Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1967 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1967 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26077/2022 R.G. proposto da : NOME COGNOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) con studio in ROMA INDIRIZZO INT. INDIRIZZO e dall ‘avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE e dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 1796/2022 depositata il 01/08/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 6 agosto 2018 NOME COGNOME e NOME COGNOME evocavano in giudizio davanti al Tribunale di Venezia, sezione specializzata per le imprese, la RAGIONE_SOCIALE unipersonale deducendo di essere fideiussori di RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE sino all’importo di euro 1.729.000 per l’adempimento delle obbligazioni bancarie con l’istituto di credito Carifano S.p.A., successivamente incorporato nel Credito Artigiano (a sua volta incorporato nel Credito Valtellinese Sc, che aveva ceduto in blocco i crediti alla società RAGIONE_SOCIALE. Deducevano che il contratto di fideiussione del 5 maggio 2004 ricalcava lo schema contrattuale predisposto da ABI che era stato oggetto di specifica istruttoria da parte della Banca d’Italia, la quale con provvedi mento n. 55 del 2 maggio 2005 aveva concluso che quello schema conteneva disposizioni contrastanti con la legge n. 287 del 10 ottobre 1990. In particolare, la criticità riguardava il divieto di intese tra banche per restringere la concorrenza all’interno d el mercato nazionale, fissando i prezzi d’acquisto o di vendita o altre condizioni contrattuali. Deducevano, pertanto, la nullità degli articoli 2, 6 e 8 dello schema suddetto e concludevano per l’accertamento della invalidità o comunque inefficacia del contratto.
Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE eccependo il difetto di legittimazione attiva, poiché il consumatore sarebbe legittimato a far valere la tutela solo a fini risarcitori. Deduceva la carenza di interesse ad agire degli attori in difetto di allegazione del pr egiudizio, l’assenza del nesso causale tra l’intesa ed il contratto di fideiussione giacché la nullità si riferiva alle intese contrarie alla concorrenza a monte e non
ai contratti stipulati a valle e deduceva che la banca Carifano non apparteneva ad ABI.
Il Tribunale di Venezia, Sezione imprese, con sentenza del 18 giugno 2020 rigettava la domanda.
Avverso tale decisione proponevano impugnazione gli originari attori. Si costituiva resistendo al gravame RAGIONE_SOCIALE quale procuratrice di RAGIONE_SOCIALE, cessionaria dei crediti della RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’appello di Venezia con sentenza del 1° agosto 2022 rigettava l’appello provvedendo sulle spese.
Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE in persona di RAGIONE_SOCIALE Entrambe le parti depositano memorie sensi dell’articolo 380 bis c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c., la violazione delle norme riguardanti la declaratoria di nullità parziale. Secondo la Corte territoriale gli appellanti non avrebbero dimostrato che, a causa della eventuale nullità di alcune clausole della fideiussione, l’intero contratto avrebbe dovuto essere dichiarato nullo, non trovando applicazione l’articolo 1419 c.c. Tale assunto contrasterebbe con l’orientamento della Corte di legittimità secondo cui gli articoli 2, 6 e 8, in questione, costituiscono lo sbocco dell’intesa vietata e quindi attuano di per sé gli effetti della condotta illecita. Peraltro, la tesi sostenuta dalla Corte territoriale darebbe luogo a una consistente ipotesi di elusione della normativa posta a tutela della concorrenza.
Come sostenuto dalla giurisprudenza di merito le clausole in questione devono ritenersi essenziali con conseguente nullità dell’intero contratto perché, senza quelle clausole l’istituto di credito non avrebbe accettato la fideiussione soprattutto per il venir meno
della garanzia del cosiddetto ‘effetto solutorio definitivo’ interamente gravante sul garante.
Sotto altro profilo, alla luce della decisione delle Sezioni unite della Corte di cassazione non è consentito al giudice di merito valutare la sussistenza o meno della nullità delle clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale vietato, con la conseguenza che non assumerebbe rilievo l’attuazione o meno della prescrizione adottata dalla Banca d’Italia di estromettere quelle clausole vietate.
Con il secondo motivo lamentano, ai sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c. l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. In particolare, si contesta l’affermazione della Corte territoriale secondo la quale parte appellante non avrebbe fornito la prova del requisito del carattere uniforme della applicazione della clausola contestata, ciò in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, tale abitualità di utilizzo avrebbe dovuto desumersi dalla dicitura ‘fideiussione omnibus solidale’ p resente su un modulo preconfezionato a stampa. È evidente che l’utilizzo di tale stampato impediva al fideiussore di concordare condizioni differenti con l’istituto di credito.
I motivi possono essere trattati congiuntamente perché strettamente connessi e interessati dai medesimi profili di inammissibilità.
Preliminarmente questa Corte deve prendere atto che i ricorrenti hanno insistito nelle conclusioni formulate in primo e in secondo grado finalizzate alla declaratoria di nullità dell’intero contratto di fideiussione, sebbene le argomentazioni contenute nei due motivi di ricorso tendano ad una pronunzia di nullità parziale ai sensi dell’articolo 1419 c.c.
Tale profilo, però, non incide sull’interesse ad agire dei ricorrenti che comunque sussiste trattandosi, da un lato, di questioni di nullità rilevabili anche d’ufficio (quella relativa alla nullità dell’intero contratto), e dall’altro per la circostanza che l’accoglimento, anche
parziale, delle censure determinare un effetto favorevole per i ricorrenti.
In particolare, l’ipotesi di nullità parziale richiede l’ulteriore verifica della circostanza che l’assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronunzia di nullità parziale limitata alle clausole rinvenimenti dalla intesa illecita. Tale verifica deve essere effettuata dal giudice di merito, non sulla base di una mera eccezione formale, ma ‘rimandando la deduzione a contestazioni, in fatto’ che le parti avrebbero dovuto svolgere nel giudizio di merito (Cass. n. 28028 del 14 ottobre 2021).
Passando all’esame specifico dei motivi, la Corte territoriale ha fondato la sentenza su quattro autonome argomentazioni, ciascuna delle quali sufficiente a sorreggere la decisione.
In primo luogo, ha ritenuto dirimente ed assorbente la circostanza che i fideiussori non avrebbero provato che, senza la presenza delle clausole oggetto di doglianza, non avrebbero prestato la garanzia (clausole 2, 6 e 8).
In secondo luogo, ha escluso la sussistenza dei presupposti anche per la dichiarazione di nullità parziale, perché gli appellanti non avrebbero allegato l’applicazione concreta di quelle clausole e non avrebbero dedotto o dimostrato se le stesse fossero state azionate dalla banca, né quali effetti conseguirebbero alla loro esclusione dal contratto, limitandosi a richiedere la dichiarazione di integrare nullità dei contratti di fideiussione.
In terzo luogo, non avrebbero dimostrato l’essenzialità delle eventuali clausole nulle del contratto di fideiussione e che quindi i contraenti non avrebbero concluso il contratto ‘senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità’.
Infine, gli appellanti non avrebbero dimostrato il requisito del carattere uniforme dell’applicazione delle clausole contestate.
Orbene, come evidenziato anche dalla controricorrente, alcuna censura ha riguardato il profilo fattuale della mancanza di prova
dell’effettiva applicazione delle clausole e della circostanza che in assenza ‘delle clausole oggetto di censura da parte della Banca d’Italia, l’accordo non sarebbe stato concluso’.
Si tratta di profili essenziali rispetto alla decisione del caso concreto perché il giudice territoriale, seguendo la statuizione di primo grado, ha ribadito come non sia stata indicata l’applicazione specifica delle clausole censurate e non è stato neppure allegato e dimostrato che i ricorrenti, in assenza delle clausole oggetto dello schema dichiarato invalido, non avrebbero stipulato il contratto di fideiussione. È evidente che l’indagine circa l’effettiva volontà di concludere il contratto, pur in assenza delle clausole anticoncorrenziali e, quindi, a condizioni meno gravose, riguarda la posizione dei fideiussori e non quella dell’istituto di credito. Pertanto, il relativo onere probatorio gravava sulle parti interessate alla declaratoria di nullità del contratto e cioè gli odierni ricorrenti (Cass. n. 10237 del 2022).
Trattandosi di capo autonomo di sentenza riguardante una questione avente una propria individualità e autonomia, ricorre un giudicato interno che rende inammissibile l’impugnazione per carenza di interesse sugli altri profili.
All’inammissibilità dei motivi consegue l’inammissibilità del ricorso. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione in favore della controricorrente società RAGIONE_SOCIALE liquidandole in complessivi € 9.200,00 , di cui euro 9.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte