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Motivazione per relationem: quando la sentenza è nulla

Con la sentenza n. 34615/2019, la Cassazione Civile, Sez. 5, ha annullato una decisione di merito perché basata su una motivazione per relationem illegittima. Il caso riguardava l’impugnazione di un avviso di accertamento da parte di una socia di una S.r.l. La Corte ha stabilito che una sentenza non può limitarsi a richiamare un altro provvedimento, ma deve riprodurne il contenuto e sottoporlo a una valutazione critica autonoma, pena la nullità per vizio di motivazione.

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Motivazione per relationem: la Cassazione stabilisce i paletti per la validità

Una sentenza può motivare una decisione semplicemente richiamando un altro atto? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34615 del 2019, torna su un tema cruciale del diritto processuale: la motivazione per relationem. Questo provvedimento chiarisce, ancora una volta, che i giudici non possono usare “scorciatoie” motivazionali. Una sentenza, per essere valida, deve essere il frutto di un’analisi autonoma e critica, non un mero rinvio a fonti esterne. Analizziamo insieme la decisione per capire i confini di questa tecnica redazionale.

I fatti di causa

Il caso trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento fiscale notificato a una socia di una società a responsabilità limitata. L’Agenzia delle Entrate le contestava un maggior reddito da partecipazione, derivante da utili che si presumevano distribuiti dalla società. La contribuente si opponeva, sollevando diverse eccezioni, tra cui un vizio nella notifica dell’atto presupposto (quello alla società) e una possibile doppia imposizione.

Il giudice di primo grado accoglieva le ragioni della socia. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale, in sede di appello, ribaltava la decisione. La sentenza d’appello, però, era estremamente sintetica e motivava la propria scelta per relationem, cioè richiamando una sentenza emessa lo stesso giorno nel procedimento relativo alla società, e affermando, erroneamente, che la contribuente non avesse riproposto le sue specifiche doglianze. Insoddisfatta, la socia si rivolgeva alla Corte di Cassazione.

La questione giuridica: i limiti della motivazione per relationem

Il cuore del ricorso per Cassazione si è concentrato sulla legittimità della sentenza d’appello. La socia ha lamentato che i giudici di secondo grado avessero ignorato le sue precise controdeduzioni e avessero riformato la sentenza di primo grado con una motivazione apparente, basata su un semplice rinvio a un’altra decisione.

Questo ha portato la Suprema Corte a esaminare i requisiti che rendono legittima una motivazione per relationem. Può un giudice limitarsi a dire “decido così per le ragioni esposte in un’altra sentenza”? La risposta, come vedremo, è un secco “no”, se non a determinate e stringenti condizioni.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la sentenza d’appello con rinvio. Nel farlo, ha ribadito i suoi consolidati principi in materia.

Secondo gli Ermellini, la motivazione per relationem è legittima solo se rispetta due condizioni fondamentali:

1. Riproduzione del contenuto: Il giudice che rinvia a un altro atto deve riportare nella propria sentenza le parti essenziali di quell’atto, in modo da renderle conoscibili e comprensibili.
2. Valutazione critica e autonoma: Non basta “copiare e incollare”. Il giudice deve dimostrare di aver fatto propria quella motivazione, di averla vagliata criticamente e di averla adattata al contesto specifico della causa che sta decidendo.

In altre parole, la sentenza deve rimanere autosufficiente. Chi la legge deve poter comprendere l’iter logico-giuridico seguito dal giudice senza dover cercare e consultare altri documenti. Una motivazione che si limiti a un mero rinvio a una fonte esterna, senza un’adeguata elaborazione critica, è da considerarsi nulla per violazione dell’art. 360, n. 4 c.p.c., in quanto si traduce in una motivazione solo apparente.

Nel caso specifico, la CTR si era limitata a un laconico riferimento, impedendo di comprendere se avesse effettivamente esaminato le ragioni dell’appellata e i motivi del gravame. Questo comportamento integra un vizio procedurale che rende la sentenza invalida.

Le conclusioni

La sentenza in commento offre un’importante lezione pratica: l’obbligo di motivazione è un pilastro fondamentale dello stato di diritto e non ammette deroghe dettate da esigenze di sinteticità o rapidità. Una decisione giudiziaria deve sempre essere trasparente e verificabile. La tecnica della motivazione per relationem, se usata in modo improprio, mina questa trasparenza, impedendo alle parti di comprendere le ragioni della decisione e al giudice superiore di esercitare il proprio controllo di legittimità. Pertanto, ogni volta che un giudice fa riferimento a un altro atto, deve farlo in modo da incorporarne il ragionamento nel proprio, dimostrando di aver condotto un’analisi autonoma e consapevole.

Quando una sentenza con motivazione per relationem è considerata nulla?
Una sentenza di questo tipo è nulla quando si limita a un mero rinvio a un atto esterno (es. un’altra sentenza) senza riprodurne il contenuto essenziale e senza sottoporlo a una valutazione critica autonoma. La motivazione deve essere autosufficiente e permettere di comprendere l’iter logico del giudice.

Un giudice d’appello può motivare la sua decisione semplicemente richiamando un’altra sentenza?
No. Come chiarito dalla Cassazione, il giudice d’appello non può limitarsi a richiamare un’altra sentenza, anche se connessa. Deve dimostrare di aver esaminato specificamente i motivi di appello e le difese dell’appellato, e la sua motivazione, anche se per relationem, deve essere il risultato di un’analisi propria e non di un semplice rinvio.

Cosa succede se il giudice non esamina specificamente i motivi di appello?
Se un giudice omette di esaminare i motivi di appello e le difese delle parti, la sentenza è viziata da omissione di pronuncia o da motivazione apparente. Questo vizio ne comporta la nullità e la conseguente cassazione da parte della Suprema Corte, con rinvio della causa a un altro giudice per una nuova decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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