Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10573 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 10573 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 3200/2023 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in Amministrazione Straordinaria, n. 6/2015, con sede in Imola, INDIRIZZO, in persona dei Commissari Straordinari Dott. NOME COGNOME, Dott. NOME COGNOME ed Avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME in virtù di procura in calce al ricorso e per l’effetto elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma in INDIRIZZO
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE con sede legale in Milano, 20123, INDIRIZZO, C.F. P_IVA, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME rappresentata e difesa, anche disgiuntamente tra loro, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura speciale in calce al controricorso, elettivamente domiciliata presso i medesimi avvocati con studio in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso il decreto n. 112/2023 emesso dal Tribunale di Bologna il 15.12.2022, depositato in cancelleria il 9.1.2023 ed in pari data comunicato alle parti; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/3/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con il decreto impugnato il Tribunale di Bologna, decidendo sull’ opposizione allo stato passivo promosso da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria, ha accolto l ‘ impugnazione proposta e ha modificato lo stato passivo della procedura convenuta, ammettendo la creditrice istante RAGIONE_SOCIALE in prededuzione ex art. 111 l. fall., per la somma di € 7.327,75 a titolo di imposta di registro pagata da CVE all’Erario in luogo di RAGIONE_SOCIALE in relazione a tutti i contratti di locazione, dal 2017 al 2021, nonché per l ‘ ulteriore somma di € 220.630,00, a titolo di risarcimento danni relativi all’immobile di Occhiobello .
Con istanza del 19/02/2021 CVE aveva richiesto l’ammissione al passivo della procedura, in prededuzione ex art. 111 l. fall . ‘per la somma di € 7.327,75 a titolo di imposta di registro pagata da CVE all’Erario in luogo di M. Estate in relazione a tutti i contratti di locazione, dal 2017 al 2021; 2) per la somma di € 441.260,66, a titolo di risarcimento dei danni provocati all’immobile di Occhiobello. Per un totale di € 448.588,41.’.
Nel progetto di stato passivo della procedura, ritualmente comunicato, i Commissari Straordinari proponevano, tuttavia, l’esclusione della somma insinuata, rilevando che l’importo ‘ è oggetto di contestazione poiché l’istante risulta cessionaria di immobili già di proprietà delle società del gruppo in RAGIONE_SOCIALE La Procedura di RAGIONE_SOCIALE ha promosso azione di annullamento dei predetti atti di cessione degli immobili a RAGIONE_SOCIALE e di responsabilità avverso gli organi amministrativi delle società oggi in Amministrazione Straordinaria, con giudizio radicato innanzi al Tribunale di Genova, Sezione Imprese, R.G. nr. 14249/2017 ‘.
Con decreto del 28/01/2022, il Giudice delegato escludeva il credito insinuato, aderendo alla proposta dei Commissari Straordinari.
Con ricorso in opposizione ex art. 98 l. fall. CVE impugnava il decreto, richiedendo l’ammissione al passivo del credito insinuato.
6. Il Tribunale, nella resistenza della procedura concorsuale, ha osservato e rilevato – per quanto qui ancora di interesse che: (i) in ordine all’eccezione di nullità dei contratti di locazione sollevata dall’amministrazione straordinaria, per la dedotta violazione degli artt. 1344, 2423, 2426, 2433, 2445 e 2626 c.c., occorreva disattendere le obiezioni sollevate dalla procedura concorsuale eccipiente, in quanto i contratti di locazione non violavano le norme poste a tutela dell’integrità del capitale so ciale, la cui lesione, se vi era stata, si era invece compiutamente realizzata per effetto delle delibere che avevano fatto uscire i beni dal patrimonio del Gruppo; (ii) i contratti in questione non potevano neanche definirsi in frode alla legge, posto che: – non concorrevano alla distrazione del patrimonio in favore di CVE (che era indipendente dalla loro stipulazione, derivando interamente dalle operazioni societarie); – se (in ipotesi) consentivano a CVE un ingiusto arricchimento per effetto di clausole eccessivamente gravose, erano affetti da uno squilibrio contrattuale manifesto, che non eludeva, ma eventualmente violava, norme imperative; (iii) secondo la giurisprudenza, inoltre, la locazione stipulata ‘ a non domino ‘ non era un contratto invalido, perché non confliggeva con alcuna prescrizione imperativa; (iv) l’indisponibilità (giuridica, nel caso di specie) dell’immobile da parte del locatore costituiva un caso di difetto di legittimazione a stipulare, dal quale conseguiva l’inefficacia del contratto, la quale operava soltanto nei confronti del legittimato effettivo e non impediva l’attuazione del rapporto obbligatorio (così richiamando, Cass. 15292/2019); (v) secondo la medesima giurisprudenza a tale principio faceva eccezione l’ipotesi in cui la detenzione da parte del locatore fosse stata acquisita in violazione di norme di ordine pubblico, ma nel caso in esame non vi erano elementi da cui desumere che una tale fattispecie si fosse configurata, in quanto CVE aveva acquisito gli immobili nel dicembre 2012, allorché aveva deliberato un aumento di capitale, che era stato sottoscritto dal Fondo, mediante conferimento del
patrimonio immobiliare di sua proprietà; (vi) in relazione, poi, alla nullità dei contratti di locazione ai sensi dell’art. 9 l. 192/1998, pur essendo la relativa eccezione ammissibile benché formulata per la prima volta nel giudizio di opposizione (così, richiamando: Cass. 27902/20; 19003/17), la stessa era invece infondata nel merito, in quanto non vi era prova dello stato di dipendenza economica dell’originario conduttore RAGIONE_SOCIALE e in particolare non vi era prova dell’impossibilità per il conduttore di reperire valide alternative sul mercato, circostanza quest’ultima che integrava un elemento essenziale della fattispecie, costituendo la causa dell’eccessivo squilibrio negoziale; (vii) in relazione, infine, al mancato subentro della procedura nei contratti di locazione, l’eccezione era anch’essa ammissibile, secondo la giurisprudenza prima richiamata, ma infondata nel merito, in quanto, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità , nell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza i contratti in corso continuano ad avere esecuzione, sino a quando il commissario non eserciti la facoltà di sciogliersi, e il protrarsi dell’esecuzione non preclude la facoltà di scioglimento, ma obbliga al pagamento delle prestazioni ricevute fino alla decisione di scioglimento (così richiamando, Cass. 28797/2018; 19146/2022).
7. Il Tribunale ha, poi, rilevato ed osservato, in ordine alla domanda risarcitoria dei danni arrecati all’immobile di Occhiobello imputabili alla condotta inadempiente della convenuta resistente, che: (viii) la ricorrente avrebbe dovuto proporre in realtà un accertamento tecnico preventivo ex art. 696 cod. proc. civ. o una consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis cod. proc. civ., volte a cristallizzare, nel contraddittorio delle parti o almeno con un tecnico nominato da una autorità imparziale e terza, la situazione al momento della riconsegna, anziché attendere quasi sei mesi per produrre una perizia di parte, nemmeno giurata e pertanto priva di valore alcuno nel presente giudizio; (ix) era stato prodotto in giudizio il verbale, sottoscritto da entrambe le parti al momento del rilascio dell’immobile, nel quale si d ava concordemente atto che l’immobile versa va , già all’epoca, in evidente stato di degrado e abbandono, come poi confermato dalla perizia di parte, verbale che costituiva dunque prova idonea e sufficiente ad affermare la
responsabilità della convenuta in ordine alla violazione degli obblighi di custodia e manutentivi a suo carico; (x) la procedura convenuta non aveva peraltro fornito alcuna prova di avere consegnato l’immobile in contestazione in un diverso buon stato manutentivo, così da superare e contrastare le risultanze processuali portate dalla ricorrente; (xi) la perizia di parte versata in atti era stata, inoltre, supportata da molti riscontri fotografici, che attestavano l ‘effettiva condizione di grave abbandono de ll’immobile , certamente risalente nel tempo, la quale non era verosimile che potesse essersi prodotta nel lasso di tempo di pochi mesi intercorrente tra la data di riconsegna avvenuta a fine novembre 2020 e la data della perizia conclusa a fine marzo 2021; (xii) in ordine, poi, alla quantificazione dei danni, la perizia di parte versata in atti aveva valutato che il danno immobiliare subito dalla proprietà (CVE) consisteva nella perdita del valore del compendio attualmente in locazione generata da due fattori, costituiti, da un lato, dalla mancata manutenzione ordinaria e straordinaria dell’immobile da parte del conduttore ( contrariamente a quanto previsto dall’art. 14 del contratto di locazione), dall’altro dal mancato presidio e dal l’inadeguata custodia del bene , che avevano condotto a uno straordinario depauperamento dell’immobile ; (xiii) il danno immobiliare era stato stimato quale differenza tra il valore di mercato dell’immobile ed il valore di mercato dell’immobile nelle condizioni manutentive fattuali attuali; (xiv) sulla base delle valutazioni effettuate mediante approccio di costo, il danno ammontava a 441.260,66 euro; (xv) occorreva però dare rilevo al presumibile aggravamento del danno derivante dal comportamento di CVE, che aveva lasciato per altri mesi in completo stato di abbandono l’immobile ; (xvi) gli elementi sopra considerati, la perizia ( effettuata a distanza di mesi dall’avvenuto rilascio dell’immobile ), nonché l’ulteriore protrarsi dello stato di abbandono del bene in assenza di misure anche temporanee volte a limitarlo e, dunque, il presumibile aggravio del danno inducevano a valutare prudenzialmente il pregiudizio subito in misura pari alla metà di quanto quantificato dal CTP di parte e dunque a liquidarlo in € 220.630,00 ; (xvii) il credito doveva essere ammesso in prededuzione ex art. 111 l. fall., non essendovi sul punto contestazione.
Il decreto, pubblicato il 9.1.2023, è stato impugnato da RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, con il quale ha anche proposto ricorso incidentale.
La controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1344, 1418, 2423, 2426, 2433, 2445 e 2626 cod. civ.
1.1. Ritiene la ricorrente che le ragioni decisorie poste a sostegno del rigetto dell ‘ eccezione di nullità dei contratti di locazione per la violazione delle norme sopra indicate in rubrica siano errate in diritto, in quanto le stesse si presentano del tutto inconferenti e destituite di fondamento, anche alla luce di quelle che costituivano le risultanze documentali emergenti dagli atti di causa del giudizio di merito, il cui esame, da parte del Tribunale di Bologna, sarebbe stato del tutto omesso o quanto meno superficiale.
1.2 Secondo la ricorrente il complesso delle operazioni negoziali e societarie poste in essere dalle parti in causa, tutte funzionalmente collegate tra loro, aveva di fatto consentito, contrariamente alle non intelligibili affermazioni del Tribunale di Bologna (che ne aveva inopinatamente negato la rilevanza ai fini della declaratoria di nullità) (i) di aggirare la funzione vincolistica del capitale sociale e di distribuire un valore (i.e. restituzione dei conferimenti) che altrimenti sarebbe stato destinato alla società in assenza dei presupposti per la riduzione del capit ale ai sensi dell’art. 2445 cod. civ. ovvero fino al suo scioglimento, in spregio al divieto di restituzione dei conferimenti ai soci di cui all’art. 2626 cod. civ.; (ii) di distribuire dividendi in violazione della disciplina stabilita dall’art. 2433, co. 2, cod. civ., non essendo gli utili stati realmente conseguiti (v. delibere del: 20 novembre 2006; 18 luglio 2007; 25 luglio 2008; 24 settembre 2010; 27 settembre 2011 e 18 settembre 2012); (iii) di rivalutare gli immobili conferiti in assenza dei presupposti espressamente previsti dall’art. 2423, co. 5, cod. civ.; (iv) di conferire alla
società RAGIONE_SOCIALE l’intero patrimonio immobiliare del Gruppo, senza pagamento del relativo prezzo in violazione dell’art . 1344 cod. civ..
1.3 Assume in conclusione la ricorrente che l’acquisizione dei diversi immobili oggetto dei contratti di locazione da parte della CVE, nonché la stipula degli stessi contratti dovevano essere inseriti all’interno di una complessa operazione negoziale – posta in essere dagli amministratori della procedura e di tutte le società facenti parte del RAGIONE_SOCIALE – la cui unica finalità era quella di attribuire a titolo gratuito tutti gli asset immobiliari del Gruppo alla odierna ricorrente.
Con il quarto motivo la società ricorrente in RAGIONE_SOCIALE lamenta l’ ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.’.
2.1 Ricorda la ricorrente che il Tribunale di Bologna, nella parte del decreto impugnato con il presente motivo ricorso, ha argomentato in motivazione mutuando le risultanze del giudizio penale medio tempore definito con sentenza, impugnata poi per saltum in Cassazione, e richiamando le motivazioni già espresse nel decreto n. 829 del 7.3.2018 emesso dal medesimo Tribunale di Bologna in analoga vicenda. Più in particolare, nella parte motiva del decreto impugnato, il Tribunale di Bologna ha ritenuto di aderire alle risultanze della sentenza penale n. 144/2020 con cui il Tribunale di Bologna, in relazione alle condotte distrattive in danno delle società del Gruppo da parte degli amministratori, aveva ritenuto legittima – sotto il profilo della rilevanza penale l’operazione c.d. di spin off immobiliare, meglio descritta in atti.
2.2 Secondo la ricorrente la decisione impugnata avrebbe omesso totalmente di valutare le risultanze emerse nel corso del giudizio di opposizione allo stato passivo e che erano state altresì discusse attraverso il deposito di apposite note autorizzate con cui le parti si erano confrontate sulla opponibilità di quanto emerso nel giudizio penale e sulla rilevanza di tali risultanze nel processo di formazione dello stato passivo. Nella prospettiva dell’amministrazione straordinaria il mancato approfondimento d elle doglianze sopra riportate avrebbe determinato l’errata qualificazione da parte del giudice di prime cure dell’operazione di spin off immobiliare come
‘legittima’, senza, tuttavia, considerare che lo stesso Tribunale penale aveva ritenuto oggettivo e non seriamente contestabile il fatto che la stessa avesse comportato il ‘drenaggio’ del patrimonio della società verso i soci e, pertanto, la sua portata distrattiva, ciò che avrebbe dovuto, invece, motivare la conferma dello stato passivo e, pertanto, dell’esclusione del credito avversario dallo stesso.
Con il quinto mezzo si denuncia l’ ‘ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. ‘ .
3.1 Ritiene la ricorrente che il Tribunale abbia in tal modo confermato di aver omesso di pronunciarsi sull ‘ eccepita nullità dei singoli contratti di locazione, a motivo della mancata preventiva impugnazione delle delibere assembleari societarie che avevano approvato la cessione degli immobili; il Tribunale avrebbe anche confermato di aver omesso di pronunciarsi sulla eccepita nullità dei contratti, a motivo di una mancata tempestiva proposizione della domanda revocatoria ordinaria o fallimentare.
Il primo, quarto e quinto motivo -che possono essere trattati congiuntamente -sono infondati.
4.1 Il decreto impugnato, infatti, ha respinto l’eccezione di nullità del contratto di locazione dedotto dalla società opponente a sostegno della domanda di ammissione al passivo del credito ai relativi canoni sul rilievo che ‘ gli illeciti contestati ‘ dalla procedura opposta agli amministratori della società insolvente non potevano dar luogo alla nullità di tutti gli atti correlati all’operazione di spin off , ma, al più, alla nullità delle singole deliberazioni assembleari a tal fine assunte (per diretta violazione delle norme imperative alle quali erano soggette o per illiceità dell’oggetto delle delibere stesse) ed, in ogni caso, che l ‘eventuale finalità distrattiva non poteva comportare la nullità degli atti per frode alla legge, ma solo la loro revocabilità.
4.2 Gli argomenti illustrati dal tribunale sono, tuttavia, giuridicamente errati. Non v’è dubbio, invero, che: – in linea di principio, in assenza di una norma che vieti in via generale di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, il contratto lesivo dei diritti dei creditori non è, di per sé, illecito e che, pertanto, la sua conclusione non è nulla per illiceità della causa, per frode alla
legge o per motivo illecito determinante comune alle parti, apprestando l’ordinamento, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, dei rimedi speciali che comportano, in presenza di particolari condizioni, l’applicazione della sola sanzione dell’inefficacia (cfr. Cass. n. 23159 del 2014; Cass. n. 19196 del 2016; Cass. n. 15844 del 2022); – il motivo illecito che, se comune e determinante, determina la nullità del contratto si identifica, del resto, con una finalità vietata dall’ordinamento perché contraria a norma imperativa, ai principi dell’ordine pubblico o del buon costume, ovvero poiché diretta ad eludere, mediante detta stipulazione, una norma imperativa, sicché l’intento delle parti di recare pregiudizio ad altri (come quello di attuare una frode ai creditori, vanificandone le aspettative satisfattorie sul patrimonio del debitore) non è illecito, ove non sia riconducibile ad una di tali fattispecie, non rinvenen dosi nell’ordinamento una norma che sancisca in via generale (come per il contratto in frode alla legge) l’invalidità del contratto in frode dei terzi, per il quale, invece, l’ordinamento accorda rimedi specifici, correlati alle varie ipotesi di pregiudizio che essi possano risentire dall’altrui attività negoziale (cfr. Cass. n. 19196 del 2016, in motiv.; Cass. n. 20576 del 2010; Cass. SU n. 10603 del 1993).
Resta, nondimeno, il fatto che se il contratto è stato stipulato dalle parti, oltre che in pregiudizio dei creditori (dell’alienate), anche in violazione di una norma imperativa, come quella penale, l’atto negoziale così compiuto è sanzionato, a norma dell ‘art. 1418, comma 1, cod. civ., con la sua nullità (Cass. n. 18016 del 2018; Cass. n. 14234 del 2003), come accade, in particolare, nel caso in cui sia proprio la sua stipulazione a realizzare, in ragione dell’assetto degli interessi ivi contenuto, il risu ltato vietato dalla legge penale (Cass. n. 21434 del 2023, in motiv.). Si parla, in siffatte ipotesi, di reato-contratto, come la vendita di sostanze stupefacenti, la ricettazione prevista dall’art. 648 c.p., il commercio di prodotti con segni falsi di cui all’art. 474 c.p., il trasferimento di un bene in pagamento di un debito usuraio (cfr. Cass. n. 17568 del 2022; Cass. n. 1221 del 2022; Cass. n. 17959 del 2020, in motiv.; Cass. n. 16706 del 2020, in motiv.; Cass. n. 18016 del 2018; Cass. n. 14234 del 2003), poiché il contratto collide così gravemente con interessi di indole generale da assurgere di per sé alla qualificazione di reato ed è, di
conseguenza, nullo per violazione di una norma imperativa, come quella penale, che, appunto, ne vieta la stipulazione (Cass. n. 21434 del 2023, in motiv.).
Si pensi, in particolare, al caso del contratto di finanziamento che l’imprenditore insolvente abbia stipulato in violazione del dovere, previsto e punito dall’art. 217, comma 1, n. 4, l. fall., di richiedere senza indugio il fallimento o comunque di non a ggravare il dissesto dell’impresa con operazioni dilatorie, trattandosi di contratto contrario a norme imperative, in particolare di natura penale e di ordine pubblico economico, come il divieto di aggravare il dissesto, integrando la relativa stipula una fattispecie di reato, di cui è chiamato a rispondere, a titolo di concorso, anche il finanziatore (Cass. n. 16706 del 2020).
Nello stesso modo, gli atti attraverso i quali la società poi assoggettata a procedura concorsuale abbia determinato (in qualunque modo e in qualsiasi forma) il trasferimento in favore di terzi dei propri beni, così distraendoli alla soddisfazione dei relativi creditori, sono compiuti in violazione di norme incriminatrici (come gli artt. 216, comma 1°, e 223, comma 1°, l.fall., nel testo in vigore ratione temporis , in relazione a quanto previsto dall’art. 110 c.p.: applicabili anche nell’amministrazione straordinaria di una società dichiarata insolvente a norma dell’art. 95, comma 1, d.lgs. n. 270 del 1999), le quali (punendo con una pena gli amministratori che ne siano stati gli autori nonché i terzi, come i beneficiari, che vi abbiano consapevolmente concorso in accordo con gli stessi: cfr. Cass. pen. n. 40023 del 2022; Cass. pen. n. 16062 del 2012; Cass. pen. n. 12824 del 2005) ne vietano (evidentemente) la stipulazione.
4.3 Tali atti (a prescindere dalla validità formale di ciascuno di essi, a partire dalle delibere assembleari che ne hanno giuridicamente consentito o programmato il compimento) sono, di conseguenza, assoggettati, ai sensi dell’art. 1418 cod. civ., alla sanzio ne della nullità per effetto della contrarietà, in ragione delle disposizioni penali violate, alle norme imperative ivi contenute (Cass. n. 21434 del 2023, in motiv., che arg. da Cass. n. 2860 del 2008; Cass. n. 14234 del 2003; Cass. n. 7998 del 1990).
L’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto in conformità al disposto dell’art. 1418, comma 1°, c.c., è, in effetti, ‘più ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo contenuto del contratto medesimo ‘, essendovi ‘ ricomprese sicuramente anche le norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto ‘, come, appunto, le norme che incriminano la sua stessa stipulazione, con la conseguenza che, ‘ se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto (come nel caso in esame) viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni se così può dirsi ancor più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto medesimo ‘ (Cass. SU n. 26724 del 2007, in motiv.).
Se, dunque, è configurabile il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione nella condotta di chi abbia assunto, in una situazione di grave e non fronteggiabile sofferenza debitoria, ulteriori obbligazioni prive di apprezzabile collegamento con l’atti vità imprenditoriale (Cass. pen. n. 141 del 2020), tale delitto è, a maggior ragione, ravvisabile nel caso in cui gli amministratori della società, anche a mezzo dell’esercizio di atti di per sé validi, abbiano determinato ‘ la stabile fuoriuscita di un bene dal patrimonio ‘ della società, ‘ impedendone l’apprensione da parte degli organi del fallimento ‘ (Cass. pen. n. 37109 del 2022): a prescindere, peraltro, per ciò che riguarda l’elemento oggettivo e l’elemento soggettivo del reato, tanto dal fatto che in quel momento l’impresa versava in stato di insolvenza (Cass. pen. n. 7437 del 2020), quanto dal fatto che l’atto non abbia arrecato un danno per i creditori (Cass. pen. n. 11382 del 2020), essendo a tal fine sufficiente che il distacco del bene dal patrimonio sociale e l’assegnazione allo stesso di una destinazione diversa da quella di garanzia dei creditori, determini l’insorgenza del mero pericolo che ciò accada.
Il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è, infatti, un reato di pericolo concreto, in quanto l’atto di depauperamento, incidendo negativamente sulla consistenza del patrimonio sociale, deve essere idoneo
a creare un pericolo reale per il soddisfacimento delle ragioni creditorie, che deve permanere fino al tempo che precede l’apertura della procedura fallimentare, sicché, ai fini della prova del reato, il giudice, oltre alla constatazione dell’esistenza dell’atto distrattivo, deve valutare la qualità del distacco patrimoniale che ad esso consegue, ossia il suo reale valore economico concretamente idoneo a recare danno ai creditori (Cass. pen. n. 28941 del 2024). Tale distacco, peraltro, può ben realizzarsi anche attraverso l’esercizio di facoltà legittime, comprese nel contenuto di diritti riconosciuti dall’ordinamento, posto che ‘ la liceità di ogni operazione che incide sul patrimonio dell’imprenditore dichiarato fallito può essere affermata solo all’esito di un accertamento in concreto in relazione alle conseguenze prodotte sulle ragioni del ceto creditorio ‘ (Cass. pen. n. 15803 del 2019): in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, invero, anche l’esercizio di facoltà legittime che determini la stabile fuoriuscita di un bene dal patrimonio del fallito, impedendone l’apprensione da parte degli organi del fallimento, può costituire strumento di frode in danno dei creditori (Cass. pen. n. 37109 del 2022).
4.4 Resta, peraltro, il fatto che, se al momento della dichiarazione giudiziale d’insolvenza non sussiste più alcun pericolo concreto per le ragioni dei creditori, essendosi posto rimedio agli atti distrattivi precedentemente compiuti, non sussiste più l’elemento oggettivo del reato, con la co nseguenza che la responsabilità penale degli autori degli atti predetti dev’essere esclusa tutte le volte in cui, prima dell’apertura della procedura concorsuale, il patrimonio della società sia stato reintegrato (cd. bancarotta ‘ riparata ‘): fermo restando, però, che tale reintegrazione, onde rimuovere il pregiudizio per i creditori e, per tale via, determinare l’insussistenza dell’elemento materiale del reato , presuppone la prova in giudizio dell’ esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi precedentemente perpetrati (Cass. pen. n. 57759 del 2017; Cass. pen. 14932 del 2023), senza, peraltro, che sia a tal fine sufficiente che la re stituzione dell’importo ricevuto o sottratto avvenga attraverso mere operazioni contabili (cd. ‘ giri ‘ di denaro) tra società del medesimo gruppo, senza nuovi apporti finanziari esterni, trattandosi di un ‘ adempimento apparente ‘, inidoneo a reintegrare,
nella sua effettività ed integralità, il patrimonio dell’impresa prima della dichiarazione dello stato di insolvenza (Cass. pen. n. 13382 del 2020), a meno che non siano, in concreto, ravvisabili gli estremi dei vantaggi compensativi (Cass. pen. n. 18333 del 2022) che abbiano, però, i requisiti di certezza, congruità e proporzionalità e siano di valore almeno equivalente al sacrificio economico inizialmente sopportato dalla società poi fallita (Cass. pen. n. 42570 del 2024).
4.5 Orbene, il decreto impugnato, lì dove ha ritenuto che gli illeciti contestati dai Commissari non potevano dar luogo alla nullità di tutti gli atti correlati all’operazione di spin off per nullità della causa e per frode alla legge, ma piuttosto a nullità per diretta violazione delle norme imperative alle quali erano soggette le singole deliberazioni assembleari o a nullità per illiceità dell’oggetto delle delibere stesse (ipotesi soggette a termini di decadenza ormai decorsi) e che l’eventuale finalità distrattiva non poteva comportare la nullità degli atti per frode alla legge, ma solo la loro revocabilità, anche questa soggetta a termini di prescrizione ormai decorsi, si è posto in contrasto con gli indicati principi e dev’essere, dunque, corretto nei termini in precedenza esposti.
4.6 La decisione assunta è, tuttavia, corretta: il tribunale ha, invero, escluso la nullità dei contratti di locazione (dedotti a sostegno della domanda di ammissione al passivo del credito ai canoni maturati e non corrisposti) sul rilievo che la lesione dell’integrità del patrimonio sociale si era compiutamente realizzata per effetto delle delibere, ormai definitive, che avevano fatto uscire i beni dal patrimonio del Gruppo e che i contratti di locazione non avevano concorso alla eventuale distrazione del patrimonio in favore di CVE, ‘interamente’ derivata dalle operazioni societarie in precedenza compiute, in modo dunque ‘indipendente’ dalla stipulazione di tali contratti.
Si tratta, com’è evidente, di un apprezzamento in fatto che, come tale, è suscettibile di essere sindacato in cassazione esclusivamente per il vizio consistito, come stabilito dall’art. 360 n. 5 c.p.c., nell’avere il giudice di merito, in sede di accertamento della fattispecie concreta: – a) omesso del tutto l’ esame (e cioè la ‘ percezione ‘) di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti per contro dal testo della sentenza o (più
probabilmente) dagli atti processuali, che siano stati oggetto di discussione (e cioè controversi) tra le parti ed abbiano carattere decisivo (cfr. Cass. SU n. 8053 del 2014) , nel senso che, ove percepiti, avrebbero senz’altro imposto al giudice di merito di ritenere sussistenti i fatti dedotti dalla parte ricorrente a fondamento della domanda o dell’eccezione dalla stessa proposta; – b) supposto l’esistenza di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui verità risulti per contro incontrastabilmente esclusa dal testo della stessa sentenza o dagli atti processuali, sempre che siano stati controversi tra le parti ed abbiano avuto, nei termini esposti, carattere decisivo (Cass. SU n. 5792 del 2024, in motiv., punto 10.14), nel senso che, ove esclusi, avrebbero senz’altro imposto al giudice di merito di ritenere sussistenti i fatti dedotti dalla parte ricorrente a fondamento della domanda o dell’eccezione dalla stessa proposta.
Resta, pertanto, fermo che: l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa (e cioè, nel caso in esame, l’effettiva sussistenza di un collegamento teleologico tra le operazioni di cessione degli immobili in favore della società istante e il contratto di locazione stipulato tra quest’ultima e la società in amministrazione straordinaria) sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che (come nei casi nella ‘ mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico ‘, nella ” motivazione apparente ‘, nel ‘ contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ‘ e nella ‘ motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile ‘) si sia tramutata in una violazione di legge costituzionalmente rilevante, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘ sufficienza ‘ della motivazione ( cfr. Cass. SU n. 8053 del 2014).
Il giudice di legittimità ha, per contro, soltanto la facoltà del controllare, sotto il profilo della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte in ordine alla ricognizione della fattispecie concreta dal giudice di merito, così come esposte nella pronuncia impugnata, cui spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere tra le complessive risultanze del processo quelle
ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis , Cass. n. 40872 del 2021, in motiv.; Cass. n. 21098 del 2016; Cass. n. 27197 del 2011).
Il compito di questa Corte, in effetti, non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta (con le prove ammesse ovvero offerte) un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato effettivamente conto, in ordine ai fatti storici rilevanti in causa, delle ragioni del relativo apprezzamento, come imposto dall’art. 132 n. 4 c.p.c., e se tale motivazione sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio – qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato in ordine all’accertamento dei fatti storici rilevanti ai fini della decisione sul diritto azionato si sia mantenuto, com’è accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.).
4.7 Il decreto impugnato, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio ed (implicitamente) escluso quelle (asseritamente contrarie) invocate dalla procedura opposta, ha, infatti, ritenuto (motivando il proprio convincimento sul punto in un modo del quale la ricorrente non ha espressamente contestato né la mera apparenza, né la perplessità o la contraddittorietà) che ‘ la lesione ‘ dell’integrità del patrimonio sociale, ‘se vi è stata’, si è compiutamente realizzata per effetto delle delibere, ormai definitive, che hanno fatto uscire i beni dal patrimonio del Gruppo e ha, di conseguenza, escluso che i contratti di locazione (dedotti a sostegno della domanda di ammissione del credito ai canoni maturati) avessero concorso alla eventuale distrazione del patrimonio
in favore di CVE, derivata ‘interamente dalle operazioni societarie’ in precedenza compiute, e cioè ‘indipendente dalla loro stipulazione’.
Orbene, tale apprezzamento non è stato efficacemente censurato dalla ricorrente (nell’unico modo a tal fine possibile, e cioè), a norma dell’art. 360 n. 5 c.p.c., per aver il tribunale supposto l’inesistenza (o, per converso, l’esistenza) di uno o più fatti storici co ntroversi tra le parti, la cui esistenza, (o, rispettivamente, inesistenza) sia risultata con certezza (come doverosamente esposto in ricorso ed emergente dagli atti allo stesso allegati, nel rigoroso rispetto degli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c.) dal testo della stessa pronuncia impugnata o (più probabilmente) dagli atti del relativo processo ed aventi carattere decisivo ai fini della soluzione della controversia (nel senso che, ove percepiti o, rispettivamente, esclusi, avrebbero senz’altro imposto al giudice di merito di ricostruire la vicenda storica in termini tali da integrare il fondamento materiale della domanda proposta o dell’eccezione invocata nel giudizio di merito dalla parte poi ricorrente).
Ed una volta che il giudice di merito ha ritenuto, in fatto (non importa se a torto o a ragione), che ‘ i contratti di locazione ‘ (dedotti a fondamento della domanda di ammissione) non avevano concorso ‘alla … distrazione del patrimonio in favore di CVE’ non si presta, evidentemente, a censure, per violazione di norme di legge, la decisione che lo stesso ha conseguentemente assunto, e cioè il rigetto dell’eccezione di nullità del contratto di locazione e l’accoglimento della domanda proposta dall’istante in quanto volta, appunto, all’ammissione al passivo del credito al pa gamento dei canoni maturati e non versati.
4.8 Premesso, invero, che la sussistenza del dedotto collegamento cd. funzionale fra più atti negoziali postula un accertamento in fatto riservato al giudice di merito e che tale apprezzamento è, come tale, censurabile in sede di legittimità solo per vizio (nella specie, neppure dedotto con la dovuta specificità) di motivazione, risulta, in effetti, evidente che, se il contratto di locazione – stipulato tra la concedente e la società poi assoggettata ad amministrazione straordinaria – non è risultato, in fatto, funzionalmente collegato alle operazioni societarie che, in precedenza, avevano determinato la cessione degli immobili sociali all’opponente, depauperando il patrimonio
della società alienante (nella misura corrispondente al loro valore ed al netto dei vantaggi eventualmente conseguiti), non può, di conseguenza, ritenersi, in diritto, che tale contratto (il quale, in effetti, in difetto della sicura emergenza di circostanze diverse, come la misura abnorme dei canoni pattuiti, neppure illustrate in ricorso con la necessaria specificità, non ha prodotto altro effetto che non sia stato quello di attribuire alla società poi dichiarata insolvente il godimento del bene in precedenza ceduto) sia stato parte della invocata operazione distrattiva e sia, come tale, nullo per violazione delle corrispondenti norme incriminatrici.
5. Con il secondo motivo si deduce la ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 9 legge n. 192 del 18.06.1998 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ‘ 5.1. Si evidenzia da parte della ricorrente che il Tribunale, lungi dall’esaminare ed approfondire, anche sul punto qui da ultimo in esame, le inequivocabili e copiose risultanze documentali allegate in atti, avrebbe disatteso l’ulteriore eccezione di nulli tà dei contratti di locazione formulata dall’odierna ricorrente sul presupposto, peraltro conclamato, della palese violazione dell’art. 9 l. n.192/1998, limitandosi ad un mero ed ermetico richiamo ad un precedente di legittimità.
5.2 Sostiene la ricorrente che l’applicazione dell’art. 9 della legge n. 192/98 avrebbe una portata generale e non limitata ai soli contratti di subfornitura in quanto espressione del principio di buona fede e correttezza contrattuale e perciò finalizzata al l’individuazione dei limiti che l’ordinamento pone nei contratti di impresa a tutela di quella parte contrattuale che si trovi, rispetto all’altra, in posizione di dipendenza economica dal momento che , in primo luogo, il divieto di abuso di dipendenza economica di cui alla legge sulla subfornitura costituisce peculiare applicazione di un principio generale che si vorrebbe caratterizzasse l’intero sistema dei rapporti di mercato. Ricorda , inoltre, che non casualmente il comma 3bis dell’art. 9 richiama l’applicabilità della L. 10 ottobre 1990, n. 287, art. 3, per i casi in cui l’abuso di dipendenza economica assuma un rilievo che vada oltre gli interessi coinvolti nel singolo rapporto contrattuale, mettendo in questione in termini più ampi le esigenze di tutela della concorrenza. Ne conseguirebbe, secondo la prospettazione della ricorrente, che l’abuso di dipendenza economica di cui alla L. n. 192 cit.,
art. 9 potrebbe venire in considerazione in un ambito più ampio di quello formato dalle parti del singolo contratto, per estendersi al rapporto commerciale più complesso in cui esso si inserisca, qualora proprio tramite tale rapporto si realizzi l’abuso. I potesi queste ultime che esattamente si sarebbero verificate nel caso di specie, non potendosi revocare in dubbio che le condizioni imposte nei contratti di locazione in esame avessero comportato un eccessivo ‘squilibrio di diritti e di obblighi’ ai danni della RAGIONE_SOCIALE, tali da comportare la nullità dell’intero negozio giuridico.
5.3 Il motivo è infondato.
5.3 .1 L’abuso di dipendenza economica, di cui all’art. 9 della l. n. 192 cit., è, infatti, nozione indeterminata il cui accertamento postula l’enucleazione della causa concreta della singola operazione che il complessivo regolamento negoziale realizza, secondo un criterio teleologico di valutazione, in via di fatto, della liceità dell’interesse in vista del quale il comportamento è stato tenuto, sicché, nell’applicazione della norma, è necessario: – quanto alla sussistenza della situazione di ‘ dipendenza economica ‘, indagare se lo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti sia ‘ eccessivo ‘, essendo il contraente che lo subisce privo di reali alternative economiche sul mercato (p. es., perché impossibilitato a differenziare agevolmente la propria attività o per avere adeguato l’organizzazione e gli investimenti in vista di quel rapporto); quanto all” abuso ‘, indagare la condotta arbitraria contraria a buona fede, ovvero l’intenzionalità di una vessazione perpetrata sull’altra impresa, in vista di fini esulanti dalla lecita iniziativa commerciale retta da un apprezzabile interesse dell’impresa dominante (quale, p. es., modificare le proprie strategie di espansione, adattare il tipo o la quantità di prodotto, o anche spuntare migliori condizioni), mirando la condotta soltanto ad appropriarsi del margine di profitto altrui (Cass. n. 1184 del 2020). Il divieto di abuso di dipendenza economica previsto dall’art. 9 della l. n. 192/1998, avendo il duplice scopo di riequilibrare la posizione di forza nel singolo contratto e di tutelare i meccanismi concorrenziali del mercato, presuppone, in definitiva, la sussistenza di una disparità di potere contrattuale tale da determinare un eccessivo squilibrio nelle rispettive prestazioni, di cui costituisce elemento sintomatico la mancanza di reali possibilità di reperire
nel mercato alternative soddisfacenti, nonché l’abuso di tale situazione, che ricorre allorché la condotta arbitraria sia contraria a buona fede, ovvero sia volta, in vista di fini esulanti dalla lecita iniziativa commerciale retta da un apprezzabile inter esse dell’impresa dominante, ad appropriarsi del margine di profitto altrui (Cass. n. 27435 del 2024).
5.3 .2 Il tribunale, lì dove ha ritenuto l’infondatezza dell’eccezione di nullità sul rilievo, in fatto, che difettava tanto ‘ la prova dello stato di dipendenza economica dell’originario conduttore RAGIONE_SOCIALE rispetto a RAGIONE_SOCIALE ‘, quanto, in particolare, ‘ la prova dell’impossibilità per il conduttore di reperire valide alternative sul mercato ‘, si è, dunque, attenuto ai principi esposti, con una decisione che si sottrae, come tale, ai rilievi critici sollevati sul punto dalla ricorrente, rilievi peraltro versati in fatto e volti ad un nuovo scrutinio della quaestio facti (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017).
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e precisamente degli artt. 113 e 115 cod. proc. civ. e 2697 c.c.
6.1 Ritiene la ricorrente che, in merito al risarcimento dei danni richiesto dalla allora ricorrente CVE, il Tribunale, dopo aver affermato che “la ricorrente si sarebbe dovuta attivare e proporre un accertamento tecnico preventivo nel contraddittorio delle parti ‘, avrebbe dovuto , come conseguenza ineluttabile, affermare: a) la necessità del contraddittorio tra le parti, sia ai fini della valutazione e della determinazione dello stato dei luoghi che, successivamente, dell’accertamento degli eventuali danni; b) l’inattendibilità della perizia di parte, in mancanza di contraddittorio ed in presenza di specifiche contestazioni nel merito; c) la necessità (disattesa) di consentire alla Amministrazione Straordinaria di potersi difendere; d) la necessità di un soggetto terzo che potesse validamente descrivere lo stato dei luoghi e stimare l’eventuale danno.
6.2 Il Tribunale ha invece accertato il danno poi ammesso al passivo sulla base di una sola perizia di parte; né esiste nel decreto impugnato alcuna
valida motivazione che spieghi perchè i dati e le risultanze della perizia depositata dalla CVE potessero essere ritenuti in qualche modo congrui e condivisibili, assurgere al rango di fonte di prova ed essere posti a base della decisione.
6.3 Ricorda la ricorrente, richiamando giurisprudenza di legittimità, che la consulenza di parte, ancorché confermata sotto il vincolo del giuramento (giuramento che nel caso di specie mancava), costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio; avrebbe perciò errato il Tribunale nel valutare la perizia di parte, quale fonte di prova ex art. 2697 c.c. e 115 cod. proc. civ., in aperta violazione dell’art. 360 n. 3, medesimo codice di rito.
6.4 Il motivo presenta al tempo stesso profili di infondatezza e di inammissibilità.
6.4.1 Quanto ai primi ed in relazione alla contestata valenza probatoria della consulenza di parte, occorre ricordare che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il giudice del merito ben può porre a fondamento della propria decisione una perizia stragiudiziale, anche se contestata dalla controparte, purché fornisca adeguata motivazione di tale sua valutazione, attesa l’esistenza, nel vigente ordinamento, del principio del libero convincimento del giudice (cfr. Cass. Sez. 1, 01/09/2023, n. 25593).
Ebbene, il Tribunale ha spiegato, nella impugnata decisione, che la perizia di parte era stata confermata, nelle sue conclusioni, dal contenuto del verbale di riconsegna ( che aveva attestato che l’i mmobile si trovava in evidente stato di degrado) e da molti riscontri fotografici, che avevano evidenziato la condizione di grave abbandono certamente risalente nel tempo dell’immobile . Si tratta di un accertamento in fatto che non può essere sindacato in questo giudizio di legittimità, tanto meno evocando il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., con la conseguenza che le doglianze qui proposte si risolvono in una nuova richiesta di apprezzamento della quaestio facti , come tale inammissibile in questo giudizio di legittimità (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017;Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14 /1/2019).
6.4.2 Le ulteriori censure, articolate in relazione a presunti obblighi di manutenzione straordinaria a carico del conduttore, sono invece inammissibili in quanto articolate per la prima volta in questo giudizio di cassazione e perché comunque richiedenti un nuovo scrutinio in fatto della vicenda processuale sottoposta al vaglio di legittimità.
È stato altresì presentato ricorso incidentale.
7.1 Con il primo motivo si denuncia la ‘violazione o falsa applicazione dell’art. 1227 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’
Si ritiene da parte della ricorrente incidentale che il decreto impugnato sia viziato ai sensi dell’art. 1227 c.c. nella parte in cui, dopo aver premesso che i riscontri fotografici ‘attestano effettivamente la condizione di grave abbandono certamente risalente nel tempo dell’immobile (la quale non era verosimile che potesse essersi prodotta nel lasso di tempo di pochi mesi intercorrente tra la data di riconsegna avvenuta a fine novembre 2020 e la data della perizia conclusa a fine marzo 2021) ‘ , ciononostante ha poi concluso con il ‘valutare prudenzialmente il pregiudizio subito dalla ricorrente in misura pari alla metà’. Risulterebbe dunque evidente che la soluzione adottata non ha tenuto conto, in primo luogo, di quanto previsto in materia di responsabilità concorrente dall’art. 1227 c.c. ; inoltre non sarebbe stato minimamente rispettato il criterio di proporzione dettato dalla norma nella quantificazione della misura del contributo colposo, laddove il giudice di prime cure ha assunto una decisione apodittica (abbattimento del 50%), senza alcuna valutazione specifica e senza alcuna coerenza rispetto ai canoni della gravità della condotta concorrente e delle relative conseguenze.
7.2 Propone la società ricorrente un ulteriore motivo di ricorso in via incidentale, denunciando la ‘ nullità del decreto emesso in violazione degli artt. 132 co. 1, c.p.c., 118 disp. att., c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c .’ . 7.3. Deduce infine, sempre ‘ in via di ricorso incidentale, alternativo vizio di motivazione ‘ dell’impugnato provvedimento ‘ per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 n. 5, c.p.c.’ .
Sostiene la ricorrente incidentale che -qualora il Tribunale avesse compiutamente esaminato, oltre che ai fini della prova del danno anche ai fini
della misurazione del contributo causale delle parti, tutti gli elementi e la documentazione depositata, ovvero in particolare (i) il verbale di riconsegna nel quale già si dava atto concordemente che l’immobile era in evidente stato di degrado, (ii) la perizia e i riscontri fotografici in cui si rappresentavano severi danni all’immobile, che si presentava in pessime condizioni, quale risultato di molti anni di incuria – allora non avrebbe potuto giungere alla conclusione che il solo ‘presumibile aggravio del danno’ (eventualmente verificatosi nei tre mesi successivi alla riconsegna in cui l’immobile era stato posseduto da CVE) poteva essere pari al 50% del danno complessivamente subito dall’immobile stesso.
7.4 I motivi del ricorso incidentale – che possono essere esaminati congiuntamente, stante la stretta connessione delle questioni prospettate sono all’evidenza inammissibili.
Occorre ricordare che il Tribunale, sul punto qui da ultimo in esame, ha statuito che: ‘Gli elementi sopra considerati, la perizia solo di parte in assenza di contraddittorio con la controparte, effettuata a distanza di mesi dall’avvenuto rilascio dell’immobile, nonchè l’ulteriore protrarsi dello stato di abbandono del bene in assenza di misure anche temporanee volte a limitarlo e, quindi, il presumibile aggravio del danno, inducono a valutare prudenzialmente il pregiudizio subito dalla ricorrente in misura pari alla metà di quanto quantificato dal CTP di parte’ .
Come è dato riscontrare, la motivazione spesa dal Tribunale, seppur succintamente, è stata espressa in modo chiaro in ordine alle ragioni della riduzione del danno, ai sensi dell’art. 1227 c.c., con un apprezzamento in fatto, che non può essere rimesso qui in discussione nel giudizio di legittimità. Senza contare che, per quanto sopra ricordato, tra le ragioni della ‘riduzione’ era stata indicata anche la non affidabilità della perizia di parte in assenza di contraddittorio, ratio decidendi che, invece, è stata trascurata nei motivi di censura qui in esame.
8. In conclusione, per tutto quanto sopra esposto, il ricorso principale deve essere rigettato, mentre il ricorso incidentale risulta inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate, in ragione della soccombenza reciproca.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale e di quella incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale; compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 14.3.2025