Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2925 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2925 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/02/2025
Oggetto: appello -specificità dei motivi -giudizio di inammissibilità ex art. 342 c.p.c. -onere di motivazione
contenuto.
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 25840/21 proposto da:
-) COGNOME NOME COGNOME domiciliata ex lege presso all’indirizzo PEC del proprio difensore, difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
-) COGNOME NOME e COGNOME NOME , domiciliati ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti – avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna 19 agosto 2021 n. 2165;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10 ottobre 2024 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME (che verrà a mancare nelle more del giudizio, e la cui posizione processuale sarà coltivata dagli eredi NOME COGNOME e NOME COGNOME) nel 2013 convennero NOME COGNOME dinanzi al Tribunale di Ravenna, esponendo:
-) di essere proprietari di un immobile sito a Ravenna, INDIRIZZOINDIRIZZOINDIRIZZO
N.R.G.: 25840/21
Camera di consiglio del 10 ottobre 2024
-) che erano entrati in trattative con NOME COGNOME interessata a prendere in locazione il suddetto immobile per esercitarvi un’attività d’impresa;
-) che in previsione della stipula di questo contratto avevano immesso NOME COGNOME nel possesso dell’immobile;
-) che la convenuta tuttavia si era inesplicabilmente rifiutata sia di stipulare il contratto di locazione, sia di rilasciare l’immobile. Conclusero pertanto chiedendo la condanna della convenuta al rilascio dell’immobile ed al risarcimento del danno sofferto in conseguenza della
perduta disponibilità di esso.
NOME COGNOME si costituì ammettendo l’esistenza della trattativa, ma eccependo che:
-) giunto il momento di stipulare il contratto di locazione, i proprietari dell’immobile pretesero di imporle condizioni diverse e più onerose rispetto a quelle anticipate nella trattativa;
-) durante le trattative NOME COGNOME aveva taciuto varie circostanze rilevanti ai fini della conclusione dell’affare, riguardanti la regolarità urbanistica ed edilizia dell’immobile.
Chiese pertanto il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna degli attori al risarcimento dei danni da essi causati; alla rifusione delle spese sostenute per le migliorie apportate all’immobile nel tempo in cui ne aveva avuto la disponibilità; alla restituzione del deposito cauzionale già versato.
Con sentenza 27.12.2016 n. 1497 il Tribunale di Ravenna dichiarò cessata la materia del contendere in merito alla domanda di rilascio; accolse la domanda attorea e rigettò quella riconvenzionale. Il Tribunale:
-) ritenne provato per testimoni che NOME COGNOME rimase nel possesso dell’immobile dal 2013 sino al 2016;
-) ritenne in re ipsa il danno da indisponibilità dell’immobile;
N.R.G.: 25840/21 Camera di consiglio del 10 ottobre 2024
-) quantificò il danno in misura pari al valore locativo suggerito dal c.t.u.;
-) rigettò la domanda riconvenzionale sul presupposto che:
–) le prove richieste da NOME COGNOME per dimostrare che gli attori avevano modificato in pejus le condizioni della locazione erano generiche;
–) le irregolarità urbanisticoedilizie dell’immobile ‘ erano già state risolte quando la rifiutò di sottoscrivere il contratto di locazione, per cui deve escludersi che la rottura delle trattative sia causalmente imputabile a dette problematiche ‘ ;
-) durante le trattative l’immobile fu detenuto da NOME COGNOME a titolo di comodato, ed al comodatario non spetta il rimborso delle spese per migliorie.
La sentenza fu appellata da NOME COGNOME
Con sentenza 19.8.2021 n. 2165 la Corte d’appello di Bologna rigettò il gravame.
La Corte d’appello ritenne che:
-) il motivo d’appello inteso a far valere l’illegittimo rigetto delle istanze istruttorie e la riduzione della lista testimoniale era infondato per la mancata indicazione del modo in cui le prove rigettate, se raccolte, avrebbero influito sull’esito della lite;
-) correttamente il Tribunale aveva ritenuto che la mancata disponibilità d’un immobile costituisca un danno da liquidarsi in via presuntiva ed equitativa;
-) il motivo d’appello rivolto contro il rigetto della domanda riconvenzionale era infondato perché, ‘ in disparte l’inammissibilità del motivo siccome privo di specificità, le deduzioni svolte dall’appellante difettano della parte argomentativa idonee a confutare e contrastare il convincimento del T ribunale in punto di insussistenza dell’invocata responsabilità ex articolo 1337 c.c.’
N.R.G.: 25840/21
Camera di consiglio del 10 ottobre 2024
La sentenza d’appello è stata impugnata per Cassazione da NOME COGNOME con ricorso fondato su cinque motivi ed illustrato da memoria.
Hanno resistito con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 184, 244, 329 e 342 c.p.c..
Al di là di tali riferimenti normativi, nell’illustrazione del motivo (pp. 13 -27 del ricorso) sono formulate due censure che si possono riassumere come segue.
1.1. Con una prima censura NOME COGNOME espone che il Tribunale le aveva ascritto di avere rifiutato la restituzione dell’immobile per quattro anni, dal 2012 al 2016, aggiungendo ‘ non esservi prova ‘ di quanto eccepito dalla convenuta, ovvero che l’immobile fu restituito sin dal dicembre dell’anno 2012
Il Tribunale tuttavia – prosegue la ricorrente – era pervenuto alla suddetta conclusione dopo avere dapprima ridotto ex officio la lista testimoniale della convenuta; poi rigettato la sua istanza di escussione dei testi esclusi e le ulteriori istanze istruttorie; ed infine rigettato la sua eccezione (di avvenuta restituzione dell’immobile) perché non provata.
Questa statuizione era stata appellata deducendo ne l’erroneità ed instando anche in appello per l’ammissione delle prove rigettate dal primo giudice.
La Corte d’appello tuttavia aveva rigettato la censura, ritenendo non assolto dall’appellante l’onere di ‘ indicare in che misura gli esiti istruttori avrebbero influito sullo scrutinio di fondatezza della pretesa fatta valere’ .
Questa valutazione, conclude la ricorrente, fu erronea, perché l’atto d’appello conteneva (alle pp. 10 e 23 -25) la chiara indicazione delle ragioni per le quali le prove non ammesse avrebbero , se raccolte, inciso sull’esito della lite.
1.2. Con una seconda censura la ricorrente deduce che, in ogni caso, erroneamente anche la Corte d’appello ha ritenuto ‘ sostanzialmente
ininfluenti ‘ le sue istanze istruttorie (formulate in primo grado e reiterate in appello).
1.3. Il motivo è inammissibile per plurime ragioni.
Innanzitutto, esso muove da un erroneo presupposto interpretativo della sentenza d’appello. Assume, cioè, la difesa della ricorrente che la sentenza d’appello abbia dichiarato ‘inammissibile’ , ex art. 342 c.p.c., il suo primo motivo di appello.
In realtà non è questa la ratio decidendi della sentenza impugnata. La Corte felsinea infatti non ha dichiarato inammissibile per incomprensibilità o genericità il primo motivo d’appello. Al contrario, l’ha scrutinato nel merito e concluso che l’appellante non aveva offerto elementi per ritenere ‘rilevanti’ le prove non ammesse in primo grado. Tanto si desume dal richiamo, compiuto dalla sentenza d’appello, alla decisione di questa Corte n. 1532 del 2018, la quale concerne il modo di deduzione del vizio della sentenza di primo grado in ordine alla denegazione di istanze istruttorie (e va da sé che la motivazione può consistere anche nel mero richiamo ad un precedente giudiziario, come consentito dall’art. 118, primo comma, ultimo periodo, disp. att. c.p.c.).
Ne deriva che il motivo è inammissibile perché non si correla alla motivazione della sentenza impugnata (Cass. Sez. U., 20/03/2017, n. 7074, in motivazione; Cass. Sez. 3, 11/01/2005, n. 359).
1.4. In secondo luogo v’è da rilevare che la sentenza d’appello ha ritenuto non dimostrata la rilevanza delle prove di cui l’appellante chiedeva l’ammissione .
La ricorrente (in allora appellante), pertanto, in questa sede aveva l’onere (imposto a pena di inammissibilità dall’art. 366, nn. 3 e 6 c.p.c.) di spiegare le ragioni di tale rilevanza, e di farlo adeguatamente trascrivendo o riassumendo i passi salienti della motivazione della sentenza di primo grado e dell’atto di appello (la sentenza di primo grado, tra l’altro, sebbene depositata non è indicata fra le produzioni in chiusura del ricorso: e si
ricordi che l’onere di ‘ indicazione’ è imposto dall’art. 366, n. 6, c.p.c.: Cass. Sez. U., 03/11/2011, n. 22726).
In conclusione, dunque, la Corte d’appello ha ritenuto il primo motivo di gravame ‘non argomentato’ rispetto alla sentenza di primo grado, e la ricorrente non ha messo questa Corte in condizione di valutare se le motivazioni dell’atto d’appello fossero o meno pertinenti rispetto al decisum della sentenza del Tribunale.
Infatti la ricorrente nella lunga esposizione del motivo qui in esame (p 10, pp 23-25) riferisce il contenuto dell’atto di appello, ma in ciò che riferisce nulla si coglie quanto ai necessari riferimenti alla motivazione della sentenza di primo grado.
La stessa riproduzione che si fa nel motivo del contenuto dei capitoli probatori, dell’ordinanza del primo giudice di limitazione dell’accoglimento delle istanze e del contenuto della precisazione delle conclusioni di primo grado, risulta priva di riferimento alla motivazione della decisione di primo grado, di modo che in questa sede riesce impossibile considerarla come idonea critica alla pur scarna motivazione della sentenza qui impugnata.
In tal modo rimane non spiegato se, e come, le prove sarebbero state utili per dare luogo, in caso positivo, ad un ribaltamento della decisione di primo grado, la cui motivazione come già detto resta ignota.
Col secondo motivo la ricorrente deduce che la Corte d’appello ha pronunciato a suo carico una nuova ed ulteriore condanna, nulla perché priva di motivazione.
2.1. Il motivo è infondato.
La Corte d’appello infatti ha accolto in parte il gravame proposto da NOME COGNOME defalcando dal suo debito gli interessi maturati sulla cauzione che doveva esserle restituita. Non ha, quindi, pronunciato nessuna nuova ed immotivata condanna nei confronti di NOME COGNOME Ha, semplicemente, modificato la decisione di primo grado riducendo nei termini sopra indicati il quantum debeatur .
Camera di consiglio del 10 ottobre 2024
La circostanza poi che la Corte d’appello abbia ritenuto di dover riscrivere il dispositivo di condanna già pronunciato dal Tribunale non cambia la sostanza delle cose: e cioè che in appello non è stata adottata a carico di NOME COGNOME nessuna condanna aggiuntiva rispetto a quella pronunciata in primo grado, ma solo una condanna sostitutiva di quella.
Col terzo motivo la sentenza d’appello è censurata nella parte in cui ha confermato la stima del danno compiuta dal Tribunale.
Deduce che gli attori non avevano provato quale reddito avrebbero ricavato dall’immobile, se avessero potuto utilizzarlo.
3.1. Il motivo è manifestamente infondato alla luce dei princìpi stabiliti da Sez. U – , Sentenza n. 33645 del 15/11/2022, alla cui motivazione si può qui rinviare ai sensi dell’art. 118, comma primo, ultimo periodo, disp. att. c.p.c..
Basterà qui ricordare che, con tale decisione, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che, se è vero che non possono esistere danni in re ipsa (in quanto la lesione del diritto è solo il presupposto necessario del danno, ma non il danno) , non è men vero che l’esistenza in concreto del danno può desumersi dalla prova presuntiva e dall’ id quod plerumque accidit (c.d. teoria del ‘ danno normale ‘).
Quando il danno attinge un immobile, la teoria del danno normale impone di distinguere tra danni che attingono il bene (ad esempio, danneggiamento dell’immobile) e danni che toccano il contenuto del diritto (ad es., la privazione della disponibilità dell’immobile, come nel caso di specie).
Nel primo caso il risarcimento esige la dimostrazione che il danneggiamento del bene ha reso necessaria una spesa, od ha impedito un lucro.
Nel secondo caso, invece, il danno è rappresentato ‘ dalla specifica possibilità di esercizio del diritto di godere che è andata persa ‘ . Non si tratta, dunque, di danno in re ipsa , ma di danno consistito nella perdita oggettiva di una facoltà suscettibile di valutazione economica.
La sentenza impugnata si è attenuta a questi princìpi.
Col quarto motivo la ricorrente formula due censure. Da un lato deduce l’erroneità della sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto generica l’impugnazione da lei proposta, con cui invocava la responsabilità del locatore ex art. 1337 c.c. ; dall’altra parte deduce che la sentenza è priva di motivazione su questo punto.
4.1. Le due censure, se pur tra loro alternative, sono fondate entrambe.
NOME COGNOME in primo grado formulò una domanda riconvenzionale intesa a far valere la responsabilità degli attori per violazione dei doveri di correttezza e buona fede durante le trattative finalizzate alla stipula della locazione. Il Tribunale rigettò la domanda e NOME COGNOME impugnò la relativa statuizione.
Con l’atto d’appello ( trascritto a pp. 39-41 del ricorso) NOME COGNOME dedusse che:
-) erroneo fu, da parte del Tribunale, il rigetto delle sue istanze istruttorie intese a dimostrare la violazione da parte dei proprietari dei doveri di correttezza e buona fede;
-) erroneo fu, da parte del Tribunale, il ritenere che l’irregolarità edilizia dell’immobile oggetto delle trattative era stata già risolta quando le trattative si interruppero; infatti proprio le lungaggini nella soluzioni di quei problemi avevano indotto NOME COGNOME a rifiutare la stipula;
-) erroneo fu, da parte del Tribunale, il trascurare di considerare che i proprietari al termine delle trattative avevano preteso di imporre alla controparte condizioni contrattuali più onerose di quelle originariamente oggetto di trattativa;
-) erroneo fu, da parte del Tribunale, il trascurare di considerare che i proprietari non si erano adoperati per consentire il ripristino delle utenze di acqua e gas e la cessione dei relativi contratti di somministrazione a favore della promissaria conduttrice.
4.2. Fondate o meno che fossero, tali censure erano ben chiare ed esigevano una analitica risposta da parte della Corte d’appello.
Esse tuttavia sono state rigettate dalla Corte d’appello con la seguente motivazione: ‘ le deduzioni svolte dall’appellante difettano della parte argomentativa idonea a confutare e contrastare il convincimento del T ribunale in punto di insussistenza dell’invocata responsabilità ex art . 1337 e/o 2043 c.c., e come tale, in disparte dell’inammissibilità del motivo siccome privo di specificità, esso è infondato ‘.
4.3. La motivazione sopra trascritta è, innanzitutto, ambigua: infatti la sibillina espressione ‘ in disparte dell’inammissibilità del motivo siccome privo di specificità ‘ non consente di stabilire se la Corte territoriale abbia voluto dichiarare l’appello inammissibile ai sensi dell’art. 342 c.p.c., oppure se quell’espressione sia un mero obiter dictum .
Tuttavia tanto nell’uno, quanto nell’altro caso, la sentenza impugnata non sfuggirebbe ad un severo giudizio cassatorio.
Se, infatti, con l’espressione sopra trascritta la Corte d’appello avesse voluto formulare un giudizio di inammissibilità del motivo ai sensi dell’art. 342 c.p.c., tale giudizio sarebbe erroneo in iure per quanto già detto al precedente § 4.1 , vale a dire che l’impugnazione proposta da NOME a COGNOME era ben chiara quanto al petitum . Aggiungasi che, se davvero la Corte d’appello avesse voluto dichiarare l’impugnazione inammissibile per genericità, le ulteriori deduzioni sul merito dovrebbero ritenersi tamquam non essent , in quanto dichiarando l’inammissibilità del gravame il giudice si spoglia della potestas iudicandi e null’altra statuizione può emettere ( Sez. U, Sentenza n. 3840 del 20/02/2007).
4.4. Nulla cambierebbe se si volesse ritenere un mero obiter dictum il passaggio dedicato alla ‘aspecificità’ dell’appello proposto da NOME COGNOME. In tal caso infatti la sentenza sarebbe addirittura nulla, per mancanza di una reale motivazione.
Per risalente e secolare tradizione la motivazione d ‘ una sentenza non può ridursi ad una affermazione , ma deve consistere in una spiegazione .
Il passo sopra trascritto tuttavia non soddisfa questo requisito, perché consiste in una tautologia. Vi si afferma, infatti, che il motivo è ‘ infondato perché inidoneo a confutare ‘ la sentenza impugnata. Il che equivale a dire che ‘ il motivo è infondato perché non può essere accolto ‘ , e dunque spiegare un concetto col concetto medesimo.
Si tratta quindi d ‘una motivazione inferiore a quel ‘minimo costituzionale’ al di sotto del quale un provvedimento giurisdizionale va dichiarato nullo per violazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4, c.p.c..
Col quinto motivo la ricorrente investe la sentenza d’appello nella parte in cui ha rigettato la domanda di rifusione delle spese sostenute per l’esecuzione di vari lavori all’interno dell’immobile.
Espone la ricorrente che la Corte d’appello : a) ha qualificato come ‘comodato’ la detenzione dell’immobile da parte sua, nel periodo in cui si svolsero le trattative; b) ne ha tratto la conclusione della irripetibilità delle spese di straordinaria manutenzione da lei sostenute.
Deduce la ricorrente che tale statuizione fu erronea in punto di diritto, in quanto le spese da lei sostenute per sostituire bagni e pavimenti dell’immobile furono affrontate in vista della conclusione del con tratto di locazione; esse pertanto rappresentavano un danno risarcibile da parte dei proprietari illegittimamente receduti dalla trattativa, ai sensi dell’art. 1337 c.c..
5.1. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del quarto motivo di ricorso. Il giudice di rinvio infatti per quanto detto dovrà esaminare ex novo il motivo di gravame inteso a censurare la statuizione di rigetto della domanda riconvenzionale formulata ai sensi dell’art. 1337 c.c.. La questione della sorte delle spese di riadattamento dell’immobile seguirà dunque la sorte di quella domanda.
Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice di rinvio.
P.q.m.
(-) rigetta i primi tre motivi di ricorso; accoglie il quarto; dichiara assorbito il quinto;
(-) cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile