Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9803 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9803 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 1555-2023 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria n. 6/2015 (C.F. P_IVA), con sede in Imola, INDIRIZZO, in persona dei Commissari Straordinari dott. NOME COGNOME, dott. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME del Foro di Roma ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma in INDIRIZZO giusta procura rilasciata in atti.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE con sede legale in Milano, 20123, INDIRIZZO, C.F. P_IVA, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME rappresentata e difesa, anche disgiuntamente tra loro, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura speciale in calce al controricorso, elettivamente domiciliata presso i medesimi avvocati con Studio in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso il decreto pronunciato in data 6.12.2022 dal Tribunale di Bologna, comunicato in data 6.12.2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/3/2025
dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con il decreto impugnato il Tribunale di Bologna, decidendo sull’opposizione allo stato passivo promosso da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria , ha accolto l’impugnazione così proposta e, modificando lo stato passivo della procedura convenuta, ha ammesso la società istante in prededuzione ex art. 111 l. fall. per complessivi Euro 784.197,27, oltre IVA per Euro 172.523,40, per un totale di Euro 956.720,67, a titoli di canoni di locazione dal 01/02/2019 al 23/11/2020.
Con istanza del 31/08/2021 CVE aveva infatti depositato istanza di ammissione al passivo, con la quale aveva domandato l’ammissione dei predetti crediti a titolo di canoni di locazione ovvero di indennità di occupazione ex art. 1591 c.c. Nel progetto di stato passivo della procedura, ritualmente comunicato, i commissari straordinari avevano proposto l’esclusione della somma insinuata rilevando che l’importo ‘ è oggetto di contestazione poiché l’istante risulta cessionaria di immobili già di proprietà delle società del gruppo in RAGIONE_SOCIALE La Procedura di RAGIONE_SOCIALE ha promosso azione di annullamento dei predetti atti di cessione degli immobili a RAGIONE_SOCIALE e di responsabilità avverso gli organi amministrativi delle società oggi in Amministrazione Straordinaria, con giudizio radicato innanzi al Tribunale di Genova, Sezione Imprese, R.G. nr. 14249/2017 ‘.
Con decreto del 28/01/2022 il Giudice delegato aveva escluso il credito insinuato aderendo alla proposta dei Commissari Straordinari.
Con ricorso in opposizione ex art. 98 l.f. CVE aveva dunque impugnato il decreto chiedendone l’integrale riforma e per l’effetto chiedendo l’ammissione al passivo del credito già oggetto di istanza di insinuazione.
Costituita nel procedimento di opposizione RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria, il Tribunale ha osservato e rilevato – per quanto qui ancora di interesse che: (i) in ordine all’eccezione di nullità dei
contratti di locazione sollevata dall’amministrazione straordinaria, per la dedotta violazione degli artt. 1344, 2423, 2426, 2433, 2445, 2626 c.c., occorreva disattendere le obiezioni sollevate dalla procedura concorsuale eccipiente, in quanto i contratti di locazione non violavano le norme poste a tutela dell’integrità del capitale sociale, la cui lesione, se vi era stata, si era invece compiutamente realizzata per effetto delle delibere che avevano fatto uscire i beni dal patrimonio del Gruppo; (ii) i contratti in questione non potevano neanche definirsi in frode alla legge, posto che: – non concorrevano alla distrazione del patrimonio in favore di CVE (che era indipendente dalla loro stipulazione, derivando interamente dalle operazioni societarie); – se (in ipotesi) consentivano a CVE un ingiusto arricchimento per effetto di clausole eccessivamente gravose, erano affetti da uno squilibrio contrattuale manifesto che non eludeva, ma eventualmente violava, norme imperative; (iii) secondo la giurisprudenza, inoltre, la locazione stipulata ‘ a non domino ‘ non era un contratto invalido, perché non confliggeva con alcuna prescrizione imperativa; (iv) l’indisponibilità (giuridica, nel caso di specie) dell’immobile da parte del locatore costituiva un caso di difetto di legittimazione a stipulare, dal quale conseguiva l’inefficacia del contratto, come tale operativa soltanto nei confronti del legittimato effettivo e che non impediva tuttavia l’attuazione del rapporto obbligatorio (così richiamando, Cass. 15292/2019); (v) secondo la medesima giurisprudenza a tale principio faceva eccezione l’ipotesi in cui la detenzione da parte del locatore fosse stata acquisita in violazione di norme di ordine pubblico; (vi) nel caso in esame non vi erano però elementi da cui desumere che una tale fattispecie si fosse configurata, in quanto CVE aveva acquisito gli immobili nel dicembre 2012, allorché aveva deliberato un aumento di capitale che era stato sottoscritto dal Fondo, mediante conferimento del patrimonio immobiliare di sua proprietà; (vii) in relazione, poi, alla nullità dei contratti di locazione ai sensi dell’art. 9 l. 192/1998, pur essendo la relativa eccezione ammissibile benché formulata per la prima volta nel giudizio di opposizione (così, richiamando: Cass. 27902/20; 19003/17), la stessa era invece infondata nel merito, in quanto non vi era prova dello stato di dipendenza economica dell’originario conduttore RAGIONE_SOCIALE e in particolare non vi era prova dell’impossibilità per il conduttore di
reperire valide alternative sul mercato, circostanza quest’ultima che costituiva un elemento essenziale della fattispecie, integrando la causa dell’eccessivo squilibrio negoziale; (vii) in relazione, infine, al mancato subentro della procedura nei contratti di locazione, l’eccezione era anch’essa ammissibile, secondo la giurisprudenza prima richiamata, ma infondata anch’essa nel merito, in quanto, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, nell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in sta to di insolvenza i contratti in corso continuano ad avere esecuzione, sino a quando il commissario non eserciti la facoltà di sciogliersi, e il protrarsi dell’esecuzione non preclude la facoltà di scioglimento, ma obbliga al pagamento delle prestazioni ricevute fino alla decisione di scioglimento (così richiamando, Cass. 28797/2018; 19146/2022).
Il decreto, pubblicato il 6.12.2022, è stato impugnato da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, a cui RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente in RAGIONE_SOCIALE lamenta l’ ‘ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.’.
1.1 Ricorda la ricorrente che il Tribunale di Bologna, nella parte del decreto impugnato con il presente motivo ricorso, aveva argomentato in motivazione, mutuando le risultanze del giudizio penale medio tempore definito con sentenza, impugnata poi per saltum in Cassazione, e richiamando le argomentazioni già espresse nel decreto n. 829 del 7.3.2018 emesso dal medesimo Tribunale di Bologna in analoga vicenda. Più in particolare, nella parte motiva del decreto impugnato il Tribunale di Bologna aveva ritenuto di aderire alle risultanze della sentenza penale n. 144/2020 con cui il Tribunale, in relazione alle condotte distrattive in danno delle società del Gruppo da parte degli amministratori, aveva ritenuto legittima – sotto il profilo della possibile rilevanza penale l’operazione c.d. di spin off immobiliare , meglio descritta in atti.
1.2 Secondo la ricorrente la motivazione sopra citata avrebbe omesso totalmente di valutare le risultanze emerse nel corso del giudizio di opposizione allo stato passivo, che erano state altresì discusse attraverso il deposito di apposite note autorizzate con cui le parti si erano confrontate sulla opponibilità di quanto emerso nel giudizio penale e sulla rilevanza di tali risultanze nel processo di formazione dello stato passivo. Nella prospettiva dell’amministrazione straordinaria i l mancato approfondimento delle doglianze sopra ricordate avrebbe determinato l’erra ta qualificazione da parte del giudice di prime cure dell’operazione di spin off immobiliare come ‘ legittima ‘ senza, tuttavia, considerare che lo stesso Tribunale penale aveva ritenuto oggettivo e non seriamente contestabile il fatto che la stessa avesse comportato il ‘drenaggio’ del patrimonio della società verso i soci e, pertanto, la sua portata distrattiva, ciò che avrebbe dovuto, invece, motivare la conferma dello stato passivo e, pertanto, l’esclusione del credito avversario dallo stesso.
Con il secondo mezzo si deduce sempre il vizio di ‘ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c . ‘.
2.1. Secondo la ricorrente, il Tribunale avrebbe omesso di decidere sulla dedotta nullità dei contratti di locazione, promuovendo la tesi secondo cui la nullità dei contratti non sarebbe predicabile nel caso in cui non fossero state censurate le delibere assembleari che si ponevano ‘a monte’ della complessa operazione di spin off immobiliare e che, in ogni caso, gli atti depauperativi del patrimonio sarebbero stati -a tutto concedere -revocabili (e non annullabili), con conseguente prescrizione della relativa azione. In questo modo, tuttavia, il giudice di prime cure avrebbe omesso di decidere il merito delle questioni principali promosse in sede di giudizio di opposizione, deducendo principi peraltro erronei. La decisione sul punto sarebbe laconica e, in ogni caso, essa sarebbe errata in quanto la mancata contestazione della nullità delle delibere assembleari non avrebbe potuto in alcun modo precludere la facoltà di far valere la nullità dei contratti posti in essere dalla detta società all’esito delle operazioni eventualmente deliberate con esse.
2.2 Sostiene la ricorrente che la delibera sociale rappresenterebbe l’esito del percorso attraverso cui si era formata la volontà della società, potendo la stessa avere un’intrinseca portata pregiudizievole e per tale ragione ove ne ricorrano i presupposti -potrebbe essere impugnata, anche per farne valere la nullità. Laddove, però, la società avesse sottoscritto un contratto (anticipato o meno da una delibera assembleare che a ciò lo autorizzava, e a prescindere dalla validità della stessa) affetto da vizi che ne comportavano la nullità, non vi sarebbero stati dubbi che la nullità del contratto potesse essere impugnata autonomamente dalla delibera assembleare. E ciò a maggior ragione se si considerava che, come in questo caso, sarebbe stato il contratto censurato lo strumento stesso attraverso cui si era compiuta la causa illecita che era stata posta alla base dell’intera operazione di spin off, consistente come si è visto -nell’aggirare la funzione vincolistica del capitale sociale e distribuire un valore che altrimenti sarebbe stato destinato alla società, in assenza dei presupposti per la riduzione del capitale ai sensi dell’art. 2445 cod. civ. ovvero fino al suo scioglimento, in spregio al divieto di restituzione dei conferimenti ai soc i di cui all’art. 2626 cod. civ. , nonché nell’aggirare i vincoli sulla distribuzione di dividendi e nel depauperare, infine, il patrimonio della MB in favore della CVE attraverso la corresponsione dei canoni di locazione.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, inoltre, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 1344, 1418, 2423, 2426, 2433, 2445 e 2626 cod. civ.’.
3.1. Ritiene la ricorrente che le ragioni decisorie poste a sostegno del rigetto dell’eccezione di nullità dei contratti di locazione per la violazione delle norme sopra indicate in rubrica fossero errate in diritto, in quanto le stesse si presentavano del tutto inconferenti e destituite di fondamento, anche alla luce di quelle che costituivano le risultanze documentali emergenti dagli atti di causa del giudizio di merito, il cui esame, da parte del Tribunale di Bologna, sarebbe stato evidentemente del tutto omesso o quanto meno superficiale.
3.2 Secondo la ricorrente il complesso delle operazioni negoziali e societarie poste in essere dalle parti oggi in causa, tutte funzionalmente collegate tra loro, aveva di fatto consentito, contrariamente alle non intelligibili affermazioni del Tribunale di Bologna (che ne aveva inopinatamente negato
la rilevanza ai fini della declaratoria di nullità): (i) di aggirare la funzione vincolistica del capitale sociale e di distribuire un valore (i.e. restituzione dei conferimenti) che altrimenti sarebbe stato destinato alla società, in assenza dei presupposti per la riduzione del capitale ai sensi dell’art. 2445 cod. civ. , ovvero fino al suo scioglimento, in spregio al divieto di restituzione dei conferimenti ai soci di cui all’art. 2626 cod. civ.; (ii) di distribuire dividendi in violazione della disciplina stabilita dall’art. 2433, co. 2, cod. civ., non essendo gli utili stati realmente conseguiti (v. delibere del: 20 novembre 2006; 18 luglio 2007; 25 luglio 2008; 24 settembre 2010; 27 settembre 2011 e 18 settembre 2012); (iii) di rivalutare gli immobili conferiti in assenza dei presupposti espressamente previsti dall’art. 2423, co. 5, cod. civ.; (iv) di conferire alla società RAGIONE_SOCIALE l’intero patrimonio immobiliare del Gruppo, senza pagamento del relativo prezzo in violazione dell’art 1344 cod. civ.
3.3 Assume in conclusione la ricorrente che l’acquisizione dei diversi immobili oggetto dei contratti di locazione da parte della CVE nonché la stipula degli stessi contratti dovevano essere inseriti all’interno di una complessa operazione negoziale – posta in essere dagli amministratori della procedura e di tutte le società facenti parte del RAGIONE_SOCIALE – la cui unica finalità era quella di attribuire a titolo gratuito tutti gli asset immobiliari del Gruppo alla RAGIONE_SOCIALE
3.5 I motivi, da trattare congiuntamente, sono infondati, ma la motivazione dev’essere corretta.
3.5.1 Il decreto impugnato, infatti, ha, come detto, respinto l’eccezione di nullità del contratto di locazione dedotto dalla società opponente a sostegno della domanda di ammissione al passivo del credito ai relativi canoni sul rilievo che ‘ gli illeciti contestati ‘ dalla procedura opposta agli amministratori della società insolvente non potevano dar luogo alla nullità di tutti gli atti correlati all’operazione di spin off ma, al più, alla nullità delle singole deliberazioni assembleari a tal fine assunte (per diretta violazione delle norme imperative alle quali erano soggette o per illiceità dell’oggetto delle delibere stesse) ed, in ogni caso, che l’eventuale finalità distrattiva non poteva comportare la nullità degli atti per frode alla legge, ma solo la loro revocabilità.
3.5.2 Gli argomenti illustrati dal tribunale sono, tuttavia, giuridicamente errati.
Non v’è dubbio, invero, che: – in linea di principio, in assenza di una norma che vieti in via generale di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, il contratto lesivo dei diritti dei creditori non è, di per sé, illecito e che, pertanto, la sua conclusione non è nulla per illiceità della causa, per frode alla legge o per motivo illecito determinante comune alle parti, apprestando l’ordinamento, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, dei rimedi speciali che comportano, in presenza di particolari condizioni, l’applicazione della sola sanzione dell’inefficacia (cfr. Cass. n. 23159 del 2014; Cass. n. 19196 del 2016; Cass. n. 15844 del 2022); – il motivo illecito che, se comune e determinante, determina la nullità del contratto, si identifica, del resto, con una finalità vietata dall’ordinamento perché contraria a norma imperativa, ai principi dell’ordine pubblico o del buon costume, ovvero poiché diretta ad eludere, mediante detta stipulazione, una norma imperativa, sicché l’intento delle parti di recare pregiudizio ad altri (come quello di attuare una frode ai creditori, vanificandone le aspettative satisfattorie sul patrimonio del debitore) non è illecito, ove non sia riconducibile ad una di tali fattispecie, non rinvenen dosi nell’ordinamento una norma che sancisca in via generale (come per il contratto in frode alla legge) l’invalidità del contratto in frode dei terzi, per il quale, invece, l’ordinamento accorda rimedi specifici, correlati alle varie ipotesi di pregiudizio che essi possano risentire dall’altrui attività negoziale (cfr. Cass. n. 19196 del 2016, in motiv.; Cass. n. 20576 del 2010; Cass. SU n. 10603 del 1993).
Resta, nondimeno, il fatto che se il contratto è stato stipulato dalle parti, oltre che in pregiudizio dei creditori (dell’aliena nte), anche in violazione di una norma imperativa, come quella penale, l’atto negoziale così compiuto è sanzionato, a norma dell’art. 1418, comma 1, c od. civ., con la sua nullità (Cass. n. 18016 del 2018; Cass. n. 14234 del 2003), come accade, in particolare, nel caso in cui sia proprio la sua stipulazione a realizzare, in ragione dell’assetto degli interessi ivi contenuto, il risultato vietato dalla legge penale (Cass. n. 21434 del 2023, in motiv.). Si parla, in siffatte ipotesi, di reato-contratto, come la vendita di sostanze stupefacenti, la ricettazione
prevista dall’art. 648 c.p., il commercio di prodotti con segni falsi di cui all’art. 474 c.p., il trasferimento di un bene in pagamento di un debito usuraio (cfr. Cass. n. 17568 del 2022; Cass. n. 1221 del 2022; Cass. n. 17959 del 2020, in motiv.; Cass. n. 16706 del 2020, in motiv.; Cass. n. 18016 del 2018; Cass. n. 14234 del 2003), poiché il contratto collide così gravemente con interessi di indole generale da assurgere di per sé alla qualificazione di reato ed è, di conseguenza, nullo per violazione di una norma imperativa, come quella penale, che, appunto, ne vieta la stipulazione (Cass. n. 21434 del 2023, in motiv.).
Si pensi, in particolare, al caso del contratto di finanziamento che l’imprenditore insolvente abbia stipulato in violazione del dovere, previsto e punito dall’art. 217, comma 1, n. 4, l. fall., di richiedere senza indugio il fallimento o comunque di non aggravare il dissesto dell’impresa con operazioni dilatorie, trattandosi di contratto contrario a norme imperative, in particolare di natura penale e di ordine pubblico economico, come il divieto di aggravare il dissesto, integrando la relativa stipula una fattispecie di reato, di cui è chiamato a rispondere, a titolo di concorso, anche il finanziatore (Cass. n. 16706 del 2020).
Nello stesso modo, gli atti attraverso i quali la società poi assoggettata a procedura concorsuale abbia determinato (in qualunque modo e in qualsiasi forma) il trasferimento in favore di terzi dei propri beni, così distraendoli alla soddisfazione dei relativi creditori, sono compiuti in violazione di norme incriminatrici (come gli artt. 216, comma 1°, e 223, comma 1°, l.fall., nel testo in vigore ratione temporis , in relazione a quanto previsto dall’art. 110 c.p.: applicabili anche nell’amministrazione straordinaria di una società dichiarata insolvente a norma dell’art. 95, comma 1, d.lgs. n. 270 del 1999) , le quali (punendo con una pena gli amministratori che ne siano stati gli autori nonché i terzi, come i beneficiari, che vi abbiano consapevolmente concorso in accordo con gli stessi: cfr. Cass. pen. n. 40023 del 2022; Cass. pen. n. 16062 del 2012; Cass. pen. n. 12824 del 2005) ne vietano (evidentemente) la stipulazione.
3.5.3 Tali atti (a prescindere dalla validità formale di ciascuno di essi, a partire dalle delibere assembleari che ne hanno giuridicamente consentito o
programmato il compimento) sono, di conseguenza, assoggettati, ai sensi dell’art. 1418 c od. civ., alla sanzione della nullità per effetto della contrarietà, in ragione delle disposizioni penali violate, alle norme imperative ivi contenute (Cass. n. 21434 del 2023, in motiv., che arg. da Cass. n. 2860 del 2008; Cass. n. 14234 del 2003; Cass. n. 7998 del 1990).
L’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto in conformità al disposto dell’art. 1418, comma 1°, c.c., è, in effetti, ‘più ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo contenuto del contratto medesimo ‘, essendovi ‘ ricomprese sicuramente anche le norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto ‘, come, appunto, le norme che incriminano la sua stessa stipulazione, con la conseguenza che, ‘ se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto (come nel caso in esame) viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni se così può dirsi – ancor più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto medesimo ‘ (Cass. SU n. 26724 del 2007, in motiv.).
Se, dunque, è configurabile il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione nella condotta di chi abbia assunto, in una situazione di grave e non fronteggiabile sofferenza debitoria, ulteriori obbligazioni prive di apprezzabile collegamento con l’atti vità imprenditoriale (Cass. pen. n. 141 del 2020), tale delitto è, a maggior ragione, ravvisabile nel caso in cui gli amministratori della società, anche a mezzo dell’esercizio di atti di per sé validi, abbiano determinato ‘ la stabile fuoriuscita di un bene dal patrimonio ‘ della società, ‘ impedendone l’apprensione da parte degli organi del fallimento ‘ (Cass. pen. n. 37109 del 2022): a prescindere, peraltro, per ciò che riguarda l’elemento oggettivo e l’elemento soggettivo del reato, tanto dal fatto che in quel momento l’impresa versa sse in stato di insolvenza (Cass. pen. n. 7437 del 2020), quanto dal fatto che l’atto non abbia arrecato un danno per i creditori (Cass. pen. n. 11382 del 2020), essendo a tal fine sufficiente che il distacco del bene dal patrimonio sociale e l’assegnazione allo stesso di una
destinazione diversa da quella di garanzia dei creditori determinino l’insorgenza de l mero pericolo che ciò accada.
Il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è, infatti, un reato di pericolo concreto, in quanto l’atto di depauperamento, incidendo negativamente sulla consistenza del patrimonio sociale, deve essere idoneo a creare un pericolo reale per il soddisfacimento delle ragioni creditorie, che deve permanere fino al tempo che precede l’apertura della procedura fallimentare, sicché, ai fini della prova del reato, il giudice, oltre alla constatazione dell’esistenza dell’atto distrattivo, deve va lutare la qualità del distacco patrimoniale che ad esso consegue, ossia il suo reale valore economico concretamente idoneo a recare danno ai creditori (Cass. pen. n. 28941 del 2024). Tale distacco, peraltro, può ben realizzarsi anche attraverso l’esercizio di facoltà legittime, comprese nel contenuto di diritti riconosciuti dall’ordinamento, posto che ‘ la liceità di ogni operazione che incide sul patrimonio dell’imprenditore dichiarato fallito può essere affermata solo all’esito di un accertamento in concreto in relazione alle conseguenze prodotte sulle ragioni del ceto creditorio ‘ (Cass. pen. n. 15803 del 2019): in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, invero, anche l’esercizio di facoltà legittime che determini la stabile fuoriuscita di un bene dal patrimonio del fallito, impedendone l’apprensione da parte degli organi del fallimento, può costituire strumento di frode in danno dei creditori (Cass. pen. n. 37109 del 2022).
3.5.4 Resta, peraltro, il fatto che, se al momento della dichiarazione giudiziale d’insolvenza non sussiste più alcun pericolo concreto per le ragioni dei creditori, essendosi posto rimedio agli atti distrattivi precedentemente compiuti, non sussiste più l’elemento oggettivo del reato, con la co nseguenza che la responsabilità penale degli autori degli atti predetti dev’essere esclusa tutte le volte in cui, prima dell’apertura della procedura concorsuale, il patrimonio della società sia stato reintegrato (cd. bancarotta ‘ riparata ‘): fermo restando, però, che tale reintegrazione, onde rimuovere il pregiudizio per i creditori e, per tale via, determinare l’insussistenza dell’elemento materiale del reato , presuppone la prova in giudizio dell’ esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi precedentemente perpetrati
(Cass. pen. n. 57759 del 2017; Cass. pen. 14932 del 2023), senza, peraltro, che sia a tal fine sufficiente che la re stituzione dell’importo ricevuto o sottratto avvenga attraverso mere operazioni contabili (cd. ‘ giri ‘ di denaro) tra società del medesimo gruppo, senza nuovi apporti finanziari esterni, trattandosi di un ‘ adempimento apparente ‘, inidoneo a reintegrare, nella sua effettività ed integralità, il patrimonio dell’impresa prima della dichiarazione dello stato di insolvenza (Cass. pen. n. 13382 del 2020), a meno che non siano, in concreto, ravvisabili gli estremi dei vantaggi compensativi (Cass. pen. n. 18333 del 2022) che abbiano, però, i requisiti di certezza, congruità e proporzionalità e siano di valore almeno equivalente al sacrificio economico inizialmente sopportato dalla società poi fallita (Cass. pen. n. 42570 del 2024).
3.5.5 Orbene, il decreto impugnato, lì dove ha ritenuto che gli illeciti contestati dai Commissari non potevano dar luogo alla nullità di tutti gli atti correlati all’operazione di spin off per nullità della causa e per frode alla legge, ma piuttosto a nullità per diretta violazione delle norme imperative alle quali erano soggette le singole deliberazioni assembleari o a nullità per illiceità dell’oggetto delle delibere stesse (ipotesi soggette a termini di decadenza ormai decorsi) e che l’eventuale finalit à distrattiva non poteva comportare la nullità degli atti per frode alla legge, ma solo la loro revocabilità, anche questa soggetta a termini di prescrizione ormai decorsi, si è posto in contrasto con gli indicati principi e dev’essere, dunque, corretto ne i termini in precedenza esposti.
3.5.6 La decisione assunta è, tuttavia, corretta: il tribunale ha, invero, escluso la nullità dei contratti di locazione (dedotti a sostegno della domanda di ammissione al passivo del credito ai canoni maturati e non corrisposti) sul rilievo che la lesione dell’integrità del patrimonio sociale si era compiutamente realizzata per effetto delle delibere, ormai definitive, che avevano fatto uscire i beni dal patrimonio del Gruppo e che i contratti di locazione non avevano concorso alla eventuale distrazione del patrimonio in favore di CVE, ‘interamente’ derivata dalle opera zioni societarie in precedenza compiute, in modo dunque ‘indipendente’ dalla stipulazione di tali contratti.
Si tratta, com’è evidente, di un apprezzamento in fatto che, come tale, è suscettibile di essere sindacato in cassazione esclusivamente per il vizio
consistito, come stabilito dall’art. 360 n. 5 c.p.c., nell’avere il giudice di merito, in sede di accertamento della fattispecie concreta: – a) omesso del tutto l’ esame (e cioè la ‘ percezione ‘) di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti per contro dal testo della sentenza o (più probabilmente) dagli atti processuali, che siano stati oggetto di discussione (e cioè controversi) tra le parti ed abbiano carattere decisivo (cfr. Cass. SU n. 8053 del 2014) , nel senso che, ove percepiti, avrebbero senz’altro imposto al giudice di merito di ritenere sussistenti i fatti dedotti dalla parte ricorrente a fondamento della domanda o dell’eccezione dalla stessa proposta; – b) supposto l’esistenza di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui verità risulti per contro incontrastabilmente esclusa dal testo della stessa sentenza o dagli atti processuali, sempre che siano stati controversi tra le parti ed abbiano avuto, nei termini esposti, carattere decisivo (Cass. SU n. 5792 del 2024, in motiv., punto 10.14), nel senso che, ove esclusi, avrebbero senz’altro imposto al giudice di merito di ritenere sussistenti i fatti dedotti dalla parte ricorrente a fondamento della domanda o dell’eccezione dalla stessa proposta.
Resta, pertanto, fermo che: l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa (e cioè, nel caso in esame, l’effettiva sussistenza di un collegamento teleologico tra le operazioni di cessione degli immobili in favore della società istante e il contratto di locazione stipulato tra quest’ultima e la società in amministrazione straordinaria) sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che (come nei casi nella ‘ mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico ‘, nella ” motivazione apparente ‘, nel ‘ contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ‘ e nella ‘ motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile ‘) si sia tramutata in una violazione di legge costituzionalmente rilevante, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘ sufficienza ‘ della motivazione ( cfr. Cass. SU n. 8053 del 2014).
Il giudice di legittimità ha, per contro, soltanto la facoltà del controllare, sotto il profilo della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte in ordine alla
ricognizione della fattispecie concreta dal giudice di merito, così come esposte nella pronuncia impugnata, cui spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis , Cass. n. 40872 del 2021, in motiv.; Cass. n. 21098 del 2016; Cass. n. 27197 del 2011).
Il compito di questa Corte, in effetti, non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta (con le prove ammesse ovvero offerte) un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato effettivamente conto, in ordine ai fatti storici rilevanti in causa, delle ragioni del relativo apprezzamento, come imposto dall’art. 132 n. 4 c.p.c., e se tale motivazione sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio – qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato in ordine all’accertamento dei fatti storici rilevanti ai fini della decisione sul diritto azionato si sia mantenuto, com’è accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.).
3.5.7 Il decreto impugnato, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio ed (implicitamente) escluso quelle (asseritamente contrarie) invocate dalla procedura opposta, ha, infatti, ritenuto (motivando il proprio convincimento sul punto in un modo del quale la ricorrente non ha espressamente contestato né la mera apparenza, né la perplessità o la contraddittorietà) che ‘ la lesione ‘ dell’integrità del patrimonio sociale, ‘se vi è stata’, si è compiutamente realizzata per effetto delle delibere, ormai definitive, che hanno fatto uscire i
beni dal patrimonio del Gruppo e ha, di conseguenza, escluso che i contratti di locazione (dedotti a sostegno della domanda di ammissione del credito ai canoni maturati) avessero concorso alla eventuale distrazione del patrimonio in favore di CVE, derivata ‘interamente dalle operazioni societarie’ in precedenza compiute , e cioè ‘indipendente dalla loro stipulazione’.
Orbene, tale apprezzamento non è stato efficacemente censurato dalla ricorrente (nell’unico modo a tal fine possibile, e cioè), a norma dell’art. 360 n. 5 c.p.c., per aver il tribunale supposto l’inesistenza (o, per converso, l’esistenza) di uno o più fatti storici co ntroversi tra le parti, la cui esistenza, (o, rispettivamente, inesistenza) sia risultata con certezza (come doverosamente esposto in ricorso ed emergente dagli atti allo stesso allegati, nel rigoroso rispetto degli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c.) dal testo della stessa pronuncia impugnata o (più probabilmente) dagli atti del relativo processo ed aventi carattere decisivo ai fini della soluzione della controversia (nel senso che, ove percepiti o, rispettivamente, esclusi, avrebbero senz’altro impos to al giudice di merito di ricostruire la vicenda storica in termini tali da integrare il fondamento materiale della domanda proposta o dell’eccezione invocata nel giudizio di merito dalla parte poi ricorrente).
Ed una volta che il giudice di merito ha ritenuto, in fatto (non importa se a torto o a ragione), che ‘ i contratti di locazione ‘ (dedotti a fondamento della domanda di ammissione) non avevano concorso ‘alla … distrazione del patrimonio in favore di CVE’ non si presta, evidentemente, a censure, per violazione di norme di legge, la decisione che lo stesso ha conseguentemente assunto, e cioè il rigetto dell’eccezione di nullità del contratto di locazione e l’accoglimento della domanda proposta dall’istante i n quanto volta, appunto, all’ammissione al passivo del credito al pagamento dei canoni maturati e non versati.
3.5.8 Premesso, invero, che la sussistenza del dedotto collegamento cd. funzionale fra più atti negoziali postula un accertamento in fatto riservato al giudice di merito e che tale apprezzamento è, come tale, censurabile in sede di legittimità solo per vizio (nella specie, neppure dedotto con la dovuta specificità) di motivazione, risulta, in effetti, evidente che, se il contratto di locazione – stipulato tra la concedente e la società poi assoggettata ad
amministrazione straordinaria – non è risultato, in fatto, funzionalmente collegato alle operazioni societarie che, in precedenza, avevano determinato la cessione degli immobili sociali all’opponente, depauperando il patrimonio della società alienante (nella misura corrispondente al loro valore ed al netto dei vantaggi eventualmente conseguiti) non può, di conseguenza, ritenersi, in diritto, che tale contratto (il quale, in effetti, in difetto della sicura emergenza di circostanze diverse, come la misura abnorme dei canoni pattuiti, neppure illustrate in ricorso con la necessaria specificità, non ha prodotto altro effetto che non sia stato quello di attribuire alla società poi dichiarata insolvente il godimento del bene in precedenza ceduto) sia stato parte della invocata operazione distrattiva e sia, come tale, nullo per violazione delle corrispondenti norme incriminatrici.
Con il quarto mezzo si deduce la ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 9 legge n. 192 del 18.06.1998 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ‘ 4.1 Si evidenzia da parte della ricorrente che il Tribunale, lungi dall’esaminare ed approfondire, anche sul punto qui da ultimo in esame, le inequivocabili e copiose risultanze documentali allegate in atti, avrebbe disatteso l’ulteriore eccezione di nulli tà dei contratti di locazione formulata dall’odierna ricorrente sul presupposto, peraltro conclamato, della palese violazione dell’art. 9 l. n.192/1998, limitandosi ad un mero ed ermetico richiamo ad un precedente di legittimità.
4.2 Sostiene la ricorrente che l’applicazione dell’art. 9 della legge n. 192/98 avrebbe una portata generale e non limitata ai soli contratti di subfornitura, in quanto espressione del principio di buona fede e correttezza contrattuale, e sarebbe perciò finalizzata all’individuazione dei limiti che l’ordinamento pone nei contratti di impresa a tutela di quella parte contrattuale che si trovi, rispetto all’altra, in posizione di dipendenza economica , dal momento che in primo luogo il divieto di abuso di dipendenza economica di cui alla legge sulla subfornitura costituisce peculiare applicazione di un principio generale che si vorrebbe caratterizzasse l’intero sistema dei rapporti di mercato. Ricorda , inoltre, che non casualmente il comma 3bis dell’art. 9 richiama l’applicabilità della L. 10 ottobre 1990, n. 287, art. 3, per i casi in cui l’abuso di dipendenza economica assuma un rilievo che vada oltre gli interessi coinvolti nel singolo
rapporto contrattuale, mettendo in questione in termini più ampi le esigenze di tutela della concorrenza. Ne conseguirebbe, secondo la prospettazione della ricorrente, che l’abuso di dipendenza economica di cui alla l. n. 192 cit., art. 9, potrebbe venire in considerazione in un ambito più ampio di quello formato dalle parti del singolo contratto, per estendersi al rapporto commerciale più complesso in cui esso si inserisca, qualora proprio tramite un tale rapporto si realizzi l’abuso. Ipote si queste ultime che esattamente si sarebbero verificate nel caso di specie, non potendosi revocare in dubbio che le condizioni imposte nei contratti di locazione in esame avessero comportato un eccessivo ‘squilibrio di diritti e di obblighi’ ai danni della M. Estate, tal i da comportare la nullità dell’intero negozio giuridico.
4.3 Sottolinea dunque la ricorrente che, alla luce di quelle che erano le convergenti risultanze documentali allegate in atti – che sarebbero state completamente ignorate dal Tribunale – sarebbe di tutta evidenza come i contratti di locazione suddetti avessero imposto alla MRAGIONE_SOCIALE, per logiche illegittime di gruppo, condizioni contrattuali economicamente ingiustificate, con statuizioni difformi rispetto a quanto stabilito dalla legge e dagli usi commerciali. Peraltro, con specifico riferimento al canone di locazione – sul quale si fondava la pretesa creditoria attivata dalla CVE l’assoluta sproporzione della somma richiesta emergeva nitidamente se si aveva riguardo alla circostanza che tutti i menzionati contratti (ad eccezione di due ipotesi) avevano comportato un notevolissimo ed ingiustificato aumento rispetto alle locazioni precedentemente pattuite, con ogni conseguente violazione del precetto di cui all’art. 9 della Legge n. 192/1998.
4.5 Il motivo è infondato.
4.5.1 L’abuso di dipendenza economica, di cui all’art. 9 della l. n. 192 cit., è, infatti, nozione indeterminata il cui accertamento postula l’enucleazione della causa concreta della singola operazione che il complessivo regolamento negoziale realizza, secondo un criterio teleologico di valutazione, in via di fatto, della licei tà dell’interesse in vista del quale il comportamento è stato tenuto, sicché, nell’applicazione della norma, è necessario: – quanto alla sussistenza della situazione di ‘ dipendenza economica ‘, indagare se lo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle pa rti sia ‘ eccessivo ‘, essendo il
contraente che lo subisce privo di reali alternative economiche sul mercato (p. es., perché impossibilitato a differenziare agevolmente la propria attività o per avere adeguato l’organizzazione e gli investimenti in vista di quel rapporto); -quanto all” abuso ‘, indagare la condotta arbitraria contraria a buona fede, ovvero l’intenzionalità di una vessazione perpetrata sull’altra impresa, in vista di fini esulanti dalla lecita iniziativa commerciale retta da un apprezzabile interesse dell’impresa dominante (quale, p. es., modificare le proprie strategie di espansione, adattare il tipo o la quantità di prodotto, o anche spuntare migliori condizioni), mirando la condotta soltanto ad appropriarsi del margine di profitto altrui (Cass. n. 1184 del 2020). Il divieto di abuso di dipendenza economica, previsto dall’art. 9 della l. n. 192/1998, avendo il duplice scopo di riequilibrare la posizione di forza nel singolo contratto e di tutelare i meccanismi concorrenziali del mercato, presuppone, in definitiva, la sussistenza di una disparità di potere contrattuale tale da determinare un eccessivo squilibrio nelle rispettive prestazioni, di cui costituisce elemento sintomatico la mancanza di reali possibilità di reperire nel mercato alternative soddisfacenti, nonché l’abu so di tale situazione, che ricorre allorché la condotta arbitraria sia contraria a buona fede, ovvero sia volta, in vista di fini esulanti dalla lecita iniziativa commerciale retta da un apprezzabile interesse dell’impresa dominante, ad appropriarsi del ma rgine di profitto altrui (Cass. n. 27435 del 2024).
4.5.2 Il decreto impugnato , lì dove ha ritenuto l’infondatezza dell’eccezione di nullità sul rilievo, in fatto, che difettava tanto ‘ la prova dello stato di dipendenza economica dell’originario conduttore RAGIONE_SOCIALE rispetto a RAGIONE_SOCIALE ‘, quanto, in particolare, ‘ la prova dell’impossibilità per il conduttore di reperire valide alternative sul mercato ‘, si è, dunque, attenuto ai principi esposti e si sottrae, come tale, ai rilievi critici sollevati sul punto dalla ricorrente, rilievi peraltro versati in fatto e volti ad un nuovo scrutinio della quaestio facti (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017).
5. Con il quinto motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ‘ per violazione e falsa
applicazione dell’art. 50, comma 2, del d.lgs del 08.07.1999 n. 270 e dell’art. 1 bis della legge 27.10.2008, n. 166 che ha convertito in legge, con modificazioni, il d.l. 28.08.2008, n. 134, recante disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi ‘.
5.1 Si evidenzia che nel giudizio di merito era stata altresì eccepita l’insussistenza del diritto di credito insinuato da parte della RAGIONE_SOCIALE sul presupposto che i commissari straordinari non avessero mai formalmente dichiarato di voler subentrare nei menzionati contratti, né la RAGIONE_SOCIALE avesse intimato a gli stessi ‘di far conoscere le proprie determinazioni’, ai sensi dell’art. 50, co. 2, d.lgs 270/1999.
5.2 Sostiene la ricorrente che il Tribunale, anche in riferimento a detta questione, si sarebbe limitato, in maniera altrettanto laconica e superficiale, ad un mero richiamo giurisprudenziale, ritenendo che: ‘ l’eccezione è nel merito infondata; secondo la giurisprudenza, nell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza i contratti in corso continuano ad avere esecuzione, sino a quando il commissario non eserciti la facoltà di sciog liersi, e il protrarsi dell’esecuzione non prec lude la facoltà di scioglimento, ma obbliga al pagamento delle prestazioni ricevute fino alla decisione di scioglimento (cfr. Cass. 28797/2018; 19146/2022 )’.
5.3 Sempre secondo la ricorrente tale ‘iter argomenta ti vo’ sarebbe del tutto inconferente e dovrebbe essere censurato, dal momento che il convincimento dei g iudici dell’opposizione non avrebbe tenuto nel minimo conto quanto argomentato nella memoria difensiva in ordine, in particolare, alla norma di interpretazione autentica introdotta dall’art. 1 bis della legge n. 166/2008, che aveva chiarito che “la disposizione di cui al comma 2 dell’art 50 del d. lgs. n. 270/1999, va interpretata nel senso che l’esecuzione del contratto, o la richiesta dell’esecuzione del contratto da parte del commissario straordinario, non fanno venir meno la facoltà di scioglimento dai contratti di cui al medesimo articolo, che rimane impregiudicata, né comportano, fino alla dichiarazione di espresso subentro del commissario straordinario, l’attribuzione all’altro contraente dei diritti previsti in caso di subentro del commissario straordinario dall’art. 51, commi 1 e 2′.
5.1 Il motivo è infondato.
L’art. 50 del d.lgs. n. 270/1999 dispone, infatti, che: ‘1. Salvo quanto previsto dal comma 4, il commissario straordinario può sciogliersi dai contratti, anche ad esecuzione continuata o periodica, ancora ineseguiti o non interamente eseguiti da entrambe le parti alla data di apertura dell’amministrazione straordi naria. 2. Fino a quando la facoltà di scioglimento non è esercitata, il contratto continua ad avere esecuzione. 3. Dopo che è stata autorizzata l’esecuzione del programma, l’altro contraente può intimare per iscritto al commissario straordinario di far conoscere le proprie determinazioni nel termine di trenta giorni dalla ricezione dell’intimazione, decorso il quale il contratto si intende sciolto. Le disposizioni del presente articolo non si applicano: a) ai contratti di lavoro subordinato, in rapporto ai quali restano ferme le disposizioni vigenti; b) se sottoposto ad amministrazione straordinaria è il locatore, ai contratti di locazione di immobili, nei quali il commissario straordinario subentra, salvo patto contrario ‘.
L’art. 1 -bis del d.l. n. 134/2008, conv. con la l. n. 166/2008, ha, peraltro, sancito che la disposizione di cui all’art. 50, comma 2, del d.lgs. n. 270/1999 ‘va interpretata nel senso che l’esecuzione del contratto, o la richiesta di esecuzione del contratto da parte del commissario straordinario, non fanno venir meno la facoltà di scioglimento dai contratti di cui al medesimo articolo, che rimane impregiudicata, né comportano, fino all’espressa dichiarazione di subentro del commissario straordinario, l’attribuzione all’altro contraente dei diritti previsti in caso di subentro del commissario straordinario dall’articolo 51, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 270 del 1999’ .
Si afferma, quindi, la regola per cui il contratto ineseguito o parzialmente eseguito prosegue ope legis e continua ad avere esecuzione sia dopo la dichiarazione d’insolvenza, sia a seguito dell’apertura dell’amministrazione straordinaria: al commissario viene, tuttavia, attribuito il potere di sciogliersi in ogni momento dal contratto, ma, finché una simile facoltà non viene esercitata, quest’ultimo continua dunque ad avere esecuzione . Un subingresso della procedura nel contratto può configurarsi, pertanto,
soltanto in presenza di un’espressa manifestazione resa in tal senso dall’organo della procedura .
5.2 Risulta di tutta evidenza come una simile disciplina si diversifichi in maniera sensibile da quella contenuta nella legge fallimentare la quale, piuttosto, all’art. 72, prevede la sospensione ex lege del rapporto contrattuale pendente al momento della sentenza dichiarativa fino a che il curatore non decida di subentravi o di sciogliersene.
Le ragioni di tale diversità di trattamento risiedono nella difforme natura del fallimento e dell’amministrazione straordinaria: strettamente liquidatoria e satisfattiva, nel primo caso; recuperatoria e comunque conservativa, nel secondo, da attuarsi attra verso la continuazione dell’attività d’impresa sub specie di prosecuzione finalizzata alla cessione (art. 27, comma 2, lett. a) e/o di ristrutturazione volta al risanamento (art. 27, comma 2, lett. b).
Ciò premesso, la sorte dei diritti del contraente in bonis che ha continuato ad eseguire le prestazioni dedotte in contratto prima dello scioglimento del rapporto è disciplinata dall’art. 51 d.lgs. n. 270/1999, il quale, in particolare, stabilisce che ‘ i diritti dell’altro contraente ‘, sorti anteriormente allo scioglimento, sono regolamentati dalle disposizioni di cui agli artt. 72 ss. l.fall..
L’art. 72, comma 4°, l. fall, a sua volta, stabilisce che ‘ in caso di scioglimento, il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno ‘.
In caso di fallimento, quindi, nei contratti a esecuzione continuata o periodica, determinandosi con l’apertura della procedura la sospensione degli effetti del contratto, lo scioglimento ha effetto a partire dalla dichiarazione di fallimento e questo anche se la volontà di sciogliersi viene espressa dal curatore in un momento successivo.
Nella procedura di amministrazione straordinaria, al contrario, operando per le ragioni suesposte il principio opposto della continuità di esecuzione dei contratti, i crediti per i corrispettivi delle prestazioni effettuati maturati nel periodo compreso tra l’apertura della procedura e la decisione del commissario di scioglimento del contratto vanno pagati in prededuzione
ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. n. 270/1999, a tenore del quale ‘ i crediti sorti per la continuazione dell’esercizio dell’impresa e la gestione del patrimonio del debitore sono soddisfatti in prededuzione a norma dell’articolo 111, primo comma, numero 1), della legge fallimentare, anche nel fallimento successivo alla procedura di amministrazione straordinaria ‘ (Cass. n. 19146 del 2022, in motiv.).
Nell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, in definitiva, l’art. 50, comma 2, del d.lgs. n. 270/1999, come interpretato dall’art. 1 bis del d.l. n. 134/2008, conv. con modif. dalla l. n. 166/2008, dispone la prosecuzione ope legis dei contratti in corso in funzione della conservazione dell’impresa ammessa alla procedura, sicché, da un lato, i predetti contratti continuano ad avere esecuzione fino a quando il commissario non eserciti la facoltà di sciogliersi e, dall’altro, i credit i maturati dal contraente in bonis dopo l’apertura della procedura devono essere ammessi al passivo in prededuzione, essendo le relative prestazioni finalizzate alla continuazione dell’attività d’impresa ex art. 52 del d.lgs. n. 270 cit. (Cass. n. 28797 del 2018, la quale, in applicazione dell’esposto principio, ha confermato la sentenza di merito che aveva ammesso in prededuzione il credito per la rata del premio relativo ad un contratto di assicurazione sulla responsabilità civile pendente all’apertura della procedura, maturato tra quest’ ultima data e la dichiarazione del commissario di scioglimento dal detto contratto), anche nel successivo fallimento, in forza dell’art. 52 dello stesso d.lgs. e dell’art. 111, comma 1°, n. 1, l.fall. (Cass. n. 19146 del 2022).
5.3 Il credito del contraente in bonis alla remunerazione delle prestazioni effettivamente rese in favore dell’amministrazione straordinaria dopo l’apertura della procedura ha, pertanto, carattere prededucibile, pur in mancanza di subentro da parte del commissario nel contratto: e ciò in quanto, continuando il rapporto anche dopo l’apertura della procedura, gli effetti della manifestazione della volontà di scioglimento del contratto non possono riverberarsi, per il principio ricavabile dagli artt. 1378, 1373 e 1460 c.c., sulle prestazioni già eseguite di un contratto ad esecuzione periodica o continuata. 5.4 Il tribunale ha prestato osservanza ai principi esposti: lì dove, in particolare, ha ritenuto che, nell’amministrazione straordinaria delle grandi
imprese in stato di insolvenza, i contratti in corso continuano ad avere esecuzione fino a quando il commissario non eserciti la facoltà di sciogliersi, e che la protrazione dell’esecuzione anche oltre l’apertura della procedura (come, nel caso in esame, è rimasto incontestato, a fronte della detenzione degli immobili da parte della locataria fino alla risoluzione consensuale del contratto) non preclude la facoltà di scioglimento, ma obbliga al pagamento delle prestazioni ricevute fino alla decisione di scioglimento; ed ha, di conseguenza, ammesso la società opponente al passivo della procedura di amministrazione straordinaria della locataria per il credito ai canoni maturati e non pagati, in prededuzione, senza dare, per contro, alcun rilievo al mancato subentro della stessa nei contratti di locazione pendenti.
Per tutto quanto sopra esposto, i l ricorso per cassazione dev’essere rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 14.3.2025