Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 17139 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 17139 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15484/2021 R.G. proposto
da
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME , domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA
Oggetto:
Contratti
bancari
–
Mutuo
–
Di
scopo
–
Finalità solutoria
Validità
R.G.N. 15484/2021
Ud. 11/06/2025 CC
INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO PERUGIA n. 564/2020 depositata il 11/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 11/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 564/2020, pubblicata in data 11 dicembre 2020, la Corte d’appello di Perugia, nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Spoleto n. 820/2016, il quale, a propria volta -riferisce la decisione impugnata aveva respinto l’opposizione proposta dai medesimi NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dalla stessa BANCA RAGIONE_SOCIALE per il pagamento della somma di € 230.486,74 derivante da un mutuo fondiario contratto da NOME COGNOME con garanzia ipotecaria prestata, da NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il decreto ingiuntivo era stato opposto dagli odierni ricorrenti deducendo che l’opposta aveva modificato l’originario mutuo di scopo per finanziamento industriale in finanziamento di liquidità con riduzione dell’ammontare della somma erogata ed impiego di quest’ultima per ripianare l’esposizione debitoria di un contratto di conto corrente sul quale erano stati addebitati interessi ad un tasso superiore a quello legale.
Costituitasi regolarmente RAGIONE_SOCIALE, il Tribunale, all’esito dell’espletamento di istruttoria, aveva respinto l’opposizione.
La Corte d’appello ha disatteso i motivi di gravame, escludendo, in primo luogo, che vi fosse prova della modifica dell’originaria finalità di finanziamento industriale del mutuo.
La Corte, infatti, ha evidenziato che l’atto notarile di stipula del mutuo recava espressamente l’indicazione della finalità di liquidità dell’erogazione nonché l’ammontare della somma erogata ed ha escluso che, rispetto alle chiare indicazioni dell’atto p ubblico, potesse assumere rilevanza un documento intitolato ‘programma di investimento’ prodotto dagli appellanti, in quanto tale programma recava una serie di indicazioni del tutto difformi dal contenuto del l’atto notarile, con la conseguenza che il documento in questione non poteva essere assunto quale prova di una diversità delle finalità del mutuo e che anzi allo stesso, per la sua contraddittorietà, non poteva neppure applicarsi il principio di non contestazione, avendo comunque l’appellata contestato la ricostruzione d ei fatti offerta dagli appellanti.
La Corte, ulteriormente, ha ritenuto infondate le deduzioni degli appellanti in ordine alla sussistenza di un loro errore, evidenziando che una tale eventualità era esclusa dalla partecipazione congiunta dei tre appellanti alla conclusione dell’atto notari le, sia da una serie di condotte anteriori, contestuali e successive alla conclusione medesima, sulla base delle quali era possibile escludere sia qualunque deviazione di quest’ultimo da una diversa originaria intenzione delle parti sia un errore dei medesimi appellanti in ordine alla natura del contratto concluso.
Affermata la piena validità del mutuo di scopo finalizzato a ripianare precedenti passività, la Corte d’appello ha disatteso anche le deduzioni
concernenti l’applicazione di interessi ad un tasso superiore a quello legale al rapporto di conto corrente la cui passività era stata ripianata con la somma erogata tramite il mutuo.
La Corte d’appello, infatti, ha osservato che: la natura usuraria degli interessi era stata dedotta tardivamente nel giudizio di primo grado; il profilo non sarebbe stato causa di nullità del mutuo, essendo stato lo stesso comunque impiegato per estinguere l’esposizione debitoria; le allegazioni degli appellanti in ordine all’applicazione di un tasso superiore a quello legale si basavano sulla erronea inclusione nel TAEG anche della commissione di massimo scoperto in epoca anteriore all’introduzione dell’ar t. 2bis , comma 2, D.L. n. 185/2008; anche il calcolo del TEG operato dal CTU in sede di prime cure risultava difforme dalle indicazioni della Banca d’Italia, con la conseguenza che le conclusioni del CTU si basavano su grandezze non omogenee.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Perugia ricorrono NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE evocata dai ricorrenti come BNP RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Vi è in atti rinuncia al mandato depositata dall’Avvocato NOME COGNOME precedentemente nominato quale ulteriore difensore in aggiunta all’Avvocato NOME COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 158, 275, 276, 359 c.p.c. e 114 disp. att. c.p.c.
Riferiscono i ricorrenti che, dopo che la causa era già stata trattenuta in decisione all’esito dell’udienza di precisazione delle conclusioni del giorno 11 luglio 2019 innanzi al collegio indicato anche nella decisione impugnata, ‘ il Collegio, per la deliberazione della decisione, è stato nuovamente designato in data 9.12.2020’ , laddove ‘la Corte di Appello avrebbe dovuto rimettere la causa alla fase della discussione, perché alla data di nuova designazione del Collegio del 9.12.2020 il componente Consigliere anziano Dott. NOME COGNOME era stato collocato a riposo per sopraggiunti limiti di età (…)’ .
Argomentano, quindi, che ‘ai sensi del combinato disposto degli artt. 275- 276 (operanti in virtù del rinvio ex art. 359 C.P.C.) e 114 Disp. Att. c.p.c. alla decisione deliberata nel segreto della camera di consiglio possono partecipare soltanto i giudici che hanno assistito alla discussione, per cui la causa andava nuovamente discussa avanti al nuovo collegio designato in data 9.12.2020, per l’appunto, in seguito al pensionamento del Consigliere anziano’ , mentre ‘la decisione invece è comunque intervenuta con pubblicazione della sentenza avvenuta in data 11.12.2020, nella quale si dà atto che è stata decisa nella camera di consiglio del 30.12.2019 ma è nulla ex art. 360 n. 4 c.p.c. per violazione del combinato disposto degli artt.158, 275, 276 e 114 Disp. Att. C.P.C.’ .
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 474 e 615 c.p.c.
Deducono i ricorrenti che la decisione impugnata aveva ad oggetto una sentenza di rigetto di opposizione a precetto ex art. 615 c.p.c. e non una decisione di rigetto di opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 648 c.p.c.
Argomentano, quindi, che ‘l’errata qualificazione giuridica dell’oggetto della controversia che era chiamata a decidere ha determinato da parte della Corte di Appello di Perugia la violazione degli artt. 112, 474 e 615 c.p.c. essendone derivato il vizio di omessa pronuncia’ in quanto sarebbero mancate ‘la valutazione e la pronuncia della fondatezza del diritto della BNL S.p.A. di procedere all’esecuzione in forza di un valido titolo esecutivo che era stata esplicitamente chiesta nella domanda’ .
I ricorrenti deducono a questo punto che costituirebbe fatto non contestato dalle parti, anzi espressamente dichiarato in sentenza, la circostanza che non vi sarebbe stata alcuna traditio delle somme mutuate dalla banca, con la conseguenza che il mutuo non poteva costituire valido titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c. e che la corte territoriale -la quale era chiamata a valutare anzitutto la validità del titolo esecutivo -avrebbe erroneamente qualificato l’oggetto della controversia come opposizione a decreto ingiuntivo e si sarebbe limitata a rigettare l’appello ‘senza avere effettuato alcuna valutazione circa la validità del titolo esecutivo alla luce di quanto spiegato, confermando così la sentenza di primo grado che era però di rigetto dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p. e non anche di rigetto di o pposizione a decreto ingiuntivo ex art. 648 c.p.c.’ .
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.; artt. 1362, 1366,1337, 1375 e 1439 c.c.
Si censura la decisione impugnata in quanto la corte territoriale ‘errando nella percezione dei fatti incontroversi di causa e fornendo di essi un’interpretazione arbitraria fondata su supposizioni non sorrette da elementi certi di carattere oggettivo’ , avrebbe considerato valido ed
efficace, ‘anziché annullarlo per dolo e per l’effetto annullare con esso la collegate garanzie ipotecarie prestate’ il contratto di mutuo
Si attribuisce alla decisione impugnata una errata ‘percezione dei fatti incontroversi di causa’ di cui sarebbe stata fornita ‘un’interpretazione arbitraria fondata su supposizioni non sorrette da elementi certi di carattere oggettivo’ , ricorrendo ad un’interpretazione meramente letterale del contratto di mutuo, invece di procedere ‘ad una corretta e complessiva operazione di interpretazione dell’intenzione delle parti’ .
Si censura una inadeguata valutazione di una serie di elementi fattuali che sarebbero stati inadeguatamente censiti, in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in tal modo giungendo erroneamente al rigetto dell’opposizione ed al mancato accoglimento delle domande riconvenzionali dei ricorrenti.
Si deve premettere che, sebbene i ricorrenti abbiano evocato innanzi a questa Corte ‘BNP Paribas S.p.A. (già Banca Nazionale del Lavoro S.p.A.)’ , a costituirsi nel presente giudizio è stata sempre BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SPA, già parte dei precedenti gradi di merito, e quindi soggetto tuttora legittimato a resistere in giudizio.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Lo stesso, invero, viene a fondarsi su un’annotazione di cancelleria da cui risulterebbe che il collegio innanzi al quale erano state precisate le conclusioni e che aveva trattenuto la causa in decisione sarebbe stato fatto di una nuova designazione.
Osserva, tuttavia, questa Corte che nessuna valenza può essere attribuita ad una mera annotazione di cancelleria, dal momento che la nuova designazione del Collegio viene a dipendere da un formale provvedimento del Presidente dell’Ufficio giudiziario, provvedimento la cui esistenza, nel caso in esame, i ricorrenti neppure hanno allegato.
È invece dirimente la constatazione del fatto che il collegio indicato nell’intestazione della decisione impugnata risulta essere lo stesso dinanzi al quale gli stessi ricorrenti affermano essersi svolta l’udienza di precisazione delle conclusioni e che ha trattenuto la causa in decisione, dovendosi quindi concludere che non vi è emergenza alcuna di una alterazione della composizione dell’organo giudicante nell’assunzione della decisione impugnata.
Pur essendo tale constatazione risolutiva, si deve osservare, per completezza che la sentenza impugnata risulta essere assunta nella camera di consiglio in data 30 dicembre 2019, venendo poi pubblicata il successivo 11 dicembre 2020.
Si deve, allora, richiamare il costante orientamento di questa Corte per cui, poiché la sentenza si sostanzia nella decisione della causa sottoposta al giudizio del giudice, il momento al quale deve farsi riferimento per stabilire se il giudice avesse o non il potere di emanarla è esclusivamente quello della decisione, con la conseguenza che è irrilevante il collocamento a riposo di uno dei componenti del Collegio giudicante sopravvenuto dopo la deliberazione, persino quando sia stato il componente collocato a riposo a procedere alla sottoscrizione della sentenza, cosa che, nel caso in esame, non è avvenuta, in quanto si discute della rilevanza del collocamento a riposo del giudice a latere .
Tale principio -affermato sin da epoca ormai remota ed in modo costante (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2785 del 23/07/1969; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2051 del 16/10/1970; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5227 del 06/05/1993; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12324 del 08/10/2001; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23191 del 27/10/2006) -ha trovato conferma anche in epoca più recente (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7269 del 11/05/2012; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23423 del 04/11/2014) e si fonda, sul principio, altrettanto consolidato, per cui l’accertamento
della sussistenza in capo al magistrato della potestas iudicandi , che lo legittima all’adozione di un provvedimento giurisdizionale, va compiuto al momento della deliberazione della decisione, e non a quello del deposito della minuta, in quanto la decisione è assunta al momento della deliberazione in camera di consiglio, mentre le successive fasi dell’ iter formativo dell’atto (e cioè la stesura della motivazione, la sua sottoscrizione e la pubblicazione) non incidono sulla sostanza della pronuncia.
Va ribadito, pertanto, che, ai fini dell’esistenza, validità ed efficacia della sentenza, è irrilevante che, dopo la decisione, uno dei componenti di un organo collegiale venga collocato fuori ruolo o a riposo, rilevando, invece, l’ipotesi in cui, non il d eposito, ma la deliberazione stessa della decisione risulti adottata in un momento successivo al collocamento a riposo (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 5137 del 2020).
Nel caso di specie, dal servizio Intranet del Consiglio Superiore della Magistratura www.cosmag.it (utilizzabile in questa sede attesa la natura del vizio denunciato, in virtù dei principi già affermati da Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14014 del 15/06/2007, Rv. 600871), si rileva che il componente del collegio di Corte d’appello cessò dalle proprie funzioni per collocamento a riposo il 31 gennaio 2020, e quindi dopo la deliberazione della sentenza impugnata, ancorché prima del deposito della relativa minuta e si deve conseguentemente concludere che la decisione impugnata risulta esente da vizi che ne comportino la nullità per irregolarità nella composizione del collegio giudicante.
Il secondo motivo di ricorso è sia inammissibile sia infondato.
Inammissibile, in quanto il profilo dedotto nel mezzo -e cioè la qualificazione dell’originaria opposizione come opposizione a precetto e non come opposizione a decreto ingiuntivo e la conseguente necessità di valutare l’ assenza di un valido titolo esecutivo, trascurata
invece dalla Corte perugina – non risulta essere stato in alcun modo affrontato nella decisione impugnata, né parte ricorrente ha dedotto di averlo sollevato nei precedenti gradi di giudizio, individuando, in ossequio all’art. 366 c.p.c., l’atto o gli atti nei quali sarebbe avvenuta tale deduzione.
Deve, conseguentemente, trovare applicazione il principio, reiteratamente enunciato da questa Corte, per cui qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 18018 del 01/07/2024; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 20694 del 09/08/2018; ed anche Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 2193 del 30/01/2020; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14477 del 06/06/2018; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013).
Infondato, in quanto questa Corte ha recentemente chiarito -peraltro a conferma di propri precedenti (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 6174 del 05/03/2020; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17194 del 27/08/2015; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 12007 del 03/05/2024; Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 52 del 03/01/2023) -che costituisce valido titolo esecutivo il contratto di mutuo “solutorio”, il quale si perfeziona – con la conseguente nascita dell’obbligo di restituzione a carico del mutuatario – nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non
consegnata materialmente, è posta nella disponibilità giuridica del mutuatario medesimo, attraverso l’accredito su conto corrente, mentre non rileva in contrario che le somme stesse siano immediatamente destinate a ripianare pregresse esposizioni debitorie nei confronti della banca mutuante, costituendo tale destinazione frutto di atti dispositivi comunque distinti ed estranei alla fattispecie contrattuale (Cass. Sez. U – Sentenza n. 5841 del 05/03/2025, ma cfr. anche Cass. Sez. U Sentenza n. 5968 del 06/03/2025).
Risulta, quindi, superata definitivamente la tesi che, nel caso di mutuo, riteneva la necessità di operare la traditio materiale della somma mutuata, in quanto a rilevare è esclusivamente la trasmissione disponibilità giuridica della somma mutuata, secondo un orientamento che peraltro lo stesso motivo di ricorso richiama nella proprie argomentazioni, salvo poi contraddirsi con l’affermazione per cui i ricorrenti non avrebbero mai ricevuto la disponibilità anche solo giuridica della somma mutuata.
Affermazione, questa, non solo del tutto apodittica e priva di specificità ma anche basata esclusivamente su un’artata interpretazione di un passaggio della decisione impugnata.
Passaggio nel quale -diversamente da quanto i ricorrenti vorrebbero dare ad intendere -la Corte perugina non ha affermato che la somma mutuata non era mai stata posta nella disponibilità giuridica dei ricorrenti ma ha invece rimarcato la singolarità della condotta di questi ultimi, dal momento che essi non solo non avevano chiesto alla banca alcun chiarimento a seguito del l’azzeramento della propria esposizione debitoria -azzeramento che derivava invece proprio dall’erogazione del mutuo ma anche, nell’ arco di sette anni, non avevano mai denunciato la mancata erogazione della somma per un ipotetico piano di investimenti, come sarebbero stato logico attendersi
se il mutuo fosse stato effettivamente contratto per la diversa finalità indicata nelle difese di ricorrenti medesimi e ritenuta invece dalla Corte d’appello del tutto sprovvista di adeguato riscontro.
L’ultimo motivo di ricorso è inammissibile.
Inammissibile quanto alla denuncia della violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., alla luce del dal principio (enunciato da Cass. Sez. U Sentenza n. 20867 del 30/09/2020) per cui:
per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.;
la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male
esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
Inammissibile quanto alla denuncia di violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, in quanto i ricorrenti, ben lungi dal fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, e dal precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, si limitano a contrapporre -apoditticamente la propria interpretazione a quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 9461 del 09/04/2021; Cass. Sez. 1 Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017), senza tenere conto del fatto che in linea generale l’interpretazione accolta nella decisione impugnata non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 28319 del 28/11/2017).
Inammissibile, infine, in quanto la disorganica proposizione di profili eterogenei come la ‘errata percezione dei fatti incontroversi di causa ‘, e la ‘ interpretazione arbitraria fondata su supposizioni non sorrette da elementi certi di carattere oggettivo’, in null’altro si sostanzia se non nella inammissibile sollecitazione, rivolta a questa Corte, a procedere ad una rinnovata valutazione del merito della controversia, trascurando il fatto che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di
giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
6. Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 6.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima