Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3933 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3933 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27834/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA CORTE D’APPELLO ROMA n. 2632/2018 depositata il 23/04/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti e ragioni della decisione
RAGIONE_SOCIALE chiese al Tribunale di Roma la revoca del decreto emesso in favore della RAGIONE_SOCIALE con il quale le era stato
ingiunto il pagamento del saldo dei corrispettivi maturati in forza di numerosi contratti, stipulati tra il 15 dicembre 2004 ed il 10.3.2005 relativi a verifiche e controlli su attività compartimentali, cantieri di lavori di manutenzione, somme urgenze e nuove opere, domandando altresì, in via riconvenzionale, la condanna della detta società alla restituzione di tutte le somme corrisposte in forza dei detti contratti, affetti a suo dire dal vizio della nullità per violazione RAGIONE_SOCIALE regole dell’evidenza pubblica correlat a all’artificioso frazionamento RAGIONE_SOCIALE contrattazioni e alla loro proroga tacita.
Il Tribunale adito, nel contraddittorio RAGIONE_SOCIALE parti, revocò il decreto ingiuntivo e accolse la domanda di restituzione RAGIONE_SOCIALE somme, rigettando le domande di ripetizione di indebito e di arricchimento per le somme richieste con la procedura monitoria nonché quella di responsabilità aggravata proposte dalla società RAGIONE_SOCIALE.
Il giudice di prime cure ritenne che le undici contrattazioni concluse fra l’RAGIONE_SOCIALE, società a capitale completamente pubblico soggetta alla disciplina dell’evidenza pubblica , e la RAGIONE_SOCIALE, tutte di importo superiore ad euro 200.000 ad eccezione di una, non potevano sussumersi all’interno della categoria dei servizi di investigazione come individuati dall’allegato 2 al d.lgs.n.157/1995, ma andavano inquadrate all’interno dei servizi di architettura e ingegneria comunque affini a servizi di consulenza scientifica e tecnica secondo la portata ampia indicata dalla macro voce 12 dell’allegato n.1 al d.lgs.n.157/1995, cit.
Le contrattazioni, dunque, integravano ipotesi di appalti di servizi di contabilità, revisione dei conti, tenuta dei libri contabili e servizi di ingegneria per i quali l’art.6 del d.lgs. n.157/1995 impediva l’affidamento diretto, nemmeno risultando il rispetto dell’obbligo di avviso dell’aggiudicazione dell’appalto e di allegazione ai capitolati RAGIONE_SOCIALE caratteristiche tecniche. Inoltre, tutte le contrattazioni, del valore complessivo di euro 2.150.000, al netto di IVA, erano frutto di un disegno unitario, rivolto a ridurre i costi ed i comportamenti
illeciti nell’ambito dei lavori pubblici affidati dall’RAGIONE_SOCIALE con conseguente obbligo di utilizzare le procedure di evidenza pubblica per la scelta del contraente, in base al d. lgs.n.157/1995. Per queste ragioni i contratti conclusi fra le parti dovevano ritenersi affetti dal vizio di nullità per il mancato rispetto della disciplina in tema di evidenza pubblica e perché rivolti a realizzare indebitamente l’elusione della normativa a tutela della legalità della gestione di risorse pubbliche in violazione dell’art.1418 c.c., con conseguente condanna della RAGIONE_SOCIALE alla restituzione RAGIONE_SOCIALE somme pagate da RAGIONE_SOCIALE in esecuzione dei contratti. Il Tribunale riteneva, infine, inammissibile la domanda di ripetizione di indebito con riguardo alle prestazioni di fare, rigettando quella ulteriore di arricchimento ingiustificato.
Decidendo sull’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, la Corte di appello di Roma, con sentenza n.2632/2018, pubblicata il 23.4.2018, rigettò l’impugnazione, condannando la società RAGIONE_SOCIALE al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
Per quel che qui rileva la Corte di appello confermò la decisione del primo giudice in ordine alla nullità dei contratti posti a fondamento della pretesa della RAGIONE_SOCIALE in quanto affetti da nullità per violazione della normativa in materia di appalto di pubblici servizi, ritenendo che per individuare l’appartenenza del contratto ad una RAGIONE_SOCIALE categorie indicate nell’allegato 2 al d.lgs.n.157/1995 alle quali era collegata la modalità di conclusione occorreva avere riguardo all’oggetto del servizio appaltato e non alle finalità degli appalti, collocandosi dunque le attività relative ai contratti conclusi fra le parti nelle categorie 9 e 12 dell’allegato 1 al d.lgs.n.157 ult.cit., concernenti servizi di contabilità, revisione dei conti, tenuta dei libri contabili e servizi attinenti all’ingegneria. Doveva pertanto escludersi la sussunzione dei contratti di importo superiore ad euro 200.000,00 fra quelli relativi ai servizi di investigazione e sicurezza di cui all’allegato 2 per i quali era previsto l’affidamento diretto,
riconducibili nella nomenclatura CPC 873 in via esclusiva a servizi RAGIONE_SOCIALE imprese di vigilanza dotate di autorizzazione prefettizia.
Quanto al valore degli incarichi, la Corte di appello rilevò che erano stati violati sia l’art.4 del d.lgs.n.157/1995 relativo al divieto di frazionamento degli appalti, che l’art.6 relativo al divieto di rinnovo tacito in relazione alla durata dei singoli contratti di consulenza, previsti tutti di durata di sei mesi rinnovabili salvo disdetta e per un compenso di euro 200.000 ciascuno (tranne quello relativo al RAGIONE_SOCIALE) e tutti destinati al rinnovo in relazione alla durata degli appalti ai quali gli stessi afferivano, rendendoli concretamente di durata indeterminata, in evidente elusione RAGIONE_SOCIALE modalità di affidamento dell’appalto previste dal ricordato art. 6 d.lgs.n.157/1995. Non poteva nemmeno dubitarsi l’applicazione dell’art.6 della l.n.537/1995. L’RAGIONE_SOCIALE, infatti, doveva considerarsi organismo di diritto pubblico, restando dunque acclarata la contrarietà degli appalti alle norme imperative ed il vizio di nullità dal quale erano affetti.
La Corte di appello ritenne infondate le censure relative alla domanda di ripetizione di indebito formulata ai sensi dell’art.2033 cc., in quanto relativa ad una prestazione di facere .
Nemmeno fondata venne considerata l’impugnazione relativa al rigetto della domanda di arricchimento ingiustificato, non avendo l’appellante, sulla quale incombeva il relativo onere, quantificato i dedotti risparmi dei quali avrebbe goduto l’RAGIONE_SOCIALE in dipendenza dei contratti di consulenza rispetto agli appalti oggetto di relazione, né provato i vantaggi conseguiti dall’RAGIONE_SOCIALE per l’esternalizzazione. Per contro, l’appellante si era limitata ad asserire che l’indennizzo spettantele era pari al corrispettivo oggetto della domanda di pagamento formulata in INDIRIZZO.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza della Corte di appello indicata
in epigrafe, alla quale ha resistito l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria.
La causa è stata posta in decisione all’udienza del 16.1.2024.
La ricorrente ha dedotto, con il primo motivo, la violazione dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362, 1363, 1369 c.c. in tema di interpretazione del contratto ed il vizio di omesso esame del comportamento comune tenuto dalle parti successivamente alla conclusione del contratto.
Secondo la ricorrente la Corte di appello, nel ritenere la nullità dei contratti stipulati fra le parti per violazione della normativa in materia di appalto di pubblici servizi in ragione del loro inquadramento fra i servizi di ingegneria e non all’interno di quelli relativi a servizi di investigazione, avrebbe operato la qualificazione dei contratti sulla base di una parziale esegesi del testo contrattuale, limitata alle specifica clausola contrattuale relativa all’oggetto dell’incarico affidato ed al nomen iuris attribuito ai contratti stessi, tralasciando di considerare l’intero contesto negoziale e la comune intenzione RAGIONE_SOCIALE parti risultante dal contenuto RAGIONE_SOCIALE singole contrattazioni, nelle quali sarebbe chiara la volontà di collegare le stesse ai rapporti pregressi fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE che erano scaturiti dalla volontà di effettuare indagini e verifiche investigative sull’operato RAGIONE_SOCIALE attività degli organi RAGIONE_SOCIALE. Tale circostanza, ad avviso della ricorrente, escluderebbe la volontà di duplicare, con le contrattazioni oggetto di causa, l’attività assicurata dalle strutture ordinarie di RAGIONE_SOCIALE, risultando piuttosto funzionale a reprimere, prevenire e sanzionare pratiche diffuse e scorrette RAGIONE_SOCIALE quali RAGIONE_SOCIALE stessa era stata vittima. Peraltro, la Corte di appello avrebbe parimenti tralasciato di considerare il comportamento successivo RAGIONE_SOCIALE parti e segnatamente la dichiarazione del Presidente di RAGIONE_SOCIALE del 19 luglio 2006 contenuta nella relazione inviata al RAGIONE_SOCIALE, nella quale si erano espressamente qualificati i contratti anzidetti come di
osservazione ispettiva relativi ad attività di audit presso i compartimenti di RAGIONE_SOCIALE, dalla stessa risultando la volontà RAGIONE_SOCIALE parti, conclamata dalle relazioni riservate inviata da RAGIONE_SOCIALE ad RAGIONE_SOCIALE circa gli esiti RAGIONE_SOCIALE indagini e verifiche.
Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione dell’allegato 2 al d.lgs. n.157/1995, assumendo che la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto di qualificare i servizi di investigazione e di sicurezza alla stessa demandati sulla base del nomenclatore CPC NUMERO_DOCUMENTO dell’allegato 2, quest’ultimo riferendosi unicamente ai servizi di sicurezza e non a quelli di investigazione, al cui interno avrebbero dunque dovuto includersi i contratti di Forensic accounting conclusi fra le parti. Da qui la violazione dell’allegato 2 categoria 23, nel quale sarebbe incorsa la Corte di appello all’atto di affermare il divieto di frazionamento e di rinnovo tacito dei contratti sulla base di un’errata qualificazione dei rapporti negoziali.
Con il terzo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione dell’art.6 l.n.537/1993. La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere applicabile la disciplina sull’evidenza pubblica ai contratti conclusi fra le parti, non applicabile all’RAGIONE_SOCIALE che non poteva ricomprendersi fra le amministrazioni pubbliche né fra gli organismi di diritto pubblico.
Con il quarto motivo è stata, infine, dedotta la violazione degli artt.2033 c.c. e 2041 c.c. La Corte di appello avrebbe errato nel rigettare la domanda di restituzione degli importi correlati alla ritenuta nullità dei contratti avanzata dalla ricorrente sul presupposto che l’indebito pagamento non ricomprende le prestazioni di facere , poi escludendo il requisito della prova dell’impoverimento derivante dall’indebito arricchimento quanto all’azione di arricchimento. Secondo la ricorrente la Corte di appello, una volta accolta la domanda di restituzione RAGIONE_SOCIALE somme versate in esecuzione dei contratti da RAGIONE_SOCIALE, avrebbe dovuto
accogliere quella di restituzione per equivalente RAGIONE_SOCIALE prestazioni svolte dalla ricorrente in esecuzione dei contratti ritenuti nulli, in ogni caso avendo la società RAGIONE_SOCIALE provato il fatto oggettivo dell’arricchimento da parte di RAGIONE_SOCIALE, dovendo coincidere l’indennizzo con l’importo idoneo a compensare l’attività prestata a vantaggio della stessa e dunque al corrispettivo pattuito.
Il primo motivo è inammissibile.
La Corte di appello ha confermato la statuizione di nullità dei contratti conclusi tra le parti che il primo giudice aveva ritenuto sulla base RAGIONE_SOCIALE offerte contrattuali per adesione prodotte e RAGIONE_SOCIALE relazioni depositate dalla stessa società RAGIONE_SOCIALE, contemplassero prestazioni di carattere tecnico di tipo ingegneristico. Ora, la ricorrente prospetta il vizio di violazione dei canoni contrattuali che non venne proposto impugnando la sentenza di primo grado in alcuni dei motivi di appello riportati nella sentenza impugnata. Per di più ed in aggiunta alla rilevata novità della censura, va ricordato che in tema di interpretazione di clausole contrattuali recanti espressioni non univoche, la contestazione proposta in sede di legittimità non può limitarsi a prospettare una pur plausibile interpretazione alternativa RAGIONE_SOCIALE clausole stesse, fondata sulla valorizzazione di talune espressioni ivi contenute piuttosto che di altre, ma deve rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la valutazione ermeneutica operata dal giudice del merito, cui l’attività di interpretazione del contratto è riservata -cfr. Cass.n.15471/2017-. Onere che la ricorrente non ha in alcun modo assolto.
Inoltre, la ricorrente deduce un vizio di omesso esame di documenti che assume essere stati oggetto di discussione nel corso del giudizio senza considerare che nell’ipotesi di c.d. ‘doppia conforme’ prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della
decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528/2014). Dimostrazione che la ricorrente ha omesso di fornire con intuibili conseguenze in ordine all’inammissibilità della censura anche sotto il profilo da ultimo esaminato.
Il secondo motivo è inammissibile poiché le censure, pur formalmente prospettate con riguardo ad un vizio di violazione di legge, tendono unicamente a porre in discussione la valutazione, operata dalla Corte di appello, in ordine alla riconducibilità dei contratti alla categoria dei servizi di ingegneria e non a quella dei servizi di investigazione contemplata dall’allegato n. 2 al d.gs.n.157/1995. Ora, le articolate valutazioni operate dalla Corte di appello, pienamente confermative della conclusione sul punto resa dal Tribunale, sono state il frutto della ponderazione RAGIONE_SOCIALE emergenze istruttorie esaminate dal giudice di merito che non possono essere rivisitate da questa Corte in sede di legittimità, tendendo in definitiva il motivo a prospettare una lettura alternativa RAGIONE_SOCIALE stesse che questa Corte non può in alcun modo esaminare -cfr.Cass.n.32505/2023, Cass.n.20553/2021-.
Il terzo motivo è infondato.
Non può invero dubitarsi in alcun modo della correttezza della decisione impugnata, nella parte in cui ha ritenuto l’RAGIONE_SOCIALE soggetta alla regola del divieto di rinnovo tacito dei contratti di consulenza afferenti a contratti di appalto conclusi con la RAGIONE_SOCIALE in ragione dell’applicabilità dell’art. 6 della legge 537/1993 che, anche nella versione ratione temporis applicabile, va interpretato come riferibile anche agli organismi di diritto pubblico.
Giova ricordare, sul punto, che secondo l’art.6, c.1 e 2 della l. n.537/1993 le disposizioni del presente articolo si applicano alle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni e
integrazioni. È vietato il rinnovo tacito dei contratti RAGIONE_SOCIALE pubbliche amministrazioni per la fornitura dei beni e servizi, ivi compresi quelli affidati in concessione a soggetti iscritti in appositi albi. I contratti stipulati in violazione del predetto divieto sono nulli.
Ora, l’art.1, c.2. del d.lgs. n.29/1993, richiamato dal comma 1 dell’art.6 ult.cit., ha previsto che ‘Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli RAGIONE_SOCIALE e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, e loro consorzi ed associazioni, le istituzioni universitarie, gli RAGIONE_SOCIALE, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del RAGIONE_SOCIALE.
Orbene, la tesi sostenuta dalla ricorrente è fondata su un’interpretazione meramente letterale RAGIONE_SOCIALE disposizioni anzidette che, al contrario, non possono non tenere in considerazione, per un verso, dell’evoluzione normativa che ha portato alla totale equiparazione, quanto alla disciplina dell’evidenza pubblica di matrice eurounitaria, degli organismi di diritto pubblico, nell’accezione che ne è stata fornita dapprima dalla Corte di giustizia UE e poi dal legislatore comunitario, alle amministrazioni pubbliche. E, per altro verso, nemmeno considera la necessità di inserire il quadro normativo interno appena individuato in modo sistematico nella disciplina, di matrice eurounitaria, collegata alla materia degli appalti ed alle particolari regole fissate per garantire la piena ed effettiva protezione RAGIONE_SOCIALE libertà fondamentali n ell’Unione europea, rispetto alla quale il primo va interpretano in modo conforme al diritto UE al fine di garantirne l’effetto utile -cfr.Cass.S.U. n.974/2023-.
Sul punto, è sufficiente ricordare che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 15594 del 2014, sia pure ai fini della affermazione della giurisdizione contabile per l’azione di responsabilità promossa nei confronti degli organi e dei dipendenti dell’RAGIONE_SOCIALE, dopo avere escluso la natura di società in house della predetta hanno ritenuto che la trasformazione dell’RAGIONE_SOCIALE in società per azioni disposta dalla legge non ne ha eliso gli essenziali connotati pubblicistici, essendosi tradotta nella mera adozione di una formula organizzativa, corrispondente a quella della società azionaria, senza per questo incidere sulla reale natura del soggetto-cfr. pure Cass. S.U. n.22712/2019-.
Analogamente, il Consiglio di Stato ha ritenuto che pur dopo la doppia fase di privatizzazione dell’originaria azienda di Stato, intervenuta per effetto del D.lgs. n. 143 del 1994 (trasformazione in ente pubblico economico) e del D.L. n. 138 del 2002, convertito nella L. n. 178 del 2002 (in particolare l’art. 7 che ha ulteriormente trasformato (RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE), il nuovo assetto dell’RAGIONE_SOCIALE ha incidenza concreta soltanto sulla fase gestionale del nuovo soggetto, permanendo sia la natura pubblica del nuovo organismo, sia i poteri pubblicistici propri dell’ente proprietario RAGIONE_SOCIALE autostrade e strade statali ad esso affidate (vedi, ad esempio-cfr. Cons. Stato, n. 2829 del 2013-. Pronunzia quest’ultima richiamata dalla sentenza RAGIONE_SOCIALE S.U. civili n. 15594/2014 sopra citate.
Sulla base di tali considerazioni, non può revocarsi in dubbio che la lettura offerta dalla ricorrente del quadro normativo di riferimento contrasta con l’esigenza di prevedere per gli organismi di diritto pubblico, per di più nel caso concreto dell’RAGIONE_SOCIALE , concessionaria di beni ed opere pubbliche di rilevanza strategica per l’Italia in ambito stradale, uno status omogeneo rispetto a quello previsto per le amministrazioni pubbliche, ravvisandosi dunque le medesime
ragioni che giustificano la particolare disciplina posta in essere dai soggetti anzidetti in materia di contratti ad evidenza pubblica.
In questa direzione, del resto, milita in via univoca la legislazione in tema di appalti pubblici- successiva al d.lgs. n.29/1993 (artt.2 e 19 l.n.109/1994 e 2 d.lgs. n.157/1995, poi corroborata dal codice degli appalti nelle varie versioni succedutesi nel tempo (art.3 c.25 D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, d.lgs 18 aprile 2016, n. 50,art. 3, lett. d).
L’RAGIONE_SOCIALE, in altri termini, non può che rientrare nella categoria dei “soggetti aggiudicatori” quale impresa pubblica ai sensi del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 158, ex art. 2, lett. b) (Attuazione RAGIONE_SOCIALE direttive 90/531/CEE e 93/38/CEE relative alle procedure di appalti nei settori esclusi) -nel testo sostituito dall’art.2 d.lgs.n.65/2000 e perciò tenuta, come chiarito da Cass. n.9457/2023, all’applicazione RAGIONE_SOCIALE norme di evidenza pubblica e della forma scritta del contratto (arg. da Cass. n. 15645 del 2018; n. 24640 del 2016; Sez. Unite n. 10443/2008), ai sensi dell’art. 2, lett. a), della L. 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici) -cfr. conf.Cass.n.4792/2023 e, con riferimento all’RAGIONE_SOCIALE quale organismo di diritto pubblico rispetto alla forma dei contratti, Cass.n.24640/2016-.
In base alle superiori considerazioni, l’RAGIONE_SOCIALE è dunque pienamente inquadrabile fra gli organismi di diritto pubblico ai quali deve ritenersi si riferisca anche l’art. 2 del d.lgs. n.157/1995, al quale ha esplicitamente fatto riferimento la Corte di appello per individuare la disciplina alla quale erano sottoposti i contratti di servizio stipulati dall’RAGIONE_SOCIALE con la società RAGIONE_SOCIALE -cfr. pag.17 sent. impugnata-, vieppiù confermando che il quadro normativo in tema di divieto di rinnovo tacito dei contratti non poteva che ritenersi applicabile anche all’RAGIONE_SOCIALE.
Con l’ulteriore precisazione che il rinnovo tacito senza disdetta e senza fissazione di un termine finale, come ritenuto dalla Corte di appello secondo valutazioni meritali non aggredibili in questa sede, ha finito per determinare l’elusione del divieto di frazionamento dell’importo dell’appalto ai fine di sottrarsi all’obbligo di affidamento dell’appalto secondo le regole fissate dall’art.6 d.lgs. n.157/1995.
Il quarto motivo è infondato ed in parte inammissibile.
Quanto alla censure relative al mancato riconoscimento della domanda di ripetizione di indebito in ragione della natura della prestazione eseguita, non integrata dal pagamento di somma di denaro ma piuttosto dalla prestare di un facere , la sentenza impugnata è in linea con la giurisprudenza di questa Corte, al cui tenore l’azione di indebito oggettivo ha carattere restitutorio, cosicché la ripetibilità è condizionata dal contenuto della prestazione e dalla possibilità concreta di ripetizione, secondo le regole previste dagli artt. 2033 e ss. cod. civ. (e cioè quando abbia avuto ad oggetto una somma di denaro o cose di genere ovvero, infine, una cosa determinata), operando altrimenti, ove ne sussistano i presupposti, in mancanza di altra azione, l’azione generale di arricchimento senza causa prevista dall’art. 2041 cod. civ., che assolve alla funzione, in base ad una valutazione obbiettiva, di reintegrazione dell’equilibrio economico. Pertanto, nel caso di prestazione di “facere”, la quale non è suscettibile di restituzione e, in quanto indebita, non è oggetto di valide ed efficaci determinazioni RAGIONE_SOCIALE parti circa il suo valore economico, non è proponibile l’azione di indebito oggettivo ma, in presenza dei relativi presupposti, solo quella di ingiustificato arricchimentocfr.Cass.n.6747/2014, Cass. n. /2016, Cass.n. /2020-
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A tali principi si è pienamente uniformato il giudice di appello.
Quanto alla parte della censura relative al mancato riconoscimento dell’azione di arricchimento indebito, la censura è inammissibile, ponendo in discussione, laddove assume la dimostrazione del fatto oggettivo dell’arricchimento, le valutazioni meritali operat e dal giudice di merito che ha escluso in concreto la dimostrazione dei presupposti dell’azione stessa -arricchimento del convenuto e quantificazione della diminuzione patrimoniale invece rapportata al corrispettivo oggetto della domanda proposta in fase monitoria-. Valutazioni che non possono essere riesaminate da questa Corte, in quanto meritali.
Il ricorso va quindi rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di doppio contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio che liquida in favore di RAGIONE_SOCIALE in euro 16.200,00 per compensi comprensivi di esborsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di doppio contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso il 16.1.2024 in Roma nella camera di consiglio della