Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 34330 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 34330 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21714/2022 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché
RAGIONE_SOCIALE PER AZIONI
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 824/2022 depositata il 3/6/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME:
Rilevato che:
Banca Tercas S.p.A., in seguito incorporata da Banca Popolare di Bari Società Cooperativa per Azioni, conveniva davanti al Tribunale di Teramo NOME COGNOME e NOME COGNOME perché fosse dichiarato inefficace nei suoi confronti ai sensi dell’articolo 2901 c.c. un atto di compravendita del 12 febbraio 2015 con cui NOME COGNOME, figlio di NOME COGNOME, a quest’ultimo vendeva il proprio unico immobile sito in Vetralla (VT); e ciò in base a un credito attoreo che l’attrice avrebbe avuto nei confronti di NOME COGNOME, dal 26 novembre 2009 fideiussore per le obbligazioni di RAGIONE_SOCIALE, tra le quali un mutuo garantito con ipoteca stipulato il 4 febbraio 2010 fra RAGIONE_SOCIALE e l’attrice, le cui somme non erano state però restituite dalla mutuataria alla mutuante banca; questa, pertanto, con raccomandata del 24 gennaio 2014 diretta a RAGIONE_SOCIALE e ai suoi garanti, dichiarava la risoluzione del contratto di mutuo, ottenendo poi per il conseguente credito di euro 1.180.488,55 decreto ingiuntivo il 25 maggio 2016 nei confronti di debitore principale e garanti, decreto che non era stato opposto e quindi era stato dichiarato definitivamente esecutivo il 5 ottobre 2016.
La domanda pauliana veniva accolta dal Tribunale con sentenza n. 671/2018.
I due COGNOME proponevano appello, cui resistevano alla banca, intervenendo inoltre, quale cessionaria del credito, RAGIONE_SOCIALE, rappresentata da Cerved Credit Management S.p.A.
La Corte d’appello di L’Aquila rigettava il gravame con sentenza n. 824/2022.
I due COGNOME hanno presentato ricorso, articolato in quattro motivi, da cui POP NPLS, rappresentata da Cerved, si è difesa con controricorso.
Emessa PDA nel senso di inammissibilità del ricorso, i ricorrenti hanno chiesto di procedere in modalità collegiale.
La causa è stata quindi chiamata in adunanza camerale. Per questa, memoria è stata depositata dai ricorrenti, che vi hanno inserito pure istanza di rimessione in pubblica udienza.
Considerato che:
1.1 Con il primo motivo si denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 24, 111 Cost., 115, 116, 177, 187, 191, 61, 230 e 244 c.p.c. per avere il giudice d’appello ‘erroneamente confermato l’immotivata ordinanza di rigetto delle istanze istruttorie del Tribunale, dirette a dimostrare l’inesistenza di scientia fraudis del fideiussore, non ammettendo quindi prove testimoniali e ‘perizia di stima’ degli immobili di altri coobbligati per avere ritenuto ‘insufficiente il materiale probatorio offerto’ per disporre tale consulenza tecnica d’ufficio.
1.2 Si chiede – e su ciò, pertanto, si argomenta – una nuova valutazione di merito sulla necessità o meno di tali ulteriori elementi probatori la cui ammissione non è stata disposta dal giudice di merito, neppure in secondo grado accogliendo la relativa censura.
Il motivo è dunque inammissibile.
2.1 Con il secondo motivo si denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1957 c.c. e 40 T.U.B. in relazione agli articoli 1186 e 1456 c.c.
nonché agli articoli 1175, 1337, 1366 e 1375 c.c., per avere il giudice d’appello ritenuta irrilevante la non conoscenza da parte del garante della risoluzione contrattuale intimata dalla banca solo al debitore principale, ‘sull’erroneo presupposto che il fideiussore avesse uno specifico obbligo di tenersi informato sulle condizioni patrimoniali del debitore principale’.
La prova dell’avvenuta comunicazione anche ai fideiussori della risoluzione del contratto di mutuo avrebbe dovuto essere fornita dalla banca ‘attraverso la produzione dell’attestazione della ricevuta della raccomandata inviata ai fideiussori’.
Inoltre, la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che, quando fu compiuto l’atto dispositivo che suscitò l’azione pauliana – la vendita dell’immobile, avvenuta nel febbraio 2015 -, ‘le condizioni patrimoniali del debitore fossero ampiamente deteriorate’.
2.2 Quest’ultimo argomento attinente alle condizioni patrimoniali del debitore, ovvero se deteriorate o meno, è palesemente inammissibile censurando in termini di fatto, tale essendo il submotivo che viene a costituire.
Quanto alla prima parte del motivo – da definirsi, allora, primo submotivo -, si è ancora su un piano fattuale, in quanto il giudice d’appello (si veda la motivazione della sentenza, sub 5.2) afferma espressamente che nel negozio di fideiussione in esame era inclusa una specifica clausola, imponente al fideiussore l’obbligo di tenersi informato sulle condizioni patrimoniali del debitore per cui prestava fideiussione: ‘il debitore -garante’ aveva ‘in forza della prestata fideiussione (art. 8) uno specifico obbligo di tenersi informato delle condizioni patrimoniali del debitore’.
Tutto il motivo, pertanto, è inammissibile.
3.1 Con il terzo motivo si denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2, secondo comma, lettera a), 2, terzo comma, l. 287/1990 e 41 Cost. in relazione agli articoli 1957 c.c. e 40 T.U.B. per avere il giudice
d’appello, pur reputata ammissibile l’eccezione di nullità della fideiussione perché contenente le clausole nn. 2, 6 e 8 dello schema ABI – per cui, intervenuta S.U. 41994/2021, gli appellanti avevano chiesto di dichiarare la nullità parziale per le clausole nn. 2, 7 e 9 della fideiussione con esse coincidenti -, disatteso l’eccezione per le seguenti ragioni:
perché il credito della banca era stato ‘consacrato nel decreto ingiuntivo’ consolidatosi il 5 ottobre 2016;
perché solo nella comparsa conclusionale d’appello i ricorrenti avevano prospettato la nullità parziale con richiesta di ‘ripristino’ dell’applicabilità dell’articolo 1957 c.c.;
perché, essendo stata stipulata la fideiussione dopo il provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia, l’appellante non avrebbe provato che la banca aveva violato il provvedimento nel comporre il regolamento contrattuale della fideiussione;
perché, trattandosi di fideiussione specifica, rilasciata per garantire un mutuo, non sarebbe stata applicabile la regola di nullità della fideiussione omnibus .
In particolare, riguardo alla prima di queste ragioni, nel terzo motivo si rileva che, prima della sentenza qui impugnata, la pronuncia 17 maggio 2022 della Corte di Lussemburgo, C-693/19 e C-831/19, ha stabilito che le clausole abusive presenti nei contratti stipulati con i consumatori, nonostante vi sia stato decreto ingiuntivo che ha raggiunto l’autorità di giudicato il quale copra implicitamente la validità del contratto che è alla base, preservano al giudice dell’esecuzione il potere di ‘successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole’. Nel caso in esame, il fideiussore ‘ignorava la nullità’ di dette clausole, sicché potrebbe ora essere sciolto dal vincolo ‘anche se la garanzia e il decreto ingiuntivo non opposto siano anteriori al 2015, ovvero prima che la Corte di Giustizia (cui poi ha fatto eco la Cassazione) procedesse a chiarire quando il fideiussore sia qualificabile quale Consumatore’.
D’altronde l’ordinanza CGUE del 19 novembre 2015 in C -74/15 ha così interpretato gli articoli 1, par. 2, e 3, lettera b), della Direttiva 93/13: ‘tale Direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società’. E ‘la rilevazione della nullità’ non cade in preclusioni processuali ‘addirittura avanti il Giudice dell’esecuzione’, come appunto emerge dalla pronuncia sulle cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C-831/19, Banco di Desio e della Brianza e a., per la ‘esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva’.
3.2 Questo primo submotivo è dirimente.
Il quarto motivo d’appello riguardava l’invalidità della fideiussione per violazione della disciplina antitrust , e non, invece, per violazione della disciplina di tutela consumeristica. Gli stessi ricorrenti, ricostruendo lo svolgimento della causa nei gradi di merito, non menzionano nessuna delle due discipline di tutela nella loro difesa in primo grado (si vedano le pagine 3-4 del ricorso), e poi, nel riassumere i motivi d’appello, quale quarto motivo presentano (ricorso, pagine 11ss.) ‘nullità della fideiussione … per violazione della normativa antitrustrilevabilità d’ufficio’, in riferimento alle ‘intense anticoncorrenziali’ vietate dalla l. 287/1990, rimarcando che con il provvedimento n. 55/2005 la Banca d’Italia aveva agito ‘in funzione di Autorità di tutela della concorrenza nel mercato bancario’. A questo motivo la Corte d’appello ha ampiamente risposto, in primis opponendo, in sostanza, l’esistenza di giudicato quale frutto del consolidamento del decreto ingiuntivo, il quale si è fondato sulla fideiussione (affermando che proprio opponendosi – e opposizione non vi era
stata ‘quella e non questa era la sede per eccepire l’invalidità della fideiussione’), e argomentando sempre sulla fattispecie anticoncorrenziale, così pervenendo al rigetto.
Quindi la difesa fondata, nel terzo motivo del ricorso, sulla tutela dei consumatori, invocando la relativa giurisprudenza unionale (ricorso, pagine 23 ss.), e precisamente considerando l’ipotesi di fideiussore consumatore, costituisce un novum , e ciò rende tale difesa inammissibile.
Rimane, pertanto, intangibile il giudicato suddetto, e viene conseguentemente assorbito tutto il resto del terzo motivo, ovvero le parti sub 2, 3 e 4.
4.1 Con il quarto motivo si denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2, secondo comma, lettera a), 2, terzo comma, l. 287/1990 e 41 Cost. in relazione agli articoli 1957 e 2901 c.c., per avere il giudice d’appello, pur riconoscendo la coincidenza delle clausole nn. 2, 7 e 9 della fideiussione in esame con le clausole nn. 2, 6 e 8 dello schema ABI dichiarate nulle dalla Banca d’Italia con il provvedimento n. 55/2005, ritenuta valida la fideiussione ‘sulla base dei presupposti … contestati nel motivo n.3’.
4.2 Come esterna lo stesso motivo, si tratta di una ripresa della censura precedente, per cui ne condivide l’inammissibilità.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente seguono la soccombenza.
I ricorrenti vanno altresì condannati al pagamento di somme, liquidate rispettivamente come in dispositivo, ex artt. artt.380 bis, ultimo comma e 96, terzo e quarto comma, c.p.c., ricorrendone i presupposti di legge.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 7.200,00,
oltre a spese generali e accessori di legge; di euro 7.000,00 ex articolo 96, terzo comma, c.p.c. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, di euro 1.000,00 ex articolo 96, quarto comma, c.p.c., in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 6 dicembre 2024