Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26605 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26605 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6354 R.G. anno 2022 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME , elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende;
ricorrenti
contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
contro
ricorrente
nonché contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE ;
intimato avverso la SENTENZA n. 1511/2021 emessa da CORTE D’APPELLO FIRENZE.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE, poi fallita, COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno convenuto innanzi alla Corte di appello di Firenze Banca Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE s.p.a. proponendo gravame avverso la sentenza n. 1838/RAGIONE_SOCIALE resa dal Tribunale di Firenze il 19 giugno RAGIONE_SOCIALE.
Il Giudice di prime cure aveva revocato il decreto ingiuntivo opposto, pronunciato su ricorso monitorio di Monte dei Paschi, e accolto parzialmente le domande degli attori, già intimati, finalizzate al ricalcolo del dare e avere dei rapporti di conto corrente intrattenuti dalla banca con la società – rapporti in relazione ai quali avevano prestato fideiussione gli altri opponenti -, condannando RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento della somma di euro 447.601,28, oltre interessi.
La Corte di appello ha respinto l’impugnazione.
2 . ─ Ricorrono per cassazione gli COGNOME, facendo valere due motivi. Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE, cessionaria del credito litigioso.
E’ stata formulata proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis c.p.c.. A fronte di essa, parte ricorrente ha domandato la decisione della causa
RAGIONI DELLA DECISIONE
-La proposta ha il tenore che segue.
«a Corte d’appello di Firenze ha ritenuto che: a) la domanda di nullità delle fideiussioni per violazione della normativa antitrust, con liberazione dei garanti, e di estinzione delle stesse per violazione degli artt. 1175, 1375 e 1956 c.c. è stata correttamente reputata rinunciata
dagli opponenti in primo grado, avendo essi formulato dettagliate conclusioni, che non la contenevano, al pari dell’altra domanda non riproposta di risarcimento del danno per ‘carenza di liquidità’; b) la nullità delle fideiussioni per violazione della normativa antitrust potrebbe rilevarsi d’ufficio solo ove le parti avessero allegato e provato gli elementi costitutivi in atti, come non avvenuto, mentre la violazione dell’art. 1956 c.c. non è rilevabile d’ufficio; c) i contratti bancari per cui è causa non contengono clausole usurarie, come accertato dal c.t.u., e ciò è stato correttamente valutato, in quanto: c1) è stato applicato il criterio dettato per la c.m.s. da Cass., sez. un., n. 16303/RAGIONE_SOCIALE, con separata comparazione dunque del TEG in concreto e della c.m.s. eventualmente applicata con i parametri soglia; c2) gli opponenti non hanno provato il meramente dedotto mutamento dei tassi ex art. 118 t.u.b., onde deve tenersi conto del tasso contrattualmente indicato; c3) non rileva l’usura sopravvenuta, come statuito da Cass., sez. un., n. 24675/2017; d) quanto a spese e valute pretesamente illegittime, il c.t.u. ha rilevato che tali poste sono state convenute legittimamente per iscritto in due contratti, mentre per il terzo sono state già dal primo giudice operate, sulla scorta della c.t.u, le rettifiche necessarie, ogni altra contestazione degli appellanti risultando generica;
«il primo motivo, che lamenta la ritenuta non riproposizione delle domande di nullità ed inefficacia delle fideiussioni, con liberazione integrale dei garanti, nonché il mancato rilievo d’ufficio di tali vizi, è inammissibile ex art. 360bis , n. 1, c.p.c., in quanto: a) sotto il primo profilo, la corte d’appello ha condiviso la decisione di primo grado, e, esaminate le conclusioni ivi formulate (e riportate per esteso nella sentenza di appello, diversamente che nel ricorso per cassazione), ha ritenuto che la formulazione dettagliata delle stesse, con omessa ripetizione di alcune domande, fosse da interpretare come rinuncia alle medesime, sulla base del comportamento processuale delle parti interessate: la pronuncia è dunque conforme ai principi da questa Corte
affermati (Cass. 10 luglio 2014, n. 15860; Cass. 10 settembre 2015, n. 17875; Cass. 14 luglio 2017, n. 17582; Cass., sez. un., 24 gennaio RAGIONE_SOCIALE, n. 1785; Cass. 3 dicembre 2019, n. 31571); b) sotto il secondo profilo, non è superata la motivazione della sentenza impugnata, secondo cui è mancata in fatto la prova degli elementi costitutivi della pretesa nullità, come correttamente ritenuto dal giudice territoriale secondo principio costante di questa S.C., secondo cui la regola di riparto dell’onere probatorio richiede che colui il quale intende avvalersi della clausola, sia per affermarne il contenuto dispositivo, che per eccepirne la invalidità od inefficacia, ha l’onere di fornire la dimostrazione dei fatti su cui la pretesa o la eccezione si fonda, e la man canza di ciò preclude il rilievo d’ufficio, perché il giudice può surrogare la parte nella postulazione degli effetti giuridici dei fatti allegati, ma non può surrogarla nell’onere di allegazione e prova (Cass. n. 5952/2014; Cass., n. 15142/2003; Cass. n. 6943/2004); c) a ciò si aggiunga che in nessun modo sarebbe ottenibile il risultato preteso dai ricorrenti, avendo le S.U. escluso che operi la nullità integrale della fideiussione (Cass. S.U. n. 41994/2021; n. 36183/2022), dunque irrilevante al fine di escludere la debenza del credito vantato; d) il motivo è, infine, radicalmente infondato quanto alla mancanza di motivazione della sentenza impugnata, che invece esiste ed è chiara ed esaustiva;
«il secondo motivo, che vorrebbe confutare le risultanze degli accertamenti fattuali, compiuti dal c.t.u. ed operati dalla sentenza impugnata, con riguardo all’andamento dei rapporti bancari, è inammissibile, riproponendo per intero il giudizio sul fatto; mentre non tiene conto, quanto al diritto, dei corretti principi richiamati dalla Corte territoriale e sopra esposti, onde per tali profili è inammissibile ex art. 360bis , n. 1, c.p.c.».
I rilievi esposti sono condivisibili.
Ad essi possono aggiungersi le considerazioni che seguono.
Quanto all ‘abbandono della domanda di accertamento della nullità delle fideiussioni, è vero che la mancata riproposizione, in sede di precisazione delle conclusioni, di una domanda in precedenza formulata non autorizza alcuna presunzione di rinuncia in capo a colui che ebbe originariamente a presentarla, essendo necessario, a tale fine, che, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte, possa desumersi inequivocabilmente il venire meno del suo interesse a coltivare siffatta domanda (così, da ultimo, Cass. 9 maggio 2024, n. 12756): nondimeno, la Corte di appello ha correttamente desunto la volontà abdicativa dalla circostanza per cui gli odierni ricorrenti avevano espressamente precisato le conclusioni «tuttavia omettendo alcune delle domande formulate in atti e non facendovi espresso specifico riferimento» (così la sentenza impugnata).
Con riguardo al mancato rilievo d’ufficio della nullità derivante dall’illiceità dell’intesa restrittiva a monte, è doveroso rammentare che la nullità del contratto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, a condizione che i relativi presupposti di fatto, anche se non interessati da specifica deduzione della parte interessata, siano stati acquisiti al giudizio di merito nel rispetto delle preclusioni assertive e istruttorie, ferma restando l’impossibilità di ammettere nuove prove funzionali alla dimostrazione degli stessi (Cass. 23 febbraio 2024, n. 4867) . Ora, non risulta confermato essere stata acquisita al giudizio, attraverso la tempestiva produzione del documento rappresentativo del provvedimento n. 55 della Banca d’Italia (che ebbe a pronunciarsi sull’illecito antritrust ), la prova della corrispondenza tra le clausole contenute nel contratto di fideiussione per cui è causa e quelle, ricomprese nello schema predisposto dall’ABI , fatte oggetto dell’accertamento dell’illecito anticocorrenziale . Né è decisivo che nella sentenza impugnata si faccia cenno alla conformità delle une alle altre, posto che l’af fermazione è riferibile a quanto avevano dedotto in giudizio gli attori in riassunzione (quindi gli odierni ricorrenti); ove pure
così non fosse, del resto, è evidentemente escluso che la locuzione in questione dia conto di un’acqui sizione probatoria nel senso indicato: acquisizione probatoria che certo non può discendere dalla scienza privata del giudice.
Va disattesa la doglianza, svolta nel secondo motivo, incentrata sull’esistenza di un’usura originaria con riferimento ai tassi di interesse modificati attraverso l’esercizio, da parte della banca, dello ius variandi . Sostengono i ricorrenti che le variazioni dei tassi sarebbero state confermate, nel giudizio di merito, dalla banca. Questa evenienza non è decisiva: la Corte di appello ha nella sostanza rilevato che lo scrutinio dell’usura «apparentemente sopravvenuta» alla stipula aveva avuto luogo (si legge nella sentenza impugnata: « la verifica dell’usura anche nei periodi successivi alla pattuizione è comunque avvenuta»); respingendo la censura sollevata in appello, il Giudice distrettuale ha tuttavia in concreto escluso l’esistenza dell’usura stessa . Sotto tale aspetto la deduzione critica dei ricorrenti si mostra priva di aderenza alla sentenza impugnata ed è da considerare inammissibile (cfr: Cass. 3 luglio 2020, n. 13735 e Cass. 7 settembre 2017, n. 20910).
Con riguardo alla statuizione contenuta nella sentenza impugnata a proposito delle valute, non è concludente il rilievo per cui l’applicazione di valute fittizie era stata confermata dalla banca convenuta. In disparte il fatto che, come dedotto dalla stessa parte ricorrente, Banca Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE si era limitata a dare atto che il contratto del 15 marzo 2002 riportava «espressamente la pattuizione delle valute», è da osservare che la condotta processuale del convenuto non vale a rendere specifica una domanda generica: e generica è stata giudicata dalla Corte di merito la pretesa avente ad oggetto le valute.
Esula poi, dal sindacato di legittimità la doglianza relativa alla mancata eliminazione di addebiti per spese per complessivi euro 12.573,41: sul punto si lamenta una «errata lettura della c.t.u.», ma la
censura proposta nulla ha a che vedere con la violazione e falsa applicazione di legge. Va ricordato che l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass.5 febbraio 2019, n. 3340; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n. 8315).
Da ultimo, è inammissibile la doglianza relativa alla commissione di massimo scoperto. La Corte di appello ha infatti rettamente evocato, sul punto, l’insegnamento di Cass. Sez. U. 20 giugno RAGIONE_SOCIALE, n. 16303 e la doglianza non è corredata dal richiamo degli elementi che, nel rispetto del principio di autosufficienza, diano conto della mancata o errata applicazione dei principi enunciati in detta pronuncia.
– Il ricorso è respinto.
Le spese processuali seguono la soccombenza.
Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta, va disposta condanna della parte istante a norma dell’art. 96, comma 3 e comma 4, c.p.c.. Le dette disposizioni, cui fa rinvio l’art. 380-bis c.p.c., sono difatti immediatamente applicabili giusta il comma 1 dell’art. 35 del d,lgs. n. 149/2022 ai giudizi ─ come quello in esame ─ introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 e per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio (Cass. Sez. U. 27 settembre 2023, n. 27433, in motivazione).
Vale, poi, rammentare quanto segue: in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380-bis, comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) ─ che, nei casi di defi nizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. ─ codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una
valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass. Sez. U. 13 ottobre 2023, n. 28540).
In tal senso, la parte ricorrente va condannata, nei confronti di quella controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di euro 10.000,00 , oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna parte ricorrente al pagamento della somma di euro 10.000,00 in favore della parte controricorrente e dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende; ai sensi dell ‘art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione