Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 34453 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 34453 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6954/2021 R.G. proposto da :
COGNOME domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 2040/2020 depositata il 03/08/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Ritenuto che:
L’avv . NOME COGNOME conveniva in giudizio il Banco BPM (già Banca Popolare di Milano), con il quale aveva intrattenuto il rapporto di conto corrente nr 4332 lamentando di aver scoperto numerosi assegni circolari tratti, a sua insaputa, su detto conto nel periodo compreso fra il 2004 e il 2014 ed affermando che la firma contenuta in calce alla richiesta di emissione degli assegni fosse stata falsamente apposta dalla sua collaboratrice di studio, NOME COGNOME senza il consenso dell’attore, unico soggetto legittimato ad operare sul conto.
Precisava che il rapporto professionale con detta dipendente era stato interrotto nel 2014 dopo circa 20 anni di collaborazione una volta scoperti i plurimi illeciti sul suo conto.
Su queste basi chiedeva l’accertamento della responsabilità della Banca per inadempimento del contratto di conto corrente e della relativa convenzione di assegni e la condanna della convenuta alla restituzione della somma di € 189.087,60 per il periodo relativo agli anni 2012-2014, nonché delle ulteriori somme corrispondenti ai prelievi indebiti effettuati dalla Lombardi nel periodo 2004 -2011 e ai resti prelavati nel medesimo arco di tempo.
Si costituiva il Banco BPM contestando l’ammissibilità della domanda in ragione della mancata opposizione agli estratti conti che erano stati trasmessi e chiedendo nel merito il rigetto della richiesta.
Nel corso del giudizio veniva svolta perizia grafologica diretta ad accertare la genuinità delle sottoscrizioni apposte sulle richieste di emissioni degli assegni circolari.
Con sentenza nr 4555/2018 il Tribunale di Milano rigettava la domanda.
Appellava il Cadeo e la Corte d’Appello con la sentenza per cui è oggi ricorso rilevava, in particolare, anche alla luce delle allegazioni contenute nell’atto introduttivo, e dalla stessa ricostruzione della vicenda operata dall’appellante, che non era stata offerta alcuna prova idonea del nesso causale fra il lamentato inadempimento e il danno subito.
Sottolineava che l’appellante aveva affermato che la COGNOME aveva il compito di intrattenere i rapporti con la Banca presso la quale affluivano le entrate inerenti la sua attività professionale e che la fiducia riposta nell’impiegata era tale che per un decennio l’avv COGNOME non aveva verificato gli estratti conti inviati periodicamente dalla Banca.
Riteneva, pertanto, che una tale condotta fosse da considerare particolarmente negligente ed idonea, perciò, a determinare l’interruzione del nesso causale tra il preteso inadempimento, imputato alla Banca e i danni subiti dall’appellante.
Osservava che, nel caso in esame, il doveroso controllo da parte del correntista dell’estratto conto, immediatamente successivo a quello in cui si era verificato il primo addebito illegittimo, avrebbe permesso al Cadeo di intercettare la distinta relativa al primo assegno circolare a lui asseritamente non riferibile e gli avrebbe consentito di bloccare sul nascere le perdite patrimoniali subite.
Rilevava, poi, che la Banca non poteva nutrire alcun sospetto in merito alla correttezza dell’operato della COGNOME in considerazione del fatto che il COGNOME aveva conferito alla sua dipendente il potere di riscuotere gli assegni tratti sul conto corrente dello studio, che sin dal 1985 aveva avuto analoghi poteri sul conto personale dell’avvocato COGNOME e che per oltre un decennio la stessa aveva effettuato prelievi sul conto corrente
dell’attore in forza dei poteri conferitile senza che al riguardo fosse stata sollevata alcuna contestazione.
Sottolineava che tale situazione aveva concorso a creare un quadro di legittimo affidamento sulla correttezza dell’operato della COGNOME che appariva come un soggetto legato da un rapporto di strettissima fiducia e collaborazione con il titolare del conto, sicché l’assenza di rimostranze da parte di costui mediante impugnativa degli estratti conto, unitamente al predetto quadro circostanziale, inducevano a ritenere che il danno lamentato fosse diretta conseguenza del comportamento gravemente negligente tenuto dall’appellante e che pertanto non era configurabile alcuna responsabilità della Banca in relazione ai fatti di causa.
Avverso tale sentenza l’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi cui ha resistito l’istituto di credito con controricorso.
Entrambe le parti hanno presentato memorie illustrative in vista dell’udienza camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1227, 1832 e 2946 cod. civ. in relazione all’art 360, comma 1, nr 3, cod. proc. civ. per avere ritenuto la Corte di appello non provato da parte dell’appellante il nesso di causalità fra il lamentato inadempimento ed il danno lamentato a causa della condotta negligente dell’avv. COGNOME senza considerare che in tema di responsabilità contrattuale la condotta del creditore assume rilievo ai fini dell’individuazione del perimetro del danno risarcibile, ma non anche dell’imputabilità del danno al soggetto debitore.
Si osserva, poi, che la Corte di appello, nell’escludere ogni rilevanza del comportamento della Banca, pur in presenza di operazioni illegittime e di comportamenti negligenti, sarebbe incorsa nella violazione del disposto dell’art 1832 cod. civ. giacché
non avrebbe considerato che il mancato esercizio del diritto di contestare le risultanze del conto corrente non comporta una preclusione di far valere nel termine di prescrizione decennale la negligente esecuzione del mandato.
Con un secondo motivo si denuncia la violazione dell’art 112 cod. proc. civ. in relazione all’art 360 , comma 1, nr 4, cod. proc. civ. per non avere la Corte territoriale pronunciato in merito alla richiesta di restituzione delle somme corrispondenti agli assegni per i quali la banca aveva omesso la produzione delle relative distinte.
Afferma in particolare il ricorrente che la Corte di appello, pur avendo dato conto di detta richiesta nella parte motiva, non ha pronunciato su tale specifica richiesta.
Con un terzo motivo si deduce la violazione dell’art 1832 cod. civ. e dell’art 2697 cod. civ. in relazione all’art 360 , comma1, nr 3, cod. proc. civ. per avere la Corte di appello respinto la domanda di condanna alla restituzione della somma di € 213.231,38 pari all’importo degli assegni per i quali la Banca non aveva prodotto la relativa richiesta.
Con il quarto motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussioni fra le parti in relazione all’art 360 , comma 1, nr 5, cod. proc. civ. per avere la Corte territoriale omesso di valutare le anomalie del comportamento della COGNOME, che avrebbero escluso la possibilità per la Banca di fare affidamento sull’operato della predetta dipendente.
Il primo motivo è inammissibile .
La Corte di appello, a prescindere da ogni questione in merito alla contestata autenticità delle richieste di emissione di assegni circolari, ha accertato sulla base degli elementi di fatto acquisiti in causa che l’appellante non avesse offerto elementi sufficienti a dimostrare l’esistenza del nesso causale fra il lamentato inadempimento ed il danno subito.
In questa prospettiva ha valorizzato alcune affermazioni riportate nell’atto introduttivo e riprodotte nel corpo della decisione nei passaggi più significativi.
La Corte di appello ha messo in luce i particolari compiti che erano stati affidati alla COGNOME, la quale era stata abilitata, proprio dall’avv. COGNOME ad operare sul conto corrente nr 4332 acceso presso la Banca popolare di Milano limitatamente al versamento di assegni, al ritiro di assegni richiesti dal titolare del conto e al ritiro di resti sui versamenti, sempre richiesti dal titolare del conto.
Ha altresì opportunamente valorizzato che, sempre nell’atto introduttivo, la fiducia riposta nell’impiegata era così ampia che per un decennio l’avv. COGNOME riconosceva di non aver svolto alcun controllo demandando tale compito all’impiegata d i studio, cui era stata conferita la delega ad operare sul conto stesso.
In questo quadro il giudice distrettuale ha correttamente concluso che il comportamento dell’appellante, che per oltre dieci anni non aveva controllato i propri conti correnti, integrasse una condotta particolarmente negligente richiamando poi lo specifico onere di controllo e di verifica che incombe sul correntista destinatario ai sensi dell’art 1832 cod. civ. in relazione alle periodiche comunicazioni circa le movimentazioni del proprio conto corrente.
La sentenza impugnata ha invero posto l’accento sul mancato controllo delle annotazioni apposte sul conto corrente da parte del correntista, la cui condotta negligente non aveva consentito di intervenire tempestivamente per bloccare sul nascere le perdite patrimoniali subite.
La Corte di appello ha dunque fatto corretta applicazione del disposto di cui al primo comma dell’art 1227 cod. civ.
L’art. 1227 cod. civ., comma 1, prevede infatti l’ipotesi che la condotta del danneggiato concorra a cagionare il danno: in tal caso, esso dispone che il risarcimento dovuto sia diminuito, in proporzione alla gravità della colpa e all’entità delle conseguenze
che ne siano derivate. Il fatto dello stesso danneggiato, dunque, può assumere rilievo, sino al punto di recidere il nesso eziologico tra la condotta e il danno stesso.
La norma è espressione della regola secondo cui non è dato individuare un danno risarcibile nel pregiudizio che un soggetto cagioni a se stesso.
Va, peraltro, rimarcato che lo stesso ricorrente, nel criticare il percorso argomentativo che ha portato il giudice di merito ad escludere una qualche incidenza della condotta della banca nella causazione del danno prodottogli, non chiarisce quale possa essere il profilo di responsabilità addebitabile all’Istituito di credito , il quale, come ha rimarcato la stessa Corte di appello, non poteva nutrire alcun sospetto sull’operato della dipendente (pag. 13 della sentenza di appello) che per oltre un decennio aveva sempre operato sul conto corrente in questione con le stesse modalità apponendo delle sottoscrizioni ritenute genuine dallo stesso consulente d’ufficio.
Il secondo e terzo motivo possono essere trattati congiuntamente giacché con essi il ricorrente si duole dell’omessa pronuncia relativamente alla domanda di restituzione delle somme corrispondenti agli assegni per i quali la Banca avrebbe omesso la produzione delle relative distinte.
Pretesa restitutoria che l’avv. COGNOME basa sul fatto che si tratterebbe di assegni circolari non richiesti o non autorizzati per i quali sarebbe mancata la produzione delle distinte di richiesta da parte della Banca.
In relazione a tale domanda il ricorrente denuncia una omessa pronuncia o, qualora si volesse interpretare la richiesta come un implicito rigetto, censura la decisione laddove non ha rilevato l’illegittimità degli addebiti registrati sul proprio conto corrente correlata alla mancata dimostrazione da parte della Banca dell’esistenza di un valido ordine da parte del correntista.
Tali argomentazioni non si confrontano con la ratio decidendi non avendo l’impugnata sentenza esaminato tale questione per averla ritenuta assorbita dal fatto che il danno lamentato dal richiedente fosse diretta conseguenza del comportamento gravemente negligente tenuto dallo stesso attore e dalla conseguente esclusione di ogni responsabilità della Banca in relazione ai fatti oggetto di causa.
Giova infatti ricordare che la figura dell’assorbimento in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre è in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande; ne consegue che l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale), in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa (cfr. Cass. (ord.) 12.11.2018, n. 28995; Cass. 27.12.2013, n. 28663).
Va inoltre rilevato che in base all’art 1832 cod. civ. la contestazione circa l’illegittimità delle annotazioni incombe sul correntista il quale deve fornire sulla base dei principi sull’onere della prova la relativa dimostrazione.
Il quarto motivo con cui si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo rappresentato dal mancato riscontro di anomalie relative al movimento del conto corrente 10868 che la signora COGNOME
intratteneva presso la medesima filiale e dalle altre irregolarità concernenti l’erronea compilazione delle distinte è inammissibile sotto plurimi profili.
In primo luogo va premesso che, nell’ipotesi come nella specie, di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774, anche Cass., sez. 2, 10/3/2014, n. 5528).
Onere che nella specie non risulta assolto dal ricorrente.
Va in secondo luogo rilevato che le circostanze dedotte rappresentano elementi liberamente apprezzabili dal giudice di merito e come tali difettano di decisività.
L’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. infatti introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi
istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento nei confronti della Banca Popolare di Popolare di Milano s.p.a. delle spese di questa fase che si liquidano in € 6000,00 oltre € 200,00 Iva e c.p.a. ed al 15% per spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Cosi deciso nella camera di consiglio della I Sezione civile in Roma il 28.11.2024.
Il Presidente Dott. NOME COGNOME