Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1578 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1578 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
R.G.N. 12937/19
C.C. 13/12/2023
Vendita -Nullità -Omessa menzione dei titoli concessori edilizi in sanatoria sul ricorso (iscritto al N.NUMERO_DOCUMENTO.NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da:
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende, unitamente all’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), in proprio e quale tutore ed esercente in via esclusiva la responsabilità genitoriale di COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), e COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliate in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che le rappresenta e difende, unitamente all’AVV_NOTAIO, giusta procura a margine del controricorso;
-controricorrenti –
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso incidentale, dall’AVV_NOTAIO, nel cui studio in INDIRIZZO INDIRIZZO, ha eletto domicilio;
-ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Trento n. 67/2019, pubblicata il 5 marzo 2019, notificata il 13 marzo 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13 dicembre 2023 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 23 settembre 2015, COGNOME NOME, in proprio e in qualità di tutrice ed esercente la responsabilità genitoriale di COGNOME NOME, e COGNOME NOME convenivano, davanti al Tribunale di Trento, COGNOME e COGNOME NOME, al fine di sentire: a ) dichiarare la nullità del contratto di vendita immobiliare concluso dal loro dante causa COGNOME NOME, in qualità di acquirente, e COGNOME NOME e COGNOME NOME, in qualità di alienanti, ai sensi dell’art. 40 della legge n. 47/1985, per non aver dichiarato, al momento della redazione dell’atto, tutti gli atti concessori relativi all’edificio, avendo omesso di indicare le concessioni in sanatoria; b ) pronunciare, in subordine, l’annullamento dell’atto per errore su
qualità essenziali della cosa venduta, determinato da dolo dei venditori; c ) pronunciare, in via ulteriormente subordinata, la risoluzione della vendita per inadempimento imputabile agli alienanti, per consegna di aliud pro alio ; d ) condannare, in ogni caso, i venditori convenuti al risarcimento dei danni, ivi compreso il rimborso delle spese sostenute per il contratto e il danno da dolo incidens .
Si costituivano in giudizio COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali contestavano la fondatezza, in fatto e in diritto, delle domande avversarie, assumendo che prima della vendita non avevano mai prospettato all’acquirente che l’ultimo piano dell’edificio fosse abitabile e che l’immobile era stato venduto nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava.
Nel corso del giudizio era assunta la prova testimoniale ammessa.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 901/2017, depositata il 15 settembre 2017, accertava la nullità del contratto di compravendita del 14 ottobre 2009 per mancata menzione nell’atto del condono edilizio n. 005/2004 del 30 gennaio 2006 e della concessione in sanatoria n. 2008/009 del 5 dicembre 2008, relativi ai quattro abbaini e alla sopraelevazione dell’edificio, e condannava gli eredi dell’acquirente a restituire il bene alienato ai venditori e questi ultimi a restituire una somma pari al prezzo pagato di euro 660.000,00, oltre ad euro 27.463,20, a titolo di risarcimento del danno.
2. -Con atti di citazione del 27 febbraio 2018 e del 12 marzo 2018, proponevano separatamente appello avverso la sentenza di primo grado COGNOME NOME e COGNOME COGNOME, i quali
lamentavano: 1) che le irregolarità edilizie potevano assumere rilevanza, ai fini dell’eventuale nullità, solo se avessero esorbitato dalla parziale difformità, ossia in presenza di un abuso edilizio non marginale; 2) che, viceversa, le difformità solo parziali delle opere dalla concessione edilizia non ostavano alla cessione del bene, purché non avessero prodotto un organismo integralmente diverso e autonomamente utilizzabile; 3) che non era stata valutata l’allegazione, di cui alla comparsa di risposta nel giudizio di primo grado, della domanda di definizione dell’illecito edilizio relativo alla realizzazione dei quattro abbaini, al fine di ottenere il condono edilizio; 4) che era stata erroneamente valutata la natura ed efficacia confermativa, ai sensi degli artt. 17 e 40 della legge n. 47/1985, della comunicazione del deposito degli atti relativi alla sanatoria e al condono, non indicati nell’atto di vendita.
Si costituivano nei giudizi d’impugnazione COGNOME NOME, in proprio e in qualità di legale rappresentante di COGNOME NOME, e COGNOME NOME, le quali chiedevano il rigetto degli appelli, eccependo che la conferma delle dichiarazioni e della documentazione mancante poteva avvenire con successivo atto redatto nella stessa forma del precedente, con la conseguente esclusione di equipollenti. In via subordinata, nel caso di accoglimento anche parziale degli appelli spiegati, riproponevano le domande formulate in prime cure e non esaminate, in quanto ritenute assorbite.
Previa riunione dei giudizi, decidendo sui gravami interposti, la Corte d’appello di Trento, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava gli appelli spiegati e, per l’effetto, confermava integralmente la sentenza impugnata.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che nell’atto di vendita erano indicate le due concessioni edilizie originarie, rispettivamente del 7 novembre 1973 e del 2 settembre 1974, ed era precisato che successivamente non erano state realizzate opere comportanti la necessità di autorizzazioni o concessioni dell’autorità comunale; b ) che, per contro, siffatta ultima dichiarazione non corrispondeva al vero, posto che vi erano due successivi atti autorizzatori per il condono di quattro abbaini e per la sanatoria della sopraelevazione dell’edificio; c ) che la nullità del contratto era stata dichiarata proprio facendo applicazione dell’art. 40, secondo comma, della legge n. 47/1985, a mente del quale gli atti traslativi dei diritti reali erano nulli e non potevano essere rogati, se da essi non fossero risultati, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ovvero se non fossero state allegate la copia della relativa domanda, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione, ovvero la copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, e non fossero stati indicati gli estremi dell’avvenuto versamento delle prime due rate, anche attraverso conferma di una sola parte mediante atto successivo redatto nella stessa forma del precedente, contenente la menzione omessa o alla quale fossero state allegate la dichiarazione sostitutiva di atto notorio e la copia della domanda; d ) che, pertanto, la nullità formale era stata dichiarata sulla base della mancanza di qualsiasi riferimento nel contratto al condono degli abbaini e alla sanatoria della sopraelevazione dell’edificio; e ) che la produzione in giudizio degli
atti concessori non menzionati nel contratto di vendita non equivaleva alla conferma secondo le modalità previste dalla norma evocata, in quanto la possibilità di conferma del contratto nullo, perché carente sul piano formale, esigeva la sottoscrizione, anche da una sola parte, di un altro atto redatto nella stessa forma del precedente, cosa che non era avvenuta nel caso in esame; f ) che, inoltre, la nullità del contratto di vendita immobiliare doveva essere dichiarata anche sotto un diverso profilo, come lo stesso giudice di prime cure aveva ritenuto, in ragione dell’irregolarità edilizia consistente nella destinazione ad uso abitativo del piano sottotetto, in difformità da quanto assentito con gli atti concessori, dai quali risultava una destinazione a soffitta e ripostiglio, senza che avesse rilievo la consistenza di tale difformità della destinazione d’uso, che peraltro integrava un abuso non lieve.
-Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, COGNOME NOME.
Hanno resistito con controricorso COGNOME NOME, in proprio e nella richiamata qualità di tutrice ed esercente in via esclusiva la responsabilità genitoriale di COGNOME NOME, e COGNOME NOME.
Ha altresì proposto ricorso incidentale, articolato in due motivi, COGNOME COGNOME.
4. -Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 17 della legge n. 47/1985 (ora
abrogato dall’art. 136 del d.P.R. n. 380/2001 e sostituito dall’art. 46 dello stesso d.P.R.), per avere la Corte di merito dichiarato la nullità dell’atto di vendita del 14 ottobre 2009, benché al suo interno fossero stati regolarmente indicati i titoli edilizi e benché i condoni edilizi, ancorché non citati nell’atto, fossero stati regolarmente ottenuti e oggetto di adempimento a cura dei venditori, con successiva produzione in allegato mediante la comparsa di costituzione e risposta nel giudizio di primo grado.
Sicché, ad avviso dell’istante, l’esatta ed esaustiva indicazione del titolo edilizio contenuta nell’atto di compravendita avrebbe posto l’acquirente nelle condizioni di poter verificare la regolarità urbanistica del bene e quindi la convenienza o meno dell’affare, in relazione all’utilizzo che aveva in animo di effettuare dell’immobile, senza che la mancata menzione dei condoni nell’atto incidesse sulla sua validità, in quanto del tutto estranei al contratto e al trasferimento della proprietà e, peraltro, regolarmente perfezionati anni prima.
2. -Con il primo motivo il ricorrente incidentale si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte territoriale, in una logica prettamente formale, ritenuto che il rimedio alla mancata indicazione nell’atto di vendita degli estremi delle concessioni in sanatoria potesse esplicarsi esclusivamente tramite una dichiarazione successiva, rilasciata anche da una sola delle parti della compravendita, contenente la menzione omessa, con un requisito di forma omologo a quello dell’atto precedente, senza considerare che la medesima dichiarazione era stata presentata dai venditori, sia
nella comparsa di risposta, sia nella memoria di replica conclusiva: atto, quest’ultimo, sottoscritto dagli stessi convenuti, con firme autografe del loro difensore, sicché la produzione in giudizio degli atti concessori non menzionati nel contratto di vendita avrebbe comunque consentito di raggiungere l’effetto.
Sul punto, il ricorrente incidentale osserva che sarebbe difettata qualsiasi motivazione sulla carenza di equipollenza delle forme utilizzabili per la dichiarazione di conformità, ai fini della discriminazione tra una dichiarazione formale sottoscritta da una sola delle parti partecipanti all’atto originario, con firma autografata del proprio difensore in giudizio, e la medesima dichiarazione esposta in una scrittura privata con firma autenticata, attesa l’identità di contenuto dei due atti (atto processuale e atto ricevuto da un pubblico ufficiale).
Assume, inoltre, l’istante che l’art. 40 della legge n. 47/1985 non avrebbe posto alcuna limitazione temporale per la redazione e presentazione della dichiarazione suddetta, con l’effetto che essa avrebbe potuto prodursi anche nel giudizio di legittimità, così come in effetti si produceva (in copia autentica, già notificata agli eredi dell’acquirente) ‘Dichiarazione di conferma e integrazione’ dell’atto ricevuto il 14 ottobre 2009, rep. n. 47.018, racc. n. 3.932, del 22 maggio 2019, rep. n. 330.086, racc. n. 18.927, con firme autenticate di COGNOME NOME e COGNOME NOME.
3. -Con il secondo motivo il ricorrente incidentale contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., per avere la Corte distrettuale sostenuto che il contratto di vendita
immobiliare concluso tra le parti fosse nullo anche per la presenza di un’irregolarità edilizia, consistente nella destinazione ad uso abitativo del piano sottotetto, in difformità da quanto assentito con gli atti concessori, dai quali risultava una destinazione a soffitta e ripostiglio.
Tale motivazione sarebbe stata totalmente in contrasto con le risultanze processuali assunte in primo grado, ove nessun elemento portato da parte attrice sarebbe emerso sulla abusiva predisposizione per l’uso abitativo di tale sottotetto da parte dei venditori, tanto più che le fotografie prodotte dalla stessa parte attrice avrebbero evidenziato l’utilizzo del sottotetto, da parte degli eredi dell’acquirente, per la loro attività di RAGIONE_SOCIALE, né alcuna deposizione testimoniale avrebbe sostenuto tale abusiva destinazione.
Con l’effetto che il giudice di merito sarebbe venuto meno all’obbligo di specificare in modo comprensibile da quali evidenze processuali avesse tratto questa sua convinzione.
4. -In primis , deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso incidentale proposto da COGNOME COGNOME.
Detto ricorso sviluppa ulteriori motivi di ricorso, oltre a quello articolato nel ricorso principale, e aderisce alla richiesta di accoglimento in una dimensione più estensiva, investendo altre parti della pronuncia impugnata in via principale.
Segnatamente, con l’impugnazione principale, è stata aggredita la parte della sentenza impugnata nella quale si è ritenuto che integrasse una nullità ‘testuale’ anche la mancata menzione nell’atto di vendita degli estremi del condono edilizio relativo alla realizzazione di quattro abbaini e della concessione in
sanatoria inerente alla sopraelevazione dell’edificio, intervenuti prima della stipulazione dell’atto, a fronte della menzione nell’atto medesimo delle concessioni edilizie originarie. Invece, con l’impugnazione incidentale, sono state attaccate le ulteriori parti della pronuncia d’appello nelle quali – per un verso – si è escluso che la dichiarazione di conformità potesse essere identificata con la presentazione in giudizio, mediante la comparsa di costituzione e risposta e la successiva memoria di replica conclusiva, del condono edilizio e della concessione in sanatoria, per difetto di equipollenza delle forme, e – per altro verso – si è ritenuto che costituisse ulteriore ragione di nullità la denunciata irregolarità edilizia, consistente nella destinazione ad uso abitativo del piano sottotetto, in difformità da quanto assentito con gli atti concessori, dai quali risultava una destinazione a soffitta e ripostiglio.
Ed infatti le posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti, principale e incidentale, sono omologhe, quali co-alienanti dell’immobile di cui la controparte ha reclamato e ottenuto la declaratoria di nullità.
Ora, il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso.
Tuttavia, quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte,
indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale.
Nel caso di specie si tratta di ricorso incidentale adesivo al ricorso principale, pur contenendo censure aggiuntive rispetto a quest’ultimo e investendo parti precettive distinte.
Senonché l’interesse alla proposizione di siffatto ricorso incidentale si è originato sin dalla pronuncia impugnata (e non già dalla notifica del ricorso, come avviene per l’impugnazione incidentale in senso stretto) e, per l’effetto, avrebbe dovuto essere proposto entro il termine breve di 60 giorni, decorrenti dalla notifica di tale pronuncia, avvenuta via PEC, del 13 marzo 2019 (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 19357 del 07/07/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 41254 del 22/12/2021; Sez. U, Sentenza n. 23903 del 29/10/2020; Sez. 3, Ordinanza n. 17614 del 24/08/2020; Sez. 5, Sentenza n. 20040 del 07/10/2015; Sez. 3, Sentenza n. 1120 del 21/01/2014).
Per contro, il ricorso incidentale è stato notificato via PEC ai difensori del ricorrente principale e dei controricorrenti solo il 25 maggio 2019 e, dunque, tardivamente.
Tale conclusione non impinge con i termini della rimessione alle Sezioni Unite (di cui a Cass. Sez. 1, Ordinanza interlocutoria n. 20588 del 17/07/2023), atteso che nella fattispecie non si tratta di impugnazione adesiva rivolta contro la parte investita da ll’impugnazione principale, rispetto al la quale si ponga un problema teorico di insorgenza dell’interesse in conseguenza della proposizione dell’impugnazione principale (la quale, se accolta, comporterebbe una modifica dell’assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate dal co-alienante), bensì di un
ricorso incidentale in estensione, con il quale sono stati addotti autonomi motivi -ulteriori rispetto al motivo contemplato nel ricorso principale -, che investono altre parti della pronuncia impugnata in via principale, il cui interesse, per definizione, sussisteva sin dalla notifica della pronuncia impugnata.
-All’esito, anche il ricorso principale, articolato in un unico motivo, è inammissibile.
E tanto perché la pronuncia impugnata ha confermato la declaratoria di nullità della vendita immobiliare del 14 ottobre 2009 -in adesione alle conclusioni cui già era pervenuta la sentenza di primo grado -per due ragioni concorrenti e paritarie, ognuna delle quali sarebbe stata da sola sufficiente a determinare siffatta declaratoria: 1) per un verso, alla stregua della nullità ‘formale’ o ‘testuale’, per la mancata menzione nel corpo dell’atto di vendita dei due successivi atti autorizzatori per il condono di quattro abbaini e per la sanatoria della sopraelevazione dell’edificio (e segnatamente del condono edilizio n. 005/2004 del 30 gennaio 2006 e della concessione in sanatoria n. 2008/009 del 5 dicembre 2008); 2) per altro verso, in virtù della nullità ‘sostanziale’ o ‘virtuale’, per l’irregolarità edilizia consistente nella destinazione ad uso abitativo del piano sottotetto, in difformità da quanto assentito con gli atti concessori, dai quali risultava una destinazione a soffitta e ripostiglio, senza che avesse rilievo la consistenza di tale difformità della destinazione d’uso, che peraltro integrava un abuso non lieve.
Ebbene, il ricorrente principale ha contestato solo la prima ragione di nullità considerata.
Ora, in tema di impugnazioni, qualora la sentenza del giudice di merito si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una soltanto di tali ragioni determina l’inammissibilità, per difetto di interesse (ovvero per la formazione del giudicato sulla ratio decidendi non censurata: Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13880 del 06/07/2020), anche dell’impugnazione proposta avverso le altre, in quanto l’eventuale accoglimento del ricorso non inciderebbe sulla ratio decidendi non censurata, con la conseguenza che la sentenza impugnata resterebbe, pur sempre, fondata, del tutto legittimamente, su di essa (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 16314 del 18/06/2019; Sez. 1, Sentenza n. 18641 del 27/07/2017; Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013; Sez. 6-L, Ordinanza n. 22753 del 03/11/2011; Sez. 3, Sentenza n. 13070 del 05/06/2007; Sez. 1, Sentenza n. 9057 del 28/08/1999).
6. -In conseguenza delle argomentazioni esposte, il ricorso principale e il ricorso incidentale devono essere dichiarati inammissibili.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara l’inammissibilità del ricorso principale e del ricorso incidentale e condanna i ricorrenti, in solido, alla refusione, in favore dei controricorrenti, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 8.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda