Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4645 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3   Num. 4645  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11605/2022 R.G. proposto da: COGNOME NOME, rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME NOME (c.f. CODICE_FISCALE, pec EMAIL) unitamente all’avvocato COGNOME NOME (c.f. CODICE_FISCALE, pec EMAIL)
-ricorrente-
RAGIONE_SOCIALE,  elettivamente  domiciliata  in  INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME ( c.f. CODICE_FISCALE,  pec  EMAIL) che la rappresenta e difende
– controricorrente- avverso  SENTENZA  di  CORTE  D’APPELLO  MILANO  n.  320/2022 depositata in data 1/02/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Lecco RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE) chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, nella misura di Euro 25.000,00. Espose, in particolare, quanto segue. Era stato notificato all’attore un decreto penale di condanna per il reato di sostituzione di persona di cui all’art. 494 c.p., per aver utilizzato i dati di una terza persona, tale NOME COGNOME, e, fingendosi costui, per avere indotto la compagnia telefonica RAGIONE_SOCIALE ad intestare al COGNOME una utenza telefonica fissa. Proposta opposizione al decreto penale, lo COGNOME era stato assolto per non aver commesso il fatto. L’azione penale esercitata nei suoi confronti era stata originata da una notizia di reato dei Carabinieri di Vinci (FI) che avevano indicato lo COGNOME quale intestatario del codice Iban, sul quale sarebbe stato accreditato il corrispettivo di una truffa on line, sulla scorta della comunicazione, da parte di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, del soggetto intestatario del conto. Dedusse quindi il mancato rispetto da parte della convenuta degli obblighi di verifica della clientela così come indicati nella Circolare della
Banca d’Italia del 3.4.2013 in attuazione del disposto di cui all’art. 7 co. 2 del d.lgs. 21.11.2007 n. 231.
Il  Tribunale  adito  rigettò  la  domanda.  Avverso  detta  sentenza propose appello lo RAGIONE_SOCIALE. Con sentenza di data 1° febbraio la Corte d’appello di Milano rigettò l’appello.
Premesso che il contratto relativo alla carta ricaricabile denominata ‘PayPalCard’ rilasciata da RAGIONE_SOCIALE era stato sottoscritto presso una tabaccheria e che riportava gli estremi della carta d’identità esibita dal contraente, allegata in fotocopia unitamente alla tessera sanitaria, osservò la corte territoriale che la fotocopia, pur non molto nitida, attestava che al momento della sottoscrizione del contratto erano stati esibiti una carta di identità ed una tessera sanitaria, documenti privi di segni apparenti di contraffazione, e che, fino al rilievo incidentale della contraffazione da parte del giudice penale mediante il raffronto con le fattezze dello COGNOME, non erano emersi elementi che inducessero a dubitare della genuinità del documento, per cui non risultava violato il provvedimento della B anca d’Italia recante disposizioni attuative in materia di adeguata verifica della clientela, ai sensi dell’art. 7, comma 2, del Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231, recante, nella parte seconda, alla sezione III, la previsione che ‘l’identificazi one (del cliente) avviene mediante acquisizione dei dati identificativi forniti dall’interessato o tratti da un documento d’identità non scaduto tra quelli indicati nell’allegato tecnico del decreto antiriciclaggio’.
Aggiunse che ‘prima ancora, e in via logicamente prioritaria’, era da escludere l’esistenza del nesso eziologico tra l’evento di danno, costituito dall’essere stato coinvolto inutilmente in un processo penale, e la condotta, addebitata a RAGIONE_SOCIALE, di segnalazione agli inquirenti del l’identità dell’apparente titolare del conto, perché che fosse stato lo COGNOME a sostituirsi a NOME COGNOME era un’ipotesi formulata dall’autorità inquirente, fondata sulla (anche qui, apparente)
intestazione del conto corrente sul quale era stata bonificata la somma corrispettivo dell’acquisto e che, in base alla giurisprudenza, la denuncia di un reato perseguibile d’ufficio (qui peraltro mera comunicazione alle autorità inquirenti, su loro richiesta, dei dati a propria conoscenza) non era fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante, ai sensi dell’art. 2043 c.c., anche in caso di proscioglimento o di assoluzione, se non quando essa potesse considerarsi calunniosa, posto che, al di fuori di tale ipotesi, l’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale si sovrapponeva all’iniziativa del denunciante, interrompendo così ogni nesso causale tra tale iniziativa ed il danno eventualmente subito dal denunciato. Osservò infine, che l’onere economico sostenuto per difendersi in un giudizio penale non poteva essere considerato danno, ai sensi dell’art. 2043 c.c., essendo prevista la condanna del querelante alle spese sostenute dall’imputato nei soli casi di assoluzione da reato perseguibile a querela, e che comunque il danno non era stato dimostrato.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base di nove  motivi  e  resiste  con  controricorso  la  parte  intimata.  E’  stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ.. E’ stata presentata memoria da parte del ricorrente.
Considerato che:
con il primo motivo si denuncia violazione del Regolamento della Banca d’Italia del 3 aprile 2013, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che, non essendo leggibili né il numero della carta di identità né il codice fiscale, COGNOME non poteva procedere all’adempimento degli obblighi di adeguata verifica in quanto, alla luce della detta illeggibilità, non poteva essere compiuta la valutazione del rischio inerente alla persona, per cui la carta di credito non poteva essere emessa.
Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 132 e 118 att. cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la motivazione della sentenza è apparente  perché dall’esame  del  documento  risulta  che  non  sono leggibili i numeri di emissione della carta di identità ed il codice fiscale, del  quale  risulta  acquisita  solo  la  parte  anteriore,  né  tali  dati  sono ricavabili dal contratto sottoscritto dal cliente.
Con il terzo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la corte territoriale ha omesso di esaminare il fatto che, prima del dibattimento, il difensore dello COGNOME aveva chiesto all’intimata di mettere a disposizione la documentazione a sua disposizione e che tale richiesta non era stata accolta, ritardando di un anno la sentenza di proscioglimento. Aggiunge che la documentazione in discorso è stata depositata, a distanza di un anno dall’inizio del dibattimento, solo dopo l’ordine di esibizione da parte del giudice.
Con il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 1176 cod. civ., 43 cod. pen., 27 Cost., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che l’intimata ha violato la c.d. diligenza del bonus argentarius , secondo cui devono essere predisposti tutti i mezzi per evitare il verificarsi di eventi pregiudizievoli comunque prevedibili, avuto riguardo anche al mancato invio sia ai carabinieri di Vinci, che al difensore nel processo penale, della documentazione in suo posse sso, avendola depositata solo a seguito dell’ordine giudiziale, e che se COGNOME avesse comunicato agli organi inquirenti che non era in grado di ricondurre il titolare della carta ad una persona ben precisa l’autore del reato non sarebbe stato individua to sulla base della titolarità della carta di debito, posto che gli inquirenti ordinariamente confidano sul corretto adempimento degli obblighi di verifica da parte dell’operatore finanziario.
Sempre  con  il  quarto  motivo  (nella  parte  contraddistinta  con l’indicazione 4 bis) si denuncia violazione degli artt. 132 e 118 att. cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che non vi è motivazione circa le ragioni per le quali la condotta dell’intimata non avrebbe violato le norme precauzionali di condotta.
Con il quinto motivo si denuncia violazione degli artt. 132 e 118 att. cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che lo COGNOME ha sempre attribuito al comportamento negligente di COGNOME la causa dell’evento dannoso e mai è stato affermato che il nesso eziologico doveva essere accertato in riferimento alla mera comunicazione ‘agli inquirenti l’identità dell’apparente titolare del conto’. Aggiunge che la condotta eziologicamente rilevante dell’inti mata è quella della condotta reticente nei confronti dei carabinieri per non avere mai comunicato a costoro che la documentazione in suo possesso non aveva consentito un’adeguata verifica della clientela.
Con il sesto motivo si denuncia violazione dell’art. 2043 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che il giudice deve valutare se il danno evento rappresenta una concretizzazione del rischio che la norma precauzionale intende evitare, sulla base del criterio di causalità ipotetica o normativa rilevante al cospetto del comportamento omissivo e del relativo giudizio controfattuale, governato dal parametro del ‘più probabile che non’. Aggiunge che, avuto riguardo alle diverse omissioni compiute dall’intimata, ed indicate nei precedenti motivi, tale regola di giudizio è stata violata. Osserva ancora che il comportamento della Procura della Repubblica non è in grado di interrompere il nesso di causalità per essere essa stessa stata tratta in inganno da COGNOME, la quale ha comunicato senza avvisare dell’inidoneità della documentazione in suo possesso a verificare i dati dello COGNOME, posto che gli organi inquirenti
che richiedono informazioni sulla titolarità di una carta di debito possono contare sul corretto adempimento dell’obbligo di identificazione del titolare della carta prepagata. Aggiunge, inoltre, che non solo la causa del procedimento penale è da ravvisare nelle omissioni della intimata, ma anche il ritardo nella sua definizione è concretizzazione del rischio delle norme precauzionali, perché, se COGNOME avesse consegnato i documenti al difensore dello COGNOME, il procedimento penale si sarebbe chiuso alla prima udienza con una sentenza di proscioglimento.
Con il settimo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello ha omesso di pronunciare sulla domanda di condanna al risarcimento del danno non patrimoniale.
Con l’ottavo motivo si denuncia violazione degli artt. 132 e 118 att. cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la  parte  ricorrente  che,  avuto  riguardo  a  quanto  affermato nella  comparsa  conclusionale  innanzi  al  Tribunale,  vi  è  omessa motivazione  circa  il  danno  non  patrimoniale,  suscettibile  di  essere liquidato in via equitativa.
Con il nono motivo si denuncia violazione degli artt. 132 e 118 att. cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente, con riferimento al danno patrimoniale, che l’intimata è stata chiamata a rispondere non nella ves te di querelante, ma in quanto soggetto che con il proprio comportamento negligente ha concorso quanto meno a prolungare l’evento di danno, in quanto se avesse comunicato al difensore di fiducia la documentazione in suo possesso avrebbe limitato le dette spese.
Il terzo, il quinto ed il sesto motivo, da trattare in via prioritaria per la  loro  efficacia  pregiudiziale  e  congiuntamente,  sono  inammissibili. Emerge in primo luogo l’inammissibilità ai sensi dell’art. 360 bis n. 1 c.p.c. del quinto e sesto motivo. Costante e fermo da lungo tempo è
l’indirizzo di questa Corte secondo cui la denuncia di un reato perseguibile d’ufficio o la proposizione di una querela per un reato così perseguibile, possono costituire fonte di responsabilità civile a carico del denunciante (o querelante), in caso di successivo proscioglimento o assoluzione del denunciato (o querelato), solo ove contengano gli elementi costitutivi (oggettivo e soggettivo) del reato di calunnia, poiché, al di fuori di tale ipotesi, l’attività del pubblico ministero titolare dell’azione penale si sovrappone all’iniziativa del denunciantequerelante, interrompendo ogni nesso causale tra denuncia calunniosa e danno eventualmente subito dal denunciato (fra le tante, Cass. n. 30988 del 2018; n. 11898 del 2016; n. 1542 del 2010; n. 3536 del 2000).
Il provvedimento impugnato ha deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per mutare orientamento. Le censure si muovono, infatti, per un verso sul piano -non sindacabile nella presente sede di legittimità – del giudizio di fatto, puntando a dimostrare che il nesso eziologico sia da ricondurre, anche in misura concorrente, al comportamento asseritamente omissivo dell’intimato, per l’altro richiamano i principi della causalità omissiva senza considerare che la portata del principio di diritto sopra richiamato è quella dell’efficacia interruttiva del nesso eziologico per opera dell’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale (peraltro, come si rileva nella sente nza impugnata, l’intimata è stata convenuta in giudizio non per una denuncia, ma per l’informazione resa agli organi inquirenti in sede di indagini preliminari). Ciò che invero la giurisprudenza afferma è che vi è una valutazione tipica di interruzione del nesso di causalità ogniqualvolta alla denuncia, ed a fortiori alle informazioni rese in sede di indagini preliminari come nel caso di specie, si sovrappongano l’attività di indagine e poi le determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero.
Nel sesto motivo si scorge, tuttavia, un’ulteriore ragione di censura e cioè che, se l’intimata avesse consegnato al difensore dell’imputato la documentazione relativa contratto concluso per l’emissione della carta di debito, i tempi del procedimento penale non si sarebbero prolungati perché sarebbero subito emerse le ragioni di proscioglimento dell’imputato. Tale censura individua un danno evento diverso da quello della mera sottoposizione al procedimento penale, in relazione al quale la condotta pregiudiz ievole sarebbe l’omessa tempestiva consegna dei documenti (prodotti solo all’esito dell’ordine del giudice del dibattimento) e l’evento dannoso sarebbe l’ingiustificato protrarsi del procedimento penale, o comunque una sua durata maggiore rispetto a quella che vi sarebbe stata se i documenti fossero stati tempestivamente consegnati al difensore. Trattasi all’evidenza di un autonomo fatto costitutivo del diritto risarcitorio, diverso da quello relativo alla sottoposizione al procedimento penale per il quale, come si è visto, il nesso eziologico risulta interrotto dall’iniziativa dell’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale. Costituendo i diritti di credito diritti eterodeterminati, la diversità del fatto costitutivo condiziona la diversità del diritto dedotto in giudizio (cfr. Cass. n. 10577 del 208).
Di tale diverso evento di danno non vi è però traccia nell’originaria domanda per come trascritta, in sede di sommaria esposizione dei fatti di causa, da pag. 5 a pag. 8 del ricorso, né risulta specificatamente indicato, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ., se tale  diversa  fattispecie  costitutiva  del  diritto  risarcitorio  abbia  fatto altrimenti rituale ingresso nel processo di merito (irrilevanti, allo scopo, sono i richiami alla comparsa conclusionale e all’atto di appello).
Gli argomenti sviluppati nel punto c) della memoria, al riguardo, non  offrono  argomenti  ulteriori  per  un  diverso  apprezzamento  del motivo. La censura non è dunque scrutinabile.
Con il terzo motivo si propone la denuncia di vizio motivazionale avente ad oggetto il fatto, il cui esame sarebbe stato omesso, fonte di questo diverso evento di danno. La rilevata carenza sul piano della domanda è assorbente ai fini dell’ammissibilità de l motivo, ma, anche a volere comunque scrutinare il motivo, va evidenziato che, in presenza di doppia conforme, ricorre il divieto di denuncia di vizio motivazionale, previsto dall’art. 348 ter c.p.c, applicabile ratione temporis , se la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti, poste a base della decisione impugnata . In violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c., il ricorrente non ha dimostrato l’esistenza di divergenza di ragioni di fatto fra le due decisioni di merito, essendosi limitato a richiamare della motivazione di primo grado esclusivamente il passaggio in cui si rileva genericamente la carenza deg li elementi costitutivi dell’illecito aquiliano, per cui la denuncia di vizio motivazionale sarebbe per questo aspetto comunque inammissibile.
Il primo, il secondo e l ‘intero quarto motivo sono inammissibili in quanto lasciano ferma la ratio  decidendi costituita  dalla  carenza  del nesso di causalità, da cui la mancanza di decisività.
Il settimo, l’ottavo ed il nono motivo vanno dichiarati assorbiti in quanto relativi al danno conseguenza.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 – quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il giorno 19 dicembre 2023