Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1580 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 1580 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/01/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 28075/2020, proposto da
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME GiovanniCOGNOME NOMECOGNOME Giuseppe Michele NOME e COGNOME NOME , rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
ricorrenti
contro
Barclays Bank Plc RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
contro
ricorrente avverso la sentenza nr. 621/2020 della Corte d’appello di Milano,
depositata in data 21 febbraio 2020.
Udita la relazione svolta all’udienza del 30 ottobre 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; udite le difese delle parti.
FATTI DI CAUSA
1. –NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME Mauro COGNOME e NOME COGNOME hanno convenuto in giudizio Barclays Bank Plc; hanno domandato che fosse accertata l’invalidità delle clausole contenute in alcuni contratti di mutuo che prevedevano l’indicizzazione del tasso di interesse al franco svizzero e, precisamente, che disciplinav ano «l’estinzione anticipata e la conversione dei contratti di mutuo de quibus , per vizio di trasparenza bancaria e/o per vizio del consenso dei mutuatari»; hanno altresì richiesto che i contratti in questione fossero ricondotti alle previsioni di legge, con conseguente rideterminazione degli interessi e condanna della banca a restituire o a riaccreditare le somme percepite in eccesso e a risarcire i danni.
Nella resistenza della banca il Tribunale di Milano ha respinto la domanda.
2. ─ La Corte di appello del capoluogo lombardo ha poi rigettato il gravame proposto contro la sentenza di primo grado dagli attori.
A sostegno della decisione la Corte territoriale ha osservato: a) che le condizioni contrattuali erano connotate da chiarezza e
trasparenza, posto che nel foglio informativo messo a disposizione dei mutuatari era evidenziata la duplicità delle varianti incidenti sul mutuo, risultavano rappresentati gli elementi che spiegavano effetto sull’assetto economico del rapporto («tasso di interesse ancorato al parametro CHF a sei mesi e tasso/rischio di cambio euro/franco svizzero») ed era infine evidenziata l’influenza di tali variabili sulla somma che il mutuatario doveva restituire all’istituto di credito, «con chiaro riferimento, quindi, a qualsiasi importo e non solo agli interessi»; b) che il meccanismo di indicizzazione non determinava l’immeritevolezza o l’illiceità della causa del contratto, né generava un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti; c) che, in ogni caso, l’eventuale scarsa trasparenza delle clausole contrattuali non poteva fondare la domanda di declaratoria di nullità, non prevedendo l’art. 35, comma 1, cod. cons. (d.lgs. n. 206 del 2005) tale conseguenza giuridica, e tanto portava a ridimensionare il giudizio espresso dall’AGCM col provvedimento del 9 luglio 2018, secondo cui le disposizioni di cui agli artt. 4, 4bis , 7 e 7bis dello schema negoziale replicato nei contratti di mutuo dedotti in lite risultavano essere redatte in modo poco chiaro; d) che il sistema di calcolo del tasso variabile ancorato alla valuta estera, in particolare al franco svizzero, non snaturava lo schema del mutuo e non trasformava il contratto concluso in uno strumento finanziario derivato.
─ Avverso questa sentenza i mutuatari hanno proposto ricorso per cassazione; il ricorso consta di quattro motivi ed è resistito con controricorso da Barclays Bank.
L’impugnazione, dapprincipio avviata alla trattazione camerale, è stata successivamente destinata alla pubblica udienza. Sono state depositate memorie. Il Pubblico Ministero ha concluso per il rigetto del ricorso
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Occorre anzitutto dare atto della rinuncia al ricorso da parte
di NOME COGNOME: rinuncia che è stata accettata da Barclays Bank.
I l giudizio di impugnazione, con riguardo alla posizione del nominato ricorrente, deve considerarsi pertanto estinto.
-Col primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1421 c.c. e 36 cod. cons., oltre che degli artt. 117 t.u.b. e 23 t.u.f., nonché la violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c.. Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che le nullità dedotte dagli odierni ricorrenti costituissero oggetto di una domanda nuova e fossero, come tali, inammissibili: la Corte di merito avrebbe dovuto in altri termini comunque occuparsi delle questiones nullitatis proposte in sede di gravame.
Il motivo è inammissibile.
I ricorrenti asseriscono che la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi sulle nullità da loro denunciate in appello: nullità che, in quanto rilevabili d’ufficio, erano suscettibili di essere dedotte in quella fase.
Gli istanti mancano tuttavia di identificare i motivi di impugnazione in cui sarebbero state invocate tali nullità (nuove rispetto a quelle dedotte in primo grado), di talché la censura risulta essere priva di specificità.
Il mezzo di ricorso è pure mancante di aderenza alla pronuncia impugnata, dal momento che la Corte territoriale non ha reso alcuna statuizione di inammissibilità con riferimento a domande di nullità: ha piuttosto osservato che, ove pure si volesse condividere il giudizio espresso dall’AGCM (col provvedimento n. 27214 del 2018) circa l’assenza di chiarezza e trasparenza delle clausole di cui agli artt. 4, 4bis , 7 e 7bis del contratto di mutuo, «tale fattispecie non legittimerebbe in ogni caso la declaratoria di nullità di tali clausole, potendo invece tutt’al più rilevare sotto il profilo interpretativo e/o risarcitorio, profili che però non stati oggetto di specifiche domande in primo grado da parte dei mutuatari odierni appellanti, che invece ritenuto
di poterne ottenere la declaratoria di nullità, unica domanda da essi proposta». Come risulta evidente da tale passaggio motivazionale, la Corte di appello non ha associato il tema dei nova in appello a domande di nullità contrattuale, quanto, piuttosto, a questioni, circa l’interpretazione del contratto e le conseguenze risarcitorie derivanti dall’opacità dell e richiamate disposizioni contrattuali, che erano estranee al thema decidendum cristallizzatosi nel giudizio di primo grado: e il motivo di ricorso in esame non investe tale profilo della controversia. Ebbene, la proposizione, mediante ricorso per cassazione, di una censura priva di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata, si risolve in un non motivo (per tutte: Cass. 9 aprile 2024, n. 9450).
5 . -Il secondo mezzo oppone la violazione, falsa e omessa applicazione degli artt. 112 c.p.c., 1421 c.c., 33 ss. cod. cons., 3, 4, 5 e 6 dir. 1993/13/CE, 1175, 1176, comma 2, 1322, 1325, 1337, 1343, 1375 e 1418 c.c., 117 t.u.b.. Ci si duole della mancata declaratoria della nullità delle clausole di cui agli artt. 4, 4bis , 7 e 7bis dei contratti di mutuo «prima casa» per «difetto di chiarezza e comprensibilità, per vessatorietà ed eccessivo squilibrio», per «violazione altresì degli obblighi di diligenza professionale, buona fede, correttezza, trasparenza e chiarezza e del connesso divieto di abuso nei contratti tra professionisti e consumatori»; si deduce pure la nullità delle richiamate clausole contrattuali «per difetto di meritevolezza e di causa in concreto o per illiceità della stessa» e si prospetta la necessità di ricalcolare gli interessi sulla somma concessa a mutuo espungendo dal sistema di calcolo il differenziale sul cambio tra franco svizzero ed euro, rideterminando le somme dovute in base al tasso dei buoni ordinari del t esoro di cui all’art. 117 t.u.b. .
Tale motivo è infondato.
Esso è incentrato sul valore da attribuirsi alla decisione resa dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato col richiamato
provvedimento n. 27214 del 9 luglio 2018. La parte ricorrente conferisce rilievo decisivo al l’accertame nto dell’AGC M, secondo cui le clausole sopra richiamate non esponevano in modo trasparente i meccanismi di «doppia indicizzazione» ivi contemplati (non dando sostanzialmente conto, in modo intellegibile, della disciplina convenzionale che prevedeva un’obbligazione di rimborso dipendente non solo da un tasso di interesse variabile nel tempo, ma anche dal tasso di cambio tra l’euro e il franco svizzero, tale da determinare che il mutuatario risultasse esposto, oltre che al rischio finanziario, dipendente da ll’andamento del tasso di interesse, a quello valutario, derivante dalle fluttuazioni delle valute). Sostengono gli istanti che la Corte di appello avrebbe dovuto rilevare d’ufficio la nullità delle clausole in questione «da considerarsi vessatorie perché prive dei necessari requisiti di chiarezza e di comprensibilità per il consumatore medio».
Queste deduzioni di parte ricorrente paiono fondarsi su di un equivoco.
Ha rilevato la Corte di merito che l’ Autorità garante, pur sostenendo che le disposizioni di cui agli artt. 4, 4bis , 7 e 7bis dei contratti in questione erano state redatte in maniera poco chiara, non ne ha affermato la vessatorietà ex artt. 33 e 34 cod. cons., ma si è limitata ad affermare la contrarietà di esse all’art. 35, comma 1, dello stesso codice.
Ora, la normativa consumeristica si mostra particolarmente sensibile all’esigenza di assicurare il trasferimento al consumatore di una parte rilevante delle informazioni di cui dispone l’operatore economico che fornisce la prestazione. Tale attività informativa, nei contratti del consumatore, attiene essenzialmente alla componente economica dell’affare (in definitiva: all’oggetto del negozio) e non invece alla componente normativa del contratto (e cioè al complesso delle condizioni che ne tracciano il regolamento). L’ incompletezza informativa sulla componente normativa del contratto è bilanciata dalla previsione
di controlli di contenuto: tipicamente, quella che si esprime, nel codice del consumo, con la previsione delle clausole vessatorie, attraverso cui il legislatore, piuttosto che preoccuparsi di garantire al consumatore una approfondita conoscenza delle condizioni contrattuali, ha scelto di reprimere, privandole di efficacia, quelle pattuizioni che generano un significativo squilibrio sulla parte normativa del contratto. Come è stato chiarito da questa Corte, dunque, la nozione di significativo squilibrio contenuta nell’art. 33 cod. cons. (e, in precedenza, dall’art. 1469bis c.c.), relativamente alle clausole vessatorie contenute nei contratti tra professionista e consumatore, fa riferimento a uno squilibrio di carattere giuridico e normativo, riguardante la distribuzione dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, non consentendo invece di sindacare l’equilibrio economico, ossia la convenienza economica dell’affare concluso (Cass. 25 novembre 2021, n. 36740). Infatti, a norma dell’art. 34, comma 2, cod. cons., « a valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto, né all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi ».
Un controllo del giudice quanto alla sostanza economica dell’affare, e quindi quanto alla rispondenza del valore economico della prestazione a quello della controprestazione, non è tuttavia sempre precluso, poiché lo stesso secondo comma dell’ art. 34 precisa che l’ impraticabilità del giudizio di vessatorietà alla componente economica del contratto in tanto opera in quanto l’ oggetto del contratto e l’ adeguatezza del corrispettivo « siano individuati in modo chiaro e comprensibile ». In conclusione, dunque, le clausole redatte in modo non chiaro e comprensibile possono essere considerate vessatorie o abusive, e pertanto nulle, se determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, e ciò anche nel caso in cui riguardino la stessa determinazione dell’oggetto del contratto o l’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi negoziati (Cass. 31 agosto 2021, n. 23655; Cass. 3 novembre
2023, n. 30556). L’approdo è conforme al la disciplina unionale, di cui costituisce recepimento quella consumeristica nazionale: secondo la Corte di giustizia, infatti, in base all’articolo 4, par . 2, della dir. 93/13/CE , le clausole che vertono sull’oggetto principale del contratto, o sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, pur rientrando nel settore disciplinato da tale direttiva, esulano dalla valutazione del loro carattere abusivo soltanto qualora il giudice nazionale competente dovesse considerare, in seguito ad un esame caso per caso, che esse sono state formulate dal professionista in modo chiaro e comprensibile (Corte giust. UE 30 aprile 2014, COGNOME e COGNOME COGNOME , C -26/13, 41; Corte giust. UE 9 luglio 2015, Bucura , C -348/14, 50; Corte giust. UE 26 gennaio 2017, Banco Primus , C -421/14, 62; Corte giust. UE 21 dicembre 2021, DP, C -243/20, 59).
10. Da quanto sopra si ricava che l’accertamento sulla chiarezza e comprensibilità della clausola deve essere tenuto distinto dal giudizio circa la vessatorietà, o abusività, della stessa. Come è evidente, la mancanza di trasparenza della disposizione contrattuale che attiene alla componente economica del contratto non implica che essa veicoli un significativo squilibrio delle prestazioni e non comporta, in conseguenza, che essa debba considerarsi vessatoria. Può certamente ipotizzarsi che l’assenza di trasparenza sia indice della volontà del professionista di occultare un regolamento contrattuale sbilanciato ai danni del consumatore: ma poiché i concetti di assenza di trasparenza della clausola e di abusività della stessa devono tenersi distinti, non può affermarsi che una disposizione non chiara e non comprensibile sia, per ciò solo, vessatori a, e quindi nulla, a norma dell’art. 36, comma 1, cod. cons.. Non esisterebbe, del resto, alcuna ragione per privare di efficacia, attraverso la disciplina di cui agli artt. 33 ss. cod. cons., una clausola non trasparente ma improduttiva di alcuno squilibrio tra i contraenti.
Appare pertanto non superabile l’affermazione della Corte di
merito secondo cui l’accertamento del l ‘AGCM , in quanto incidente sulla chiarezza delle clausole impugnate, e non sulla loro vessatorietà, non poteva determinarne la nullità. Tanto è sufficiente per escludere l’accoglimento del motivo di ricorso .
11 . -Sotto un diverso riflesso, occorre ricordare che la Corte di appello, attraverso un giudizio di fatto non sindacabile nella presente sede, ha accertato l’intellegibilità delle clausole di cui qui si dibatte, osservando , tra l’altro, che la previsione contrattuale si manifestava «sufficientemente chiara sia nell’evidenziare la duplicità delle variabili incidenti sul mutuo (tasso di interesse ancorato al parametro CHF a sei mesi e tasso/rischio di cambio euro/franco svizzero), sia nell’evidenziare l’incidenza di tali variabili sull’importo che il mutuatario debba restituire all’istituto di credito, con chiaro riferimento, quindi, a qualsiasi importo e non solo sugli interessi».
I ricorrenti richiamano, in ricorso, l’accertamento operato dall’Autorità garante , lamentando, nelle memorie, che la decisione impugnata disattenderebbe il principio di diritto enunciato da Cass. 31 agosto 2021, n. 23655, secondo cui il provvedimento con il quale l’AGCM accerti l’assenza di chiarezza e comprensibilità di alcune clausole contrattuali determina, nel giudizio civile promosso ex art. 37bis , comma 4, cod. cons., una presunzione legale, suscettibile di prova contraria, che non è sancita espressamente dalla legge ma scaturisce dalla funzione sistematica assegnata agli strumenti di public enforcement e genera un dovere di motivazione e di specifica confutazione in capo al giudice civile che maturi una diversa opinione.
12 . -A tale enunciato il Collegio ritiene di non poter dare seguito.
L’esistenza della presunzione legale non emerge dalla disciplina normativa di settore, la quale, nel far salva la giurisdizione del giudice ordinario sulla validità delle clausole contrattuali, non prevede che l’accertamento dell’Autorità garante -o dei giudici amministrativi, in sede di impugnazione del provvedimento dell’AGCM -abbia un qualche
effetto sulla cognizione del giudice civile (art. 37bis , comma 4, cod. cons.).
Né è da credere che la detta presunzione possa ricavarsi dal sistema, avendo particolare riguardo a ll’orientamento giurisprudenziale delineatosi in tema di illeciti antitrust.
In base a detto orientamento, nel giudizio instaurato ai sensi dell’art. 33, comma 2, della l. n. 287 del 1990 per il risarcimento dei danni derivanti da illeciti anticoncorrenziali, i provvedimenti assunti dall’Autorità garante per la concorrenza e il mercato e le decisioni del giudice amministrativo, che eventualmente abbiano confermato o riformato quei provvedimenti, costituiscono prova privilegiata in relazione alla sussistenza del comportamento accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso (Cass. 5 luglio 2019, n. 18176; Cass. 13 febbraio 2009, n. 3640; ma cfr. pure, ad es.: Cass. 22 maggio 2019, n. 13846; Cass. 23 aprile 2014, n. 9116; Cass. 9 maggio 2012, n. 7039).
L’idea che public enforcement e private enforce ment siano destinati ad operare nella controversia civile in modo sinergico è stata spiegata, quanto alle intese restrittive, facendosi riferimento, da un lato, al principio di effettività e unitarietà dell’ordinamento , che non consente di ritenere irrilevante il provvedimento del Garante avanti al giudice ordinario, e , dall’altro, all’asimmetria informativa tra l’impresa partecipe all’accordo anticoncorrenziale e il singolo consumatore (Cass. 28 maggio 2014, n. 11904, richiamata, in motivazione, dalla cit. Cass. 31 agosto 2021, n. 23655).
A ben vedere, l a considerazione sull’asimmetria informativa vale a giustificare l ‘indicata soluzione giurisprudenziale , basata sulla «prova privilegiata» da assegnare alla decisione dell’AGCM , anche per l’abuso di posizione dominante: è innegabile che pure nel caso di tale illecito concorrenziale il presunto danneggiato disponga, per regola, di dati
informativi, circa la condotta contra ius dell’ incumbent , non comparabili a quelli di cui dispone quest’ultimo .
La stessa conclusione non vale, invece, per l’ipotesi della declaratoria delle vessatorietà delle clausole inserite nei contratti conclusi tra professionisti e consumatori, di cui all’art. 37 -bis cod. cons.: in questo caso, difatti, si fa questione di disposizioni contrattuali cui il consumatore ha accesso, siccome riferibili a un rapporto di cui lo stesso è parte. D’altro canto, nella tutela amministrativa contro le clausole abusive non è implicata una attività di accertamento probatorio, quanto, semmai, un’attività di giudizio circa la vessatorietà delle dette disposizioni pattizie; assegnare il rango di «prova privilegiata» all’accertamento dell’AGCM avrebbe pertanto l’effetto di attribuire portata condizionante, per il giudice civile, a una valutazione giuridica espressa da una, pur qualificata, autorità amministrativa: il che mal si concilia col proprium dell’attività giurisdizionale. Se infatti può concepirsi, a mente dell’art. 116 c.p.c. , che il giudice civile basi il proprio giudizio su prove raccolte da una p.a. (e del resto l’art. 213 c.p.c. contempl a espressamente l’acquisizione di informazioni ricevute dalle pubbliche amministrazioni), si stenta a credere che l ‘intera decisione su di una domanda giudiziale (quale quella sulla validità o invalidità di clausole negoziali) possa scontare, in sede giudiziale, alcuna presunzione quanto alla sua fondatezza o infondatezza. Ciò è tanto vero che quando il legislatore ha inteso sottomettere il giudice ordinario a pregnanti obblighi conformativi rispetto agli accertamenti dell’autorità amministrativa lo ha fatto espressamente (si veda, infatti, proprio in tema di illecito antitrust , l’art. 7, comma 1, d.lgs. n. 3 del 2017, secondo cui, ai fini dell’azione per il risarcimento del danno si ritiene definitivamente accertata, nei confronti dell’autore, la violazione del diritto della concorrenza constatata da una decisione dell’AGCM non più soggetta ad impugnazione davanti al giudice del ricorso, o da una sentenza del giudice amministrativo passata in giudicato).
La nominata presunzione non può dirsi imposta nemmeno dall’esigenza di assicurare effettività e unitarietà all’ordinamento . In presenza di una decisione che non vede direttamente coinvolta una delle parti del giudizio risarcitorio (il consumatore), il punto di equilibrio tra i nominati valori e l’ autonomia della giurisdizione, quanto al giudizio di validità delle clausole, può dirsi assicurato dalla facoltà, da parte del giudice civile , di tener conto dell’accertamento dell’Autorità an titrust e di far propri i rilievi espressi nel provvedimento pronunciato in sede amministrativa o nelle decisioni giudiziali emesse in sede di impugnazione del medesimo. Di talché, nel giudizio di legittimità la pronuncia del giudice investito della domanda di nullità potrà essere censurata non per il suo mancato conformarsi agli accertamenti dell’AGCM e dei giudici amministrativi, ma per vizi suoi propri, ancorché questi siano posti in risalto dalle contrarie argomentazioni spese da quegli organi.
13 . -Quanto dedotto con riguardo al valore dell’accertamento dell’AGCM va quindi disatteso , posto che il provvedimento con il quale la detta Autorità accerti l’assenza di chiarezza e comprensibilità di alcune clausole contrattuali non assume valore di presunzione legale nel giudizio civile promosso ex art. 37bis , comma 4, cod. cons., non essendo tale valore desumibile dalla disciplina di settore e nemmeno ricavabile dal sistema, dovendosi negare, in particolare, che la detta presunzione possa ricavarsi dal regime della prova privilegiata operante in materia di illecito antitrust.
14 . -Quanto alle altre doglianze veicolate dal secondo mezzo, occorre rilevare che le contestazioni relative alla non meritevolezza del negozio e ai vizi della causa dello stesso sono prive di specificità, essendo state preannunciate nella rubrica del motivo senza essere state oggetto di un pertinente svolgimento argomentativo.
15 . ─ Il terzo motivo di ricorso prospetta la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 132, n. 4, c.p.c., 61 e 191 c.p.c., 1421,
1175, 1176, comma 2, 1322, 1325, 1337, 1343, 1375 e 1418 c.c., 33 ss. cod. cons., 23 e 30 t.u.f. e dei pertinenti regolamenti Consob. Si assume che il mutuo fondiario per la prima casa indicizzato al franco svizzero contiene un derivato finanziario implicito e si oppone la nullità del contratto per difetto o illiceità della causa e per violazione delle norme poste a tutela del consumatore e risparmiatore in materia di trasparenza, correttezza, completezza, diligenza e accuratezza dell’informazione nell’attività di intermediazione finanziaria. Viene rilevato, in particolare, che il mutuo in questione sarebbe classificabile come un derivato su valuta, in quanto il sottostante sarebbe dato dal rapporto di cambio, mutevole per la durata del rapporto di finanziamento.
16 . -Il motivo è infondato.
17 . -Come già rilevato da questa Corte in giudizi vertenti sulla medesima questione oggetto del presente motivo, la previsione di doppia indicizzazione del mutuo non dà luogo alla figura, di elaborazione dottrinale, del derivato implicito: infatti, manca nella struttura contrattuale che qui viene in esame « l’operazione di investimento di risorse da parte del mutuatario, che non acquista uno strumento finanziario, ma viene invece finanziato » (Cass. 31 agosto 2021, n. 23655, cit., in motivazione) e, del resto, Cass. Sez. U. 23 febbraio 2023, n. 5657, ha escluso possano qualificarsi derivati i negozi così congegnati « non per l’atteggiarsi del contratto, quale contratto derivato, bensì per effetto di singole clausole » (Cass. 3 novembre 2023, n. 30556, cit., in motivazione).
18 . ─ Col quarto motivo si denuncia per cas sazione la violazione e falsa applicazione degli artt. 158 c.p.c., 25, comma 1, 106, comma 2 e 111 Cost. e la nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice. Si evoca, sul punto, la questione di costituzionalità relativa all’integrazione dei collegi di Corte di appello con magistrati non togati.
19 . -Il motivo è stato rinunciato, onde sullo stesso non deve
pronunciarsi.
-In conclusione, occorre anzitutto dichiararsi estinto il ricorso proposto da NOME COGNOME.
21 . -Non si deve, al riguardo, statuire sulle spese, posto che la rinuncia del detto ricorrente, come si è detto, è stata accettata (art. 391, comma 3, c.p.c.).
22 . -Per il resto la proposta impugnazione deve essere respinta.
23 . -In relazione alle posizioni dei ricorrenti non rinuncianti le spese di giudizio di legittimità possono essere compensate, tenuto conto che con la presente pronuncia si è venuto a definire, in discontinuità con la precedente giurisprudenza, il portato dell’accertamento dell’AGCM nel giudizio di danno.
P.Q.M.
La Corte
dichiara estinto il giudizio con riguardo alla posizione di NOME COGNOME rigetta il ricorso degli altri ricorrenti e compensa le spese del giudizio di legittimità con riferimento all’impugnazione respinta ; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti non rinuncianti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione