Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11055 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11055 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 6699/2024 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE DI COGNOME RAGIONE_SOCIALE, con sede in Agliana (PT), frazione Spedalino, alla INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante COGNOME, nonché quest’ultimo in proprio e COGNOME RAGIONE_SOCIALE, tutti rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’ Avvocato NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domiciliano in Firenze, alla INDIRIZZO
–
ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, quale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE (a sua volta cessionaria in blocco di crediti di Intesa Sanpaolo s.p.a.), con sede in Milano, INDIRIZZO, in persona della procuratrice speciale dott.ssa NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO
–
contro
ricorrente –
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante.
-intimata – avverso la sentenza, n. cron. 1910/2023, della CORTE DI APPELLO DI FIRENZE, pubblicata in data 22/09/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
17/04/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto ritualmente notificato, la RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME citarono la Cassa di Risparmio di Pistoia e della Lucchesia s.p.a. innanzi al Tribunale di Pistoia lamentando la nullità, per difetto di causa, del contratto di mutuo chirografario stipulato dalla società in nome collettivo il 10 marzo 2009 allo scopo di ridurre il saldo debitore del rapporto di conto corrente n. 302128/00 ad essa intestato e la nullità dell’atto di costituzione di pegno posto in essere il 27 febbraio 2009 dal COGNOME e dalla COGNOME in ragione dell’inesistenza d el credito garantito. Chiesero, pertanto, la declaratoria di nullità del contratto di mutuo suddetto, della non debenza dell’importo di € 108.401,12 richiesta dalla banca e dell’atto di costituzione del pegno, con condanna della menzionata banca alla restituzione, in favore del COGNOME e della COGNOME della somma di € 50.000 ,00 ‘ realizzata dall’escussione del pegno ‘, oltre al pagamento delle spese di lite.
1.1. Instauratosi il contraddittorio, si costituì la convenuta, contestando le avverse pretese e concludendo per il loro rigetto. In via riconvenzionale, domandò la condanna degli attori alla restituzione della somma complessiva di € 111.579,31, oltre inte ressi di mora dal 4 novembre 2016 fino al saldo.
1.2. Con sentenza del 22 giugno 2020, n. 428, l’adito tribunale respinse le domande degli attori ed accolse, per quanto di ragione, quella riconvenzionale della convenuta, condannando, pertanto, i primi al
pagamento, in favore della seconda, di € 61.579,31, oltre interessi convenzionali di mora dal 4 novembre 2016 al soddisfo e spese di lite.
Il gravame promosso da RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso tale decisione fu respinto dall’adita Corte di appello di Firenze, con sentenza del 22 settembre 2023, n. 1910, pronunciata nel contraddittorio con Intesa Sanpaolo s.p.a., quale incorporante per fusione ex art. 2504bis cod. civ. della Cassa di Risparmio di Pistoia e della Lucchesia s.p.a.
2.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte, dopo aver ricordato che « gli appellanti desumono che l’erogazione del mutuo fosse da considerarsi esclusivamente finalizzata al ripiano del passivo e perciò nulla », ha osservato che: « L’argomento, secondo questa Corte, è poco convincente e denota l’infondatezza dell’appello se non altro per più di un aspetto da cui emerge la carenza di interesse degli odierni appellanti alla domanda proposta in primo grado al cui accoglimento è funzionale la presente impugnazione. Premesso che l’accredito della somma su conto corrente al momento passivo e la vicinanza numerica fra passivo e accredito non sono elementi che univocamente depongono in favore del collegamento funzionale (collegamento peraltro da nessuna parte dichiarato nell’operazione in questione), deve osservarsi come sia più che notorio che il rapporto di conto corrente costituisce lo strumento necessario per l’accredito delle somme mutuate. Ciò per ovvie ed intuibili ragioni, se non altro di ordine pratico, dovendo in ipotesi contraria la Banca emettere un qualsiasi strumento di trasferimento monetario il cui numerario sarà necessariamente destinato a confluire, per chiare ed evidenti ragioni gestorie, su un rapporto bancario precostituito. Per evidenti ragioni di risparmio di spesa nonché di comodità e velocità operativa (anche nella fase di rimborso) è altresì abbastanza intuibile che sia il mutuatario che la Banca mutuante preferiscano optare per l’accredito della somma mutuata su preesistente conto aper to, circostanza quest’ultima quindi non soggetta ad alcuna presunzione di disfavore. Oltretutto, non si vede come possa considerarsi in sé illecita l’operazione di
ricorso al finanziamento bancario con piano rateale di restituzione al fine di ripianare un preesistente passivo di conto corrente, se non laddove il passivo sia andato a formarsi illegittimamente e per tale motivo il finanziamento sia in tutto in parte privo di causa in quanto diretto a fornire provvista per il saldo di un pregresso debito per i suddetti motivi inesistente. Non è quanto accaduto nel caso in esame, atteso che, come documentato dagli stessi odierni appellanti, la società correntista ha fatto valere le sue ragioni in ordine all’invocato indebito e trovato soddisfazione, al netto di sue pendenze debitorie distinte da quella derivanti dal debito da finanziamento qui in esame, in separata sede, difettando avere quindi interesse nella presente vicenda. Un residuo interesse potrebbe semmai sussistere in ordine ai costi comunque derivanti dal finanziamento di cui è causa (essendo il capitale finanziato, in ragione, da un lato, della nullità invocata in questa sede e, dall’altro , per effetto dell’avvenuta soddisfazione in ordine all’invocato Tribunale indebito nella separata sede processuale terminata con la citata sentenza n. 941/2013 del di Pistoia, comunque dovuto in restituzione) e ciò sul presupposto non della radicale nullità dell’operazione (che si è visto essere insussistente) ma dell’asimmetria informativa che in ipotesi avrebbe indotto la società correntista a contrarre il finanziamento onde non incorrere nelle conseguenze del recesso della Banca dal rapporto di conto corrente. Trattasi, tuttavia, di un’asimmetria informativa (semmai fonte di, in questa sede tuttavia non dedotto, annullamento e non di radicale nullità del contratto di finanziamento) che non può essere imputata alla Banca. La ragione è presto spiegata ed è da porsi in relazione al f atto che l’instaurazione della causa cui è conseguita la sentenza n. 941/2013 del Tribunale di Pistoia, rubricata al n.r.g. 3908/2010 di detto Tribunale, è avvenuta in data 13.12.2010 (vd. relazione di c.t.u.), in data quindi successiva alla immediata eco sortita dalla nota pronuncia della Cassazione, SS.UU., n. 24418 del 2 dicembre 2010 che in un certo senso ha rappresentato lo spartiacque in ordine alla condotta dei correntisti, avendo posto dei punti fermi in materia di decorrenza della prescrizione dell’azione restitutoria dell’indebito e sugli effetti dell’anatocismo
caratterizzato da assenza di pari periodicità. A maggior ragione all’epoca della stipulazione del finanziamento (10.3.2009) era ancora prematuro, per la società correntista, ipotizzare la probabilità della vittoria giudiziale poi consacrata nella sentenza n. 941/2013 e optare, quindi, per l’immediata instaurazione della lite quale alternativa al finanziamento. Va peraltro osservato come in punto di invocata insussistenza o quanto meno minore quantificazione degli interessi (corrispettivi e moratori, compreso il lamentato effetto anatocistico connesso agli uni e agli altri) derivanti dal finanziamento di cui è causa, su cui pure si è pronunciato il primo Giudice, non è stato espressamente interposto appello ».
Per la cassazione di questa sentenza RAGIONE_SOCIALE NOME di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno promosso ricorso affidato a due motivi. Ha resistito, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE, rappresentata da RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE, quale cessionaria di crediti (tra cui quello oggi controverso) di Intesa Sanpaolo s.p.a.
3.1. È stata formulata, da parte del Presidente, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022. A fronte di essa, parte ricorrente ha domandato la decisione della causa. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.) ». Si assume che « I fatti storici accertati dalla corte del merito e consistenti nell’accredito della somma mutuata in c/c per espressa previsione contrattuale, nella stretta contiguità temporale tra accredito della somma mutuata e addebito di pregresse esposizione debitorie, nella vicinanza numerica tra ammontare del mutuo erogato e saldo passivo di c/c e nell’azzeramento del saldo passivo di c/c per effetto dell’erogazione del mutuo sono tutti fatti ‘noti’ che depongono in modo concordante e univoco per l’esistenza del collegamento funzionale tra il contratto di mutuo
e quello di conto corrente sulla base dell’evidenza di un ragionamento probabilistico che è necessariamente fondato sull’ id quod plerumque accidit e che non lascia spazio, sempre a livello della probabilità, ad indirizzarsi in senso diverso cioè verso un altro o altri fatti (che invero la corte del merito non ha neppure indicato). In altri termini, l’utilizzazione della provvista in via larghissimamente preponderante per la sola finalità di azzeramento del saldo passivo di conto corrente (nel caso di specie apparente), con la conseguenza che in tal modo il mutuatario si è visto in un sol colpo prosciugare la concreta disponibilità della somma mutuata accettando in tal modo di non impiegarla per altre finalità, rende di immediata evidenza il nesso di consequenzialità probabilistica tra premessa (fatto noto) e conclusione dell’inferenza ovvero collegamento funzionale tra il contratto di mutuo e quello di conto corrente. È di palmare evidenza, allora, come la sentenza impugnata sia incorsa in una falsa applicazi one dell’art. 2729 c.c. nel momento in cui la Corte distrettuale violando i paradigmi della norma si è rifiutata con motivazione espressa ed erronea di sussumere la vicenda fattuale correttamente accertata sotto la norma stessa e quindi di applicare una presunzione che doveva applicare »;
II) « Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1418, comma 2, c.c. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. ». Si contesta alla corte territoriale di avere « ritenuto infondata la domanda di nullità del mutuo inter partes benché pacificamente erogato per ripianare un saldo passivo di c/c insussistente solo perché la Banca ha provveduto al pagamento dell’indebito che su quel conto corrente si è formato quando l’inesistenza dell’esposizione debitoria a copertura della quale il contratto di mutuo è stato stipulato era ed è motivo di nullità del mutuo stesso per difetto di causa concreta. Il pagamento dell’indebito derivante dal rapporto di conto corrente da parte della Banca non vale, in altri termini, a integrare cioè convalidare ex post la causa del mutuo erogato per il ripianamento di un saldo debitore di c/c inesistente. Appare allora evidente come la Corte distrettuale abbia tratto dalla norma di cui all’art. 1418, comma 2, c.c., in relazione al fatto correttamente accertato (insussistenza del saldo passivo di c/c coperto dal
mutuo erogato) conseguenze giuridiche (validità del mutuo) che contraddicono la corretta sua interpretazione ».
Va rilevato, innanzitutto, che la menzionata proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. ha il seguente tenore:
« Il ricorso è inammissibile.
È inammissibile il primo mezzo.
Esso è rivolto contro l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui era da escludersi che l’erogazione del mutuo fosse da considerarsi esclusivamente finalizzata al ripianamento del passivo del conto corrente intrattenuto dalla società con la banca sulla base della considerazione che ‘l’accredito della somma su conto corrente al momento passivo e la vicinanza numerica fra passivo e accredito non sono elementi che univocamente depongono in favore del collegamento funzionale tra mutuo e conto corrente’.
Secondo la parte ricorrente, così ragionando, la corte distrettuale avrebbe violato le regole che presiedono al funzionamento del ragionamento presuntivo.
È tuttavia da osservare che l’apprezzamento del giudice di merito circa il ricorso al ragionamento presuntivo e la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di prova, sono incensurabili in sede di legittimità, l’unico sindacato in proposito riservato al giudice di legittimità essendo quello sulla coerenza della relativa motivazione (Cass. 18 marzo 2003, n. 3983; Cass. 9 febbraio 2004, n. 2431; Cass. 4 maggio 2005, n. 9225; Cass. 23 gennaio 2006, n. 1216; Cass. 11 ottobre 2006, n. 21745; Cass. 20 dicembre 2006, n. 27284; Cass. 8 marzo 2007, n. 5332; Cass. 7 luglio 2007, n. 15219)
In tema di prova presuntiva, è cioè incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della
relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. 17 gennaio 2019, n. 1234).
In sede di legittimità è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso (Cass. 13 febbraio 2020, n. 3541).
Nel caso di specie la valutazione compiuta dal giudice di merito è dunque insindacabile, tanto più che il motivo non contiene una denuncia di vizio motivazionale.
Il secondo mezzo è inammissibile.
Esso è difatti collocato in posizione ancillare rispetto al precedente: e cioè si sostiene che, essendo il mutuo finalizzato a ripianare l’inesistente passivo di un conto corrente, all’esito della corretta applicazione del ragionamento presuntivo, la sentenza impugnata sarebbe errata per non aver dichiarato la nullità del mutuo privo di causa concreta.
Ma, caduto il motivo sul ragionamento presuntivo, l’altro poggia sul nulla ».
Il Collegio reputa affatto esaustive e condivisibili tali argomentazioni, che, pertanto, ribadisce interamente, facendole proprie, altresì rimarcando che:
i ) come ricordato, ancora recentemente da Cass. n. 33909 del 2024 ( cfr . pag. 21 della motivazione), « in tema di prova per presunzioni, spetta al giudice di merito non solo la valutazione dell’opportunità di fare ricorso alla stessa, ma anche l’individuazione dei fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e l’accertamento della rispondenza degli stessi ai prescritti requisiti di gravità, precisione e concordanza: il relativo apprezzamento costituisce un giudizio di fatto, censurabile in sede di legittimità esclusivamente per vizio di motivazione, la cui denuncia non può risolversi,
peraltro, nella mera prospettazione di un convincimento diverso da quello espresso nel provvedimento impugnato, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo »;
ii ) la corte distrettuale, laddove ha opinato che « l’accredito della somma su conto corrente al momento passivo e la vicinanza numerica fra passivo e accredito non sono elementi che univocamente depongono in favore del collegamento funzionale (collegamento peraltro da nessuna parte dichiarato nell’operazio ne in questione) », ha inteso escludere la concreta configurabilità del collegamento negoziale tra il mutuo de quo ed il risanamento del passivo esistente sul conto corrente n. 302128/00. Le censure in esame, invece, benché formalmente denuncianti una violazione di legge ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in realtà sono volto ad ottenere, sostanzialmente, una rivisitazione della conclusione della corte distrettuale circa l’insussistenza, nella specie, del collegamento negoziale da cui sarebbe derivata l’asserita nullità/illiceità del contratto di mutuo chirografario del 10 marzo 2009 stipulato dalla RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE (in qualità di mutuataria) con l’allor a Cassa di Risparmio di Pistoia e della Lucchesia s.p.a., su cui ancora insistono gli odierni ricorrenti. Pertanto, è doveroso ricordare che: ii-a ) già secondo la qui condivisa Cass. n. 28662 del 2013, « La stipula del mutuo per far fronte a debiti preesistenti, della società mutuataria o di terzi, resta circostanza irrilevante, posto che, se pure il mutuo sia volto al fine di estinguere passività pregresse della mutuataria e per l’interesse, pur dedotto come esclusivo, della mutuante, l’ordinamento non ne sancisce la nullità per difetto di causa o per causa illecita, ai sensi dell’art. 1418 c.c. »; ii-b ) alla stregua di Cass. n. 22216 del 2018 (poi ribadita, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 5719 del 2025), qui parimenti condivisa, « Affinché possa configurarsi un collegamento tra atti giuridici di varia natura tipologica (contratti, provvedimenti amministrativi, accordi non aventi contenuto patrimoniale), con una loro considerazione unitaria allo
scopo di trarne un vincolo a carico di una parte, è necessario che ricorra sia un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra gli atti volti alla regolamentazione degli interessi di una o più parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia un requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere, non solo l’effetto tipico dei singoli atti in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale. Accertare la natura, l’entità, le modalità e le conseguenze del collegamento tra tale eterogeneo complesso di atti (negoziali, autoritativi, ecc.) rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici » (in senso sostanzialmente conforme, sulla prima parte, vedasi anche Cass. n. 14561 del 2023, in cui si è affermato pure che « Il fatto che l’operazione nel suo complesso esibisse una funzione economica unitaria non implica, però, che i singoli negozi fossero privi di una loro specifica causa »). Nella specie, tuttavia, nessuna censura motivazionale, seppur nei limiti ancora consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nel testo introdotto dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, e qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza resa il 22 settembre 2023 -è stata formulata dagli odierni ricorrenti su questo specifico punto; ii-c ) come sottolineato da Cass. n. 3229 del 2025, « il compito di questa Corte non è quello di condividere, o meno, la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), anche se la parte ricorrente prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (cfr. Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato effettivamente conto, in
ordine ai fatti storici rilevanti in causa, delle ragioni del relativo apprezzamento, come imposto dall’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., e se tale motivazione sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, come reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato in ordine all’accertamento dei fatti storici rilevanti ai fini della decisione sul diritto azionato, si sia manten uto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 8353 del 2023; Cass. n. 11176 del 2017) »; ii-d ) il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 19423, 25495, 26871, 27328 e 35012 del 2024; Cass. nn. 2040, 3229, 3284 e 8671 del 2025).
iii ) la recentissima decisione resa da Cass., SU, 5 marzo 2025, n. 5841, pronunciandosi sulla questione -oggetto di soluzioni non uniformi nella giurisprudenza di questa Corte -concernente il « se il cd. mutuo solutorio -vale a dire, secondo un minimale approccio definitorio che può dirsi comunemente accettato, il mutuo seguito dalla contestuale o comunque immediata destinazione delle somme a ripianare debiti pregressi -possa, oppure no, effettivamente considerarsi un vero e proprio contratto di mutuo o se vada piuttosto diversamente qualificato e, nel primo caso, se possa anche considerarsi valido », hanno stabilito che « Il perfezionamento del contratto di mutuo, con la conseguente nascita dell’obbligo di restituzione a carico del mutuatario, si verifica nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non consegnata materialmente, sia posta nella disponibilità
giuridica del mutuatario medesimo, attraverso l’accredito su conto corrente, non rilevando in contrario che le somme stesse siano immediatamente destinate a ripianare pregresse esposizioni debitorie nei confronti della banca mutuante, costituendo tale destinazione frutto di atti dispositivi comunque distinti ed estranei alla fattispecie contrattuale » (in senso analogo, vedasi anche, in motivazione, la successiva Cass. n. 8670 del 2025). Rinviandosi alla esaustiva e qui condivisa motivazione di detta pronuncia ex art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ., è sufficiente rimarcarne, in questa sede, le seguenti considerazioni: « La destinazione, ancorché immediata, delle somme mutuate ad estinzione di esposizioni pregresse non presenta, di per sé, carattere di intrinseca illegittimità -salvo l’accertamento di peculiari condotte delittuose ridondante, sul piano negoziale, in un vizio di nullità (cfr. Cass. n. 26248 del 2024; n. 4376 del 2024; n. 16706 del 2020) -essendo anzi essa stessa espressione di un principio di ordine pubblico e risultando peraltro tipizzata dal legislatore per alcune figure di finanziamento . Ciò, certo, non esclude che, in concreto, il cd. mutuo solutorio possa mascherare un atto in frode ai creditori o un mezzo anomalo di pagamento. Una tale finalizzazione dell’operazione rileva però sotto il profilo dell’inefficacia (revocatoria o rdinaria o fallimentare), non dell’invalidità, non verificandosi alcuna violazione di norme imperative (Cass. n. 5034 del 2022; n. 3024 del 2020; n. 4202 del 2018). »; « Se, dunque, è certamente vero che la concessione di un mutuo cd. solutorio può, nel singolo caso, celare un atto in frode dei creditori o un mezzo anomalo di pagamento, è anche vero che -come già detto -un conto è la qualificazione (eventualmente, anche solo astratta) dell’operazione negoziale e, quindi, il giudizio sulla validità di qu est’ultima, altra cosa è l’abuso che di un istituto le parti possono mettere concretamente in pratica al fine di ledere la par condicio creditorum. Quest’ultimo profilo trova il proprio compendio rimediale non già attraverso una tutela ‘reale’ che elimini dalla realtà giuridica, attraverso la sanzione della nullità, il contratto, ma attraverso
ulteriori strumenti garantiti dall’ordinamento, quali ad es., la revocabilità del pagamento ovvero l’inefficacia delle garanzie abusivamente concesse»; «Né, infine, può dirsi che la previsione già nel contratto di mutuo ordinario di una destinazione della somma mutuata al ripianamento di debiti determini di per sé una modifica del tipo contrattuale, costituendo essa una semplice esteriorizzazione dei motivi del negozio. Allo stesso modo, la conoscenza da parte della banca della necessità del mutuatario di estinguere pregresse passività non rende lo scopo comune. La disciplina del mutuo ordinario di cui agli artt. 1813 ss. c.c. non attribuisce, infatti, alcun rilievo causale alla destinazione della somma mutuata (Cass. n. 8382 del 2022). Nella conclusione di un contratto di mutuo, gli scopi soggettivi che alimentano la volontà delle parti rimangono al di fuori della struttura del contratto, contrariamente a quanto avviene nel mutuo di scopo. L’utilizzo concreto delle somme da parte del mutuatario risulta, in definitiva, giuridicamente irrilevante, e, quindi, inidoneo tanto ad inficiare la validità del contratto sotto il profilo della causa, quanto ad influire sul sinallagma contrattuale. ».
In conclusione, quindi, l’odierno ricorso di RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, restando a loro carico, in via solidale, le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente.
4.1. Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta ex art. 380bis , comma 1, cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), va disposta la condanna della parte istante a norma dell’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ.
Vale rammentare, in proposito, che: in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ. (pure novellato dal menzionato d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. -codifica un’ipotesi normativa di abuso del
processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente ( cfr . Cass., SU, n. 28540 del 2023; Cass. nn. 11346 e 16191 del 2024).
Pertanto, non ravvisando il Collegio (stante la complessiva ‘tenuta’, pur nella sua sinteticità, del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso) ragioni per discostarsi dalla suddetta previsione legale ( cfr ., in motivazione, Cass., SU, n. 36069 del 2023), i ricorrenti suddetti vanno condannata, in solido tra loro, nei confronti di quella controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di € 8.000,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
4.2. Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso di RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME e li condanna, in solido tra loro, al pagamento, in favore della costituitasi controricorrente, delle spese di questo giudizio di l egittimità, che liquida in € 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Condanna i medesimi ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento della somma di € 8.000,00 in favore della costituitasi controricorrente, e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME in solido tra loro, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile