Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26489 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26489 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CONDELLO NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17402/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO (p.e.c.: EMAIL)
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO (p.e.c.: EMAIL)
-controricorrente e ricorrente incidentale –
GIORDANO NOME
-intimato – avverso la sentenza del la Corte d’appello di Milano n. 287/2021, pubblicata in data 29 gennaio 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 maggio 2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo notificato da RAGIONE_SOCIALE -con cui si intimava agli opponenti ed a RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in qualità di fideiussori, il pagamento della somma di euro 600.000,00, oltre interessi, in forza di contratto di finanziamento stipulato dalla garantita RAGIONE_SOCIALE (poi dichiarata fallita); deducevano l’inesistenza della notifica del decreto ingiuntivo nei confronti della società opponente, l’incompetenza per territorio del Giudice adito, la nullità o annullabilità del contratto per difetto o vizio del consenso, perché redatto in lingua inglese, nonché l’intervenuta estinzione della fideiussione ex artt. 1955 e 1957 cod. civ.
Proposta opposizione anche da parte degli altri destinatari dell’ingiunzione di pagamento, il Tribunale di Milano, previa riunione dei due giudizi, respingeva le opposizioni, disattendendo tutte le eccezioni sollevate.
La sentenza è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE e da NOME COGNOME e, con appello incidentale, da RAGIONE_SOCIALE
nonché nei confronti di
Ltd dinanzi alla Corte di appello di Milano, che ha ritenuto infondate le eccezioni già fatte valere in primo grado e reiterate dagli appellanti principali e dichiarat o assorbito l’appello incidentale vertente sulla qualificazione del contratto di garanzia stipulato inter partes .
RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della suddetta decisione, con cinque motivi.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo.
Il ricorso è stato avviato per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ. e la controricorrente ha depositato memoria illustrativa e nota spese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denunzia ‹‹violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 139, 140, 145, 156 c.p.c.). Omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti (art. 360 n. 5 c.p.c.). Violazione dell’art. 115 c.p.c (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.) che impone al Giudice di porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti››, per avere la Corte d’appello disatteso l’eccezione d’inesistenza della notifica del decreto ingiuntivo eseguita nei suoi confronti.
Con distinti profili di censura, in particolare, lamenta che la Corte territoriale:
non aveva tenuto conto dell’impossibilità di eseguire la notificazione ai sensi dell’art. 145, terzo comma, cod. proc. civ., essendo l’atto da notificare carente della indicazione del nome, della qualità e della residenza del legale rappresentante, richieste dalla norma ai fini della sua applicabilità;
b) non aveva considerato che il luogo di notifica, al momento in cui questa era stata eseguita, non era in alcun modo riferibile al
legale rappresentante, perché da tempo non costituiva né residenza, né domicilio, né dimora dello stesso, come emergeva dalla documentazione prodotta; sul punto era stata pure richiesta prova testimoniale, ma la sentenza non si era pronunciata sull’istanza, e, in ogni caso, non poteva attribuirsi valore alle annotazioni contenute nel certificato della RAGIONE_SOCIALE, dovendo, nel contrasto tra le risultanze delle visure camerali e quelle del certificato di residenza, darsi prevalenza ai dati emergenti dall’anagrafe;
c) aveva pure trascurato di valutare che l’ignoranza di chi aveva richiesto la notifica circa la residenza, la dimora o il domicilio del destinatario dell’atto non era incolpevole , sicché sulla stessa parte ricadeva il rischio dell’eventuale esito negativo della notificazione.
Poiché il luogo di notifica non era riferibile al legale rappresentante della società, si verteva in ipotesi di inesistenza, e non di nullità, della notifica, non sanata dall’opposizione proposta.
1.1. La censura è infondata.
1.2. Il problema di fondo che pone il ricorso in esame, ovvero l’individuazione di un criterio distintivo il più possibile chiaro, univoco e sicuro tra le tradizionali nozioni di inesistenza e di nullità della notificazione, non può che prendere le mosse dalla ricostruzione sistematica che di esso ha dato la pronuncia a Sezioni Unite n. 14916 del 2016, che ha toccato la distinzione tra le due nozioni, cioè, in sostanza, la configurabilità della inesistenza come “vizio” dell’atto, autonomo e più grave della nullità, con le conseguenze che ne derivano.
La predetta sentenza ha ricordato che, in tema di notificazione, come in generale di atti processuali, il codice non contempla in realtà la categoria della ‹‹ inesistenza ›› , nemmeno con riguardo alla sentenza priva della sottoscrizione del giudice, il che induce a ritenere che la nozione di inesistenza della notificazione debba essere definita
in termini assolutamente rigorosi, cioè confinata ad ipotesi talmente radicali che il legislatore ha, appunto, ritenuto di non prendere nemmeno in considerazione (le Sezioni Unite segnalano che già da tempo la giurisprudenza ha sottolineato l’esigenza di assegnare carattere residuale alla categoria dell’inesistenza della notificazione: Cass., sez. U, n. 22641 del 2007 e n. 10817 del 2008; Cass. n. 6183 del 2009 e n.12478 del 2013). Partendo da questa considerazione, la Corte ha affermato che l’inesistenza della notificazione è configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile quell’atto; con la precisazione che tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege , eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa (Cass., sez. U, 20/07/2016, n. 14916).
La Corte ha poi colto l’occasione per puntualizzare che il luogo in cui la notificazione (nel caso in esame, del ricorso per cassazione, ma con principio estensibile alla notifica degli altri atti: v. in questo senso anche Cass., sez. 3, 12/10/2017, n. 23968) viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto, sicché i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della
nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc , o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ex art. 291 cod. proc. civ.
Dal combinato disposto di questi due principi, scaturisce che il luogo in cui la notificazione viene eseguita esce dalle ipotesi di inesistenza alle quali tante volte è stato ricondotto, per collocarsi all’interno della nullità della notifica, a condizione che il procedimento notificatorio sia stato posto in essere da un soggetto a ciò legittimato, e che esso si sia concluso con la fase di consegna, intesa in senso lato, come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè. essa debba considerarsi, ex lege , eseguita) (in senso conforme, Cass., sez. 5, 15/04/2022, n. 12411; Cass., sez. 6 -3, 21/11/2022, n. 34161).
1.3. Dalla applicazione dei suddetti principi al caso di specie ne discende che il procedimento notificatorio, come accertato dal giudice d’appello, originariamente iniziato presso la sede legale della società e, a causa del tentativo fallito, successivamente, proseguito presso il domicilio del legale rappresentante della società risultante dalle annotazioni del Registro delle imprese, non possa considerarsi inesistente, ma soltanto nullo, sussistendo, peraltro, una connessione tra il luogo della notifica ed il destinatario della stessa, e che la nullità debba ritenersi sanata in virtù del raggiungimento dello scopo ex art. 156, terzo c omma, cod. proc. civ., avendo l’odierna ricorrente proposto tempestiva opposizione avverso il decreto ingiuntivo ad essa notificato con le suddette modalità.
Correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha affermato che la notificazione perfezionatasi per ‹‹ compiuta giacenza ›› ad un indirizzo
riconosciuto come utile, sia pure erroneamente, dal notificante, è affetta da nullità, ma non è inesistente, ed è pertanto sanabile; perdono dunque, rilevanza tutti gli argomenti addotti a sostegno della doglianza in esame, perché essi poggiano, infondatamente per le ragioni sopra illustrate, sulla ritenuta inesistenza della notificazione.
Con il secondo motivo la ricorrente prospetta la ‹‹Violazione delle norme sulla competenza (art. 360 n. 1 c.p.c.). Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 e n. 4 c.p.c. in relazione agli artt. 1341 e 1342 c.c. nonché in relazione agli artt. 132 n. 4, 115 e 116 c.p.c.) ›› e censura il capo della sentenza impugnata con cui la Corte d’appello, nel respingere l’eccezione di incompetenza territoriale, ha posto in rilievo che la clausola contrattuale derogatoria della competenza, derivando da specifiche trattative tra le parti, non richiedeva una approvazione specifica.
La ricorrente si duole di una anomalia motivazionale, consistente nella ‹‹mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico ›› , e deduce che non sono state provate, neanche tramite la produzione versata dalla RAGIONE_SOCIALE, le circostanze in base alle quali la Corte territoriale ha ritenuto infondato il motivo di gravame, essendo state disconosciute le e-mail prodotte e contestata la conformità delle trascrizioni dei relativi documenti elettronici; nega che la clausola sia stata oggetto di trattative tra le parti e, ribadendo la sua natura vessatoria, rimarca la necessità della sua specifica approvazione, aggiungendo di avere in ogni caso espressamente contestato la competenza territoriale con riferimento a tutti i fori concorrenti.
2.1. Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
2.2. Va, innanzitutto, escluso il vizio di carenza di motivazione, che ricorre allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi dai quali ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi
senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass., sez. U, 07/04/2014, n. 8053 e n 8054; Cass., sez. U, 03/11/2016, n. 22232; Cass., sez. U, 05/04/2016, n. 16599; Cass., sez. 6 -5, 07/04/2017, n. 9105; Cass., 30/05/2019, n. 14762; Cass., sez. 3, 08/10/2021, n. 27411): la sentenza in questa sede gravata non è riconducibile ad una delle anomalie indicate negli arresti giurisprudenziali richiamati, perché dà conto, in modo adeguato e comprensibile, rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di rigettare l’eccezione proposta.
2.3. Inammissibile è invece la dedotta violazione degli artt. 1341 e 1342 cod. civ.
Sul punto, la Corte territoriale, con accertamento di fatto non scrutinabile in questa sede, in quanto adeguatamente motivato, ha escluso ‹‹ la allegata predisposizione unilaterale del contratto ›› e, di conseguenza, la vessatorietà (o abusività) della clausola derogatoria della competenza, riscontrando, non solo sulla base delle e-mail allegate dalla parte appellata, odierna controricorrente, ma anche all’esito all’assunzione delle prova testimoniale, che la clausola era stata oggetto di precise ed effettive trattative tra le parti, che ne avevano preceduto la predisposizione, precisando altresì sia che la scelta della lingua inglese per la redazione dell’accordo non fosse concludente, perché non aveva in alcun modo inciso sul contenuto del contratto, sia che la stesura del contratto era stata curata da uno studio legale (NOME COGNOME), ‹‹ proprio su specifica indicazione del COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE ››, nell’interesse di tutte le parti.
Con tale percorso argomentativo i giudici di appello si sono allineati alla giurisprudenza di legittimità che, anche con riguardo alla diversa questione dell’abusività della clausola di deroga al foro del
consumatore e delle clausole di cui alla disciplina dettata dall’art. 1469bis cod. civ., poi riversata negli artt. 33 e ss. del cd. Codice del consumo, ha avuto modo di chiarire, per un verso, che ‹‹ anche la specifica approvazione per iscritto ex art. 1341, secondo comma, cod. civ. è di per sé non esaustiva ›› (Cass., sez. 6 -3, 03/04/2013, n. 8167; Cass., sez. 3, 20/03/2010, n. 6802; Cass., sez. 3, 26/09/2008, n. 24262); per altro verso , che a precludere l’applicabilità della disciplina di tutela del consumatore è invero necessario che ricorra il presupposto oggettivo della trattativa ex art. 34, comma 4, d.lgs. n. 206/2005.
La trattativa è, infatti, da considerarsi un prius logico rispetto alla verifica della sussistenza del significativo squilibrio in cui riposa l’abusività della clausola o del contratto (Cass., sez. 6 -3, 08/07/2015, n. 14288; Cass., n. 6802/10, cit.; Cass., n. 24262/2008, cit.; Cass., sez. 3, 28/06/2005, n. 13890); pertanto, in presenza di accordo frutto (o in tutto o in parte) di trattativa, l’accertamento giudiziale in ordine all’abusività delle clausole contrattuali rimane viceversa (o in tutto o in parte) precluso, quand’anche l’assetto di interessi realizzato dalle parti risulti significativamente squilibrato a danno del consumatore.
La preclusione discende infatti, in tal caso, non già dalla non vessatorietà della clausola o del contratto fatti oggetto di specifica trattativa, bensì dalla inconfigurabilità della loro unilaterale predisposizione ed imposizione, quali (possibili) fonti di abuso nella vicenda di formazione del contratto (Cass., sez. 3, 15/10/2019, n. 25914, in motivazione, e giurisprudenza ivi richiamata).
2.4. Allo stesso modo, le contestazioni, che anche in questa sede la ricorrente reitera, con le quali si critica la valutazione del materiale probatorio svolta dal giudice d’appello (con specifico riferimento alle e-mail prodotte dalla RAGIONE_SOCIALE e alla girata di pegno contenente la
qualifica di ‘garanti’), investendo attività riservata al giudice di merito, non sfuggono alla declaratoria d’inammissibilità.
Invero, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 cod. proc. civ.; mentre la doglianza circa la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo ‹‹ prudente apprezzamento ›› , pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., sez. U, 30/09/2020, n. 20867).
Il motivo, sotto tale profilo, è, quindi, inammissibile, in quanto opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito riservato in via esclusiva al giudice e come tale è insindacabile in sede di
legittimità (Cass., sez. 3, 12/10/2017, n. 23940).
La ritenuta validità della clausola di deroga della competenza territoriale esime da ogni valutazione in merito ai fori concorrenti, pure invocati dalla ricorrente.
Con il terzo motivo, deducendo ‹‹violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 132 n. 4, nonché agli artt. 115 e 116 c.p.c.), la ricorrente critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto insussistente un vizio della volontà delle parti nel prestare le garanzie personal e sostiene che la deposizione testimoniale resa da NOME COGNOME e le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale dal COGNOME valorizzate dal giudice d’appello sarebbero inidonee a supportare la decisione.
3.1. Il motivo è infondato là dove si contesta un vizio di motivazione, in quanto la Corte territoriale ha chiaramente esplicitato l’iter logico seguito per addivenire ad escludere la fondatezza del motivo di gravame, indicando anche le fonti di prova su cui poggia il decisum.
3.2. Per il resto, la doglianza è inammissibile, perché, sotto l’apparente deduzione di vizi di violazione di legge, essa tende, in realtà, a sollecitare un riesame del corredo probatorio, già vagliato dal giudice d’appello, come tale non consentito in sede di legittimità.
Difatti, il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la
valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., sez. 5, n. 32505 del 22/11/2023; Cass., sez. 1, 01/03/2022, n. 6774).
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia ‹‹violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dell’art. 1284, comma terzo, c.c., artt. 1350, 1418 e 1421 c.c. Violazione dell’art. 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.) che impone al Giudice di porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti›› ed attinge la sentenza nella parte in cui è stata esclusa la sussistenza di un vizio di forma del contratto di finanziamento cui accedeva la garanzia personale prestata.
Più precisamente, contesta ai giudici di merito, sotto un primo profilo, di avere considerato inammissibile il motivo di gravame concernente il dedotto difetto di forma per intervenuto passaggio in giudicato della statuizione del Tribunale, non impugnata, che riconosceva l’avvenuta conclusione del contratto di finanziamento per comportamento concludente delle parti, ossia in conseguenza dell’avvenuta erogazione della somma oggetto di finanziamento; sostiene che il giudicato interno si può formare solo su un capo autonomo della sentenza, non anche su affermazioni che costituiscono mera premessa logica della statuizione in concreto adottata. Per altro verso, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto infondata la contestazione relativa al difetto di forma dell’accordo , perché sottoscritto dalla finanziatrice solo dopo l’instaurazione del giudizio e, comunque, solo dopo che gli opponenti, con raccomandata del 21 febbraio 2013, anteriore alla notifica ed alla emissione del decreto ingiuntivo, avevano dedotto la nullità del contratto e manifestato la volontà di revocare il proprio consenso.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. Va ribadito l’insegnamento -dalla corte d’appello debitamente richiamato – delle Sezioni unite di questa Corte, seppur espresso sul terreno dell’intermediazione finanziaria , secondo cui, il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dall’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998, va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assunta dalla norma, sicché tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti (cfr. Cass., sez. U, 16/01/2018, n. 898; Cass., sez. 1, 02/04/2021, n. 9187; Cass., sez. 1, 12/10/2023, n. 28500).
4.3. Tale principio vale anche per i contratti bancari, con riguardo ai quali il requisito della forma scritta, previsto dall’art. 117, comma 1, T.U.B., deve essere inteso in senso funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione del cliente assunta dalla norma, potendo, pertanto, ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, da questi sottoscritta, senza che sia necessaria anche la sottoscrizione della banca, il cui consenso ben può desumersi alla stregua dei comportamenti concludenti dalla stessa tenuti (Cass., sez. 1, n. 28500 del 12/10/2023); ed è, quindi, estensibile anche al contratto di finanziamento di cui si discute, concluso con un inte rmediario finanziario, posto che, a norma dell’art. 115 t.u.b., le norme dettate per le operazioni ed i servizi bancari si applicano anche agli intermediari finanziari.
4.4. Tanto comporta che non coglie nel segno la ricorrente quando assume che il contratto non si sarebbe perfezionato per
difetto di forma dell’accordo, ‹‹ per non essere stato sottoscritto dal COGNOME (legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE) se non dopo l’instaurazione del giudizio›› , dovendosi al contrario rilevare, come ben sottolineato dalla Corte di merito, che ‹‹ le finalità di protezione del cliente risultano soddisfatte dalla sottoscrizione in data 19.10.2007 da parte degli appellanti (e del mutuatario) del contratto ›› e, comunque, al più tardi con l’erogazione della somma oggetto di finanziamento, che integra comportamento concludente idoneo a manifestare il consenso, da parte della mutuante, di voler aderire e di voler dare esecuzione al contratto.
Nessun rilievo può, pertanto, riconoscersi alla lettera raccomandata del 21 febbraio 2013, invocata dalla ricorrente a supporto della dedotta nullità del contratto per difetto di forma, in quanto, anche a prescindere dal contenuto della missiva, che, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, non faceva menzione alcuna né di nullità, né di revoca del consenso, ma affermava solo che i garanti non avevano ‹‹ dimestichezza con la lingua inglese ›› , essa è intervenuta allorquando il contratto si era ormai perfezionato per effetto dei comportamenti posti in essere dalla mutuante, che aveva dato esecuzione al contratto, erogando la somma, e richiesto l’emissione di decreto ingiuntivo mediante la produzione del contratto.
A tale ultimo riguardo, va, peraltro, rammentato che la giurisprudenza costante di questa Corte, precisando che nei contratti per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam non è necessaria la simultaneità delle sottoscrizioni dei contraenti, ha ritenuto che sia la produzione in giudizio della scrittura da parte di chi non l’ha sottoscritta, sia qualsiasi manifestazione di volontà del contraente che non abbia firmato, dalla quale emerga l’intento di avvalersi del contratto, realizza un valido equivalente della
sottoscrizione mancante, purché la parte che ha sottoscritto non abbia in precedenza revocato il proprio consenso (Cass., sez. 1, 22/03/2012, n. 4564; Cass., sez. 3, 01/07/2002, n. 9543; Cass., sez. 2, 17/10/2006, n. 22223).
Con il quinto motivo -rubricato: ‹‹Violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 1955 e 1957 c.c. Violazione dell’art. 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.›› – la ricorrente, impugnando la decisione impugnata là dove ha mancato di accogliere l’eccezione di intervenuta estinzione della fideiussione, sostiene che la fattispecie regolata dalla prima disposizione normativa evocata ricorre in quanto il COGNOME (legale rappresentante della odierna controricorrente) aveva promesso di rilevare il 51 per cento delle azioni di RAGIONE_SOCIALE, venendo poi meno agli impegni assunti, così impedendo altre iniziative di investimento con terzi e provocando il fallimento di RAGIONE_SOCIALE; in relazione all’art. 1957 cod. civ., assume che le clausole ‘a prima richiesta’ e solve et repete non sono sufficienti a far transitare la fideiussione entro lo schema del contratto autonomo di garanzia e che il giudice d’appello non avrebbe proceduto ad una corretta ricostruzione della volontà delle parti attraverso l’interpretazione del testo negoziale.
5.1. Il motivo è inammissibile.
5.2. Con riguardo alla presunta estinzione della garanzia ex art. 1955 cod. civ., la censura si scontra con l’accertamento svolto dalla Corte d’appello, che ha ritenuto non provato l’impegno assunto da COGNOME ad acquistare le azioni, puntualizzando che la documentazione prodotta e le testimonianze raccolte evidenziavano p iuttosto l’avvio di semplici trattative, <>.
Il giudizio espresso dalla Corte territoriale non è minimamente
scalfito dalle argomentazioni che la ricorrente pone a fondamento dell’illustrazione della doglianza, che si risolv ono in una mera rievocazione di circostanze di fatto già sottoposte all’esame del giudice di merito e già da questi adeguatamente esaminate, al solo fine di sollecitare un controllo sulla ricostruzione della vicenda fattuale, preclusa in questa sede.
5.3. Parimenti inammissibile è anche il secondo profilo di doglianza, con il quale, nella sostanza, la ricorrente contesta alla Corte d’appello di non avere correttamente qualificato il contratto di garanzia in conseguenza della inadeguata applicazione dei criteri di interpretazione, omettendo, tuttavia, di specificare da quali canoni legali di ermeneutica il giudice si sarebbe discostato per assolvere la funzione a lui riservata e limitandosi a prospettare l’incongruità della soluzione ermeneutica fatta propria dalla sentenza gravata in relazione ad altre egualmente plausibili (Cass., sez. 1, 22/02/2007, n. 4178; Cass., sez. 2, 03/09/2010, n. 19044).
Il ricorso principale deve, quindi, essere conclusivamente rigettato, con conseguente assorbimento del l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, con cui è stata impugnata la qualificazione, operata d al giudice d’appello , della garanzia prestata come garanzia autonoma anziché come fideiussione.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 11.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura
del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, al competente ufficio di merito dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione