Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30854 Anno 2024
AULA B
Civile Ord. Sez. L Num. 30854 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9619/2023 R.G. proposto
da
COMUNE DI COGNOME , in persona del Sindaco pro tempore e domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, NOME COGNOME , elettivamente domiciliate in ROMA INDIRIZZO
Oggetto: Lavoro pubblico contrattualizzato -Lavori socialmente utili -Inserimento stabile nell’amministrazione -Risarcimento danni Cassazione -Ricorso -Notifica PEC -Assenza allegati -Assenza estremi essenziali impugnazione Inammissibilità
R.G.N. 9619/2023
Ud. 21/11/2024 CC
presso lo studio dell’avvocato COGNOME che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOMENOME COGNOME
-controricorrenti –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimato – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO MESSINA n. 10/2023 depositata il 17/01/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 21/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 10/2023, depositata in data 17 gennaio 2023, la Corte d’appello di Messina, nella regolare costituzione delle appellate ed appellanti incidentali NOME COGNOME NOME COGNOME NOME e nella contumacia di INPS, ha respi nto l’appello principale del COMUNE DI ROCCALUMERA mentre ha accolto l’appello incidentale avverso la sentenza del Tribunale di Messina n. 2114/2021.
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME avevano adito il Tribunale di Messina, riferendo di essere impiegate come lavoratrici socialmente utili presso il COMUNE DI ROCCALUMERA ma di fatto di essere state destinate a svolgere funzioni corrispondenti a posti in organico presso lo stesso COMUNE.
Avevano quindi chiesto sia la conversione dei contratti in rapporti a tempo indeterminato o, in subordine, il risarcimento del danno in misura pari alle differenze fra la retribuzione spettante ai dipendenti e il trattamento assistenziale loro erogato o quantomeno nei limiti del
danno comunitario secondo i criteri dell’art. 32 legge 183/2010 sia la condanna del COMUNE alla regolarizzazione previdenziale mediante versamento della contribuzione all’INPS.
Disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di INPS, il Tribunale di Messina aveva disatteso la domanda di conversione del rapporto a tempo indeterminato -e conseguentemente la domanda di ricostruzione della posizione retributiva e contributiva -mentre aveva condannato il COMUNE DI ROCCALUMERA al risarcimento dei danni nei confronti delle tre lavoratici, quantificandoli, ex art. 32, comma 5, Legge n. 183/2010, in dieci mensilità della retribuzione globale di fatto per ciascuna delle ricorrenti
La Corte d’appello di Messina, nel decidere i due gravami, ha, in primo luogo disatteso il gravame principale del COMUNE DI ROCCALUMERA, ritenendo meramente formali le contestazioni dello stesso ed affermando che le prove assunte nel corso del giudizio di primo grado avevano evidenziato lo svolgimento, da parte delle appellanti incidentali, di mansioni equivalenti a quelle di dipendenti, con modalità tipiche della subordinazione.
In relazione all’appello incidentale, la Corte territoriale ha, come il giudice di prime cure, escluso la possibilità di procedere alla stabilizzazione, ma ha ritenuto che alle appellanti incidentali spettassero anche, in aggiunta al già riconosciuto danno da abusiva reiterazione di contratti a termine, il trattamento retributivo e previdenziale e la progressione economica per anzianità riconosciute al personale di ruolo dalla contrattazione collettiva, in applicazione della Clausola 4 dell’Accordo -Quadro sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999, attuato dalla Direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999, condannando quindi il COMUNE DI COGNOME alla corresponsione delle differenze retributive.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Messina ricorre ora il COMUNE DI COGNOME.
Resistono con controricorso NOME COGNOME, NOME COGNOME, DOROTEA STURIALE.
È rimasta intimata INPS.
In data 7 giugno 2024, il Consigliere delegato, ha formulato proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c. segnalando la inammissibilità del ricorso sia in rito, in quanto il ricorso sarebbe stato tardivamente proposto, sia nel merito, richiamando orientamenti di questa Corte.
A detta proposta ha fatto seguito istanza del ricorrente per la definizione del giudizio.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Le controricorrenti hanno depositato memoria
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’unico motivo il ricorso, in relazione all’art. 360, nn. 3, 4, 5, c.p.c., deduce ‘omessa motivazione’ .
Il ricorrente, dopo aver ricostruito il contenuto del proprio atto di appello, deduce il carattere carente della motivazione assunta dalla Corte d’appello di Messina, affermandone il carattere ‘insufficiente, soprattutto insussistente, perché non valida nel suo impianto logico e giuridico a conferire validità alla pronuncia impugnata’ ,
Il ricorso è inammissibile.
2.1. In primo luogo, come eccepito dalle controricorrenti e come rilevato anche nella proposta del Consigliere delegato, deve rilevarsi un profilo di preliminare inammissibilità in rito del gravame.
Emerge, infatti, dagli atti che l’odierno ricorrente , a fronte di una notifica della sentenza della Corte d’appello effettuata in data 21 febbraio 2023, ha dapprima provveduto, in data 20 aprile 2023, alla trasmissione di una PEC priva di allegati nonché di riferimenti al contenuto del messaggio, e poi, solo in data 12 ottobre 2023, ha proceduto ad una regolare notificazione del ricorso a mezzo PEC.
Nell’evidenza del fatto che la seconda notifica ove ritenuta unica valida -risulterebbe effettuata oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c., si pone, allora, il problema di valutare la prima PEC del 21 febbraio 2023.
Ritiene questa Corte che nella specie la notifica in questione risulti affetta da tali carenze da dover essere inevitabilmente ritenuta inesistente e non nulla, come tale radicalmente inidonea a costituire anche solo il principio di un processo notificatorio poi emendabile.
Va evidenziata la diversità della fattispecie in esame da quella affrontata in recenti precedenti di questa Corte (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 17969 del 2024; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 4902 del 23/02/2024; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 30082 del 30/10/2023), i quali hanno ritenuto nulla -e non inesistente -la notifica telematica di un gravame nelle ipotesi di assenza o illeggibilità degli allegati.
In tali casi, infatti, l’ipotesi patologica estrema dell’inesistenza della notifica è stata esclusa in considerazione del fatto che i messaggi pervenuti al destinatario consentivano comunque di comprendere gli estremi essenziali dell’impugnazione -individuando, tra gli altri, il soggetto notificante, il destinatario, le parti del giudizio, l’oggetto della notifica o la pronuncia impugnata -in tal modo consentendo al destinatario medesimo di inquadrare con adeguata certezza l’oggetto complessivo della notifica, pur se viziata.
Nel caso in esame, invece, l’esame diretto del messaggio di posta elettronica inviato il 21 febbraio 2023 – agli atti del giudizio – evidenzia che lo stesso, non solo era privo di allegati ma risultava altresì sprovvisto di alcuna indicazione (decisione impugnata, parti, numero procedimento, etc.) che consentisse al destinatario di individuare con certezza il suo contenuto e le sue finalità.
Il carattere del tutto indefinito del messaggio, allora, non può che essere ricondotto ad una i potesi di «totale mancanza dell’atto notificatorio», traducendosi, quindi, non nella mera nullità ma nell ‘ipotesi estrema dell’ inesistenza.
In sintesi, la trasmissione di una notifica telematica non solo priva di allegati ma anche carente di qualunque riferimento che sia in grado di consentire al destinatario di comprendere in ogni caso gli estremi essenziali dell’impugnazione comporta non già la mera nullità della notifica medesima, ma la sua radicale inesistenza.
Quanto evidenziato vale a palesare anche l’inconsistenza dell’argomentazione spesa dal ricorrente in memoria ex art. 380bis .1 c.p.c. invocando la presunzione di conoscenza del messaggio di cui risulti attestata la consegna: è ben vero che in caso di notificazione a mezzo PEC, una volta acquisita al processo la prova della sussistenza della ricevuta di avvenuta consegna, si deve presumere la conoscenza dell’atto e dei suoi contenuti, spettando, semmai, al destinatario dar prova delle contestazioni eventualmente mosse (Cass. Sez. 2 Sentenza n. 15001 del 28/05/2021; Cass. Sez. L, Ordinanza n. 1230 del 2024) ma tale presunzione -peraltro nella specie superflua perché le controricorrenti non hanno mai contestato la ricezione della mail bensì i suoi caratteri -postula, in ogni caso che quanto ricevuto possa in ogni caso essere ricondotto (seppur viziato) al modello legale dell’atto (la notificazione) e non può trovare applicazione in un caso,
come quello in esame, in cui, anche grazie all’esame diretto della notifica, emerga che quest’ultima presenta tali carenze da risultare inesistente.
Considerato, allora, che le controricorrenti si sono costituite solo dopo la seconda notifica, risultando quindi esclusa in radice qualsiasi sanatoria, si deve concludere che l’unica notifica valida del gravame è stata effettuata oltre il termine di legge e che, pertanto, il gravame medesimo è tardivo ed inammissibile.
2.2. In secondo luogo, il ricorso risulta comunque inammissibile anche nel merito.
Lo stesso, nel denunciare promiscuamente i vizi di motivazione inesistente e di violazione di legge, non tiene conto dei principi enunciati da questa Corte sia in tema di motivazione apparente -a mente del quale è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, e risultando invece esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022), carenze, queste, che non risultano ravvisabili nella motivazione della decisione impugnata – sia in tema di deduzione dell’ipotesi di cui all’art. 360, n. 3), c.p.c. a mente del quale il ricorrente è tenuto a formulare il motivo di ricorso non solo con l’indicazione delle norme che assume essere violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo
determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016) – traducendosi in una mera, ed inammissibile, critica del merito della decisione.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione in favore delle controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Avendo questa Corte deciso in conformità della proposta, deve trovare applicazione l’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., il quale richiama, in caso di decisione conforme alla proposta, il disposto di cui all’art. 96, terzo e quarto comma, c.p.c. con la conseguente condanna ulteriore della ricorrente soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata nonché, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00, somme che si liquidano come da dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause
originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere alle controricorrenti le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 5.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti , della somma equitativamente determinata in € 5.000,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di € 2.000,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione