Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21778 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21778 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 31097 – 2021 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, dal quale è rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1798/2021 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, pubblicata il 10/11/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/12/2023 dal consigliere COGNOME; lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 9/10/2017, NOME COGNOME convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Agrigento, NOME COGNOME e, premesso che era proprietario di un immobile in Licata, confinante, per un lato, con terreno libero di proprietà del convenuto, identificato in catasto al fgl. 99, p.lla 1101 e che aveva necessità di svolgere opere indifferibili ed urgenti di impermeabilizzazione del muro comune, chiese l’autorizzazione ad accedere al fondo del convenuto che aveva negato il suo assenso.
NOME COGNOME, rappresentando che l’immobile dell’attore era stato costruito abusivamente in violazione delle distanze e con apertura illegittima di vedute verso il suo fondo, negò il diritto all’accesso e chiese in riconvenzionale la riduzione in pr istino dello stato dei luoghi mediante eliminazione di un terrazzo e di una corte prospicienti la sua proprietà e il risarcimento dei danni conseguenti.
Con sentenza n.1134/2019, il Tribunale di Agrigento rigettò entrambe le domande, condannando l’attore al rimborso delle spese, anche di c.t.u..
Con sentenza n. 1798/2021, la Corte d’appello di Palermo dichiarò il diritto di NOME COGNOME di accedere al fondo di proprietà COGNOME per il tempo necessario all’esecuzione dei lavori di manutenzione straordinaria al fabbricato di sua proprietà, respingendo, invece, l’appello incidentale con cui COGNOME aveva impugnato la statuizione di rigetto della sua domanda riconvenzionale di riduzione in pristino della veduta illegittima e risarcimento del danno.
In particolare, la Corte d’appello affermò che il fondo COGNOME, ricadente in zona ‘V’ del PRG del Comune di Licata, destinato ad attrezzature per il verde, il gioco e lo sport, con consequenziali consistenti limitazioni alle facoltà edificatorie, si presentava totalmente inedificato e che «non emerge la vigenza di norme regolamentari locali che, ad integrazione dell’art. 873 cod. civ.» prescrivessero l’osservanza di distanze mini me tra nuove costruzioni e confini; escluse altresì che, dalla copertura dello «stanzino», indicato nella domanda riconvenzionale quale «terrazzo» e dalla corte a piano terra fosse esercitabile una veduta rilevante ai fini del rispetto delle distanze: precisò, infatti, che « la nozione di veduta presuppone l’esistenza di un’opera finalizzata a consentire l’affaccio sul fondo vicino, il che non può dirsi a proposito di un semplice spazio a piano terra e che l’esercizio della veduta, per essere tale, deve potersi compiere comodamente e senza rischio, il che è da escludere con riguardo al limite esterno della copertura del c.d. ‘stanzino’»
Avverso questa sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a tre motivi, a cui NOME COGNOME ha resistito con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 900 e 905 cod. civ., per avere la Corte d’appello escluso che il pianerottolo a piano terra (identificato dal c.t.u. come «corte»), realizzato a distanza inferiore a un metro e mezzo dal confine, consentisse l’esercizio di una veduta, sebbene il nominato c.t.u. avesse esplicitamente affermato che ne fosse possibile l’ inspectio e la prospectio sul fondo di sua proprietà.
1.1. Il motivo è infondato.
Occorre premettere che, come evidenziato nella sentenza impugnata, la nozione di veduta presuppone l’esistenza di un’opera idonea per ubicazione, consistenza e caratteristiche al l’affaccio sul fondo del vicino (cfr. Sez. 2, n. 20205 del 13/10/2004) e, sempre secondo la giurisprudenza di questa Corte, per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell’art. 900 cod. civ., conseguentemente soggetta alle regole di cui agli artt. 905 e 907 cod. civ. in tema di distanze, è necessario che le cd. inspectio et prospectio in alienum , vale a dire le possibilità di affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente, siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza (cfr. Cass. Sez. 2, n. 3043 del 10/02/2020, Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 13156 del 2021, non massimata, con numerosi richiami).
Si è altresì precisato che per aversi veduta occorre un parapetto che consenta un comodo affaccio (v. Sez. 2, Sentenza n. 23572 del 14/11/2007; Sez. 2, Sentenza n. 10167 del 09/05/2011; Sez. 2, Sentenza n. 12497 del 19/07/2012).
Nella specie, dunque, la Corte d’appello e prima ancora il Tribunale -hanno escluso la sussistenza delle caratteristiche della veduta in considerazione della conformazione della piccola «corte» da cui dovrebbe essere esercitata, consistente in un «semplice spazio a piano terra» che, come riferito da entrambe le parti, è una porzione di fondo aperta e non delimitata da un parapetto, seppure pavimentata perché racchiusa dai muri della costruzione.
In mancanza di opera idonea, allora, non rileva per sé solo il fatto che da quello spazio lo sguardo possa spingersi fino al fondo del vicino -che allo stesso modo potrebbe ricambiare lo sguardo -perché altrimenti si dovrebbe ritenere, spingendo all’estremo il ragionamento, che tra i fondi a confine a piano terra esista sempre violazione di norme
sulle vedute, anche in ipotesi di un terreno non edificato, soltanto perché non è preclusa l’osservazione del terreno finitimo.
Così statuendo, allora, la Corte d’appello ha correttamente applicato i principi regolatori della materia.
D’altro canto, non può trascurarsi che la verifica in concreto della sussistenza delle caratteristiche strutturali di un’opera ai fini della configurabilità di una veduta costituisce comunque un apprezzamento in fatto riservato al Giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità soltanto per vizio di motivazione (cfr. Cass. Sez. 2, n. 5421 del 08/03/2011), ciò che nella specie incontra il limite fissato dal V comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ. , nella formulazione introdotta dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv., con modif., in l. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile alla fattispecie ratione temporis , per essere stato introdotto l’appello nel 2019.
Per questo limite, il secondo motivo di ricorso, con cui, in riferimento al n. 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha prospettato l’omesso esame delle caratteristiche della «corte» come evidenziate nelle foto del c.t.u. è inammissibile, per preclusione di pronuncia cosiddetta doppiamente conforme sul punto (è stato, infatti, rigettato l’appello incidentale di COGNOME avverso la pronuncia di rigetto della sua domanda riconvenzionale avente ad oggetto il rispetto delle distanze ex art. 905 cod. civ.).
Per la stessa ragione risulta inammissibile il terzo motivo, pure formulato in riferimento al n. 5, con cui COGNOME ha lamentato che la Corte d’appello abbia omesso l’esame di «fatti decisivi» nella liquidazione delle spese di lite dei due gradi di giudizio.
In ogni caso, ove mai si volesse riqualificare il motivo come denuncia di erronea applicazione dei parametri di cui al d.m. 55/2014, come modificato dal d.m. 37/2018, esso è infondato, perché la Corte d’appello ha regolamentato le spese in applicazione del principio di
soccombenza e le ha liquidate senza superare i limiti dei parametri massimi (diversamente da quanto riportato dal ricorrente nell’argomentazione del motivo) , sicché non era tenuta a rendere alcuna particolare motivazione sull’ammontare liquidato , avendo esercitato il suo potere discrezionale nei parametri fissati dalla tabella.
Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna del ricorrente al rimborso delle spese processuali, liquidate in dispositivo in relazione al valore, comprese quelle per il procedimento di cui all’art. 373 cpc e con distrazione in favore del procuratore, dichiaratosi antistatario, come espressamente richiesto (v. controricorso e memoria).
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge, con distrazione in favore del procuratore antistatario.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione del 21 dicembre 2023.
Il Presidente
NOME COGNOME