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Mutatio libelli in appello: quando la domanda è nuova

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso di ingiustificato arricchimento tra ex conviventi. L’attore aveva richiesto la restituzione di somme, sostenendo in primo grado di averle pagate personalmente. In appello, ha modificato la sua versione, affermando che i pagamenti erano stati effettuati da suoi familiari. La Cassazione ha qualificato questa modifica come una “mutatio libelli”, ovvero una domanda nuova inammissibile in appello, in quanto altera il fatto costitutivo della pretesa. Di conseguenza, ha cassato la sentenza d’appello che aveva accolto tale domanda, rinviando la causa per un nuovo esame.

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Mutatio Libelli in Appello: Vietato Cambiare i Fatti a Sostegno della Domanda

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale del diritto processuale civile: il divieto di mutatio libelli in appello. La vicenda, nata da una richiesta di restituzione di somme tra ex conviventi, offre lo spunto per chiarire quando la modifica della propria linea difensiva si trasforma in una domanda nuova, come tale inammissibile nel secondo grado di giudizio. La Corte ha colto l’occasione per ribadire la necessità di una motivazione reale e non apparente da parte dei giudici di merito.

I Fatti di Causa

La controversia ha origine dalla domanda di un uomo volta a ottenere la condanna della sua ex compagna alla restituzione di ingenti somme di denaro che egli sosteneva di averle elargito durante la loro relazione sentimentale. In particolare, le richieste riguardavano il pagamento di un debito della donna verso un istituto di credito, per il quale l’uomo era coobbligato, e di un altro debito verso una banca, per cui si era costituito garante (fideiussore).

In primo grado, il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, condannando la donna al pagamento di una cospicua somma. La Corte d’Appello, in parziale riforma della prima sentenza, confermava il credito dell’uomo, seppur riducendone l’importo a seguito di una compensazione con un controcredito della donna.

Il caso arriva in Cassazione su ricorso della donna, che lamenta diversi vizi della sentenza d’appello, tra cui uno di particolare rilevanza processuale.

La questione della mutatio libelli in appello

Il nodo centrale della decisione della Suprema Corte risiede nei primi due motivi di ricorso. La ricorrente sosteneva che l’attore, nel giudizio di primo grado, aveva affermato di essere stato l’effettivo pagatore delle somme richieste. Tuttavia, solo in appello, a fronte delle contestazioni, aveva cambiato versione, sostenendo che i pagamenti fossero stati in realtà effettuati dal proprio padre e dal proprio fratello, rivendicandone gli effetti giuridici (in un caso quale erede, nell’altro senza specificarne il titolo).

Questa modifica, secondo la difesa della donna, costituiva una vera e propria mutatio libelli, ovvero un’inammissibile trasformazione della domanda originaria. Non si trattava di una semplice precisazione, ma di un cambiamento radicale del fatto costitutivo della pretesa: un conto è chiedere la restituzione di soldi pagati personalmente, un altro è chiederla per soldi pagati da terzi.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondati i motivi relativi alla mutatio libelli e alla motivazione apparente. In primo luogo, i giudici hanno censurato la sentenza della Corte d’Appello definendo la sua motivazione “meramente apodittica”. Il giudice di secondo grado si era limitato ad affermare che il pagamento risultava “documentalmente provato” senza però indicare quali documenti lo dimostrassero e, soprattutto, senza spiegare il ragionamento logico-giuridico che permetteva di imputare all’attore pagamenti pacificamente effettuati da altre persone (il padre e il fratello). Una motivazione è “apparente” quando, pur esistendo graficamente, non permette di comprendere l’iter logico seguito dal giudice per arrivare alla decisione, venendo meno alla sua funzione di garanzia.

In secondo luogo, e in modo ancora più netto, la Cassazione ha ravvisato la violazione dell’articolo 345 del codice di procedura civile, che vieta la proposizione di domande nuove in appello. Affermare in primo grado di aver pagato personalmente e sostenere in appello che i pagamenti sono stati fatti da terzi (ascrivendosene gli effetti) non è una semplice emendatio, ma una vera mutatio libelli. Si modifica l’elemento fondamentale, il fatto storico, su cui si basa il diritto vantato. La Corte d’Appello avrebbe dovuto, pertanto, dichiarare inammissibile la domanda così come modificata, invece di esaminarla nel merito e, per di più, accoglierla.

Infine, la Corte ha esaminato anche le censure relative al diritto di regresso del fideiussore, rigettandole ma correggendo la motivazione della sentenza d’appello. Ha chiarito che il diritto del fideiussore di recuperare dal debitore principale le somme versate (capitale, interessi e spese di esecuzione) non dipende da una comunicazione preventiva del pagamento. La comunicazione è rilevante solo per le spese sostenute in proprio dal fideiussore.

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha accolto i primi due motivi di ricorso, ha assorbito il terzo e rigettato gli altri. Ha cassato la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, per un nuovo esame che dovrà attenersi al principio di diritto stabilito. La Corte d’Appello non potrà più considerare la domanda basata sui pagamenti effettuati dai familiari, in quanto domanda nuova e inammissibile. Questa decisione riafferma un principio cardine del nostro ordinamento processuale: il processo ha regole precise e le parti non possono modificare a piacimento i fatti costitutivi delle loro pretese nei diversi gradi di giudizio.

È possibile modificare in appello i fatti su cui si basa la propria richiesta di pagamento?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che modificare il fatto costitutivo della pretesa (passando dal dichiarare di aver pagato personalmente a sostenere che i pagamenti sono stati effettuati da terzi, come il padre e il fratello) integra una “mutatio libelli”, ovvero una domanda nuova, inammissibile in appello ai sensi dell’art. 345 c.p.c.

Perché la motivazione della Corte d’Appello è stata considerata “apparente”?
La motivazione è stata ritenuta apparente perché si limitava ad affermazioni apodittiche, senza enunciare gli elementi di fatto e le prove specifiche da cui traeva il convincimento che il pagamento fosse avvenuto e fosse giuridicamente riferibile all’attore, nonostante i versamenti fossero stati effettuati dai suoi familiari.

Il fideiussore che paga il debito deve sempre avvisare il debitore principale prima di agire in regresso?
No. La Corte chiarisce che il diritto di regresso del fideiussore per le somme versate al creditore (sorte, accessori e spese di esecuzione) non è condizionato a una denuncia preventiva. La denuncia assume rilievo, ai sensi dell’art. 1950 c.c., solo per la ripetizione delle spese che il fideiussore ha sostenuto in proprio dopo aver denunciato al debitore le istanze proposte contro di lui.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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