Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10360 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10360 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/04/2025
Composta dagli Ill.mi Sig.ri Magistrati:
Oggetto
Dott. NOME COGNOME
Presidente –
SUCCESSIONI
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Rel. Consigliere –
Ad. 10/04/2025 –
CC
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
R.G.N. 34434/2018
Dott. NOME
Consigliere –
Rep.
ORDINANZA
sul ricorso 34434-2018 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che, unitamente all’avvocato NOME COGNOME la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME
NOME COGNOME rappresentato e difeso giusta procura in calce al controricorso dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1106/2017 del TRIBUNALE di IVREA, depositata il 21/12/2017 e avverso l’ordinanza n. 596/2018 della Corte d’Appello di Torino ;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME Lette le memorie delle parti;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
NOME COGNOME conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Ivrea, il fratello NOME COGNOME chiedendo la divisione dei beni ricadenti nella comunione ereditaria costituitasi con l’apertura della successione della madre, NOME COGNOME previa collazione e riduzione di quanto aveva formato oggetto di donazione indiretta da parte della predetta NOME COGNOME a favore del figlio NOME COGNOME nonché la condanna del medesimo a corrisponderle la somma di euro 104.150,00 risultante dalla vendita dei beni ereditari.
Si costituiva in giudizio il convenuto che, nel chiedere il rigetto delle domande attoree, eccepiva che nessuna donazione indiretta era stata effettuata in suo favore e che alla morte della propria madre non residuava, in capo alla stessa, la titolarità di alcun bene immobile, per essere stati gli stessi alienati con precedenti atti notarili, dovendo, pertanto, ritenersi precedentemente definite tutte le relative questioni successorie.
Con domanda riconvenzionale chiedeva, inoltre, la condanna della sorella al pagamento del 50% delle spese funerarie, per totali euro 2.518 40 oltre interessi dalla data della fattura sino al saldo.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 1106 del 21 dicembre 2017, nel respingere le pretese dell’attrice in punto di divisione ereditaria, accertava l’inesistenza di beni immobili rientranti nella successione ereditaria, essendo la proprietà degli stessi interamente del convenuto già al momento della morte della madre e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannava NOME COGNOME al pagamento della metà delle spese funerarie, nonché delle spese di lite.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME proponeva appello innanzi alla Corte d’Appello di Torino al fine di ottenere la riforma della sentenza di prime cure, chiedendo l’accertamento del carattere abusivo degli immobili oggetto di cessione ereditaria, previa dichiarazione di nullità dei relativi atti di trasferimento – atto notarile Rep. n. 35864, Racc. n. 9730 in data 27 aprile 1999 a rogito Notaio NOME COGNOME e dell’atto notarile Rep. n. 151675, Racc. n. 24440 in data 18 dicembre 2009 a rogito Notaio NOME COGNOME con conseguente ricomprensione dei detti beni nella divisione ereditaria.
Con particolare riferimento ad una porzione di immobile adibita ad autorimessa, l’appellante sosteneva non solo che la sua edificazione fosse stata effettuata in data anteriore all’atto notarile del 2009 -producendo con atto di citazione in appello documentazione fotografica attestante la sua presenza già nell’anno 2007 ma anche che la stessa non era stata oggetto di
cessione dalla COGNOME in favore del figlio NOME COGNOME in quanto non menzionata nel relativo atto di compravendita, rientrando di conseguenza nella comunione ereditaria.
Inoltre, NOME COGNOME lamentava il rigetto della richiesta di corresponsione di una somma di denaro per aver il fratello illegittimamente costituito una servitù di passaggio su uno dei terreni, non di sua proprietà esclusiva, di cui ai suddetti atti notarili.
Si costituiva in giudizio l’appellato che, nel chiedere il rigetto dell’impugnazione, rilevava l’inammissibilità dell’atto di appello in quanto contenente domande nuove e diverse rispetto alle domande ed istanze di primo grado.
La Corte territoriale, con ordinanza n. 596/2018, dichiarava l’inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c., ritenendo che lo stesso non avesse una ragionevole probabilità di essere accolto. Preliminarmente, la Corte rilevava l’estraneità alla materia del contendere sottoposta al vaglio del primo giudice della questione di nullità degli atti di trasferimento immobiliare per mancanza di conformità urbanistica degli immobili alienati in quanto formulata dall’appellante per la prima volta in secondo grado. Nel condividere le conclusioni e le motivazioni del Tribunale, dichiarava inoltre che la proprietà dei terreni oggetto di atti di trasferimento si era interamente consolidata in capo all’appellato NOME COGNOMEprima del decesso della madre dante causa).
Per la cassazione della sentenza n. 1106/2017 del Tribunale e dell’ordinanza n. 596/2018 della Corte d’Appello , NOME COGNOME
ha proposto ricorso per cassazione ex art. 348-ter, co.3, c.p.c., sulla base di due motivi.
NOME COGNOME resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 18, co. 2, e 40, co. 2, l. n. 47/1985, nonché dell’art. 1421 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, nn. 3 e 4, c.p.c., per aver la Corte d’Appello erroneamente ritenuto non esaminabile e non rilevabile in grado di appello, in quanto non sottoposta al vaglio del giudice di prime cure, la questione della nullità degli atti di trasferimento immobiliare per mancanza di conformità urbanistica degli immobili alienati. In particolare, in virtù del carattere assoluto della nullità e della sua rilevabilità d’ufficio in qualsiasi grado, la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la nullità degli atti di trasferimento rogati in violazione della normativa urbanistica.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., consistente nella questione di nullità degli atti di trasferimento immobiliare. La ricorrente, oltre a censurare nuovamente il mancato esame della questione di nullità degli atti di trasferimento immobiliare, lamenta la declaratoria di inammissibilità dell’appello, chiedendo il riesame dei motivi proposti in secondo grado avverso la sentenza del Tribunale di Ivrea.
I motivi da esaminare congiuntamente per la loro connessione, vanno ritenuti inammissibili quanto alla impugnazione della
ordinanza della Corte d’Appello, e ciò alla luce di quanto affermato da Cass. S.U. n. 1914/2016 che ha limitato la ricorribilità della detta ordinanza di inammissibilità solo nell’ipotesi in cui sia affetta da vizi suoi propri e non anche nel caso in cui invece alla medesima si contesti una non corretta valutazione del merito, ancorché in chiave prognostica circa la fondatezza del gravame.
I motivi, sia pur riferiti anche alla sentenza di primo grado sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
4.1 Il primo motivo è infondato.
Ancorché non possa accedersi alla conclusione della Corte d’Appello, secondo cui la questione di nullità degli atti con i quali è stata acquistata dal controricorrente la piena proprietà dei beni originariamente in comunione, sarebbe estranea all’originaria materia del contendere, il che ne precludeva la possibilità di esame (trattandosi di assunto che contrasta i principi in tema di rilevabilità anche d’ufficio, ed in tutto il corso del giudizio, della nullità negoziale. Cfr. Cass. S.U. n. 26242/2014 -una volta che si intenda contestare il riconoscimento dell’efficacia traslativa di quegli stessi atti che il convenuto ha individuato come idonei ad impedire il permanere della comunione), deve tuttavia escludersi la fondatezza della tesi circa la nullità degli atti.
Si tratta in particolare dell’atto del 27 aprile 1999, con il quale la ricorrente ha alienato al germano le sue ragioni di comproprietà sui mappali nn. 148 e 237 e con il quale la madre ha alienato al figlio i suoi diritti sulle unità immobiliari di cui al mappale n. 148, e dell’atto del 14 gennaio 2010 con il quale sempre la madre
aveva alienato al figlio la nuda proprietà di quanto dalla medesima ancora vantato sui beni di cui al mappale n. 237.
La tesi della ricorrente è che entrambi tali atti sarebbero affetti da nullità in quanto relativi ad immobili abusivi, ed in particolare perché vi sarebbe stata l’alienazione con l’atto del 2009 anche di un locale adibito ad autorimessa, oggetto di edificazione negli anni 2005-2006, in difformità dal permesso di costruire; inoltre vi sarebbe stata l’adozione di un’ordinanza di demolizione del Comune emessa in data 3 febbraio 2015, in relazione al fabbricato edificato sempre sulla particella n. 237.
La tesi di parte ricorrente, che lega la nullità al rilievo per cui vi sarebbe stata un’attività edificatoria abusiva, nemmeno specificamente individuata, contrasta però con le conclusioni cui è pervenuta la più recente giurisprudenza di legittimità in materia di nullità urbanistiche ai sensi dell’art. 40 della legge n. 47/1985.
In particolare, Cass. S.U. n. 8230/2019 ha chiarito che la nullità comminata dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della l. n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile. Pertanto, in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a
prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato (conf. Cass. n. 538/2020).
Nella fattispecie risultano prodotti gli atti di cui si predica la nullità che contengono le prescritte menzioni urbanistiche, il che esclude che possa sostenersene la nullità, soprattutto laddove il carattere abusivo sia individuato non già nella totale carenza del provvedimento autorizzatorio, ma piuttosto nella difformità tra quanto realizzato e quanto assentito in via provvedimentale.
La tesi di parte ricorrente appare quindi ancora legata ad una nozione di nullità di carattere sostanziale e non formale, come invece affermato dalle Sezioni Unite, il che ne denota l’evidente infondatezza.
Ancora deve sottolinearsi che, essendo la relativa questione rimasta estranea al novero di quelle trattate nella sentenza impugnata, parte ricorrente pretende di ricavare la prova del carattere (parzialmente) abusivo dei manufatti insistenti sulle particelle oggetto di causa, sulla scorta di documenti (ordinanza di demolizione e voli aerei) prodotti per la prima volta in appello, ma in maniera evidentemente tardiva, attesa l’applicabilità alla fattispecie della novellata previsione di cui all’art. 345 c.p.c. e l’assenza di allegazione di elementi che in base alla norma novellata permetterebbero la produzione per la prima volta in appello di prove documentali.
Occorre, poi, aggiungere che, quanto all’edificazione dell’autorimessa, la sentenza del tribunale, alla pag. 9, al punto 10), chiaramente riferisce di un’attività costruttiva successiva alla data dell’atto del 2009, con un accertamento in fatto che, anche
in ragione dell’inutilizzabilità dei documenti versati per la prima volta in appello, non appare adeguatamente contestato dalla difesa della ricorrente.
Ne consegue che, ove anche si tratti di edificio del tutto abusivo, essendo la sua realizzazione successiva alla data in cui è intervenuto l’acquisto da parte del controricorrente, la ipotizzata qualità abusiva non può ripercuotersi sulla validità dell’atto con il quale in precedenza era stata trasferita la titolarità dell’area di sedime.
Infine, e relativamente all’atto del 18 dicembre 2009, con il quale la madre ha alienato al figlio NOME i diritti di nuda proprietà ancora vantati sul mappale 237, occorre evidenziare che le parti con verbale di transazione del 28 maggio 2012 hanno inteso definire ogni potenziale controversia derivante dal compimento di questo atto, atteso che, a fronte del versamento da parte di COGNOME NOME a favore della sorella della somma di € 30.000,00, le parti dichiaravano di non avere più nulla di che reciprocamente pretendere tra loro per ogni e qualsiasi ragione, titolo o azione in ordine alla cessione immobiliare sovra citata.
Sebbene la finalità della transazione fosse quella nell’immediato di tacitare le pretese della sorella, che assumeva il carattere liberale di tale cessione (suscettibile quindi di determinare la collazione della donazione stessa), la formula ampia ed onnicomprensiva utilizzata nell’atto di transazione si presta a ricomprendere anche la potenziale pretesa dell’attrice a far dichiarare l’atto nullo per le ragioni indicate nel motivo, con l’ulteriore pretesa a far rientrare, per effetto della nullità, quanto
alienato in quella occasione, ancora tra i beni caduti nella successione materna.
Tuttavia, tale richiesta non può avere seguito, atteso che, ove anche si opinasse per la nullità dell’atto del 2009 per la natura abusiva dei beni alienati, secondo quanto precisato dalle sezioni unite si tratterebbe di una nullità testuale, e quindi non riconducibile ad un’ipotesi di illiceità, così che trova applicazione il dettato del secondo comma dell’art. 1972 c.c. che, anche in ipotesi di transazione su titolo nullo, prevede la sola annullabilità della transazione, che nella specie non appare dedotta né in via di azione né sotto forma di eccezione.
Il motivo va perciò rigettato.
4.2 Il secondo motivo è inammissibile.
Una volta disattese le censure di cui al primo motivo, quanto al dedotto carattere abusivo degli immobili oggetto degli atti traslativi in favore del controricorrente, risulta evidentemente inammissibile ex art. 348 ter, co. 4, c.p.c. la deduzione del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., con il quale si intende nuovamente sollecitare la Corte alla rivalutazione della portata effettuale dei singoli atti di alienazione, oggetto invece di puntuale ricostruzione in fatto sia da parte del Tribunale, che della Corte d’Appello, che nell’ordinanza con la quale ha dichiarato l’inammissibilità del gravame, ha puntualmente richiamato i contenuto dei vari atti succedutisi nel tempo, correlando il loro richiamo anche alla descrizione grafica dei luoghi, onde evidenziare la successiva evoluzione sul piano catastale, scaturente dagli atti compiuti.
È altresì inammissibile, in quanto, senza tenere conto del fatto che, per effetto dell’emissione dell’ordinanza di cui all’art. 348 bis c.p.c., si impone il ricorso per saltum avverso la sentenza di primo grado, si limita a reiterare la formulazione dei motivi di appello a suo tempo proposti, ma senza invece formulare delle specifiche censure nei confronti della pronuncia di primo grado, formulate in relazione ai vizi tassativi individuati dall’art. 360, co. 1, c.p.c.
Il ricorso è rigettato con inevitabile aggravio di spese a carico della parte soccombente, che si liquidano come da dispositivo.
Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi € 5.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo
a titolo di contributo unificato per l’appello a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda