Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25363 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 25363 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 28333-2020 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE N.V ora RAGIONE_SOCIALE RAPPRESENTANZA GENERALE PER L’ITALIA in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 160/2020 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 07/08/2020 R.G.N. 528/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/07/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della pronuncia del giudice di prime
Oggetto
RICORSO TARDIVO
R.G.N.
28333/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 03/07/2025
cc
cure, ha condannato la società RAGIONE_SOCIALE (succeduta alla originaria RAGIONE_SOCIALE e ora con denominazione RAGIONE_SOCIALE per l”Italia) al pagamento, a titolo di provvigioni in relazione alla polizza SIC n. NUMERO_DOCUMENTO, della somma di euro 29.408,62, oltre accessori di legge, respingendo le ulteriori domande proposte dall’agente NOME COGNOME.
2. La Corte territoriale ha rilevato che con riguardo alla domanda di pagamento di provvigioni sui premi aggiuntivi previsti per i clienti che avevano superato una determinata percentuale tra premi e sinistri (c.d. malus) non erogati dalla preponente, il giudice di primo grado aveva correttamente sottolineato che la società aveva una mera facoltà di esigere il malus dai clienti (facoltà che non veniva contraddetta dall’occasionale riscossione di tali premi aggiuntivi in due occasioni) e che non era stata raccolta alcuna prova circa la riscossione di premi aggiuntivi da parte dei clienti; con riguardo al lamentato omesso pagamento di provvigioni sulle polizze i cui premi erano stati incassati tramite l’Ufficio legale della società per il periodo 1989-2003, la documentazione acquisita dimostrava che -sino al 2004 -l’agente doveva provvedere anche alla riscossione dei premi (successivamente era compito della mandante) e, comunque, l’agente non aveva dimostrato il fatto costitutivo del proprio diritto, ossia l’ incasso di premi a seguito di attività di recupero legale; inoltre, andava esclusa la proposizione di una domanda di danno per perdita di chance; non era configurabile alcun obbligo della mandante di ‘porre in essere opportune azioni di recupero’ degli insoluti (al fine di far conseguire all’agente le provvigioni); inoltre, era pacifico che tutti gli atti concessione di fidi richiesti dai clienti (e relativa istruttoria) nonchè i relativi atti di gestione del rapporto di agenzia (determinazione della provvigione,
pagamenti) erano stati posti in essere -dal 1995 – dalla società RAGIONE_SOCIALE che doveva, dunque, ritenersi la legittimata passiva delle pretese dell’agente; infine, con riguardo alle provvigioni per l’affare concluso con la società RAGIONE_SOCIALE risultava pacifico che l’agente avesse acquisito il cliente e che si fosse occupato delle trattative che avevano portato alla stipula della polizza originaria (avente durata di un anno, 1994-1995), che la lettera-fax del 3.11.1994 proveniente dal direttore generale della società era stata disconosciuta dalla società, che l’art. 18 del contratto di agenzia distingueva tra ‘provvigioni di acquisto’ e ‘provvigioni di incasso’ e la lettura comparata di detto articolo con le appendici del contratto (in specie, appendici 7 e 13) dimostrava che era stata modificata nel tempo solamente la misura delle provvigioni e conseguentemente nulla era dovuto all’agente con riguardo alle proroghe e ai rinnovi della polizza originaria.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’agente con sedici motivi; la società ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è inammissibile, dovendosi ritenere fondata l’eccezione sollevata dal controricorrente circa la notifica del ricorso per cassazione effettuata (in data 28.10.2020) unicamente alla pec dell’avv. NOME COGNOME professionista che risultava -nella procura – esclusivamente quale (mero) domiciliatario fisico nel giudizio innanzi alla Corte di appello (risultando, invece, abilitato alla ricezione delle notifiche telematiche l’avv. NOME COGNOME).
Invero, questa Corte ha affermato che la notifica telematica di un provvedimento impugnabile non può essere effettuata
presso il procuratore domiciliatario in senso fisico, in mancanza di elezione dell’indirizzo PEC dello stesso come domicilio digitale della parte, risultando una tale notifica inesistente ed insuscettibile di sanatoria per raggiungimento dello scopo ex art. 156 cod. proc. civ. con conseguente inapplicabilità del termine breve per l’impugnazione (Cass. n. 20946/2018; conf. Cass. n. 2942/2019).
Nel caso di specie, il controricorrente ha trascritto la procura ad litem conferita -a latere dell’atto di appello – agli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ove il primo professionista risultava voler ricevere le comunicazioni presso il proprio indirizzo pec (espressamente indicato) mentre il secondo professionista risultava esclusivamente domiciliatario fisico (presso l’indirizzo posto nel sede di circoscrizione della Corte di appello).
Va, altresì, rilevato che la costituzione del controricorrente non consente di ritenere sanato il vizio (cfr. Cass. n. 8377/2009, Cass. n. 22474/2018), in quanto avvenuta in momento successivo (4.12.2020) alla scadenza del termine breve per impugnare (posto che la sentenza di appello è stata notificata agli avvocati del COGNOME il 31.8.2020).
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.;
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, d ell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’udienza del 3 luglio 2025
Il Presidente dott. NOME COGNOME