del ricorrente, in vista della trattazione del ricorso fissato in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380bis. 1 c.p.c., ha depositato un’istanza di rinvio rappresentando che, in ragione dell’intervenuto decesso del COGNOME e
dell’intervenuta dichiarazione dei suoi eredi di rinuncia all’eredità, occorre consentire la costituzione in giudizio del curatore dell’eredità giacente. Vi è memoria della ricorrente.
Considerato che:
La richiesta di rinvio non è accoglibile in quanto la morte del ricorrente e le stesse dichiarazioni di rinuncia all’eredità sono avvenute in epoca ben anteriore alla fissazione dell’odierna adunanza, sicché vi sarebbe stato tutto il tempo per attivare la procedura di nomina di un curatore dell’eredità giacente.
D’altro canto, il difensore nemmeno indica la data della morte del suo assistito. Il ricorso è procedibile, perché parte ricorrente non ha prodotto la copia notificata della sentenza impugnata, ma la relata è stata prodotta dalla resistente.
Con il primo motivo ‘ Art. 360 cpc n. 4 -c.p.c. Nullità della sentenza e del procedimento ex art. 101 cpc e 24 Costituzione – Error in procedendo’ -il ricorrente lamenta che la corte di appello ha erroneamente omesso di dichiarare l’inefficacia ed improcedibilità del decreto ingiuntivo per omessa notifica del medesimo alla debitrice principale, la quale omissione rendeva il decreto non opponibile ai fideiussori opponenti, stante la loro posizione di garanti del debitore principale. Secondo il ricorrente, che replica puramente e semplicemente il primo motivo di appello, il giudice ha errato nel ritenere ammissibile l’intervento della debitrice principale accogliendo la tesi della volontà dell’appellata di non coltivare la notifica alla RAGIONE_SOCIALE perché non rintracciabile, anziché rilevare l’inefficacia ed improcedibilità del decreto ingiuntivo opposto.
Il motivo è manifestamente inammissibile e gradatamente infondato.
La prima motivazione enunciata dalla sentenza impugnata si è concretata nel rilevare che la proposizione del ricorso monitorio nei confronti di più coobbligati solidali, quali erano le persone fisiche e la società garantita, dando luogo ad un cumulo processuale litisconsortile facoltativo, rendeva indipendenti i rapporti processuali fra la creditrice e ciascuna delle parti ingiunte, di modo che correttamente il primo giudice ebbe a dare rilievo alla mancata notificazione alla società, dichiarando inefficace il decreto nei suoi confronti senza alcun rilievo sulla possibilità che la cognizione dell’opposizione proposta dagli altri due ingiunti avesse corso.
Ora, la motivazione de qua , là dove evoca anche un precedente di questa Corte, non è in alcun modo attinta dal motivo, che si preoccupa solo della seconda, che, in realtà, comunque sarebbe stata attinente solo al merito dell’opposizione proposta dalle due parti fisiche.
In ogni caso, la prima motivazione – se anche fosse stata censurata – si sarebbe dovuta ritenere pienamente corretta.
Peraltro, è manifestamente privo di fondamento l’assunto che la mancanza in giudizio della presenza della società nuocesse alla difesa dei fideiussori, a tacer d’altro potendo essi chiamarla in causa ed in disparte la circostanza del suo intervento in giudizio.
Con il secondo motivo – deducente ‘Violazione dell’art. 1957 c.c. e degli artt. 1362 e ss. c.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.) anche in relazione agli 115 e 116 c.p.c.’ il ricorrente lamenta che la corte territoriale ha ritenuto non operativa l’eccezione di decadenza di cui all’art. 1957 c.c., quando in nessun modo le parti avevano inteso ancorare la durata della fideiussione all’integrale adempimento dell’obbligazione principale, di guisa da non potersi ritenere escluso il regime decadenziale per effetto di una rinuncia preventiva da parte del fideiussore. Quindi l’appellante doveva ritenersi liberato dalle obbligazioni originariamente assunte, avendo la RAGIONE_SOCIALE agito tardivamente contro il debitore, atteso che il contratto di affitto si era risolto in data 2/4/2012 con la riconsegna degli immobili.
Il motivo è inammissibile per più gradate ragioni.
In tanto ragiona – alla pag. 20 – di una previsione contrattuale che sarebbe stata posta a fondamento della decisione dalla corte territoriale senza riprodurla e, dunque, violando l’art. 366 n. 6 c.p.c.
In ogni caso, l’illustrazione non contiene né l’enunciazione della violazione né quella della falsa applicazione delle norme evocate, ma si svolge in termini meramente assertori, senza indicare come e perché quella corte avrebbe violato i canoni ermeneutici degli artt. 1362 e ss., tra l’altro evocati senza alcuna specificazione, ed in realtà sollecitando – nelle pagg. 21-20 – la valutazione di una congerie di emergenze processuali genericamente evocate. Tale valutazione è del tutto estranea alle modalità di deduzione dei vizi ex artt. 115 e 116,
siccome indicate dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 11892 del 2016 ed, ex multis , Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020), impingendo in una richiesta di riesame della quaestio facti .
Con il terzo motivo di ricorso deduce Art. 360 cpc n. 3 – Ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 e ss. c.c., in ordine alla interpretazione del contratto di fideiussione intervenuto tra le parti del 04.05.2011. Lamenta che la corte del merito ha ritenuto sussistente l’obbligazione fideiussoria, la sua validità ed efficacia, oltre che la sussistenza del credito vantato, quando invece vi sarebbe prova dell’estinzione dell’obbligazione a carico dei fideiussori, atteso il versamento dell’importo di Euro 162 mila in favore della RAGIONE_SOCIALE e dell’ulteriore produzione di copia di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà della stessa RAGIONE_SOCIALE, con cui la stessa dichiarava di aver ricevuto dal Sig. COGNOME la somma di Euro 180 mila. L’obbligazione fideiussoria, doveva ritenersi estinta, atteso tale presunto pagamento eseguito.
Anche tale motivo è inammissibile perché propone una mera diversa e nell’ottica di parte ricorrente più appagante interpretazione della volontà delle parti, nuovamente impingendo esclusivamente in una sollecitazione a rivalutare la quaestio facti .
Con il quarto motivo di ricorso deduce: in relazione all’a rt. 360 cpc n. 4 e con riferimento all’art. 112 cpc e 132 cpc , nullità della sentenza per omessa pronuncia in relazione all’omessa declaratoria della nullità del contratto di fideiussione per indeterminatezza dell’oggetto e clausole vessatorie (in relazione all’art.1418, 1346 e 1957 c.c.) Omessa pronuncia sulla doman da riconvenzionale proposta in I° grado dal ricorrente.
Il ricorrente lamenta una asserita omessa pronuncia in ordine all’eccepita nullità dei contratti fideiussori per indeterminatezza dell’oggetto, in quanto, non sarebbero, asseritamente, mai stati fatti visionare ai fideiussori i titoli e, quindi, le fonti delle obbligazioni (contratti locazione). Ancora il ricorrente lamenta una asserita nullità, quantomeno, parziale del contratto di fideiussione, non ritendo valida la preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione ex art. 1957 c.c., in quanto clausola vessatoria e non approvata per iscritto: anche, in questo caso la corte territoriale non si sarebbe pronunciata su tale eccezione.
Ritiene il ricorrente che la pattuizione relativa alla rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c. (decadenza del creditore dal diritto di escutere la fideiussione in conseguenza del mancato inizio dell’azione di recupero del credito nei confronti del debitore p rincipale entro 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione) sarebbe stata dichiarata contraria alla disciplina antitrust dalla Banca d’Italia: circostanza, anche, confermata da giurisprudenza di legittimità. L’invocata nullità della clausola che esclude l’applicazione dei termini di cui all’art. 1957 c.c., comporterebbe l’effetto per cui il fideiussore rimarrebbe obbligato solo a condizione che il creditore entro 6 mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e continuate con diligenza. L’eccezione so llevata sarebbe, inoltre, rilevabile d’ufficio. Pari omessa pronuncia si sarebbe verificata, anche, in relazione alla domanda riconvenzionale proposta in primo grado (per danni).
Il quarto motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
Esso denuncia due pretese omesse pronunce e in via mediana rispetto a tali due censure ne inserisce una seconda di nullità della non meglio identificata clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c.
La prima censura è esposta a pag. 29 nei seguenti termini:
<>.
Essa è inammissibile, in quanto, come emerge da quanto si riporta, omette di individuare in modo chiaro l’oggetto della omessa pronuncia. Infatti, si astiene dal riprodurre direttamente il contenuto di esso e nemmeno può dirsi che lo riproduca indirettamente indicando la parte dell’atto di appello cui corrisponderebbe l’argomentare riproduttivo indiretto. Sotto quest’ultimo profilo, si fa riferimento a due sedi dell’atto di appello, ma la prima, la pag. 29, non contiene alcunché che in modo immediato e percepibile corrisponda all’indiretto argomentare, la seconda, la pag. 19, 2° capoverso, contiene la mera enunciazione che <>, la quale, una volta coordinata con ciò che la precede risulta da esso del tutto priva di coordinazione e congruenza logica sì da evidenziarsi del tutto inidonea a palesare un oggetto su cui il giudice di appello si doveva pronunciare. Si aggiunga che la detta enunciazione nella riportata illustrazione viene indicata come correlata assertoriamente anche al secondo motivo di appello, là dove fa parte del terzo motivo.
La seconda censura, esposta a partire dalla terzultima proposizione della pag. 30, evoca Cass., Sez. Un., n. 41994 del 2021, ma lo fa – pur ammettendo che possa trattarsi di questione di nullità prospettabile anche in questa sede – in modo assolutamente incomprensibile e del tutto generico, sì che trattasi di doglianza inidonea ad integrare un motivo di ricorso per cassazione (sulla necessaria specificità del motivi di ricorso per cassazione, si ricorda il consolidato principio di diritto, di cui a Cass. n. 4741 del 2005, ribadito, ex multis , anche dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 7074 del 2017).
La terza censura lamenta la mancata pronuncia sulle riconvenzionali, ma lo fa senza pertinenza con la circostanza che la sentenza impugnata, nella terza pagina, nel riferire della decisione di primo grado, espressamente afferma che il giudice di primo grado <.
Poiché la corte territoriale, disattendendo i tre motivi dell’appello, ha confermato le ragioni del decidere del primo giudice sul rigetto dell’opposizione e da tale rigetto quel giudice aveva fatto conseguire il rigetto delle riconvenzionali, è palese che il silenzio del giudice di appello sulle riconvenzionali risulta meramente consequenziale negli stessi termini, sicché non vi è stata alcuna omissione di pronuncia.
Conclusivamente il ricorso è rigettato. I ricorrenti sono condannati al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di una somma a titolo di contributo unificato pari a quella versata per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione che liquida in € 3.500 (oltre € 200 per esborsi), più accessori e spese generali al 15 %.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile del 7