Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20903 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20903 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24546/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMAINDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall ‘ avvocato NOME (CF: CODICE_FISCALE)
-Ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMAINDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall ‘ avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE)
-Controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di BOLOGNA n. 518/2022 depositata il 08/03/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La sentenza n. 20297/2017, emessa dal Tribunale di Bologna così disponeva: ‘ 1) revoca il decreto ingiuntivo 5-6 aprile 2016 n. 2085; 2) condanna l ‘ opposta a pagare all ‘ opponente le spese processuali che liquida in euro 406,50 per spese ed curo 9.785,00 per compenso,
oltre rimborso forfettario spese generali 15%, iva e cpa come per legge ‘ .
La controversia traeva origine da una domanda di opposizione a decreto ingiuntivo spiegata dalla società RAGIONE_SOCIALE contro la società RAGIONE_SOCIALE
La società opponente esponeva che: (i) in data 6 aprile 2016, il Tribunale di Bologna aveva emesso il decreto ingiuntivo n. 2085/2016, a mezzo del quale veniva ingiunto alla società RAGIONE_SOCIALE il pagamento in favore di controparte della somma di euro 53.680,00 per sorte capitale, oltre interessi come da domanda e spese di procedura liquidate in decreto; (ii) il credito oggetto del decreto di ingiunzione derivava dalla mancata remunerazione per l ‘ attività di assistenza tecnica e consulenza finanziaria effettuata dalla società opposta, volte alla presentazione e alla realizzazione di proposte progettuali per il ricorso a finanziamenti comunitari, tra cui, in particolare, i Fondi Jessica, previsti per sviluppo di impianti di metanizzazione nella regione Sardegna; (iii) per questi ultimi era previsto un compenso nella misura dello 0,5 %, oltre IVA dell ‘ importo complessivo delle fonti finanziarie del project-financing ; (iv) la società opponente aveva contestato il credito invocato nel decreto ingiuntivo, rilevando che non fossero maturati i presupposti contrattualmente pattuiti per la maturazione del corrispettivo; (v) il credito oggetto del decreto ingiuntivo opposto non presentava i requisiti di liquidità, certezza ed esigibilità.
La società RAGIONE_SOCIALE chiese la revoca del decreto ingiuntivo n. 2085/2016 emesso dal Tribunale di Bologna, con contestuale condanna delle spese di lite.
Costituendosi in giudizio, la società RAGIONE_SOCIALE chiese il rigetto delle domande dell ‘ opponente e la conferma del decreto ingiuntivo opposto.
Con provvedimento del 22/02/2017 il Tribunale rigettò le istanze istruttorie formulate dalla società RAGIONE_SOCIALE e fissò l ‘ udienza per discussione orale della causa, ai sensi dell ‘ art. 281sexies c.p.c.
Con sentenza n. 20297/2017 il Tribunale di Bologna accolse l ‘ opposizione al provvedimento monitorio spiegata dalla società RAGIONE_SOCIALE, e revocò il decreto ingiuntivo n. 2085/2016, condannando la società RAGIONE_SOCIALE alla rifusione delle spese di lite.
Avverso tale pronuncia la società RAGIONE_SOCIALE, interpose gravame dinnanzi alla Corte d ‘ appello di Bologna, criticando la ricostruzione operata dal Tribunale e assumendo che la sentenza era errata per i motivi seguenti: (i) insufficienza ed erroneità della motivazione in ordine alla mancata ammissione dei mezzi istruttori ed errata valutazione delle prove delle risultanze istruttorie; (ii) erroneità ed insufficienza della motivazione, in ordine alla sussistenza dei presupposti e della prova dei fatti costitutivi della domanda; (iii) erroneità nella determinazione delle spese del giudizio.
Costituendosi in giudizio, la società RAGIONE_SOCIALE, chiese in via preliminare dichiararsi l ‘ inammissibilità dell ‘ appello per violazione dell ‘ art. 342 c.p.c., motivando che la società RAGIONE_SOCIALE, nel proprio atto di citazione in appello, aveva disatteso i requisiti prescritti dalla norma in esame, non potendosi ravvisare nell ‘ atto introduttivo del giudizio la concreta individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata, e difettando pertanto integralmente il presupposto della specificità dei motivi di appello. Nel merito, chiese il rigetto dell ‘ appello in quanto infondato.
In corso di causa la società RAGIONE_SOCIALE, con effetto in data 28/11/2018, venne fusa per incorporazione nella società RAGIONE_SOCIALE (con denominazione abbreviata ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ ), con sede legale in Sassari, INDIRIZZO, Partita IVA P_IVA, la quale pertanto assunse, ai sensi
dell ‘ art. 2504bis cod. civ., senza soluzione di continuità, i diritti e gli obblighi della società RAGIONE_SOCIALE, proseguendo in tutti i suoi rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione.
Con sentenza n. 518/2022, depositata in data 8/03/2022, oggetto di ricorso, la Corte d ‘ Appello di Bologna ha rigettato l ‘ appello della società RAGIONE_SOCIALE, condannandola alla rifusione in favore della società RAGIONE_SOCIALE delle spese di lite.
Avverso la predetta sentenza la società RAGIONE_SOCIALE propone ricorso affidato a quattro motivi, cui la società RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell ‘ art. 380bis. 1 c.p.c. e la società ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., ‘ Violazione e falsa applicazione del principio del giusto processo, violazione e falsa applicazione del principio del contraddittorio per mancata valutazione di documenti decisivi per la controversia ai sensi dell ‘ art. 360 c.p.c., n. 5, per avere fondato il proprio convincimento in assenza della necessaria informazione ed istruzione probatoria ‘ , lamentando che la mancata istruzione probatoria avrebbe contribuito in proprio sfavore alla decisività delle vertenze sia nel primo che nel secondo grado, e che una informazione probatoria corretta avrebbe determinato una diversa valenza delle posizioni espresse in causa dalle parti.
Sul primo motivo. Va in primo luogo osservato che la sentenza gravata ha confermato integralmente la sentenza del Tribunale, mettendo in luce analiticamente, capitolo per capitolo, le ragioni per le quali le prove sollecitate dall’odierna ricorrente apparivano prive di rilevanza e, come tali, inammissibili.
La Corte d’appello, infatti, dopo aver dichiarato di confermare le argomentazioni già esposte sul punto dal primo giudice, ha aggiunto che l’appellante non aveva fatto altro che riproporre le medesime
ragioni già esaminate e respinte dal Tribunale e si era limitato ad «esprimere mere valutazioni personali sull’opportunità di espletamento delle prove richieste».
Si tratta, com’è evidente, di un giudizio valutativo tipicamente rimesso al giudice di merito, a fronte del quale le argomentazioni del ricorso si risolvono nell’evidente tentativo di sollecitare in questa sede un diverso e non consentito esame del merito.
D’altra parte, e ssendo stato il gravame esperito dalla odierna ricorrente contro sentenza resa in prime cure in data 16/03/2017 (come risulta dalla sentenza gravata), l ‘ atto di appello risulta, per definizione, proposto con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione posteriormente all ‘ 11/9/2012. Siffatta circostanza determina l ‘ applicazione ‘ ratione temporis ‘ dell ‘ art. 348ter , ultimo comma, c.p.c. (cfr. Cass., Sez. V, sent. 18/9/2014, n. 26860; Cass., Sez. 6-Lav., ord. 9/12/2015, n. 24909; Cass., Sez. 65, ord. 11/5/2018, n. 11439), norma che preclude, in un caso -qual è quello presente -di cd. ‘ doppia conforme di merito ‘ , la proposizione di motivi di ricorso per cassazione formulati ai sensi dell ‘ art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c., salvo che la parte ricorrente non soddisfi l ‘ onere ‘ di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell ‘ appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ‘ (Cass., Sez. I, sent. 22/12/2016, n. 26774; Cass., Sez. Lav., sent. 6/8/2019, n. 20994).
Ricorre l ‘ ipotesi di ‘ doppia conforme ‘ , ai sensi dell ‘ art. 348 ter , commi 4 e 5, c.p.c. – con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c.non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o
precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (così Cass., Sez. 6-2, ord. 09/03/2022, n. 7722). Nella specie la ricorrente non ha indicato le ragioni di diversità fra le due pronunce, il che integra un ‘ ipotesi di inammissibilità del motivo.
Va inoltre rilevato che l ‘ art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., nella formulazione attualmente vigente, ne limita il sindacato all ‘ omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che « nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il ‘ fatto storico ‘ , il cui esame sia stato omesso, il ‘ dato ‘ , testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il ‘ come ‘ e il ‘ quando ‘ tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua ‘ decisività ‘ , fermo restando che l ‘ omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. Un. n. 8053 del 2014)» (così Cass., sez. lav., ord. 17/10/2022, n. 30402). La formulazione della doglianza della ricorrente denuncia, di contro, non già l ‘ omesso esame di un fatto storico decisivo, bensì, per un verso, la mancata valorizzazione di un elemento istruttorio (la prova per testi) che si assume erroneamente omesso dalla Corte territoriale, e, per altro verso, la complessiva ratio decidendi , consistente nel fatto che la ricorrente non ha assolto all ‘onere della prova su di essa incombente.
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Violazione e falsa applicazione della
normativa relativa alle obbligazioni di mezzi e di risultato -Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1368 c.c. con erronea valutazione erroneamente l ‘ attività del consulente come obbligazione di risultato e non di mezzi -Vizio di sussunzione per aver considerato la Corte di Appello che il contratto determinasse un ‘ obbligazione di risultato e non un ‘ obbligazione di mezzi. L ‘ unica interpretazione possibile del contratto di cui oggi è causa è quella che lo inquadra come un ‘ obbligazione di mezzi e non di risultato ‘ , riproponendo, in sede di legittimità, la questione dell ‘ interpretazione sulla natura del contratto (di mezzi, anziché di risultato) che i giudici dei precedenti gradi del giudizio hanno a vario titolo disatteso.
7.1. Sul secondo motivo. Come è noto, nel giudizio di cassazione, le censure relative all ‘ interpretazione del contratto offerta dal giudice di merito possono essere prospettate solo in relazione al profilo della mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o della radicale inadeguatezza della motivazione, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, mentre la mera contrapposizione fra l ‘ interpretazione proposta dal ricorrente e quella accolta dai giudici di merito non riveste alcuna utilità ai fini dell ‘ annullamento della sentenza impugnata (di recente, Cass., Sez. I, ord. 20/01/2021, n. 995).
La Suprema Corte ha pure ripetutamente chiarito che, ‘ per sottrarsi al sindacato di legittimità, l ‘ interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l ‘ unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l ‘ interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l ‘ altra, Cass. sez. I, sent. 17.3.2014, n. 6125, Cass. sez. III, sent. 20.11.2009, n. 24539 ‘ (così Cass., sez. II, 14/05/2017, n. 27136).
L ‘ accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del contratto si traduce, in effetti, in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo nell ‘ ipotesi di violazione dei canoni legali d ‘ interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti del codice civile.
In ogni caso, qualora non fosse inammissibile, il motivo in esame sarebbe comunque infondato. Infatti, ad esito di una approfondita disamina di tutti gli elementi istruttori, la sentenza -dopo aver richiamato la tradizionale distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato -è pervenuta alla conclusione per cui nel caso specifico l’oggetto dell’obbligazione era costituito dall’erogazione del finanziamento, che avrebbe dovuto essere conseguito entro il 31 dicembre 2014. E poiché la società NOME non aveva provato il raggiungimento di tale risultato, la pretesa dalla stessa avanzata non poteva essere accolta.
Trattasi all ‘ evidenza di motivazione congrua e articolata, fondata sull’esame delle prove documentali presenti negli atti del giudizio, senza necessità di procedere ad un’ulteriore istruzione , che pertanto si sottrae al sindacato di legittimità. Il che dà ragione della infondatezza del motivo.
Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Violazione del principio del giusto processo e del contraddittorio in relazione all ‘ art. 360, primo comma n. 3 cpc per avere formato il proprio convincimento su di un contratto erroneamente interpretato (clausole 1, 2, 3) ed interpretate erroneamente alla luce degli artt. 1362, 1363, 1366, 1368 c.c., nonchè valutandosi erroneamente l ‘ attività del consulente come obbligazione di risultato e non di mezzi ‘ , sostenendo che, in tema di interpretazione del contratto, ‘ il rilievo da assegnare alla formulazione letterale va invero verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, dovendo le singole clausole essere considerate in correlazione tra loro …… e dovendo il giudice collegare
e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato ‘ (Cass. 23701/2016; Cass. n. 7927/2017, in motiv.).
8.1. Sul terzo motivo. Il motivo in esame va soggetto alle medesime considerazioni svolte con riferimento al secondo motivo.
Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 91, 92 e 96 c.p.c., 112 c.p.c. e 132 c.p.c., in relazione all ‘ art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. ‘ , lamentando , da un lato, l’eccessività della liquidazione delle spese di lite e, dall’altro, la violazione dell’art. 96 cit., per avere la Corte d’appello, confermando la pronuncia del Tribunale, ribadito l’errore in ordine alla liquidazione delle spese di lite, non avendo considerato che il rigetto della domanda di condanna per lite temeraria avrebbe dovuto essere considerato come motivo di parziale reciproca soccombenza.
9.1. La Corte ritiene che la censura sia in parte inammissibile e in parte priva di fondamento. Inammissibile è la prima parte, relativa alla presunta eccessività della condanna, attesa la totale genericità della stessa. Infondata è, invece, in base a pacifica giurisprudenza, la seconda parte, posto che questa Corte ha in più occasioni affermato che il rigetto, in sede di gravame, della domanda, meramente accessoria, ex art. 96 c.p.c., a fronte dell’integrale accoglimento di quella di merito proposta dalla stessa parte, in riforma della sentenza di primo grado, non configura un’ipotesi di parziale e reci proca soccombenza, né in primo grado né in appello, sicché non può giustificare la compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art. 92 c.p.c. (ordinanze 12 aprile 2017, n. 9532, e 6 giugno 2022, n. 18036). rettamente respinto tale accoglimento della domanda di opposizione a
Ne consegue che la Corte d’appello ha cor motivo, in ragione dell ‘ decreto ingiuntivo spiegata dalla società appellata.
Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale esito segue la condanna della società ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 10 marzo 2014, n. 55.
Sussistono inoltre le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 6.000,00, oltre agli esborsi, liquidati in euro 200,00, oltre al rimborso spese generali 15 per cento e accessori di legge, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione