Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 13100 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 13100 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 16/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23935/2023 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata all’indicato indirizzo PEC dell ‘ avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
Fallimento EURONET 2016 LTD ,
– controricorrente –
avverso il decreto cron. n. 911/2023, depositato dal Tribunale di Brescia il 24.10.2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25.3.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE (d’ora innanzi anche, più brevemente, RAGIONE_SOCIALE insinuò al passivo del fallimento EURONET 2016 LTD, con richiesta di riconoscimento del privilegio ipotecario, un credito di € 250.000 vantato a titolo di residuo prezzo di una compravendita di immobili stipulata in data 8.10.2019.
Il giudice delegato rigettò la domanda, rilevando che «il curatore aveva riscontrato che gli immobili presentavano ‘problematiche’ non dichiarate nell’atto di compravendita » (così a pag. 2 del decreto qui impugnato), oltre a eccepire, in via subordinata, la revocabilità dell’ipoteca .
RAGIONE_SOCIALE propose opposizione allo stato passivo, che venne respinta dal Tribunale di Brescia, sul presupposto della ritenuta nullità del contratto -in quanto avente ad oggetto fabbricati dichiaratamente privi di autorizzazione urbanistica -e della conseguente inesistenza del credito per il pagamento del prezzo insinuato al passivo.
Contro il decreto del Tribunale RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi.
Il fallimento si è difeso con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell ‘ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE denuncia «Violazione – falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1 , n. 3) in relazione all’art. 46 d.P.R. 380/2001».
La ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe errato a dichiarare la nullità del contratto di compravendita, perché, pur essendosi dato atto nel rogito che si trattava di immobili costruiti «in assenza delle prescritte autorizzazioni
urbanistiche», il venditore aveva dichiarato che erano state presentate domande di concessione in sanatoria, indicandone gli estremi. Ribadisce, inoltre, che la nullità ai sensi dell’art. 4 6 del d.lgs. n. 380 del 2001 non avrebbe potuto essere rilevata, in mancanza di certezza sul fatto che si trattasse di costruzioni realizzate dopo il 17.3.1985.
1.1. Il motivo è infondato.
La stessa giurisprudenza citata dalla ricorrente afferma che « la nullità comminata dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 dalla legge n. 47 del 1985, va ricondotta nell’ambito dell’art. 1418, terzo comma, cod. civ., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità ‘testuale’, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fat tispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile » (Cass. S.U. n. 8230/2019).
In coerenza con tale principio, questa Corte -in un altro arresto citato dalla ricorrente -ha escluso la nullità di un contratto di compravendita in cui « dal testo della sentenza impugnata risulta che il venditore espressamente dichiarato, in seno all’atto pubblico, che l’immobile era stato costruito in conformità del nulla osta per i lavori edili », ritenendo irrilevante la deduzione del l’acqui rente (che agiva per l’accertamento della nullità ) che la dichiarazione di conformità urbanistica del venditore non fosse veritiera (Cass. n. 15587/2022).
L’impugnato decreto del Tribunale di Brescia è invece coerente con tale principio, avendo rilevato -quale presupposto
della nullità -la difformità testuale del contratto per cui è causa rispetto alle previsioni de ll’ art. 40 della legge n. 47 del 1985 e dell’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 (che sostituì l’art. 17 della legge n. 47 del 1988).
Con riferimento all’art. 4 6 del d.P.R. n. 380 del 2001 (che disciplina la «Nullità degli atti giuridici relativi ad edifici la cui costruzione abusiva sia iniziata dopo il 17 marzo 1985»), la difformità testuale è evidente, avendo dichiarato il venditore la «assenza delle prescritte autorizzazioni urbanistiche», mentre la norma richiede che dal contratto «risultino, per dichiarazione dell ‘ alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria».
Ma anche con riguardo all’art. 40 della legge n. 47 del 1985 sussiste la difformità testuale, posto che il venditore dichiarò di avere presentato domande di sanatoria, indicandone gli estremi, mentre la disposizione -pur prevedendo la possibilità della sanatoria -pretende che dall’atto risultino, sempre «per dichiarazione dell ‘ alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria», oppure -se la domanda è ancora pendente -richiede che all’atto sia « allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell ‘ avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell ‘ avvenuta presentazione», oltre a dover essere «indicati gli estremi dell ‘ avvenuto versamento delle prime due rate dell ‘ oblazione».
È la stessa RAGIONE_SOCIALE che riporta nel ricorso l’intero testo della clausola contrattuale con le dichiarazioni del venditore, ad escludere che al contratto fossero allegate le copie delle domande di concessione in sanatoria, confermando la difformità
testuale -che secondo la citata giurisprudenza implica la nullità del negozio -a prescindere dalla data di stipulazione dell’atto , anteriore o posteriore al 17.3.1985, non essendo rispettate nemmeno le formalità previste dall’art. 40 della legge n. 47 del 1985.
Ciò fermo restando che l’accertamento della data di realizzazione dei fabbricati è questione di fatto che non può essere sindacata con il ricorso per cassazione.
Con il secondo motivo si censura «Violazione – falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in relazione agli artt. 93 e 98 L.F. r.d . 267/42, all’art. 1421 c.c. e all’art. 112 c.p.c. ».
Si contesta al Tribunale di avere rilevato d’ufficio la nullità del contratto, nonostante il fallimento avesse manifestato l’intenzione di trattenere e mettere in vendita gli immobili, nonché senza avere «invitato le parti a contraddire sul punto, giungendo ad una soluzione inattesa per entrambe, peraltro, gravemente, senza pronunciarsi sulle necessarie restituzioni».
2.1. Anche questo motivo, al netto dei possibili profili di inammissibilità, è infondato.
La nullità del contratto è questione rilevabile d’ufficio (art. 1421 c.c.) e la cognizione del giudice d ell’ opposizione al passivo è estesa alle eccezioni in senso stretto non sollevate nella fase davanti al giudice delegato (Cass. n. 27902/2020), sicché non può negarsi che comprenda anche, a maggior ragione, le eccezioni e le questioni rilevabili d’ufficio .
Nel caso di specie, già il giudice delegato aveva respinto la domanda di ammissione al passivo considerando «le problematiche relative agli immobili riscontrate dal curatore», sicché la questione di fatto sottostante alla rilevata nullità era ben nota alle parti; fermo restando che il motivo di ricorso non
denuncia chiaramente la violazione dell’art. 101, comma 2, c.p.c. e che l ‘ omissione della preventiva segnalazione della questione rilevata d’ufficio non determina di per sé la nullità della decisione, se non abbia concretamente danneggiato la facoltà della parte di chiedere prove (Cass. n. 13920/2020).
Quanto al fatto che non sia stata disposta la restituzione degli immobili oggetto del contratto nullo, è evidente che il Tribunale non avrebbe potuto farlo, in mancanza di una domanda di rivendica o restituzione dei beni acquisiti all’attivo fallimentare (art. 103 legge fall.).
Rigettato il ricorso, le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano di dispositivo.
5 . Si dà atto che, in base all’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese legali relative al presente giudizio di legittimità , che liquida in € 7.000, per compensi, oltre alle spese generali al 15%, ad € 200 per esborsi e agli accessori di legge;
dà atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del