Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3579 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2   Num. 3579  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/02/2024
R.G.N. 34976/18
U.P. 30/1/2024
SENTENZA
Vendita -Preliminare -Risoluzione -Danno da occupazione senza titolo -Restituzione mobili -Nullità per indeterminatezza dell’oggetto sul ricorso (iscritto al N.NUMERO_DOCUMENTO) proposto da: RAGIONE_SOCIALE  (P.IVA:  P_IVA),  in  persona  del  suo legale  rappresentante pro -tempore ,  rappresentata  e  difesa, giusta procura  in  calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
– ricorrente –
contro
COGNOME  NOME  (C.F.:  CODICE_FISCALE),  COGNOME NOME  (C.F.:  CODICE_FISCALE)  e  COGNOME  NOME (C.F.:  CODICE_FISCALE),  rappresentati  e  difesi,  giusta procura in calce al controricorso con ricorso incidentale
condizionato,  dall’AVV_NOTAIO,  nel  cui  studio  in COGNOME, INDIRIZZO, hanno eletto domicilio;
-controricorrenti e ricorrenti incidentali –
avverso la  sentenza  della  Corte  d’appello  di  COGNOME  n. 1653/2018, pubblicata il 7 agosto 2018, notificata a mezzo PEC il 5 ottobre 2018;
udita la  relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30 gennaio 2024 dal AVV_NOTAIO relatore NOME COGNOME;
viste le  memorie  illustrative  depositate  nell’interesse  delle parti, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.;
sentite le conclusioni rassegnate  nel  corso  dell’udienza pubblica  dal  P.M.,  in  persona  del  AVV_NOTAIO, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato;
sentiti ,  in  sede  di  discussione  orale  all’udienza  pubblica, l’AVV_NOTAIO per la ricorrente e l’AVV_NOTAIO per i controricorrenti e ricorrenti incidentali.
FATTI DI CAUSA
1. -Con  atto  di  citazione  notificato  il  4  dicembre  2006, COGNOME  NOME  conveniva,  davanti  al  Tribunale  di  COGNOME,  la RAGIONE_SOCIALE al fine di sentire pronunciare il trasferimento coattivo, in suo favore, della proprietà della villa che insisteva al foglio  di  mappa  n.  11,  particella  n.  1237,  in  forza  dell’impegno assunto dal promittente alienante con il preliminare di vendita di cui  alla  scrittura  privata  del  15  gennaio  2004,  per  il  prezzo
complessivo pattuito di euro 1.240.000,00, offrendo il pagamento del  saldo  ammontante ad euro 983.400,00, compresi gli oneri a carico della società venditrice (sanatoria, oblazione relativa, cancellazione dell’ipoteca, costo del muro, ecc.), anche mediante corresponsione  diretta  alla  RAGIONE_SOCIALE, nei limiti della quota del credito gravante sull’immobile.
Con separato ricorso, depositato il 29 gennaio 2007, instava per l’autorizzazione del sequestro giudiziario della villa insistente sulla particella n. 1237, già detenuta dal giugno 2004.
Con ordinanza depositata il 27 aprile 2007, il Tribunale adito disattendeva la richiesta di concessione del provvedimento cautelare  assicurativo,  decisione  confermata  in  sede  di  reclamo con ordinanza depositata il 30 luglio 2007.
Si costituiva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, la quale contestava le domande avversarie e, in via riconvenzionale, chiedeva che venisse pronunciata la risoluzione dei contratti preliminari, conclusi tra le parti rispettivamente con scritture private del 15 gennaio 2004 e del 23 marzo 2004, per grave inadempimento del promissario acquirente, e che quest’ultimo fosse condannato all’immediato rilascio, con tutti gli arredi, corredi, mobili e suppellettili, in favore della promittente alienante, della villa unifamiliare oggetto di causa, detenuta dall’attore senza titolo, nonché al pagamento della somma di denaro dovuta per l’occupazione abusiva dell’immobile, sino alla sua effettiva consegna.
Nel corso del giudizio decedeva l’attore e, in conseguenza, intervenivano  volontariamente  in  giudizio  gli  eredi  COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Con ordinanza istruttoria depositata il 21 aprile 2008, erano ammesse le richieste di prova articolate dalle parti e, in particolare, l’interrogatorio formale deferito al legale rappresentante della società convenuta, l’ordine di esibizione documentale dell’originale della scrittura privata del 23 marzo 2004 e la prova testimoniale chiesta da entrambe le parti, mentre ogni decisione sull’ammissione della consulenza tecnica d’ufficio era riservata all’esito dell’assunzione della prova costituenda ammessa.
Successivamente gli intervenienti modificavano la domanda da  esecuzione  in  forma  specifica  del  contratto  preliminare  in risoluzione  del  preliminare  di  vendita  per  inadempimento  del promittente alienante.
Si  dava  poi  atto  che,  nelle  more,  l’immobile  era  stato rilasciato in favore di una società terza -la RAGIONE_SOCIALE -, che  aveva  stipulato  con  la  RAGIONE_SOCIALE  altro  preliminare  di vendita.
All’esito, la RAGIONE_SOCIALE rappresentava che le controparti, al  momento del rilascio, avevano spogliato la villa di tutti i beni mobili e che, per l’effetto, era stata sporta querela, depositando verbale di perquisizione e sequestro in data 14 ottobre 2009, che dava  atto  del  ritrovamento  di  parte  dei  mobili  nella  casa  degli intervenienti.
In prosieguo di causa erano precisate le conclusioni, senza che la prova orale ammessa fosse assunta.
Quindi,  il  Tribunale  adito,  con  sentenza  n.  1236/2013, depositata il 21 marzo 2013: 1) dichiarava l’inammissibilità della domanda mutata di risoluzione del preliminare di vendita proposta
dagli eredi del promissario acquirente, in quanto l’inadempimento dedotto era fondato su fatti nuovi, escludendo altresì che si fosse determinata alcuna sopravvenuta impossibilità dell’oggetto imputabile al promittente venditore (in ragione della rinunzia alla sanatoria e dell’intervenuta autorizzazione alla demolizione); 2) rigettava la domanda risarcitoria spiegata dalla RAGIONE_SOCIALE -limitata alla riparazione del nocumento da occupazione sine titulo -in difetto di alcuna prova sull’ an debeatur , per sopravvenuta cessazione dell’interesse alla sua coltivazione, non avendo essa insistito nello svolgimento dell’attività istruttoria ed avendo trasferito l’immobile a terzi.
2. -Con atto di citazione notificato il 5 maggio 2014, proponeva appello la RAGIONE_SOCIALE, la quale lamentava: che il Tribunale non si era pronunciato sulla domanda di risoluzione dei contratti preliminari del 15 gennaio 2004 e del 23 marzo 2004; – che non vi era stata alcuna statuizione sulla domanda della convenuta di condanna alla restituzione degli arredi, corredi, mobili e suppellettili presenti nella villa al momento dell’occupazione; – che erroneamente era stato ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE non avesse reiterato le richieste istruttorie o, comunque, vi avesse rinunciato; – che erroneamente era stata esclusa la dimostrazione dell’ an debeatur e del quantum della domanda di condanna al risarcimento per occupazione abusiva da giugno 2004 al 30 settembre 2008; – che non si era tenuto conto della sentenza penale del Tribunale di COGNOME n. 2911/2013 del 16 maggio 2013, che -pur avendo assolto gli eredi di COGNOME NOME dai reati ascrittigli per la sola carenza dell’elemento soggettivo -aveva rilevato che la villa era stata gravemente
danneggiata  nonché  privata  di  tutti  gli  arredi,  corredi,  mobili  e suppellettili di pregio, di proprietà della RAGIONE_SOCIALE.
Si costituivano nel giudizio di impugnazione COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali concludevano per la declaratoria di inammissibilità dell’appello e, nel merito, per il suo rigetto; spiegavano altresì appello incidentale, con cui chiedevano che fosse dichiarata la nullità dei contratti preliminari per impossibilità di identificare il loro oggetto, in mancanza dell’indicazione dei confini e dei dati catastali relativi alla porzione di terreno venduta annessa alla villa e non esattamente identificata, se non nei limiti di una superficie di mq. 3.000, a fronte della maggiore estensione complessiva di mq. 4.600.
Decidendo  sul  gravame  interposto,  la  Corte  d’appello  di COGNOME,  con  la  sentenza  di  cui  in  epigrafe,  respingeva  sia l’appello principale sia l’appello incidentale e, per l’effetto, confermava integralmente la sentenza impugnata.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte territoriale rilevava, per quanto interessa in questa sede: a ) che la domanda nuova di accertamento della nullità dei preliminari per indeterminatezza dell’oggetto, in ordine alla identificazione del bene oggetto della promessa, bene pacificamente occupato dagli eredi del promissario acquirente, era manifestamente infondata, poiché il riferimento alla compiuta individuazione del cespite, previo scorporo -tramite frazionamento da effettuare a cura dei tecnici incaricati dalle parti -di una minore superficie che sarebbe rimasta in proprietà della venditrice, non escludeva la determinabilità dell’oggetto, anche in ragione dell’indicazione degli estremi catastali (foglio n. 11, particella n. 1237), della superficie
da distaccare e dell’emarginazione dei manufatti oggetto di trasferimento insistenti sul terreno e, segnatamente, della villa dell’estensione di mq. 500, con relative pertinenze; b ) che, inoltre, la domanda di risoluzione avanzata dall’appellante principale era infondata, in quanto basata su fatti -il mancato raggiungimento di un accordo tra la promittente venditrice e la sua creditrice RAGIONE_SOCIALE per la cancellazione delle ipoteche gravanti sull’immobile , il cui verificarsi non poteva essere posto in rapporto di causalità con la lamentata inerzia del promissario acquirente, il quale non aveva prestato alcun obbligo di garanzia al riguardo, ma aveva soltanto manifestato la propria disponibilità a trattare nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE; c ) che, infatti, doveva essere il promittente alienante a garantire la libertà del bene dai vincoli pregiudizievoli analiticamente indicati in contratto; d ) che anche la domanda di condanna alla restituzione delle suppellettili esistenti all’interno della villa occupata dagl i appellati doveva essere disattesa, in ragione della genericità della pretesa azionata, priva dell’indicazione dei beni che avrebbero dovuto essere restituiti, i quali non potevano essere individuati in quelli sequestrati dai Carabinieri in esecuzione del decreto emesso dalla Procura della Repubblica di COGNOME il 23 settembre 2009, in assenza di una specifica allegazione in tal senso e in difetto di prova che i beni sequestrati fossero effettivamente provento del contestato reato di ‘furto’; e ) che, all’u opo, non poteva essere disposto l’espletamento della prova orale articolata in primo grado dall’appellante principale, in quanto era stata omessa l’allegazione della sua rilevanza ai fini del decidere; f ) che era inammissibile, in quanto del tutto nuova, la pretesa risarcitoria fondata
sull’ingiustificato  arricchimento  degli  appellati; g )  che  dovevano essere respinte le obiezioni mosse avverso il rigetto della domanda di risarcimento da occupazione senza titolo dell’immobile,  considerati  i  non  contestati  effetti  anticipati  del contratto  ed  in  assenza  di  prova  che  gli  eredi  del  promissario acquirente  avessero  effettivamente  occupato  parti  di  immobile non contemplate negli accordi preliminari.
-Avverso  la  sentenza  d’appello  ha  proposto  ricorso  per cassazione, affidato a quattro motivi, la RAGIONE_SOCIALE
Hanno  resistito,  con  controricorso,  gli  intimati  COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che hanno proposto ricorso incidentale condizionato, articolato in un unico motivo.
4. -Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 c.p.c. e 1362 e ss. c.c., con omessa pronuncia, per avere la Corte di merito pronunciato su domanda diversa da quella proposta da RAGIONE_SOCIALE, non avendo quest’ultima contestato l’inadempimento del promissario acquirente ad un’obbligazione di risultato consistente nel raggiungimento di un accordo con la creditrice ipotecaria -, ma ad una mera obbligazione di mezzi -rappresentata dalla presentazione di una proposta transattiva verso tale creditrice -.
Obietta,  in  proposito,  l’istante  che  la  sentenza  impugnata avrebbe modificato la causa petendi della domanda e non avrebbe esattamente esaminato la rilevanza della mancata presentazione
della proposta transattiva e la gravità di questo specifico inadempimento nell’economia complessiva del contratto.
1.1. -Il motivo è infondato.
Infatti,  la  RAGIONE_SOCIALE  ha  richiesto  la  risoluzione  dei contratti  preliminari,  sottoscritti  rispettivamente  il  15  gennaio 2004 e il 23 marzo 2004, per inadempimento grave imputabile al promissario acquirente COGNOME NOME e, segnatamente, per non aver  questi  raggiunto  alcun  accordo  con  la  RAGIONE_SOCIALE  ai  fini  della cancellazione  delle  ipoteche  iscritte  sul  cespite  e  per  non  avere neppure formulato alcuna proposta transattiva alla RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE.
Ora, secondo le indicazioni riportate nel corpo del ricorso (e riprese nel corpo del controricorso), come comprovate dal contenuto del documento depositato unitamente al ricorso, con la scrittura privata del 23 marzo 2004 (integrativa del contratto preliminare di cui alla scrittura privata del 15 gennaio 2004), le parti avevano stabilito: – nella premessa, a pag. 3, che -allo scopo di accelerare la definizione delle trattative in corso –COGNOME NOME ‘si era dichiarato disponibile’ a presentare alla S.I .B., in nome proprio, ma nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE, una formale proposta per il pagamento di una somma a saldo e stralcio dell’intera esposizione debitoria della società; – sempre nella premessa, a pag. 3, che l’interesse del COGNOME alla presentazione della proposta alla RAGIONE_SOCIALE era direttamente collegato con la volontà di procedere all’acquisto della unità immobiliare di proprietà della RAGIONE_SOCIALE e, pertanto, le parti, nel reciproco interesse, intendevano disciplinare i rispettivi impegni nell’i potesi di accoglimento, da parte della RAGIONE_SOCIALE, della proposta transattiva presentata dal COGNOME; all’art. 2, che, subordinatamente al
raggiungimento di un accordo con la RAGIONE_SOCIALE per la definizione dell’importo da versare per la cancellazione delle iscrizioni ipotecarie, la RAGIONE_SOCIALE prometteva di vendere al COGNOME, che si impegnava ad acquistare, l’unità immobiliare emarginata; -all’art. 6, che le parti espressamente convenivano che, qualora la RAGIONE_SOCIALE avesse definito con la RAGIONE_SOCIALE un importo complessivo per la totale cancellazione delle ipoteche iscritte su tutte e tre le unità immobiliari site in località Giusino per un importo non superiore ad euro 1.250.000,00, il corrispettivo convenuto per la vendita sarebbe stato ridotto ad euro 1.110.000,00; all’art. 7, che l’atto pubblico di vendita avrebbe dovuto essere effettuato contestualmente al rilascio del consenso alla cancellazione delle iscrizioni ipotecarie ed alla rinuncia alle procedure in corso, entro 180 giorni dalla data della stipula del preliminare.
Dal tenore dei patti raggiunti risulta confermata, dunque, l’assenza di alcun puntuale obbligo assunto dal promissario acquirente, diretto a formulare una proposta transattiva verso la creditrice ipotecaria, bensì la mera esternazione della propria disponibilità a collaborare per il raggiungimento del risultato rappresentato dalla cancellazione delle ipoteche, cui era tenuta precipuamente la promittente alienante, risultato propedeutico alla conclusione del definitivo di vendita.
Con la conseguenza che nessun mutamento della domanda è  stato  erroneamente  effettuato  dalla  Corte  d’appello,  all’esito della  dinamica  comparazione  tra  il  tenore  letterale  della  pretesa azionata  (e,  in  specie,  rispetto  agli  inadempimenti  dedotti)  e  le argomentazioni spese per disattendere la sua fondatezza.
Piuttosto è stato negato che la domanda di risoluzione avanzata dall’appellante principale potesse essere accolta, appunto perché imperniata su circostanze -il mancato raggiungimento di un accordo tra la promittente venditrice e la sua creditrice RAGIONE_SOCIALE per la cancellazione delle ipoteche gravanti sull’immobile , il cui verificarsi non poteva essere posto in rapporto di causalità con la lamentata inerzia del promissario acquirente, il quale non aveva prestato alcun obbligo di garanzia al riguardo, ma aveva soltanto manifestato la ‘propria disponibilità’ a trattare nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE.
La Corte di merito, per l’effetto, prendendo atto dei termini attraverso cui era stato articolato l’accordo negoziale, e in fedele applicazione dei canoni ermeneutici del contratto, ha correttamente concluso nel senso che doveva essere il promittente alienante a garantire la libertà del bene dai vincoli pregiudizievoli analiticamente indicati in contratto, e non già il promissario acquirente, che si era limitato semplicemente a prestare la propria collaborazione in vista del raggiungimento dello scopo.
E ciò in termini assolutamente conformi alla causa petendi della spiegata azione di risoluzione per inadempimento.
2. -Con  il  secondo  motivo  la  ricorrente  contesta,  ai  sensi dell’art.  360,  primo  comma,  n.  5,  c.p.c.,  l’omesso  esame  di  un fatto  decisivo  per  il  giudizio  discusso  tra  le  parti,  per  avere  la Corte territoriale tralasciato di esaminare i termini della sentenza penale irrevocabile di assoluzione depositata da RAGIONE_SOCIALE in appello, quale documento sopravvenuto, nonché per avere ignorato il contenuto del verbale di sequestro preventivo penale,
che aveva preceduto la stessa sentenza, da cui si sarebbero potuti desumere  e  individuare  gli  specifici  beni  mobili  di  cui  era  stata lamentata la sottrazione dalla villa al momento del rilascio, beni oggetto della pretesa di restituzione.
Rileva la ricorrente che il verbale di sequestro, come evocato dalla sentenza penale di assoluzione, aveva indicato i beni rinvenuti nell’abitazione degli eredi di COGNOME NOME, che erano prima nella villa, e segnatamente due gazebi, come da foto, posti nel giardino dell’abitazione, otto copritermosifoni, un kit completo comprendente accessori da bagno di colore giallo, compreso di box doccia, un arredo per camino in legno, un mobile salone composto da due librerie con copritermosifone e sette porte in rovere massiccio.
2.1. -Il motivo è fondato.
A fronte dei dati riportati nella pronuncia penale e nel verbale di sequestro, la sentenza impugnata ha disatteso la domanda di restituzione per genericità della pretesa azionata, in quanto asseritamente priva dell’indicazione dei beni che avrebbero dovuto essere restituiti, i quali non avrebbero potuto essere individuati in quelli sequestrati dai Carabinieri in esecuzione del decreto emesso dalla Procura della Repubblica di COGNOME il 23 settembre 2009, in assenza di una specifica allegazione in tal senso e in difetto di prova che i beni sequestrati fossero effettivamente provento del contestato reato di ‘furto’.
Siffatta  motivazione  non  ha  tenuto  conto  degli  esiti  del giudizio  penale,  la  cui  sentenza  di  assoluzione  n.  2911/2013  del 16 maggio 2013, perché il fatto non costituisce reato, è divenuta irrevocabile  nel  corso  del  giudizio  di  gravame  (all’esito  delle
impugnazioni proposte, come  da  attestazione prodotta dalla ricorrente),  la  quale  ha  accertato  l’integrazione  degli  elementi oggettivi  relativi  alla  fattispecie  incriminatrice  di  appropriazione indebita ex art. 646 c.p. (e di danneggiamento ex art. 635 c.p.), ma  ha  escluso  l’elemento  subiettivo,  alla  stregua  della  ritenuta buona  fede  degli  eredi  del  promissario  acquirente  (in  quanto autorizzati al prelievo dalla RAGIONE_SOCIALE).
È stata, dunque, accertata l’asportazione dalla villa di alcuni beni mobili di proprietà della RAGIONE_SOCIALE, come ammesso dagli stessi imputati, al momento del rilascio del bene.
Né si è tenuto conto del verbale di perquisizione domiciliare e di sequestro del 14 ottobre 2009, in attuazione del decreto di perquisizione e sequestro dei beni ivi specificamente elencati del 23 settembre 2009, in quanto possibile provento di ‘furto’, in ragione della valutata corrispondenza tra i beni rinvenuti all’esito della perquisizione domiciliare svolta e l’elenco dei beni sottratti di cui all’allegato n. 5 della querela sporta da COGNOME NOME, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE.
Tale  verbale -unitamente  alla  querela  sporta  l’8  agosto 2009 -è stato prodotto dalla RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di primo grado,  con  la  memoria  del  4  novembre  2009,  all’esito  della deduzione del fatto sopravvenuto del rilascio dell’immobile, con la sottrazione  degli  arredi  e  delle  suppellettili  ivi  esistenti,  sicché l’oggetto  della  domanda  di  restituzione  è  stato  precisamente determinato sin da quando tale accadimento si è verificato.
L’omesso esame dei sottesi fatti controversi, da intendersi riferiti  a  precisi  accadimenti  o  a  precise  circostanze  in  senso storico-naturalistico, ossia alla sottrazione degli arredi e
suppellettili dalla villa e al loro rinvenimento presso l’abitazione degli imputati, la cui esistenza risulta dalla sentenza o dagli atti processuali che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti, ha assunto una portata decisiva nel disposto rigetto della domanda restitutoria per asserita genericità della pretesa, il che legittima l’accoglimento della doglianza (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 13024 del 26/04/2022; Sez. 6-1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022; Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Sez. 1, Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
3. -Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., con motivazione apparente sulla domanda di risarcimento danni da occupazione senza titolo, per avere la Corte distrettuale adottato argomentazioni autoreferenziali e basate su elementi privi di alcun riscontro negli atti e nei fatti di causa, omettendo di esaminare la richiesta di prova per testi sulla illegittima immissione in possesso da parte del COGNOME, il quale aveva adoperato un pretesto per immettersi nell’immobile ed occuparlo.
Osserva, sul punto, l’istante che nessuna delle parti avrebbe mai dedotto che il contratto avesse effetti anticipati, né nel corpo del contratto preliminare si sarebbe fatta menzione  di tale consegna anticipata.
Tanto più che la RAGIONE_SOCIALE aveva iniziato il giudizio per occupazione abusiva ed aveva chiesto prova per testi sull’illegittima immissione in ‘possesso’ da parte del COGNOME sulla scorta di uno stratagemma, avendo altresì contestato
l’occupazione  abusiva  con  lettera  raccomandata  del  30  marzo 2005,  occupazione  abusiva  a  cui  faceva  riferimento  anche  la sentenza penale di assoluzione.
3.1. -Il motivo è fondato.
La  sentenza  impugnata  ha,  infatti,  argomentato  il  rigetto della domanda di risarcimento danni da occupazione senza titolo dell’immobile, alla stregua della concordata esecuzione anticipata del contratto di vendita, per effetto della stipula dei preliminari, e della  corrispondenza  tra  l’oggetto  della  promessa  di  vendita  e l’ampiezza dei cespiti occupati.
Siffatte argomentazioni non risultano affatto supportate da alcun  riferimento  asseverativo  ed  appaiono  irrimediabilmente  in contrasto  con  le  risultanze  di  causa  (essendo  pacifico  che  i preliminari non prevedevano  alcuna consegna  anticipata del cespite).
Orbene, in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022; Sez. L, Ordinanza n. 3819 del 14/02/2020; Sez. 6-5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019; Sez. 6-3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Sez. L, Sentenza n. 25866 del 21/12/2010).
Ciò che appunto è accaduto nella fattispecie.
4. -Con  il  quarto  motivo  la  ricorrente  si  duole,  ai  sensi dell’art. 360,  primo  comma,  n.  4,  c.p.c.,  della  nullità  della sentenza  per  violazione  degli  artt.  112  e  183,  settimo  comma, c.p.c., con omessa pronuncia sulle richieste istruttorie, per avere la  Corte  del  gravame  errato  nel  ritenere  che  le  prove  orali articolate fossero inammissibili, in quanto la RAGIONE_SOCIALE avrebbe omesso di allegarne la rilevanza ai fini del decidere.
E  ciò  perché  sarebbe  demandato  al  giudice  di  valutare l’ammissibilità  e  la  rilevanza  dei  mezzi  istruttori  richiesti  dalle parti, sicché la rilevanza dei capitoli sarebbe emersa immediatamente dalla loro lettura.
Segnatamente, con la reiterata richiesta di prova per testi, mediante audizione del testimone indicato e sul capitolo testualmente riportato nel corpo del ricorso, sarebbe stata domandata l’ammissione della prova sul fatto che il COGNOME avesse chiesto e ottenuto le chiavi dell’immobile soltanto per le necessarie constatazioni, ai fini di eventuali interventi, ma di fatto lo avesse occupato per abitarlo con la famiglia, mantenendo tutto il mobilio di proprietà della famiglia COGNOME che lì era rimasto.
Né  il  giudice  avrebbe  provveduto  sull’ammissione  della consulenza  tecnica  d’ufficio,  volta  a  quantificare  l’indennità  di occupazione.
4.1. -Il motivo è inammissibile.
E  ciò  perché,  secondo  lo  stesso  assunto  della  ricorrente, tale prova orale era stata già richiesta nel giudizio di primo grado con la memoria ex art. 183, sesto comma, n. 2, c.p.c., depositata il  18  maggio  2007,  ed  ammessa  con  ordinanza  depositata  il  21 aprile 2008.
Senonché il Tribunale non ha mai provveduto all’assunzione,  all’esito  della  richiesta  congiunta  delle  parti  di fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni o, comunque,  in  difetto  di  una  specifica  istanza  volta  ad  insistere nell’assunzione.
D’altronde parte ricorrente non ha puntualmente contestato l’ordinanza  che  ha  disposto  la  precisazione  delle  conclusioni  nel giudizio di primo grado, senza l’assunzione delle prove ammess e, se  non  con  l’atto  di  gravame  (e  non  già  al  momento  della precisazione delle conclusioni davanti al Tribunale).
Infatti, il mero generico richiamo alle memorie istruttorie in sede di precisazione delle conclusioni non è significativo, a fronte di una prova costituenda già ammessa, della puntuale volontà di insistere  nella  sua  assunzione.  Solo  successivamente  la  stessa prova  è  stata  reiterata  dall’appellante  principale  nel  giudizio  di impugnazione,  contestando  che  avesse  mai  abdicato  alla  prova orale.
Ora,  osta  alla riproposizione in appello della prova  la decadenza o la rinunzia  ad  essa  da  parte  dell’interessato  (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2749 del 02/08/1968).
Sennonché  la  reciproca  e  concorde  richiesta  delle  parti  di fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni, senza più instare per l’espletamento del mezzo di prova, con l’adesione del giudice che ha disposto la precisazione delle conclusioni, integra la presunzione di abdicazione alla prova ammessa per inattività delle parti.
Tale rinuncia acquista efficacia per effetto del consenso del giudice implicitamente espresso con il provvedimento di chiusura
dell’istruttoria e di remissione della causa in decisione (Cass. Sez. 1,  Ordinanza  n.  10797  del  04/05/2018;  Sez.  3,  Sentenza  n. 18688 del 06/09/2007; Sez. 2, Sentenza n. 12241 del 19/08/2002; Sez. L, Sentenza n. 550 del 24/01/1981).
In esito, non ricorre alcuna omessa pronuncia sulla richiesta di ammissione della consulenza tecnica d’ufficio volta a dimostrare il quantum debeatur , avendo il giudice di merito ritenuto che non vi  fosse  la  prova  dell’ an (trattandosi,  dunque,  di  un  effetto meramente riflesso).
5. -Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato i controricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, c.p.c., la nullità del preliminare e la nullità della sentenza per violazione degli artt. 1418, 1325, n. 3, 1346 e 1362 e ss. c.c., con vizio motivazionale, per avere la Corte d’appello ritenuto che il cespite fosse stato compiutamente individuato, benché il terreno annesso alla villa, della complessiva superficie di mq. 4.600, fosse stato indicato attraverso il generico riferimento all’area di mq. 3.000, che avrebbe dovuto costituire oggetto di scorporo.
Deducono, al riguardo, i controricorrenti che, trattandosi di un contratto preliminare, l’oggetto del negozio avrebbe dovuto essere determinato e completo in tutti i suoi punti o almeno nei suoi elementi essenziali, che nella specie sarebbero mancati, non essendo stata determinata la superficie da staccare in favore della parte promissaria acquirente, né dalla scrittura sarebbero risultati i criteri per determinarla, in assenza di una convergenza totale tra le parti sul frazionamento da adottare nel definitivo.
5.1. -Il motivo è infondato.
Sul punto, la sentenza impugnata ha respinto la domanda di accertamento della nullità dei preliminari per indeterminatezza dell’oggetto, in ordine alla identificazione del bene oggetto della promessa, bene pacificamente occupato dai promissari acquirenti, poiché il riferimento alla compiuta individuazione del cespite, previo scorporo -tramite frazionamento da effettuare a cura dei tecnici incaricati dalle parti -di una minore superficie che sarebbe rimasta in proprietà della venditrice, non avrebbe escluso la determinabilità dell’oggetto, anche in ragione dell’indicazione degli estremi catastali (foglio n. 11, particella n. 1237), della superficie da distaccare e dell’emarginazione dei manufatti oggetto di trasferimento insistenti sul terreno e, segnatamente, della villa dell’estensione di mq. 500, con relative pertinenze.
Ebbene, il preliminare del 23 marzo 2004 identificava il cespite con la villa realizzata su due elevazioni fuori terra, della superficie di mq. 500 circa, insistente su un lotto di terreno di mq. 3.000 circa (a fronte di una maggiore estensione del terreno per mq. 4.600), iscritta in catasto alla partita n. 1282093, particella n. 1237, con relative pertinenze, costituite da piscina, cappella e dependance, nella situazione esistente e ben nota alla parte promissaria acquirente.
In  proposito,  si  evidenzia  che,  ai  fini  della  validità  del contratto preliminare, non è indispensabile la completa e dettagliata  indicazione  di  tutti  gli  elementi  del  futuro  contratto, risultando  sufficiente  l’accordo  delle  parti  su  quelli  essenziali.  In particolare,  nel  preliminare  di  compravendita  immobiliare,  per  il quale  è  richiesto ex  lege l’atto  scritto  come  per  il  definitivo,  è sufficiente che dal documento risulti, anche attraverso il rimando
ad elementi esterni ma idonei a consentirne l’identificazione in modo inequivoco, che le parti abbiano inteso fare riferimento ad un bene determinato o, comunque, determinabile, la cui indicazione pertanto, attraverso gli ordinari elementi identificativi richiesti per il definitivo, può altresì essere incompleta o mancare del tutto, purché l’intervenuta convergenza delle volontà risulti, sia pure aliunde o per relationem , logicamente ricostruibile (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 11297 del 10/05/2018; Sez. 2, Sentenza n. 2473 del 01/02/2013; Sez. 2, Sentenza n. 8810 del 30/05/2003; Sez. 2, Sentenza n. 7935 del 23/08/1997; Sez. 2, Sentenza n. 6570 del 10/06/1991; Sez. 2, Sentenza n. 5716 del 27/06/1987).
Nella fattispecie, secondo la ricostruzione della Corte d’appello, conforme al precetto innanzi enunciato, l’intervenuta convergenza delle volontà sull’individuazione dell’esatta superficie di mq. 3.000, annessa alla villa, a fronte della maggiore estensione del terreno compreso nella particella n. 1237 di mq. 4.600, risultava, sia pure aliunde o per relationem , logicamente ricostruibile; e ciò attraverso: a ) il richiamo allo scorporo all’esito di frazionamento da effettuare a cura dei tecnici incaricati dalle parti (evidentemente prima della stipulazione del definitivo); b ) il riferimento ai manufatti oggetto di trasferimento insistenti sul terreno e, segnatamente, della villa dell’estensione di mq. 500, con relative pertinenze (costituite da piscina, cappella e dependance), nella situazione esistente e ben nota alla parte promissaria acquirente, che nelle more ne aveva acquisito la disponibilità.
6. -In  definitiva,  il  secondo  e  il  terzo  motivo  del  ricorso principale devono  trovare accoglimento, nei sensi di cui in
motivazione,  mentre  il  primo  motivo  va  rigettato  e  il  quarto  va dichiarato inammissibile. Ancora, il ricorso incidentale condizionato va rigettato.
La sentenza impugnata deve, dunque, essere cassata, con rinvio  della  causa  alla  Corte  d’appello  di  COGNOME,  in  diversa composizione,  che  deciderà  uniformandosi  agli  enunciati  principi di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -,  da parte dei controricorrenti e ricorrenti incidentali, di un ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo  unificato  pari  a  quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.  Q.  M.
La Corte Suprema di Cassazione
accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il secondo e il terzo motivo  del  ricorso  principale,  rigetta  il  primo  motivo  e  dichiara l’inammissibilità  del  quarto  motivo,  rigetta  il  ricorso  incidentale condizionato, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti,  e  rinvia  la  causa  alla  Corte  d’appello  di  COGNOME,  in diversa  composizione,  anche  per  la  pronuncia  sulle  spese  del giudizio di legittimità.
Ai  sensi  dell’art.  13,  comma  1 -quater ,  del  d.P.R.  n.  115  del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei controricorrenti e ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  della  Seconda