Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 31542 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 31542 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/12/2024
Unicredit s.p.a.
– intimato – avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 4721/2019, depositata il 27 novembre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, depositata il 27 novembre 2019, che, in accoglimento solo parziale del suo appello, ha dichiarato la nullità dell’art. 5 della fideiussione dal medesimo rilasciata in data 10 aprile 2014, confermando, nel resto, la sentenza del locale Tribunale;
Oggetto: fideiussione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23276/2020 R.G. proposto da NOME COGNOME rappresentato e difeso da ll’ avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
la Corte di appello ha riferito che l’odierno ricorrete, in sede di opposizione al decreto con cui la Unicredit s.p.a. gli aveva intimato il pagamento di euro 1.002.193,03, oltre accessori, quale fideiussore delle obbligazioni assunte dalla RAGIONE_SOCIALE, aveva eccepito il difetto di legittimazione della banca ingiungente, la nullità della fideiussione per violazione della disciplina antitrust e del principio della presupposizione e la nullità del decreto ingiuntivo per mancata indicazione del ricorso dell’importo massimo garantito;
-ha dato atto che il giudice di primo grado aveva respinto l’opposizione;
-ha, quindi, ritenuto che l’art. 5 della fideiussione , contemplante la cd. clausola di sopravvivenza, fosse nullo in quanto riproducente l’art. 6 del modello ABI del 2003, la cui illiceità era stata accertata dalla competente Autorità garante della concorrenza, mentre aveva ritenuto infondati gli altri motivi di gravame;
il ricorso è affidato a otto motivi;
la Unicredit s.p.a. non spiega alcuna difesa;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo il ricorrente denuncia l ‘ «omessa pronuncia contra 112 c.p.c., in relazione alle fideiussioni rilasciate il 30-07-2007, il 2501-2011, il 17-09-2011 il 27-09-2012 e il 20-09-2013 e alle pronunce invocato anche per esse»;
sostiene che le conclusioni dallo stesso rassegnate nel corso di entrambi i gradi del giudizio di merito erano nel senso della nullità anche di tali precedenti fideiussioni e che una declaratoria di nullità contrattuale analoga a quella pronunciata dalla Corte con riferimento all’art. 5 della fideiussione da ultimo rilasciata si imponeva anche con riferimento ad analoga clausola contenuta nelle fideiussioni rilasciate in precedenza;
il motivo è infondato;
la Corte di appello ha rilevato che l’odierno ricorrente si era costituito
fideiussore della RAGIONE_SOCIALE, «rinnovando più volte l’impegno nel corso degli anni», ossia sostituendo nel tempo, con effetto ex tunc , la precedente fideiussione con altra garanzia dal contenuto sostanzialmente analogo, e che la pretesa della banca creditrice era fatta valere azionando la garanzia da ultimo rilasciata a suo beneficio, ossia quella del 2014;
pur non pronunciandosi espressamente sulle domande di nullità formulate con riferimento alle fideiussioni precedentemente rilasciate, ha implicitamente disatteso le stesse ritenendole non più efficaci a causa della loro sostituzione con quella del 2014;
la mancanza di una espressa statuizione della Corte territoriale sul punto, infatti, non integra gli estremi del denunciato vizio di omessa pronuncia, atteso che la decisione adottata, ponendosi in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporta il rigetto (cfr. Cass. 29 gennaio 2021, n. 2151; Cass.4 giugno 2019, n. 15255; Cass. 9 maggio 2007, n. 10636);
-con il secondo motivo il ricorrente deduce l’ «omesso esame di fatti storici, decisivi, relativi all’accertamento della Banca di Italia in ordine ai modelli di fideiussione dell’ABI » , nonché l’omessa motivazione in relazione alla statuizione di inidoneità della cd. clausola di sopravvivenza della fideiussione a determinarne la nullità totale, benché frutto di una intesa anticoncorrenziale;
– il motivo è inammissibile;
con la censura in esame la parte contesta la decisione di appello nella parte in cui ha ritenuto che una siffatta clausola, benché illecita per contrasto con la disciplina antitrust, non era idonea a determinare la nullità totale della fideiussione in ragione del fatto che non alterava lo schema causale del negozio e, comunque, che non era allegata che l’escussione della garanzia da parte della banca creditrice era avvenuta dopo la scadenza dell’obbligazione principale e in violazione dei termini di cui a ll’art. 1957 cod. civ.;
non è, dunque, riscontrabile il dedotto vizio di omessa motivazione, avuto riguardo al ribadito principio secondo cui il sindacato di legittimità sulla motivazione si è ormai ridotto alla verifica del rispetto del cd. minimo costituzionale (cfr., da ultimo, Cass. 16 maggio 2024, n. 13621; Cass. 11 aprile 2024, n. 9807) e al fatto che nel caso in esame tale criterio non risulta essere stato disatteso, atteso che la riferita motivazione consente di individuare l’ iter argomentativo della decisione;
non prospettabile, poi, è il vizio motivazionale di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., stante la preclusione rappresentata dalla cd. «doppia conforme» di cui all’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ. e il mancato assolvimento da parte del ricorrente dell’o nere indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello onde dimostrare che esse sono tra loro diverse e che, dunque, non trova applicazione la regola preclusiva della censura per omesso esame di fatti decisivi e controversi (cfr. Cass. 28 febbraio 2023, n. 5947; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774);
con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione degli artt. 1339 e 1419, secondo comma, cod. civ., per aver la sentenza impugnata ritenuto che la nullità della clausola di cui all’art. 5 della fideiussione comportasse una nullità parziale e non totale dell’atto;
sostiene, sul punto, che la sanzione della nullità totale di un contratto per nullità di singole clausole è evitata solo quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative;
– il motivo è infondato;
-ai sensi dell’art. 1419 cod. civ. la nullità dell’intero contratto è esclusa non solo nella ipotesi, indicata dal ricorrente, in cui le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative (secondo comma), ma anche nella ipotesi in cui i contraenti avrebbero comunque concluso tale contratto senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla
nullità (primo comma);
con il quarto motivo il ricorrente critica la sentenza impugnata per violazione degli artt. 633, primo comma, n. 1, e 641 cod. proc. civ., nella parte in cui ha ritenuto sussistenti i presupposti per l’emissione del decreto ingiuntivo pur in assenza della relativa prova scritta, evidenziando che lo stesso era stato emesso in virtù di un documento denominato «Riepilogo delle principali operazioni societarie del Gruppo Unicredit che hanno comportato la variazione del creditore originariamente iscritto rispetto al creditore attuale»;
il motivo è inammissibile;
la doglianza investe una questione, attinente alla sussistenza dei requisiti per l’emissione del decreto ingiuntivo, che non risulta essere stata trattata dal giudice di appello;
infatti, il menzionato documento è richiamato in occasione dell ‘esame della diversa questione della titolarità del credito vantato dalla ingiungente e non già con riferimento alla questione prospettata in questa sede;
in una siffatta evenienza è onere della parte ricorrente allegare la avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, onde consentire a questa Corte di poter verificare l’ammissibilità delle censure, sotto il profilo dell’assenza di novità, oltre che la sua fondatezza, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni nuove (cfr. Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675);
infatti, non sono prospettabili, per la prima volta, in sede di legittimità le questioni non appartenenti al tema del decidere dei precedenti gradi del giudizio di merito, né rilevabili di ufficio (cfr. Cass. 25 ottobre 2017, n. 25319; Cass. 9 luglio 2013, n. 17041; Cass. 30 marzo 2007, n. 7981), posto che il giudizio di cassazione ha per oggetto solo la
revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte (così, anche, Cass. 26 marzo 2012, n. 4787);
-può aggiungersi che il motivo di ricorso non è neanche autosufficiente, non avendo il ricorrente, proprio in ragione della novità della questione, indicato dove e quando essa sia stata prospettata nel corso dei pregressi gradi di giudizio, laddove al contrario è suo onere precipuo di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (cfr. Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675);
con il quinto motivo si censura la sentenza di appello per «omesso esame di fatti storici, decisivi, relativi alla condotta esecutiva in mala
fede del creditore opposto», nonché l’omessa motivazione sul punto;
il motivo è infondato;
la Corte territoriale ha ritenuto che «tutte le considerazioni in punto di mala fede di Unicredit, fondate sulla violazione della ratio che informerebbe (secondo l’ABI) le deroghe alla disciplina legale della fideiussione, sono prove di pregio, essendo state poste nell’ottima della dichiarazione di inefficacia/nullità della fideiussione derivante dall’accertamento del mancato verificarsi della presupposizione»;
anche in questo caso non è riscontrabile il dedotto vizio di omessa motivazione, avuto riguardo al ribadito principio secondo cui il sindacato di legittimità sulla motivazione si è ormai ridotto alla verifica del rispetto del cd. minimo costituzionale (cfr., da ultimo, Cass. 16 maggio 2024, n. 13621; Cass. 11 aprile 2024, n. 9807) e al fatto che nel caso in esame tale criterio non risulta essere stato disatteso, atteso che la riferita motivazione consente di individuare l’ iter argomentativo della decisione;
del pari non prospettabile è il vizio motivazionale di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., stante la preclusione rappresentata
dalla cd. «doppia conforme» di cui all’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ. e il mancato assolvimento da parte del ricorrente dell’onere sullo stesso gravante per superare tale preclusione;
con il sesto motivo il ricorrente si duole della motivazione «perplessa o apparente» in relazione alla eccezione di nullità della clausola solve et repete;
evidenzia, in proposito, la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui, da un lato, sostiene che il negozio fideiussorio «mantiene integra la sua causa secondo lo schema codicistico» pur in presenza della clausola di sopravvivenza e, dall’altro, ritiene valida la clausola solve et repete contenuta nell’art. 6 della fideiussione;
il motivo è infondato;
infatti, la clausola solve et repete inserita nella fideiussione, prevedente l’esclusione per il garante di poter opporre al creditore principale eccezioni che attengono alla validità del contratto da cui deriva l’obbligazione principale, non altera i connotati tipici della fideiussione (cfr. Cass. 21 febbraio 2008, n. 4446), per cui non si riscontra la dedotta inconciliabilità nelle affermazioni rese dalla Corte di appello;
con settimo motivo il ricorrente lamenta l ‘ «omesso esame di fatti storici, decisivi, relativi ai rapporti sottostanti la pretesa creditoria», nonché l’omessa motivazione sul punto della nullità delle clausole del contratto di conto corrente il cui saldo era posto a fondamento della domanda da parte della banca;
il motivo è infondato;
la sentenza muove dalla validità ed efficacia della clausola solve et repete per fondare la sua conclusione in ordine alla preclusione per l’odierno ricorrente dal diritto di sollevare eccezioni relative al rapporto sottostante;
una siffatta motivazione consente di individuare l’ iter argomentativo della decisione e per tale ragione resiste alla censura articolata di
omessa motivazione;
non prospettabile è, poi, il vizio motivazionale di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., stante la preclusione rappresentata dalla cd. «doppia conforme» di cui all’art. 348 -ter, quinto comma, cod. proc. civ. e il mancato assolvimento da parte del ricorrente dell’o nere sullo stesso gravante per superare tale preclusione;
con l’ultimo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 91, primo comma, 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 118, primo comma, cod. proc. civ., per aver la sentenza impugnata posto a suo carico l’obbligo della rifusione integrale delle spese processuali sostenute dalla banca per entrambi i gradi di giudizio, pur in presenza di un parziale accoglimento dell’appello;
il motivo è infondato;
il giudice di appello, allorché, come nel caso in esame, riformi in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale (cfr. Cass. 1° giugno 2016, n. 11423; Cass. 18 marzo 2014, n. 6259; Cass. 11 giugno 2008, n. 15483);
-la Corte di appello ha proceduto a una siffatta valutazione, considerando l’odierno ricorrente sostanzialmente soccombente e «priva di qualsivoglia concreto effetto nel caso di specie» la dichiarata nullità dell’art. 5 della fideiussione rilasciata nel 2014, e, in tal modo, ha fatto corretta applicazione del richiamato principio;
non pertinente è, infatti, il precedente invocato dal ricorrente, rappresentato da Cass. 19 ottobre 2016, n. 21069, secondo cui l’attore la cui domanda sia stata parzialmente accolta non può mai essere condannato, neppure in parte, al pagamento delle spese processuali, in quanto espresso con specifico riferimento al caso in cui
l’accoglimento parziale riguardi l’unica domanda proposta;
pertanto, per le indicate considerazioni, il ricorso non può essere accolto;
nulla deve disporsi in tema di spese processuali in assenza di attività difensiva della parte vittoriosa
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Rom a, nell’adunanza camerale del 13 novembre 2024.