Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 417 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 417 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6906 R.G. anno 2022 proposto da:
Intesa Sanpaolo s.p.a. , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
contro
ricorrente
avverso la sentenza n. 3113/2021 della Corte di appello di Venezia, pubblicata il 23 dicembre 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 novembre 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
─ RAGIONE_SOCIALE ha convenuto in giudizio avanti al Tribunale di Padova Cassa di Risparmio del Veneto s.p.a. – ora Intesa Sanpaolo s.p.a. per sentire accertare la nullità di un contratto di interest rate swap concluso con la stessa e sentire pronunciata condanna al pagamento, in proprio favore, della somma di euro 415.266,23, pari ai flussi differenziali indebitamente corrisposti; in subordine la società attrice ha domandato accertarsi la risoluzione del contratto per inadempimento, con condanna della banca al risarcimento del danno corrispondente ai predetti flussi differenziali.
La banca si è costituita e ha chiesto il rigetto delle predette domande.
Il Tribunale di Padova, con sentenza del 7 maggio 2018, ha dichiarato la risoluzione del contratto per violazione degli obblighi informativi e condannato Cassa di Risparmio del Veneto al pagamento della somma di euro 598.604,64 oltre interessi.
2 . ─ In sede di gravame la Corte di appello di Venezia ha ritenuto che la mancata indicazione nel contratto del Mark to Market , degli scenari probabilistici e dei costi effettivi dell’operazione implicasse la nullità del contratto; ha quindi riconosciuto la fondatezza della domanda svolta in via principale dalla società investitrice: domanda che era stata riproposta in appello. La detta Corte ha conseguentemente respinto l’impugnazione, se pure fondando la pronuncia di condanna al pagamento su di una motivazione diversa rispetto a quella adottata dal Tribunale: una motivazione appunto incentrata su ll’incidenza delle richiamate carenze informative sulla validità del derivato.
La sentenza della Corte di Venezia, pubblicata il 23 dicembre 2021, è stata impugnata per cassazione da Intesa Sanpaolo con un ricorso basato su due motivi. Allo stesso resiste, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE Sono state depositate memorie. Il Pubblico Ministero ha concluso per l’inammissibilità del primo motivo e per il riget to del secondo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Col primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 132, 161 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 21 t.u.f. (d.lgs. n. 58/1998) e 111 Cost., oltre che l’o messo esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La ricorrente lamenta che la Corte distrettuale abbia ignorato le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio che aveva accertato l’idoneità del derivato ad assolvere le funzioni di copertura. Rileva pure che il Mark to Market non entra a far parte dell’oggetto del l’ interest rate swap e non è annoverato tra gli elementi essenziali del detto contratto, rappresentando una proiezione finanziaria basata sul valore teorico di mercato del prodotto finanziario in caso di risoluzione anticipata del contratto. Aggiunge che le affermazioni contenute nella sentenza n. 8770 del 12 maggio 2020 delle Sezioni Unite di questa Corte avrebbero «una portata circoscritta ad un problema specifico, e cioè stabilire i limiti entro cui agli enti locali è possibile stipulare derivati di copertura».
Col secondo motivo si oppone la violazione degli artt. 115, 116, 132, 161 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost. per omesso esame di elementi istruttori decisivi per il giudizio, nonché mancata ammissione delle prove dedotte in corso di causa dalla banca. La censura investe l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, per cui risultava essere «superfluo disporre l’ammissione delle prove orali richieste dall’appellante». La ricorrente rileva, in proposito, che la mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce in un vizio di motivazione della sentenza che può essere denunciato per cassazione nel caso in cui esso abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia.
I due motivi sono inammissibili.
– I l dibattito sugli swap si è addensato, nel tempo, intorno a vari temi, ma quello di maggior rilievo è probabilmente legato ai
cosiddetti costi impliciti del derivato (costi che integrano, in buona sintesi, il margine di remunerazione dell’intermediario) e alla conoscenza, da parte dell’investitore, dei predetti costi. Il presupposto è che gli swap , che hanno un contenuto non eteroregolamentato e che non sono standardizzati, siano normalmente caratterizzati da un disallineamento tra il prezzo teorico che lo strumento finanziario ha sul mercato e il prezzo di negoziazione del prodotto finanziario.
T ale disallineamento trova ragione nel fatto che l’intermediario che negozia per conto proprio è in grado di conoscere con maggior precisione le caratteristiche del prodotto (e quindi, essenzialmente, gli scenari probabilistici che sono associati ai flussi monetari che il contratto programma). Il rilievo dei costi impliciti – espressione di conio giurisprudenziale (anche se di « costi che gravano implicitamente sul cliente » parla anche la comunicazione Consob 9019104 del 2 marzo 2009, su cui infra ) -non nasce però dall’esigenza che lo swap , al momento della sua stipula, dia origine a prestazioni di contenuto equivalente, giacché, come è stato osservato in dottrina, non vi è necessità che vi sia proporzione (o addirittura piena corrispondenza) tra i flussi di pagamento: il rapporto di valore tra le prestazioni di un negozio patrimoniale oneroso è estraneo alla causa di quel negozio e la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare che nei contratti di scambio lo squilibrio economico originario delle prestazioni delle parti non può comportare la nullità del contratto per mancanza di causa, perché nel nostro ordinamento prevale il principio dell’autonomia negoziale, che opera anche con riferimento alla determinazione delle prestazioni corrispettive (Cass. 4 novembre 2015, n. 22567; in tema di vendita si reputa, così, che solo l’indicazione di un prezzo assolutamente privo di valore, meramente apparente e simbolico, possa determinare la nullità del contratto per difetto di uno dei suoi requisiti essenziali, mentre la pattuizione di un prezzo notevolmente inferiore al valore di mercato della cosa venduta, ma non
del tutto privo di valore, ponga solo un problema concernente l’adeguatezza e la corrispettività delle prestazioni ed afferisca, quindi, all’interpretazione della volontà dei contraenti e all’eventuale configurabilità di una causa diversa del contratto: Cass. 19 aprile 2013, n. 9640).
L ‘importanza dei costi impliciti nasce, piuttosto, dal fatto che l’occultamento del reale valore dello strumento finanziario è stato alternativamente considerato, nelle diverse prospettive ricostruttive che hanno trovato espressione in dottrina e in giurisprudenza, ora come un risultato non coerente con la causa del contratto, ora, come una condizione che rende indeterminabile l’oggetto di questo, ora come un inadempimento del l’intermediario agli obblighi informativi nei confronti dell’investitore : sicché la presenza dei detti costi potrebbe alternativamente rilevare sul piano genetico, determinando la nullità del contratto, oppure sulla dinamica attuativa del rapporto obbligatorio, traducendosi nella mancata osservanza, da parte dell’intermediario, dell’obbligo, posto dall’art. 23, lett. a), t.u.f., di « comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza per servire al meglio l’interesse del cliente » : con conseguente applicazione dell’apparato rimediale operante per il caso di inadempimento.
E’ da osservare, al riguardo, che la Consob, con la richiamata comunicazione n. 9019104 del 2 marzo 2009, ha preso posizione riguardo ai detti costi impliciti. Nel definire i doveri di correttezza e trasparenza in sede di distribuzione di prodotti finanziari illiquidi, ha espressamente raccomandato agli intermediari « di effettuare la scomposizione (c.d. unbundling ) delle diverse componenti che concorrono al complessivo esborso finanziario sostenuto dal cliente per l’assunzione della posizione nel prodotto illiquido, distinguendo fair value (con separata indicazione per l’eventuale componente derivativa) e costi -anche a manifestazione differita -che gravano, implicitamente o esplicitamente, sul cliente », chiarendo che a
quest’ultimo deve essere « fornita indicazione del valore di smobilizzo dell’investimento nell’istante immediatamente successivo alla transazione, ipotizzando una situazione di invarianza delle condizioni di mercato ».
4. – Una risposta, quanto al rimedio approntato dall’ordinamento a fronte del deficit informativo relativo ai costi impliciti e, più in generale, quanto ai contorni dell’alea che si correla ai flussi di pagamento propri dello swap, è stata in tempi relativamente recenti fornita, come è noto, dalle Sezioni Unite di questa Corte.
Queste hanno precisato che, in tema di interest rate swap , occorre accertare, ai fini della validità del contratto, se si sia in presenza di un accordo tra intermediario ed investitore sulla misura dell’alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi: accordo che investe il Mark to Market , ossia il costo, pari al valore effettivo del derivato ad una certa data, al quale una parte può anticipatamente chiudere tale contratto od un terzo estraneo all’operazione è disposto a subentrarvi, ma che deve estendersi agli scenari probabilistici e concernere la misura qualitativa e quantitativa della menzionata alea e dei costi, pur se impliciti, assumendo rilievo i parametri di calcolo delle obbligazioni pecuniarie nascenti dall’intesa, che sono determinati in funzione delle variazioni dei tassi di interesse nel tempo (così Cass. Sez. U. 12 maggio 2020, n. 8770). Si ricava dalla lettura del testo completo della sentenza che il richiamato principio non è affatto circoscritto all’area dei contratti derivati conclusi dagli intermediari con le pubbliche amministrazioni: in tal senso deve smentirsi l’opinione espressa, sul punto, dalla ricorrente. Sarebbe del resto priva di fondamento giustificativo, sul piano razionale, una soluzione che imponesse l’inserimento di dati informativi del rischio associato all’operazio ne finanziaria nei soli contratti negoziati con enti pubblici: come se altri investitori non qualificati non avessero la necessità di negoziare il prodotto finanziario attraverso un contratto
recante le indicazioni di cui qui si discorre.
5. – E’ solo il caso di aggiungere che, come è stato rilevato in altra occasione da questa Corte, la nullità che viene qui in discorso non è quella, virtuale (art. 1418, comma 1, c.c.), di cui si sono occupate in passato due ben note pronunce delle Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725) per escludere che essa abbia a prospettarsi in caso di inosservanza degli obblighi informativi da parte dell’intermediario ; la nullità in esame è, invece, una nullità strutturale (art. 1418, comma 2, c.c.) inerente ad elementi essenziali del contratto (Cass. 10 agosto 2022, n. 24654, in motivazione, § 5).
Per la pronuncia delle Sezioni Unite del 2020 la nullità del contratto mancante delle richiamate indicazioni è una nullità per indeterminabilità dell’oggetto . Le Sezioni Unite non escludono, tuttavia, che quella carenza ridondi anche sul piano della causa del contratto (cfr., segnatamente, oltre al § 9.3, il § 9.7 della sentenza, ove si esprime consenso nei confronti della pronuncia impugnata, la quale aveva precisato che il valore del derivato al momento della stipula costituiva elemento essenziale del contratto e integrativo della sua causa tipica: un’alea razionale e quindi misurabile, da esplicitare necessariamente ed indipendentemente dalla sua finalità di copertura -hedging -, o speculativa). E nella giurisprudenza successiva si è rilevato come, indipendentemente dalla finalità di copertura o speculativa del contratto di swap , la preventiva conoscibilità, ai fini della formazione dell’accordo in ordine alla misura dell’alea, degli elementi e dei criteri utilizzati per la determinazione del Mark to Market rilevi proprio sul piano causale (Cass. 7 novembre 2022, n. 32705).
6. Ora, secondo quanto accertato dalla Corte di appello, il contratto per cui è lite non recava menzione del Mark to Market , degli scenari probabilistici, dei costi effettivi e della natura non par del contratto (quindi, è da intendere, dei costi impliciti del derivato): di talché, in conformità del richiamato arresto delle Sezioni Unite esso è
stato ritenuto nullo.
7. – Il primo motivo è allora inammissibile ex art. 360bis , n. 1, c.p.c. nella parte in cui confuta il principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, cui il Collegio reputa debba darsi continuità.
E’ inoltre inammissibile con riguardo alla censura relativa all’omesso esame di fatto decisivo, in quanto nel vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. non è inquadrabile la censura concernente deficienze argomentative della decisione in punto di recepimento delle conclusioni della consulenza tecnica; ai fini della deduzione del motivo in questione si richiede, piuttosto, l’indicazione delle circostanze secondo le quali quel recepimento, sulla base delle modalità con cui si è svolto, si sia tradotto nell’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione fra le parti (Cass. 26 luglio 2017, n. 18391; cfr. pure: Cass. 2 marzo 2023, n. 6322; Cass. 16 marzo 2022, n. 8584; Cass. 24 giugno 2020, n. 12387). Ebbene, il motivo non reca menzione di circostanze, oggetto di accertamento da parte del c.t.u., che smentiscano la sentenza impugnata nella evidenziazione delle indicate carenze del contratto.
8. Con riguardo al secondo motivo, che verte sulla ritenuta irrilevanza della prova testimoniale, è da osservare quanto segue.
Il giudizio sulla superfluità o genericità della prova testimoniale è insindacabile in cassazione, involgendo una valutazione di fatto che può essere censurata soltanto se basata su erronei principi giuridici, ovvero su incongruenze di ordine logico (Cass. 21 novembre 2022, n. 34189; Cass. 10 settembre 2004, n. 18222; nel senso che la mancata ammissione della prova testimoniale possa essere denunciata in sede di legittimità per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini del decidere, Cass. 8 gennaio 2015, n. 66). Tale principio è coerente con l’insegnamento delle Sezioni Unite secondo cui, ove non venga in questione un atto giudiziale deviante rispetto alla regola processuale rigorosamente prescritta dal legislatore, ma una scelta del giudice intrinsecamente ed
inscindibilmente intrecciata con una valutazione complessiva dei dati già acquisiti in causa ed, in definitiva, della sostanza stessa della lite, la relativa attività processuale è suscettibile di essere portata all’attenzione della Corte di cassazione solo per eventuali vizi della m otivazione che l’ha giustificat a, senza che a detta Corte sia consentito sostituirsi al giudice di merito nel compierla (Cass. Sez. U. 22 maggio 2012, n. 8077, in motivazione).
Il vizio in questione deve ovviamente avere il crisma della decisività: il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere così denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (Cass. 1 luglio 2024, n. 18072; Cass. 17 giugno 2019, n. 16214).
Ciò posto, la ricorrente fa valere il vizio motivazionale ma non deduce che la prova testimoniale giudicata irrilevante sarebbe stata in grado di smentire l’accertamento dell a Corte di appello quanto alla mancata indicazione, nel contratto, del Mark to Market , degli scenari probabilistici e dei costi impliciti del derivato, e cioè di quella carenza descrittiva che assumeva carattere determinante ai fini della nullità del negozio: tanto determina l’inammissibilità del mezzo di censura.
9 . -Il ricorso è dichiarato inammissibile.
-Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del
giudizio di legittimità, che liquida in euro 15.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione