Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34478 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34478 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6632/2021 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, COGNOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE per procura in calce al ricorso,
-ricorrente-
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura in calce al controricorso,
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n.1953/2020 depositata il 28.7.2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12.12.2024
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
A partire dal 2004 COGNOME COGNOME, mediatore professionista, assisteva COGNOME NOME, all’epoca Presidente della Crediveneto, nella realizzazione di un’operazione speculativa immobiliare, consistente nell’acquisizione a scopo di rivendita di un terreno edificabile con sovrastanti edifici da demolire, sito in Cerea (VR), INDIRIZZO di proprietà di Rossato Fioravante.
Il 23.1.2006 il COGNOME rilasciava al COGNOME un incarico di vendita in esclusiva ed a tempo indeterminato del suddetto terreno, con potenzialità edificatoria di 23.000 mc, con promessa al mediatore atipico di un compenso pari all’eccedenza del prezzo di vendita che sarebbe stato realizzato rispetto al prezzo minimo, fissato in €1.550.000,00, e l’8.2.2006 NOME COGNOME aveva rilasciato al COGNOME procura irrevocabile a vendere il complesso immobiliare.
Il COGNOME aveva quindi impostato un’operazione immobiliare, che prevedeva un prezzo di € 100 al mc, e quindi di complessivi €2.200.000,00 per la vendita del compendio, e l’aveva illustrata nel suo ufficio a Merlin NOME e NOME.
Il 19.2.2006 il COGNOME aveva consegnato al Merlin le tavole del progetto di sviluppo dell’area, facendosi rilasciare ricevuta sul documento, e su suo incarico il COGNOME le aveva poi consegnate al COGNOME, che a sua volta aveva firmato per ricevuta sul medesimo documento.
Successivamente dette tavole del progetto erano state consegnate dal COGNOME a tal COGNOME NOME, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE poi rivelatasi interessata all’acquisto.
Con raccomandata dell’8.5.2006 il COGNOME aveva revocato l’incarico al COGNOME, ed il 4.7.2006 si era intestato i terreni del compendio, che aveva già acquistato su preliminare dal Rossato facendosi rilasciare procura irrevocabile a vendere.
Il 18.5.2007 il COGNOME aveva quindi venduto il compendio immobiliare in questione alla Cooperativa Tesoro s.c., con atto del notaio NOME COGNOME al prezzo di € 2.200.000,00.
Il COGNOME avuta notizia di tale vendita, aveva quindi richiesto al COGNOME il pagamento della provvigione prevista dall’incarico, ammontante ad €650.000,00, pari alla differenza tra il prezzo pattuito della compravendita del compendio (€ 2.200.000,00) ed il prezzo minimo a suo tempo stabilito nell’incarico dal COGNOME (€1.550.000,00), ma senza esito, ed il 18.4.2008 aveva avuto conferma dalla Cooperativa Tesoro s.RAGIONE_SOCIALE. che l’affare le era stato segnalato dal Guerra.
Il 17.10.2008 il COGNOME aveva quindi chiesto, ed in seguito ottenuto, dal Tribunale di Verona, ma senza rivalutazione monetaria ed interessi, l’emissione del decreto ingiuntivo n. 4492/2008 del 21/22.10.2008 immediatamente esecutivo per €650.000,00, a titolo di provvigione per mediazione atipica, a carico del COGNOME.
Avverso tale decreto ingiuntivo proponeva tempestiva opposizione il COGNOME che ne chiedeva la revoca, in quanto il mandato di vendita al COGNOME era stato da lui revocato molto tempo prima della vendita del compendio immobiliare alla Cooperativa Tesoro s.RAGIONE_SOCIALE società peraltro del tutto sconosciuta al RAGIONE_SOCIALE, e sosteneva l’assenza di nesso causale tra l’attività d’intermediazione svolta dal COGNOME e la vendita da lui conclusa il 18.5.2007, ad un prezzo totalmente diverso da quello dell’incarico e neppure
pagatogli dalla RAGIONE_SOCIALE, mentre il COGNOME si costituiva chiedendo il rigetto dell’opposizione.
Sospesa con ordinanza del 17.4.2009 l’immediata esecutività del decreto ingiuntivo opposto ed espletati gli interrogatori formali delle parti e la prova testimoniale, il Tribunale di Verona, con la sentenza n. 2279 del 5/14.8.2015, accoglieva parzialmente l’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava il COGNOME al pagamento in favore del COGNOME della provvigione di € 66.000,00 oltre interessi legali dalla notifica del decreto ingiuntivo al saldo, parametrata al 3% previsto dagli usi per la mancata prova del pagamento dell’intero prezzo di € 2.200.000,00, nonché al pagamento delle spese processuali della fase monitoria e del giudizio di opposizione.
Contro tale sentenza proponeva appello principale il COGNOME che chiedeva la condanna del COGNOME al pagamento della provvigione richiesta in fase monitoria, secondo la previsione di incarico, nella misura di € 650.000,00, e proponeva appello incidentale il COGNOME che chiedeva l’accertamento che al COGNOME non competeva alcuna provvigione in forza dell’incarico conferitogli il 23.1.2006 poi revocato, e la condanna del medesimo alla restituzione della somma di € 102.897,71 a lui versata in esecuzione della sentenza di primo grado, oltre interessi legali dal pagamento al saldo.
La Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza n. 1953/2020 del 30.6/28.7.2020, rigettava l’appello principale, accoglieva l’appello incidentale, ed in riforma della sentenza di primo grado, accertava che nulla doveva il COGNOME al COGNOME in forza della scrittura privata di incarico di mediazione atipica del 23.1.2006, condannava il COGNOME alla restituzione al COGNOME della somma di €102.897,71 oltre interessi legali dal pagamento al saldo, nonché al pagamento delle spese processuali del doppio grado di giudizio, in base al principio della soccombenza.
In particolare la Corte d’Appello rilevava che il Tribunale aveva erroneamente valutato l’attendibilità delle prove testimoniali (deposizioni COGNOME, COGNOME e COGNOME), ritenendo che il COGNOME avesse fornito le informazioni essenziali sulle condizioni della vendita del compendio immobiliare a COGNOME NOME e COGNOME NOME, che avrebbero a loro volta agito per conto della RAGIONE_SOCIALE, che aveva poi proceduto all’acquisto del compendio immobiliare, facendo quindi sorgere il suo diritto alla provvigione ancor prima che il COGNOME gli revocasse il mandato a vendere.
Riesaminate quindi le prove testimoniali, il giudice di secondo grado, confermato che la fattispecie in esame era di mediazione atipica, o unilaterale, e che in base all’art. 1755 cod. civ. per la maturazione del diritto alla provvigione non bastava che l’affare fosse stato concluso, occorrendo anche che tale conclusione fosse avvenuta per effetto dell’intervento del mediatore secondo la teoria della causalità adeguata, negava che fosse stata fornita prova dal Guarinoni della sussistenza di tale nesso causale fra l’attività svolta nel periodo di vigenza del mandato a vendere (23.1.2006 -8.6.2006) e la compravendita conclusa dal COGNOME con la Cooperativa Tesoro s.c. il 18.5.2007. La sentenza impugnata evidenziava in particolare, in punto di fatto, che il COGNOME non aveva avuto alcun contatto diretto con la Cooperativa Tesoro s.cRAGIONE_SOCIALE avendola solo sentita nominare come potenziale interessata, ancorché non certa, all’acquisto del compendio, nell’incontro avuto presso il suo studio con NOME e COGNOME NOME, il quale aveva manifestato interesse all’acquisto solo per sé e per le sue 15 società; che il COGNOME non aveva segnalato al COGNOME come potenziale interessata all’acquisto la Cooperativa Tesoro s.RAGIONE_SOCIALE, né COGNOME NOME, che peraltro non aveva agito in nome e per conto della Cooperativa Tesoro s.RAGIONE_SOCIALE, come desumibile dalle deposizioni COGNOME e COGNOME; che il teste COGNOME, che aveva detto
che il COGNOME gli avrebbe promesso una percentuale se l’affare fosse andato in porto, era risultato inattendibile per l’evidente interesse nell’operazione; che gli intermediari COGNOME e COGNOME, ai quali il COGNOME aveva fornito informazioni sulla vendita, non avevano quindi ricevuto incarichi di sorta dalla RAGIONE_SOCIALE; che il COGNOME era stato presentato a COGNOME NOME, presidente del Consiglio di Amministrazione della RAGIONE_SOCIALE, da COGNOME NOME, ma non aveva conferito alcun mandato al COGNOME, che gli aveva fatto conoscere il COGNOME, venendo a conoscenza del COGNOME solo dopo che costui aveva lamentato di non avere ricevuto la provvigione asseritamente a lui spettante; che non aveva trovato conferma la tesi di un incontro fra il COGNOME, il COGNOME ed il COGNOME relativo alla compravendita del compendio immobiliare; che la compravendita era stata poi conclusa a distanza di circa un anno dalla revoca dell’incarico che il COGNOME aveva conferito al COGNOME, dopo una trattativa, rimasta senza esito, condotta dal COGNOME personalmente con un altro soggetto (testimonianza COGNOME) ed a condizioni diverse, oltre che con un soggetto diverso dai destinatari delle informazioni fornite dal COGNOME.
Avverso tale sentenza, non notificata, ha proposto ricorso a questa Corte COGNOME COGNOME affidandosi a due motivi, ed ha resistito con controricorso COGNOME AlessandroCOGNOME
Nell’imminenza dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo di ricorso il COGNOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1754 cod. civ. (che stabilisce che il mediatore é colui che mette in relazione due o più parti per la
conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza, o di rappresentanza) e nel contempo dell’art. 1755 cod. civ. (secondo il quale il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti se l’affare é concluso per effetto del suo intervento).
Si duole il ricorrente che la Corte d’Appello, negando l’esistenza del nesso causale tra l’attività da lui svolta e la conclusione dell’affare tra il RAGIONE_SOCIALE e la Cooperativa Tesoro s.c. e conseguentemente il diritto del COGNOME alla provvigione, abbia violato l’art. 1754 cod. civ. sui requisiti dell’attività di messa in relazione dei contraenti, e nel contempo abbia violato l’art. 1755 cod. civ., che stabilisce il diritto del mediatore alla provvigione quando l’affare é concluso per effetto del suo intervento.
Dopo avere estrapolato solo alcune considerazioni che la Corte d’Appello ha posto a base del suo convincimento (mancata informazione del COGNOME da parte del COGNOME sull’esistenza di un interesse all’acquisto della Cooperativa Tesoro s.c., passaggio di informazioni da parte del COGNOME solo ad alcuni intermediari, conclusione dell’affare a distanza di tempo a condizioni diverse da quelle previste nell’incarico a vendere revocato), il ricorrente sottolinea che il COGNOME non poteva essere considerato contraente inconsapevole in quanto aveva conferito l’incarico di vendita al RAGIONE_SOCIALE, richiama il precedente della Corte citato anche dall’impugnata sentenza (Cass. 16.1.2018 n. 869), secondo il quale la dipendenza del buon esito dell’affare dall’attività dell’intermediario non richiedeva che tale intervento vi fosse stato in tutte le fasi della trattativa, essendo sufficiente che pur nell’ambito di un’articolazione complessa della trattativa, eventualmente anche con la partecipazione di soggetti terzi, avesse costituito l’antecedente indispensabile, richiama l’arresto di questa Corte che non considera di per sé decisivo l’intervallo temporale tra l’intervento del mediatore e la conclusione dell’affare per negare
l’esistenza del nesso causale (Cass. 21.11.2000 n. 15014), l’arresto che ha riconosciuto il diritto del mediatore che abbia avvicinato i contraenti alla provvigione anche nel caso di interventi di submediatori (Cass. 3.9.1991 n. 9350), e l’arresto che ha stabilito che non rileva, ai fini del diritto del mediatore alla provvigione, il fatto che la conclusione dell’affare sia avvenuta dopo la scadenza dell’incarico conferitogli, purché il mediatore abbia messo in relazione i contraenti con un’attività causalmente rilevante ai fini della conclusione dell’affare (Cass. 18.9.2008 n.23842).
Il richiamo alla simultanea violazione degli articoli 1754 e 1755 cod. civ. vale a superare la riferibilità dell’art. 1754 cod. civ. alla sola mediazione diretta, caratterizzata dall’imparzialità del mediatore e dall’assenza di obbligazioni del medesimo nei confronti delle parti intermediate prima della conclusione dell’affare, e non alla mediazione atipica, o unilaterale, che si ha quando, come nel caso di specie, l’incarico di svolgere attività d’intermediazione sia conferito con apposito patto dal cliente, con determinazione di reciproci obblighi tra le parti già prima della conclusione dell’affare, e con individuazione dell’evento determinante la maturazione del diritto alla provvigione dell’intermediario, eventualmente anche diverso dalla conclusione dell’affare cui si riferisce per la mediazione l’art. 1755 cod. civ., ed il motivo punta alla verifica della corretta applicazione del principio della causalità adeguata, ritenuta praticabile in sede di legittimità dalla giurisprudenza più recente di questa Corte (Cass. 5.12.2024 n. 31187; Cass. 19.3.2024 n. 7394; Cass. 9.1.2024 n. 785; Cass. 2.2.2023 n.3165).
Secondo tale principio il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, che sussiste quando il mediatore abbia utilmente messo in relazione le parti intervenendo nelle varie fasi delle trattative, così da realizzare l’antecedente indispensabile per
pervenire alla conclusione del contratto, nel senso che quest’ultima possa ritenersi conseguenza dell’opera prestata dall’intermediario, tale che, senza di essa, secondo il principio della causalità adeguata, il contratto stesso non si sarebbe concluso. Per contro non sussiste il diritto alla provvigione quando, dopo una prima fase di trattative avviate con l’intervento del mediatore senza risultato positivo, le parti siano successivamente pervenute alla conclusione dell’affare in maniera indipendente da quell’originario intervento, per effetto di iniziative nuove, non ricollegabili con le precedenti o da queste condizionate. Poiché il diritto alla provvigione da parte del mediatore consegue non alla conclusione del negozio giuridico, ma dell’affare, inteso come qualsiasi operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, la condizione perché sorga il diritto alla provvigione è, dunque, l’identità dell’affare proposto con quello concluso, vi deve essere continuità nell’operazione e la conclusione dell’affare dev’essere collegabile al contatto determinato dal mediatore tra le parti (Cass. 5.12.2024 n. 31187; Cass. n. 7626/2023; Cass. n. 3165/2023; Cass. n. 27185/2022; Cass. n. 11443/2022; Cass. n. 22426/2020). La nozione di ‘causalità adeguata’ è stata sviluppata in ambito penale per mitigare la rigorosa imputazione dell’evento in base alla causalità condizionalistica (o della condicio sine qua non ), nel senso che non tutte le condizioni sono considerate cause, e nell’ambito del diritto alla provvigione dell’intermediario assolve alla medesima funzione, quella di evitare che la causalità efficiente dell’intervento dell’intermediario di cui all’art. 1755, comma 1 cod. civ., si riduca alla causalità condizionalistica, si appiattisca cioè sulla definizione della figura del mediatore di cui all’art. 1754 cod. civ.. In altri termini, la nozione di causalità adeguata serve a rendere elastico il termine ‘effetto’ di cui all’art. 1755, comma 1 cod. civ. ed a fare intendere quel termine nel senso della necessaria valutazione anche dell’adeguatezza (vedi Cass. 2.2.2023 n. 3165).
La ricostruzione di ‘effetto adeguato’ o di ‘efficienza causale adeguata’ dell’intervento dell’intermediario rispetto alla conclusione dell’affare si muove elasticamente all’interno di un campo delimitato, ai due capi opposti, da due elementi rigidi, di ordine negativo: (a) di per sè, la semplice messa in relazione delle parti ad opera del primo mediatore non è sufficiente ad integrare l’efficienza causale adeguata ex art. 1755, comma 1 cod. civ.; (b) di per sè, il semplice intervento di un secondo intermediario non è sufficiente a privare ex post l’opera del primo intermediario della sua qualità di adeguatezza ex art. 1755, comma 1 cod. civ.
Nel caso di specie, l’impugnata sentenza ha anzitutto negato il diritto del COGNOME alla provvigione pattuita nell’incarico di mediazione atipica conferitogli dal COGNOME il 23.1.2006, e revocatogli l’8.5.2006, (pari alla differenza tra il prezzo minimo fissato di € 1.550.000,00 e quello ottenuto nella compravendita del compendio immobiliare), in quanto dall’istruttoria svolta é emerso che mai il COGNOME aveva messo in contatto il COGNOME con la futura acquirente RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE né gliela aveva presentata come soggetto potenzialmente interessato all’acquisto, né aveva presentato al COGNOME gli intermediari RAGIONE_SOCIALE Boris e COGNOME Francesco ai quali aveva consegnato le tavole del progetto di sviluppo dell’area, facendosi rilasciare ricevuta, ed ha altresì accertato che nessuno dei suddetti intermediari aveva agito per conto della Cooperativa Tesoro s.RAGIONE_SOCIALE, per cui già sotto questo profilo poteva essere correttamente escluso il nesso causale fra l’attività posta in essere dal mediatore atipico e la conclusione dell’affare.
La sentenza della Corte d’Appello ha poi valorizzato, sempre ai fini della negazione del diritto del COGNOME alla provvigione, ulteriori elementi, rappresentati dal lungo tempo intercorso fra la revoca dell’incarico (8.5.2006) e la conclusione del contratto di compravendita del compendio immobiliare tra il Belluzzo e la Cooperativa Tesoro s.c. (18.5.2007), dal fatto che in tale intervallo
temporale il COGNOME aveva condotto personalmente la trattativa con un altro potenziale acquirente non andata a buon fine (testimonianza COGNOME), e dalle condizioni diverse della suddetta compravendita rispetto a quelle previste nell’incarico del 23.1.2006, pur senza esplicitare sotto quale profilo vi sarebbe stata diversità (forse nel prezzo pattuito in € 2.200.000,00 a fronte di un prezzo minimo di € 1.550.000,00 fissato nell’incarico, largamente inferiore).
Il giudice di secondo grado ha quindi compiuto un’approfondita, corretta ed esauriente valutazione delle risultanze probatorie, complessivamente emerse dall’istruttoria, per negare l’esistenza di un nesso di causalità adeguata tra l’attività d’intermediazione posta in essere dal mediatore atipico COGNOME e la conclusione della compravendita del compendio tra il COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE
Tale valutazione non é certo intaccata dai richiami del ricorrente alle sentenze di questa Corte, che hanno affermato non essere indispensabile ai fini del riconoscimento del diritto alla provvigione la partecipazione dell’intermediario a tutte le fasi della trattativa, potendo bastare anche l’avere messo in contatto per primo le parti che hanno poi concluso con l’intervento anche di terzi, o di submediatori, il contratto, dato che qui il COGNOME non ha messo in contatto il Belluzzo con la Cooperativa Tesoro s.c. e che gli intermediari contattati dal RAGIONE_SOCIALE non operavano per conto della Cooperativa Tesoro s.c.. Neppure risulta rilevante il richiamo di parte ricorrente a quelle sentenze di questa Corte, che hanno stabilito che la conclusione dell’affare dopo la scadenza dell’incarico conferito al mediatore atipico e l’intervallo temporale intercorso tra l’attività svolta dall’intermediario e la conclusione dell’affare non sono decisivi al fine di stabilire se competa, o meno il diritto alla provvigione, posto che, come si é visto, la Corte d’Appello nella formazione del suo convincimento, non ha considerato solo
l’elemento temporale, ed é pervenuta alla decisione del diniego del diritto alla provvigione sulla base di una lettura convergente in tal senso di una pluralità di altri elementi probatori.
E’ poi evidente che questa Corte, giudice di legittimità, non può procedere ad una rivalutazione del materiale probatorio, che si traduca in una ricostruzione in fatto difforme da quella motivatamente e plausibilmente operata dalla Corte d’Appello, allo scopo di attribuire un maggiore peso a risultanze istruttorie che potrebbero risultare favorevoli al riconoscimento del diritto del mediatore atipico alla provvigione, competendo al giudice di merito l’individuazione delle prove alle quali attribuire maggior peso ai fini della decisione.
Col secondo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., la motivazione assente e/o apparente e contraddittoria, l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti e dell’art. 132 comma 2° n. 4) Cost. ( rectius c.p.c.).
Si duole il ricorrente che l’impugnata sentenza non avrebbe dato conto degli elementi considerati nel suo percorso argomentativo, soprattutto nell’esprimere il giudizio di diversità tra l’affare concluso e l’incarico di mediazione atipica conferito al COGNOME, e che in particolare avrebbe omesso di considerare che COGNOME NOME, legale rappresentante della acquirente RAGIONE_SOCIALE, aveva avuto notizia dell’affare dal COGNOME tramite COGNOME NOME, che gli aveva consegnato nel febbraio 2006 le tavole di progetto relative all’operazione immobiliare ricevute da RAGIONE_SOCIALE, al quale erano state consegnate dallo stesso COGNOME.
Tale circostanza era stata allegata già al punto 10 della comparsa di risposta del COGNOME del 27.3.2009 del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ed era stata contrastata dal COGNOME nella memoria ex art. 183 comma 6° c.p.c. del 28.7.2009 in cui aveva negato di avere conosciuto il COGNOME, presidente della RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE, tramite il COGNOME, o tramite il COGNOME, e nella comparsa conclusionale del 30.3.2015, in cui aveva negato che il COGNOME avesse svolto qualsivoglia attività in relazione alla conclusione dell’operazione avente ad oggetto la lottizzazione di Cerea tra il Belluzzo e la RAGIONE_SOCIALE
La suddetta circostanza, ad avviso del ricorrente, doveva ritenersi decisiva, in quanto smentiva l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale la compravendita era stata conclusa con soggetto diverso dai destinatari delle informazioni fornite dal COGNOME.
Premesso che dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. non é più consentita la formulazione di censure di insufficiente, o contraddittoria motivazione (vedi Cass. sez. un. 10.7.2015 n. 14477), va detto che per quanto già riportato nella descrizione del fatto (pagine 3 e 4 di questa sentenza) e nell’esaminare il primo motivo di ricorso (pagine 8 e 9 di questa sentenza), l’impugnata sentenza non é certo affetta da un vizio di motivazione ancora sindacabile in sede di legittimità.
Le sezioni unite di questa Corte hanno, infatti, chiarito, che a seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del ‘minimo costituzionale’ richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi -che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenzadi ‘ mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale ‘, di ‘ motivazione apparente ‘, di ‘ manifesta ed irriducibile contraddittorietà ‘ e di ‘ motivazione perplessa od incomprensibile ‘, mentre al di fuori di tali ipotesi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un ‘ fatto storico ‘, che abbia formato oggetto di
discussione e che appaia ‘ decisivo ‘ ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. ord. n. 7090 del 3.3.2022; Cass. ord. n.22598 del 25.9.2018; Cass. n. 23940 del 12.10.2017; Cass. Sez. un. 22.9.2014 n.19881).
Quanto alla doglianza formulata ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., ritiene la Corte che la circostanza di fatto dedotta sia stata in realtà già considerata dalla Corte d’Appello, anche se non nel senso auspicato dal ricorrente.
Alle pagine 8 e 9 dell’impugnata sentenza, infatti, é testualmente riportato: ‘ Vanno meglio esaminate le prove testimoniali che, secondo il primo Giudice, avrebbero dimostrato che il COGNOME fornì tutte le informazioni sulle condizioni di vendita del terreno suddetto al RAGIONE_SOCIALE consegnandogli anche una tavola progettuale che il RAGIONE_SOCIALE a sua volta consegnò al COGNOME e che questi consegnò al COGNOME, rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE (v. pag. 3 sentenza). Ora, anche ammesso che l’informazione fornita dal COGNOME al COGNOME fosse passata da quest’ultimo alla Cooperativa Tesoro attraverso l’intermediazione di tanti altri soggetti, manca la prova, essenziale per il sorgere del diritto alla provvigione, che il COGNOME avesse riferito al COGNOME dell’interesse all’acquisto da parte della Coop. Tesoro. Senza tale ultimo passaggio, non può dirsi provato il presupposto per compensare l’attività mediatoria con una parte consistente del prezzo, € 650.000,00′. Nel prosieguo della motivazione, inoltre, la Corte d’Appello, dopo avere partitamente ed in dettaglio esaminato le testimonianze acquisite per valutarne l’attendibilità, o inattendibilità, con giudizio insindacabile in questa sede, ha ribadito l’insussistenza del diritto alla provvigione del COGNOME, in quanto lo stesso non aveva messo in contatto il COGNOME con la RAGIONE_SOCIALE, né personalmente, né tramite propri submandatari, né aveva conosciuto tale cooperativa prima di avanzare le sue rivendicazioni provvigionali, né aveva indicato la stessa, o NOME NOME, al
COGNOME, come soggetti potenzialmente interessati all’acquisto, per cui mancava il requisito primo richiesto, secondo la teoria della causalità adeguata sopra richiamata, per riconoscere al mediatore atipico il diritto al compenso, in assenza del quale la circostanza in questa sede invocata sotto il profilo dell’art. 360 comma primo n.5) c.p.c. difetta anche di decisività.
In base al principio della soccombenza il COGNOME va condannato al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo a favore del controricorrente.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, respinge il ricorso di COGNOME COGNOME e lo condanna al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per spese ed €11.000,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%. Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 12.12.2024