Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14793 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14793 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24150/2022 R.G. proposto da:
CONDOMINIO RESIDENZA ZEBRÙ 2, in persona in persona dell’amministratore p.t., COGNOME BRUNO, e i condomini COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME
NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, tutti elettivamente domiciliati in COGNOME, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrenti-
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del rappresentante legale p.t., NOME COGNOME, e da RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante, NOME COGNOME, elettivamente domiciliate in COGNOME, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrenti-
e contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore speciale, NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato ed elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE;
-intimate-
e nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE;
-intimata – e sul controricorso incidentale condizionato proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del rappresentante legale p.t., NOME COGNOME, e da RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante, NOME COGNOME, elettivamente domiciliate in COGNOME, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrenti incidentali-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., NOME COGNOME, elettivamente domiciliate in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrenti al ricorso incidentalee contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente p.t., NOME COGNOME elettivamente domiciliata in INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende;
-controricorrente al ricorso incidentale -e ne confronti di
CONDOMINIO RESIDENZA ZEBRÙ 2, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2546/2022, depositata il 19/07/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
La società RAGIONE_SOCIALE veniva convenuta dinanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE dal Condominio INDIRIZZO Zebrù INDIRIZZO e dai proprietari degli immobili condominiali per essere condannata al risarcimento dei danni scaturiti dalla riattivazione di una frana quiescente e dallo sconvolgimento dell’equilibrio idrogeologico del sottosuolo , provocati dai lavori di perforazione di un versante montano per la costruzione di una galleria in territorio di Valdisotto,
durante i quali erano stati adoperati esplosivi; lo spostamento a valle del versante aveva provocato ingenti danni strutturali al condominio che non solo ne avevano determinato l’inagibilità, ma ne avevano reso necessaria la demolizione e dubbia la riedificazione.
La convenuta si difendeva deducendo che la causa dei gravissimi danni era da individuarsi nella situazione costruttiva pregressa del fabbricato e nella scelta dell’RAGIONE_SOCIALE, appaltante, di realizzare l’opera stradale su quel versante, chiedendone la chiamata in causa, così come quella delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, titolari di un cantiere a valle del condominio, dove era stato realizzato uno scavo, in occasione dei lavori eseguiti in concomitanza su un immobile limitrofo. Infine, chiedeva la chiamata in garanzia della RAGIONE_SOCIALE, con cui aveva stipulato una polizza assicurativa per i danni al cantiere e per i danni a terzi.
I terzi chiamati, costituitisi in giudizio, a loro volta, denunciavano la ‘precaria condizione strutturale’ del condominio.
Con sentenza n. 1297/2017, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE riconosceva la responsabilità dell’impresa esecutrice dei lavori ai sensi dell’art. 2050 c.c. nella misura dell’80%, unitamente al concorso di colpa degli attori per il restante 20% e, per l’effetto, condannava la RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno patrimoniale da perdita totale dell’immobile condominiale nonché di tutti i costi per la demolizione del fabbricato, per il consolidamento e messa insicurezza dell’area, per gli oneri accessori e le spese di conferimento in discarica delle macerie, e del danno patrimoniale da lesione del diritto di proprietà e dei danni accessori; accoglieva la domanda di manleva della RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e regolava le spese di lite e di CTU secondo il criterio della soccombenza.
La società RAGIONE_SOCIALE e la scissionaria società RAGIONE_SOCIALE, divenuta titolare della commessa oggetto di giudizio, proponevano impugnazione, in via principale, dinanzi alla Corte d’Appello di Milano; il Condominio ed i singoli condomini proponevano appello incidentale.
La Corte d’appello, con la sentenza n. 2546/2022, depositata in data 19 luglio 2022, ha accolto l’appello principale e rigettato quello incidentale, riformando, per l’effetto, la sentenza del Tribunale.
Segnatamente, la Corte d’appello ha ritenuto che il Tribunale si fosse illegittimamente discostato dalle risultanze dei CTU che non si erano affatto espressi in termini di accertamento della sussistenza del nesso di causalità in un’ottica probabilistica tra i lavori svolti dalla appellante RAGIONE_SOCIALE e i danni alle fondazioni del condominio, non avendo detto significato l’espressione ‘non si può escludere’ utilizzata nella relazione tecnica.
Ha rilevato l’insussistenza di elementi utili a suffragare la correlazione diretta tra i lavori di costruzione della galleria e il movimento di versante che aveva trascinato le fondazioni dell’edificio dei danneggiati. Risulta – dice la Corte d’appello – più che incerta l’individuazione dell’evento dal quale sono insorte le conseguenze dannose lamentate dal condominio: nessun altro condominio limitrofo ha manifestato un analogo livello di fessurazioni, la causa delle fessurazioni che progressivamente aveva provocato i danni denunciati era da ricercare nei movimenti differenziali delle fondazioni che non era stato dimostrato fossero in nesso di derivazione causale con i lavori di escavazione della galleria, atteso che i valori di vibrazione rilevati in prossimità del fabbricato condominiale dopo l’uso di esplosivi non avevano evidenziato criticità, le fessurazioni erano state segnalate nell’agosto 2014 quando i lavori già si svolgevano a 200 m di distanza dallo stabile danneggiato, l’uso dell’esplosivo era cessato
nel settembre del 2014, ma nel 2017, al termine delle indagini peritali e quando i lavori di scavo erano terminati da ben più di due anni, i movimenti non erano arrestati e anzi il decadimento della struttura proseguiva inesorabilmente, la CTU aveva evidenziato una particolare fragilità strutturale dell’edificio -già interessato da un’ordinanza di sgombero per inagibilità nel 2003, inoltre, nel 1985 erano comparsi fenomeni di fessurazione che avevano richiesto un intervento di consolidamento delle fondazioni -segno che non erano state adottate le precauzioni specifiche nella costruzione del fabbricato, richieste dalla particolare condizione idrogeologica del terreno, ed aveva rilevato che la realizzazione dello stabile non rispettava gli elaborati progettuali: mancava un giunto strutturale, il vano ascensore non era stato realizzato in cemento armato, i pilastri avevano dimensioni inferiori a quelle progettate, era stato usato conglomerato cementizio con resistenza inferiore a quella prevista, le gettate di cemento non erano state eseguite a regola d’arte.
Ha escluso anche che i lavori eseguiti sul fabbricato vicino giustificassero la ripresa del movimento franoso, atteso che i suddetti lavori erano sospesi da tempo, allorquando avevano (ri)cominciato a manifestarsi le fessurazioni.
Il Condominio e i proprietari degli immobili condominiali ricorrono per la cassazione di detta sentenza, avvalendosi di quattro motivi.
Resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale condizionato RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, fondato su quattro motivi.
La trattazione dei ricorsi è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
I ricorrenti principali, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memoria.
RAGIONI COGNOME DECISIONE
Ricorso principale
1) Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.) nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ.).
Attinta da censura è la statuizione con cui la Corte d’appello ha ritenuto che il giudice di prime cure avesse disatteso le risultanze della CTU senza specificare le ragioni del suo discostamento e comunque in assenza degli elementi utili a consentire di disattenderne le conclusioni.
La tesi delle ricorrenti è che il giudice di prime cure non abbia affatto disatteso le risultanze peritali, ma abbia evidenziato e corretto motivatamente la contraddittorietà tra le conclusioni del CTU e il vaglio tecnico che le aveva precedute e che il giudice a quo non abbia esplicitato le ragioni a supporto delle critiche mosse al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, in violazione dei principi enunciati da Cass., Sez. Un. , 14/03/2019, n. 7354, secondo cui ‘In base al principio judex peritus peritorum il giudice di merito può disattendere le argomentazioni tecniche del consulente tecnico d’ufficio sia nei casi in cui risultino in sé stesse contraddittorie, sia qualora ritenga di applicare in sostituzione argomentazioni diverse desunte da personali cognizioni tecniche’, ma a condizione che, per la soluzione di questioni di natura tecnica o scientifica non abbia alcun obbligo di nominare un consulente d’ufficio, potendo ricorrere alle conoscenze specialistiche acquisite direttamente attraverso studi o ricerche personali, o che, esaminando direttamente la documentazione su cui si basa la relazione del consulente tecnico, ne possa disattendere le argomentazioni contraddittorie, o le possa sostituire con proprie, tratte da personali cognizioni tecniche, motivando comunque adeguatamente.
La corte territoriale avrebbe anche omesso l’esame di fatti decisivi chiaramente esplicitati nella sentenza di primo grado che se esaminati l’avrebbero indotta ad escludere che il Tribunale avesse immotivatamente ritenuto l’elaborato peritale coerente ed incompleto.
Il motivo è infondato.
Giusta o sbagliata che sia, la statuizione con cui la Corte territoriale ha ritenuto che il Tribunale si fosse discostato erroneamente dalle risultanze della CTU è ampiamente motivata e sorretta da precisi e puntuali riferimenti.
Ciò esclude che alla Corte d’appello possa ascriversi alcuna lacuna motivazionale, e ciò senza considerare che il vizio di motivazione ove sussistente deve poter emergere dalla pronuncia in sé e per sé considerata e non dal confronto tra la stessa ed elementi estrinseci (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 7053)
Le ragioni di doglianza formulate dai ricorrenti -come risulta di ovvia evidenza dal loro stesso contenuto, per buona parte affidato ad una riproposizione di stralci della sentenze di prime cure e della CTU -non evidenziano vuoti o discrasie del procedimento motivazionale, bensì riguardano l’attività valutativa che spetta inequivocabilmente al giudice di merito.
Né la censura merita accoglimento sotto il profilo della violazione di legge.
Innanzitutto, va osservato che la tecnica argomentativa utilizzata non ha individuato il vizio cassatorio denunciato, cioè l’errore inerente alla violazione di specifiche norme di legge , il quale postula la individuazione di un errore del giudice di merito nella ricerca e nell’interpretazione della norma regolatrice del caso concreto ovvero nell’applicazione della norma stessa, una volta correttamente individuata ed interpretata. La giurisprudenza di questa Corte è costante nel rilevare che il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella
negazione o nell’affermazione erronea della esistenza o della inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra, invece, nell’ambito applicativo dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Cass. 21/10/2022, n.31211).
Con il secondo motivo i ricorrenti attribuiscono alla Corte d’appello la violazione e falsa applicazione degli artt. 2050 e 2967 cod.civ. e dell’art. 41 cod.pen., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ.
La sentenza ha evocato i principi giurisprudenziali utili alla valutazione della sussistenza del nesso eziologico da assumere quale standard probatorio civile, affermando che deve applicarsi la combinazione di due principi estratti da Cass. 13872/2020: quello del più probabile che non che presuppone vi siano una o più prove dirette credibili e autentiche che confermano l’ipotesi oppure una o più prove indirette dalle quali si possono derivare validamente inferenze convergenti a sostegno di essa; quella della prevalenza relativa della probabilità che rileva quando sullo stesso fatto esistono diverse ipotesi, ossia diversi enunciati che narrano il fatto
in modi diversi, e che queste ipotesi abbiano ricevuto qualche conferma positiva dalle prove acquisite.
Nell’applicazione di detti principi sarebbe incorsa in due errori, relativi, rispettivamente, alla valutazione del tipo di attività oggetto di giudizio, all’applicazione delle regole del giudizio di prevalenza probabilistica.
Sotto il primo profilo, avrebbe omesso di attribuire qualsivoglia rilievo al rischio di frana incidente che avrebbe dovuto essere esaminato mediante il ragionamento predittivo, di c.d. ‘prognosi postuma’, sulla base dell’esame delle circostanze di fatto che si presentavano al momento dell’esercizio dell’attività (Cass. 20/05/2015 n. 10268). Ebbene, sostengono i ricorrenti il rischio frana era un elemento di fatto, mappato ed essenziale, riconosciuto persino dalla impresa appaltatrice, che la Corte d’appello ha ignorato, violando perciò tanto l’art. 2967 c.c. in relazione all’art. 2050 c.c., quanto il criterio della preponderanza dell’evidenza, di cui viene sottolineato il rilievo perché coerente con il principio eurounitario della effettività della tutela giurisdizionale.
Da questa omissione sarebbe derivata la negazione del nesso di causa tra i lavori commissionati all’impresa convenuta, l’uso dell’esplosivo per realizzarli, e l’evento dannoso: negazione basata sull’erronea pretermissione del contesto geologico, rispetto al quale non bastava affatto che le vibrazioni provocate dall’uso dell’esplosivo fossero contenute, in termini di tempo e di incidenza quantitativa.
L’omessa considerazione della delicata condizione geologica del contesto di riferimento integra, secondo la prospettazione dei ricorrenti, anche il vizio di cui all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., atteso che l’accertamento del nesso di causalità materiale, in relazione all’operare di più concause ed all’individuazione di quella cd. “prossima di rilievo” nella verificazione dell’evento dannoso, forma oggetto di un
apprezzamento di fatto del giudice di merito che è sindacabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., sotto il profilo della violazione delle regole di diritto sostanziale recate dagli artt. 40 e 41 cod.pen. e dall’art. 1127, 1° comma, c.c., (Cass. 8/04/2020, n. 7760).
Avrebbe errato la Corte d’appello anche quando ha fatto dipendere l’assenza del nesso di causa dal mero dato cronologico della asserita “risalenza nel tempo” della perforazione della galleria, perché ‘all’interno di una stessa serie causale non può distinguersi tra cause mediate ed immediate, dirette ed indirette, precedenti e successive, salvo che non si riconosca all’ultima verificatasi, ma a condizione che sia autonoma, eccezionale ed atipica, l’idoneità a produrre, essa sola, l’evento dannoso, per tal ragione degradando la causa remota a semplice occasione dell’evento dannoso’ (Cass. 3/02/2022 n. 3285).
Peraltro, lo stesso dato, cioè la criticità geologica e idrogeologica del versante, sarebbe stata presa contraddittoriamente in esame dalla Corte d’appello allo scopo di censurare la scelta risalente a mezzo secolo prima di realizzare proprio in quel sito il condominio danneggiato ed allo scopo di negare la responsabilità dell’impresa che aveva eseguito i lavori di scavo sul versante. In altri termini, la criticità geologica sarebbe stata presa in esame allo scopo di stigmatizzare l’attività edilizia privata ma sarebbe stata del tutto trascurata per valutare la condotta della impresa.
Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.), con riferimento al principio del ‘più probabile che non’ sotto altro profilo nonché dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ.), là dove la Corte d’appello ha omesso di considerare i dati documentati e illustrati in atti (anche dalla sentenza di primo grado) circa la stabilità del
fabbricato mantenuta ininterrottamente per un trentennio fino all’escavazione del versante per la costruzione della galleria.
Raggiunta da censura è l’impugnata sentenza nella parte in cui ha attribuito rilievo al fatto che il condominio fosse stato destinatario dell’ ordinanza di sgombero per inagibilità emessa in data 16.2.1983 dal Sindaco del Comune di Valdisotto e al fatto che nel 1985, a seguito del manifestarsi dei fenomeni di fessurazione su murature tavolati e pavimentazione, fosse stato necessario un intervento di consolidamento delle fondazioni tramite micropali e ciò allo scopo di provare che il fabbricato presentava evidenti segnali di cedimento, individuando la fragilità strutturale del fabbricato come un’alternativa causale rispetto ai lavori di scavo della galleria idonea a provocare l’evento dannoso.
Tale conclusione non terrebbe conto del fatto che le lesioni all’edificio manifestatesi a partire dal 2014 avevano natura diversa da quelle costruttive dei primi anni ottanta, dipendendo, in questo caso, dalla rotazione delle fondazioni per effetto di spinte esterne all’edificio, siccome sarebbero stati trascurati altri dati emersi e illustrati in atti che spiegherebbero più convincentemente il rapporto eziologico tra i lavori sul versante e i danni all’edificio dei ricorrenti, gli stessi che costrinsero l’appaltatrice a sospendere lungamente i lavori per lo studio del fenomeno e delle tecniche per risolverlo e per mettere in sicurezza l’area, prima, e per decidere quali interventi di stabilizzazione e consolidamento adottare, poi.
Sicché la Corte d’appello avrebbe disatteso immotivatamente i principi giurisprudenziali in materia, secondo cui una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani, ma non tra una causa umana imputabile e una concausa naturale non imputabile (assumendo come tali le condizioni pregresse dell’immobile), posto che in tal caso l’autore del comportamento
imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti.
Il secondo ed il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, non meritano accoglimento.
I principi in base ai quali accertare il nesso di causalità (principi cui la legge rinvia e dà per noti, dal momento che alcuna norma contiene una definizione di “nesso causale”), tanto materiale quanto giuridica, sono stabiliti dagli artt. 40 e 41 cod.pen. e dall’art 1223 cod. A differenza della causalità penale orientata alla negazione della irrilevanza delle concause (art. 41 c.p.), la causalità civile guarda al danno e non all’evento; mentre infatti la causalità penale è orientata nella direzione dell’evento e da ciò deriva l’irrilevanza, ovvero l’equivalenza, delle cause concorrenti (art. 41, comma 1, c.p.), la causalità civile ha l’attenzione concentrata sul danno, perché la responsabilità in questo settore ruota sulla figura del danneggiato, mentre quella penale gravita intorno alla figura dell’autore del reato; la funzione della responsabilità civile è quella di trovare la più opportuna allocazione delle conseguenze pregiudizievoli verificatesi nella sfera della vittima, quella della responsabilità penale ha matrice sanzionatoria. Tali differenze sono quelle che principalmente giustificano tanto il divaricamento che, nonostante la comune derivazione normativa dagli artt. 40 e 41 c.p., ormai caratterizza gli approcci al nesso eziologico, quanto la sensibilità che la giurisprudenza civilistica ha dimostrato per la (ormai accreditata) distinzione tra il nesso di causalità materiale e quello di causalità giuridica. L’accertamento del primo dei due nessi è necessario per stabilire se vi sia responsabilità ed a chi vada imputata.
Proprio il mantenimento della differenza tra il nesso di causalità materiale, che è dunque un criterio oggettivo di imputazione della responsabilità, e il nesso di causalità giuridica offre un’appagante soluzione al problema dell’accertamento del nesso di causa rispetto
ad eventi, come quello per cui è causa, a possibile eziologia multifattoriale e più in generale al concorso tra cause umane e cause naturali, oltre che tra cause umane colpevoli e cause umane non colpevoli, alla produzione dell’evento dannoso: perché se viene processualmente accertato, anche sulla scorta del principio del più probabile che non, che l’evento dannoso è la conseguenza del concorso tra la causa naturale e la condotta colpevole, la responsabilità dell’evento sarà ascritta per intero all’autore della condotta, giacché viene esclusa la possibilità di una riduzione proporzionale in ragione della minore incidenza dell’apporto causale del danneggiante, in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, non tra una causa umana imputabile ed una concausa umana non imputabile o tra una causa naturale ed una causa umana imputabile. L’unico precedente di segno contrario -Cass. 16/01/2009, n. 975 – è stato sottoposto a dura critica da questa Corte nella sentenza 21/07/2011, n. 159991, le cui conclusioni fondamentali meritano di essere riprodotte: a) è contraria al dettato normativo l’affermazione secondo cui, nel concorso tra fatto umano e fatto naturale, cui deve essere equiparato il comportamento non colpevole, l’aliquota di danno imputabile all’uno ed all’altro andrebbe stabilita dal giudice “in via equitativa”, dal momento che il giudizio equitativo concerne l’accertamento del danno (art. 1226 cod. civ.) e non l’accertamento delle sue cause; b) l’accertamento del nesso di causa non può che avere per esito l’accertamento della sua sussistenza o della sua insussistenza, sicché è inconcepibile un suo “frazionamento”; c) l’infrazionabilità del nesso di causalità materiale tra condotta ed evento di danno è confermata indirettamente dall’art. 1227 cod. civ.: tale norma, infatti, prevedendo la riduzione della responsabilità nel solo caso di concorso causale fornito dalla vittima, implicitamente esclude la
frazionabilità del nesso nel caso di concorso di cause naturali o di condotte con colpevoli con la condotta del responsabile.
Se però la causa dell’evento dannoso resta ignota e/o se resta indimostrato l’apporto concausale della condotta asseritamente illecita non potrà essere pronunciata alcuna condanna risarcitoria.
Il ragionamento della Corte territoriale, improntato all’esigenza di non imputare sull’impresa appaltatrice, una responsabilità non basata sull’effettivo contributo causale o concausale della stessa al verificarsi dell’evento dannoso, dimostra di essersi dipanato collegando inestricabilmente più angoli prospettici del profilo causale – preponderanza dell’evidenza, responsabilità per concorso di causa – condensandone gli esiti in affermazioni che sono in linea con la giurisprudenza di questa Corte.
Non vi sono le premesse – secondo la valutazione della Corte -per ipotizzare che nel caso di specie l’evento dannoso sia stato la conseguenza della sommatoria di due concause; la causa naturale, costituita dalla debolezza strutturale dell’edificio, edificato senza le necessarie precauzioni e persino in difformità dalle previsioni progettuali su un terreno idrogeologicamente delicato, non ha costituito la mera premessa contingente per la produzione dell’evento, su cui si è innestata la concausa umana – la perforazione del versante montano, per giunta con l’uso di esplosivi -.
Il che non consente di ritenere fondate le obiezioni dei ricorrenti in ordine all’ipotizzato concorso della causa naturale preesistente e della condotta colpevole sopravvenuta.
Né è stata correttamente prospettata la questione del se gli effetti negativi dello stato naturale e conclamato del terreno preesistente – cioè la particolare connotazione idrogeologica del terreno -siano stati per così dire scatenati dalla condotta umana colpevole, come pretendono i ricorrenti, perché a monte vi è un ostacolo insormontabile che assume carattere assorbente rispetto ad ogni
ulteriore considerazione e con cui i ricorrenti non si confrontano: la Corte d’appello ha escluso che l’antecedente naturale preesistente – conclamato, come si è detto, proprio in ragione del fatto che esso aveva già manifestato i suoi effetti: ordinanza di sgombero per inagibilità, fessurazioni che avevano richiesto opere di consolidamento proprio delle fondamenta -abbia avuto una qualunque interdipendenza funzionale con la condotta della ditta appaltatrice. Non significa che non ne abbia tenuto conto, come denunciano i ricorrenti, né che ne abbia tenuto conto solo al fine di stigmatizzare l’attività edilizia privata, ma significa che lo ha considerato all’origine di una serie causale semmai autonoma, ma comunque, ai fini che sono di interesse per la vicenda per cui è causa, indipendente dalla condotta dell’asserita danneggiante.
4) Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione di norme degli artt. 92, 2° comma, e 91, prima parte, cod.proc.civ., ai sensi art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., per essere stati condannati al rimborso delle spese a favore tutte le controparti in causa, nonostante vi fossero i presupposti per la compensazione, nonché alla refusione delle spese di tutti i terzi chiamati , nonostante le domande di questo ultimi nei loro confronti siano state rigettate.
Il motivo è infondato.
In tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione (Cass., Sez. Un., 15/07/2005, n.14989; Cass. 22/12/2005, n. 28492; Cass. 31/03/2006, n. 7607; Cass. 26/04/2019, n. 11329).
Né la Corte d’appello è incorsa in errore per aver posto a carico dei ricorrenti le spese sostenute dai terzi chiamati in giudizio a titolo di garanzia impropria. In linea di principio, una volta rigettata la domanda principale, le spese sostenute dal terzo chiamato a titolo di garanzia impropria devono essere poste a carico del soccombente che ha provocato e giustificato la chiamata in garanzia, anche se l’attore soccombente non abbia formulato alcuna domanda nei confronti del terzo. L’unica deroga a tale principio, che non ricorre nel caso di specie, si verifica allorché l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente infondata, perché in tal caso, nel rapporto processuale instaurato tra convenuto e terzo chiamato, in applicazione del principio della soccombenza, il convenuto chiamante è tenuto a farsi carico delle spese processuali sostenute dai terzi chiamati (Cass. 11/12/2023, n.34375).
Ricorso incidentale condizionato di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
Con il primo motivo, ex art. 360, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ., per mero scrupolo difensivo, viene denunciata la sussistenza di motivazione assente e contraddittoria , per avere la Corte d’appello ‘confermato nel resto della sentenza di I grado’, nonostante nulla fosse rimasto della pronuncia del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE.
Con il secondo motivo le società ricorrenti deducono che, ove dovesse essere rimessa in discussione la loro responsabilità, dovrebbe accertarsi anche l’ incidenza causale sul dissesto del Condominio Zebrù 2 delle attività svolte dalle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in occasione della realizzazione del residence La Perla.
Con il terzo motivo le ricorrenti evocano la responsabilità della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE per la scelta operativa di procedere alla realizzazione di una determinata opera pubblica (la galleria in
questione) in un determinato territorio, senza il doveroso esame degli effetti che tale opera avrebbe avuto sull’ambiente e sul territorio.
Con il quarto motivo le ricorrenti evocano la copertura assicurativa per i danni a terzi in relazione alle pretese risarcitorie del condominio e dei condomini
Il ricorso incidentale condizionato è assorbito.
Per le ragioni esposte, il ricorso principale va rigettato e il ricorso incidentale condizionato è da dichiarare assorbito.
Ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di cassazione relativamente a tutti i rapporti processuali, atteso il contrastante esito delle due fasi di merito del giudizio che può avere spinto i ricorrenti (principali e incidentali) ad adire questa Corte.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato. Dispone la compensazione delle spese in relazione a tutti i rapporti processuali, per le ragioni di cui in motivazione.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, nei confronti dell’ufficio del merito competente, da parte dei ricorrenti principali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile