Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14711 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14711 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18620/2023 R.G. proposto da : NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME in ROMA INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ANCONA n. 457/2023 depositata il 14/03/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31/01/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che
Banca Popolare di Spoleto ottenne dal Tribunale di Ancona l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti di NOME COGNOME, fideiussore della società RAGIONE_SOCIALE cui era stato erogato un mutuo, per la somma di € 25.304,93. COGNOME propose opp osizione lamentando che la banca aveva tenuto, in pendenza del rapporto di garanzia, una condotta contraria al principio di buona fede. In particolare dedusse che la banca non aveva tenuto in alcuna considerazione il proprio recesso dalla fideiussione e contestò che la pretesa creditoria non fosse stata indirizzata anche nei confronti del cofideiussore NOME COGNOME.
Il Tribunale di Ancona rigettò l’opposizione sul presupposto che la pretesa fosse relativa a crediti sorti anteriormente al recesso di COGNOME e che la condotta della banca di agire, anche solo nei confronti di uno dei fideiussori, fosse legittima ai sensi dell’art. 1946 c.c.
COGNOME propose appello lamentando l’omesso rilievo d’ufficio del difetto di procura alle liti del difensore di RAGIONE_SOCIALE costituitasi quale mandataria di Banca Popolare di Spoleto, l’omesso rilievo d’ufficio della nullità virtuale della fideiussione per violazione delle norme sulla concorrenza e asserite violazioni del canone di buona fede. All’udienza di precisazione delle conclusioni del giudizio d’appello, NOME COGNOME eccepì la carenza di legittimazione ad agire della società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE nonché di RAGIONE_SOCIALE che si erano costituite nel giudizio.
La C orte d’ Appello di Ancona, per quanto ancora rileva, con sentenza n. 457 del 14/3/2023, ha rigettato l’eccezione in ragione del principio di non contestazione, ritenendo che la contestazione della titolarità del rapporto controverso potesse essere svolta in ogni tempo purché rispettosa dei termini per le preclusioni. Nel caso di specie, a seguito
della costituzione nel giudizio d’appello della società cessionaria del credito, COGNOME non aveva contestato detta qualità affermata da RAGIONE_SOCIALE nella comparsa di costituzione, con l’effetto che, sulla titolarità della cessionaria, in forza del principio di non contestazione, non potevano residuare incertezze, come correttamente statuito dal giudice del gravame.
Avverso la sentenza che, rigettando l’appello, ha confermato integralmente la sentenza di primo grado, il COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
L’intimata non ha svolto attività difensiva.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso -violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. come richiamato dalla Corte d’Appello in relazione all’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c.- il ricorrente lamenta che la corte del gravame ha applicato una norma, quale l’art. 115 c.p.c. riferibile ad un fatto storico posto dalla controparte a fondamento della propria domanda, tramutandola in una norma ostativa alla possibilità di avanzare un’eccezione di diritto processuale rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado, quale quella relativa alla titolarità del diritto fatto valere.. Secondo il ricorrente ‘ Il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. ha ad oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non può riguardare questioni che attengono allo svolgimento del processo ‘ (Cass., 3, n. 21403 del 6/7/2022).
A sostegno della censura il ricorrente deduce che, in ogni caso, il giudice d’appello avrebbe dovuto assegnare alle parti un termine perché sulla questione della titolarità del diritto della cessionaria del credito potesse essere articolato il contraddittorio delle parti.
Peraltro, secondo il ricorrente è censurabile anche il passaggio motivazionale secondo cui la cessione del credito, non dovendo avere forma scritta, poteva essere provata a mezzo di presunzioni.
Il motivo è infondato.
La Corte d’Appello ha fatto applicazione del principio di non contestazione, rilevando che, a fronte della costituzione in giudizio di un nuovo soggetto, la controparte non ha sollevato alcuna eccezione nei termini per le preclusioni.
Va al riguardo ribadito che la valutazione della condotta processuale del convenuto, agli effetti della non contestazione dei fatti allegati dalla controparte, deve essere correlata al regime delle preclusioni, che la disciplina del giudizio ordinario di cognizione connette all’esaurimento della fase processuale entro la quale è consentito ancora alle parti di precisare e modificare, sia allegando nuovi fatti – diversi da quelli indicati negli atti introduttivi – sia revocando espressamente la non contestazione dei fatti già allegati, sia ancora deducendo una narrazione dei fatti alternativa e incompatibile con quella posta a base delle difese precedentemente svolte; in particolare, la mancata tempestiva contestazione, sin dalle prime difese, dei fatti allegati dall’attore è comunque retrattabile nei termini previsti per il compimento delle attività processuali consentite dall’art. 183 c.p.c., risultando preclusa, all’esito della fase di trattazione, ogni ulteriore modifica determinata dall’esercizio della facoltà deduttiva (v. Cass., n. 31402 del 2/12/2019, Cass., 2, n. 20556 del 19/7/2021, Cass., 3, n. 24415 del 9/9/2021, Cass., 2, n. 2223 del 25/1/2022, Cass., 6-3, n. 9439 del 23/3/2022, Cass., 3, n. 4747 del 15/2/2023, Cass., 2, n. 15288 del 31/5/2023).
Con il secondo motivo di ricorso -violazione e falsa applicazione del disposto dell’art. 1957 c.c. e 2969 c.c. in relazione all’art. 360 comma
1 n. 5 c.p.c. ma anche in relazione al n. 3- il ricorrente lamenta che il giudice del gravame non ha dato seguito alla giurisprudenza delle SU in materia di clausole in deroga all’art. 1957 c.c. e non ha ritenuta nulla una clausola chiaramente volta alla protezione del consumatore.
Il motivo è inammissibile.
Esso risulta invero formulato non correlazione con la ratio decidendi dell’impugnata sentenza , sostanziantesi nel rilievo del difetto di specificità della censura mossa dall’ allora appellante in ordine alla lamentata nullità della clausola.
Emerge essere rimasta invero non impugnata la seguente ratio decidendi (di cui a p. 7): ‘ la difesa opponente non ha fornito alcun elemento probatorio tampoco di adeguata consistenza inferenziale e nemmeno sul piano della mera allegazione, idoneo a far ritenere che le parti non avrebbero stipulato il contratto in carenza della clausola di cui a ll’art. 6 della scrittura privata del 27/7/2013 con cui è stata compiuta deroga alle norme di cui all’art. 1957 c.c.’ .
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Non è peraltro a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile