Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16617 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 1 Num. 16617 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/06/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. RNUMERO_DOCUMENTO anno 2018 tra:
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME AVV_NOTAIO;
ricorrente
e
COGNOME NOMENOME COGNOME NOME NOME COGNOME NOME NOME NOME e difesi dall’avvocato NOME COGNOME, domiciliat i presso l’avvocato NOME COGNOME;
contro
ricorrenti nonché
COGNOME NOME ;
intimato nonché
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’avvocato AVV_NOTAIO;
interveniente
avverso la sentenza n. 1543/2018 depositata il 25 giugno 2018 della Corte di appello di Firenze.
Udita la relazione svolta all’udienza del 9 aprile 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME; udite le conclusioni le Pubblico Ministero, nella persona del AVV_NOTAIO procuratore generale NOME COGNOME; udite le difese delle parti.
FATTI DI CAUSA
NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno convenuto in giudizio RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, per sentirli condannare al risarcimento del danno derivante dall ‘illecita appropriazione , da parte di quest’ultimo, nella sua qualità di promotore finanziario della società intermediaria sopra indicata, di somme da loro investite in strumenti finanziari: appropriazione che aveva avuto luogo mediante l’apposizione di sottoscrizioni apocrife su distinte di versamento, ordini di bonifico, assegni e moduli di riscatto.
Si è costituita RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, la quale, oltre a resistere alla domanda, ha chiesto, in via subordinata, la condanna, in via di regresso, di COGNOME.
Con sentenza del 14 dicembre 2010, il Tribunale di Arezzo ha accolto la domanda attrice, condannando entrambi i convenuti, in solido, al pagamento, della somma di euro 1.270.753,51, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali; con la stessa pronuncia il promotore è stato condannato a rivalere RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE delle somme da versare agli attori.
Con sentenza del 25 giugno 2018 la Corte di appello di Firenze ha rigettato sia il gravame principale di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, sia quello incidentale degli originari attori.
Avverso la predetta sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto
ricorso per cassazione, articolato in sei motivi, al quale NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso. È intervenuta in giudizio RAGIONE_SOCIALE, nella qualità di società incorporante RAGIONE_SOCIALE, stante la fusione per incorporazione attuatasi con atto pubblico del 2 novembre 2022, prodotto in giudizio.
Con ordinanza interlocutoria n. 21020 del 18 luglio 2023 il giudizio è stato destinato alla pubblica udienza.
Il Pubblico ministero ha concluso per l’accoglimento del ricorso. Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
È anzitutto infondata l’eccezione , formulata dai controricorrenti, relativa alla nullità della procura ad litem rilasciata da RAGIONE_SOCIALE: a norma dell’art. 83, comma 3, c.p.c., detta procura ben può accedere alla comparsa di intervento (tale dovendosi qualificare l’«atto di rinnovata costituzione» depositato dalla detta società).
-Maggiore approfondimento merita altra questione pregiudiziale, vertente sull’ammissibilità dell’intervento della detta società: questione che ha indotto il primo collegio alla trattazione del ricorso in pubblica udienza.
2.1. Come ricordato, RAGIONE_SOCIALE è intervenuta in giudizio dichiarando di essere succeduta alla ricorrente, da essa incorporata con atto di fusione del 2 novembre 2022. L ‘ordinanza interlocutoria si interroga sul valore del mero deposito dell’atto di intervento, non notificato alle controparti. Viene osservato, in proposito, che la mancata notifica dell’atto di intervento, comportando l’irritualità dell’intervento di RAGIONE_SOCIALE, « fa sorgere, nella specie, la questione concernente la sorte del ricorso per cassazione proposto dalla società incorporata, la cui sopravvenuta estinzione, a seguito della fusione per incorporazione, potrebbe risultare idonea ad incidere sulla stessa sopravvivenza del rapporto processuale nella fase
d’impugnazione, soprattutto laddove alla successione nel rapporti giuridici già facenti capo alla società estinta non faccia riscontro un valido intervento in giudizio dell’incorporante ».
2.2. Ora, hanno precisato le Sezioni Unite di questa Corte che la fusione per incorporazione estingue la società incorporata, che non può dunque iniziare un giudizio in persona del suo ex amministratore, ferma restando la facoltà per la società incorporante di spiegare intervento volontario in corso di causa, ai sensi e per gli effetti dell’art. 105 c.p.c. Nella circostanza le Sezioni Unite hanno rilevato che ove la fusione intervenga in corso di causa, non si determina l’interruzione del processo, la quale è esclusa ex lege dall’art. 2504bis c.c. (Cass. Sez. U. 30 luglio 2021, n. 21970) . L’effetto dell’interruzione sarebbe per la verità comunque escluso nel giudizio di cassazione, e ciò in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, il quale è dominato dall’impulso di ufficio (Cass. 3 dicembre 2015, n. 24635; Cass. 13 febbraio 2014, n. 3323; di recente, per un’applicazione di quest o principio all’ipotesi della dichiarazione di fallimento: Cass. 6 novembre 2023, n. 30785; Cass. 12 febbraio 2021, n. 3630).
Secondo le Sezioni Unite, la fusione realizza una successione a titolo universale corrispondente alla successione mortis causa e produce gli effetti, tra loro interdipendenti, dell’estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione a questa, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, della società incorporante, che rappresenta il nuovo centro di imputazione e di legittimazione dei rapporti giuridici già riguardanti i soggetti incorporati: in tal senso – è stato chiarito – la successione universale, come vicenda giuridica, ben si attaglia anche a quella fra enti, avente ad oggetto un patrimonio unitariamente considerato e non soltanto elementi che lo compongono (Cass. Sez. U. 30 luglio 2021, n. 21970, in motivazione, par. 2.4).
Data la natura successoria della vicenda che qui viene in esame, trova riscontro la regula iuris per cui, non essendo l’applicazione della disciplina di cui all’art. 110 c.p.c. espressamente esclusa per il processo di legittimità, e non apparendo la stessa compatibile con le forme proprie dello stesso, il soggetto che ivi intenda proseguire il procedimento, quale successore a titolo universale di una delle parti già costituite, deve allegare e documentare, tramite le produzioni consentite dall’art. 372 c.p.c., tale sua qualità, attraverso un atto che, assumendo la natura sostanziale di un intervento, sia partecipato alla controparte per assicurarle il contraddittorio sulla sopravvenuta innovazione soggettiva consistente nella sostituzione della legittimazione della parte originaria mediante notificazione, non essendone, invece, sufficiente il semplice deposito nella cancelleria della Corte (Cass. Sez. U. 22 aprile 2013, n. 9692; Cass. 15 maggio 2020, n. 8973).
2.3. – L’interveniente dubita della necessità della notifica in quanto il vigente art. 370 c.p.c. non onera di detta attività il controricorrente , il quale è tenuto al solo deposito telematico dell’atto. È da osservare, però, che la norma, nel testo modificato dall’art. 3, comma 27, d.lgs. n. 149/2022, si applica ai soli giudizi introdotti con ricorso notificato dopo il 31 dicembre 2022 (art. 35, comma 5, d.lgs. cit.): in conseguenza, la superfluità della notifica dell’atto di intervento non può certo ricavarsi da tale disciplina, che non si estende ratione temporis al presente giudizio.
Posto che il successore a titolo universale può partecipare al giudizio pendente dinanzi alla Corte di cassazione mediante un atto d’intervento che dev’essere notificato alla controparte per assicurare il rispetto del contraddittorio, non essendo dunque sufficiente il mero deposito dell’atto in cancelleria, stante l’esigenza di assicurare una forma simile a quella del ricorso e del controricorso, va nondimeno osservato che la nullità derivante dall’omissione della suddetta
notificazione è sanata se le controparti costituite accettano il contraddittorio senza sollevare eccezioni (Cass. 17 luglio 2019, n. 19172; Cass. 22 febbraio 2016, n. 3471).
In ogni caso, la nullità, non sanata, dell’intervento non può determinare la sopravvenuta inammissibilità del ricorso della parte che si sia estinta in pendenza del giudizio di legittimità: e ciò in base al rilievo, già richiamato, per cui il giudizio di cassazione è animato dall’impulso d’ufficio.
2.4. Nella presente fattispecie la nullità è stata comunque eccepita dai controricorrenti in memoria, onde l’intervento deve essere dichiarato inammissibile, ancorché il giudizio possa egualmente proseguire, secondo quanto si è detto.
2.5. Deve in conclusione enunciarsi, sul punto, il seguente principio di diritto:
«Nel caso che in pendenza del giudizio di cassazione la società ricorrente si estingua a seguito di fusione per incorporazione, la società incorporante può intervenire nel procedimento: tale intervento, per i giudizi instaurati fino al 31 dicembre 2022, deve aver luogo con atto da notificarsi alle altre parti per assicurare il rispetto del contraddittorio, non essendo sufficiente il mero deposito dell’atto in cancelleria, e la nullità derivante dall’omissione della suddetta notificazione è sanata se le controparti costituite accettano il contraddittorio senza sollevare eccezioni; la nullità in questione, ove non sanata, non pregiudica tuttavia l’ulteriore corso del giudizio di legittimità, che è governato dall’impulso d’ufficio».
3 . -Col primo motivo di ricorso sono denunciate la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. Viene rammentato che col primo motivo di appello la società ricorrente aveva censurato la sentenza di primo grado per aver la stessa conferito rilievo alla non meglio precisata notorietà di una vicenda che avrebbe avuto vasta eco nella stampa locale coinvolgendo numerosi risparmiatori. Nel censurare
l’affermazione della Corte di appello secondo cui il richiamo del Tribunale al fatto notorio risultava essere corretto, si deduce che una notizia di cronaca che si asserisce essere comparsa sulla «stampa locale» non potrebbe essere ricondotta nell’alveo del notorio, risolvendosi, in contrario, nel mero ricorso da parte del giudice alla propria scienza privata: una scienza privata attinta, oltretutto, da fonte ignota.
Il secondo mezzo oppone la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 2 ( rectius , n. 4) c.p.c., stante la motivazione inesistente o apparente quanto al rigetto del primo motivo di appello relativo all’erroneo ricorso al fatto notorio. La censura investe l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, relativa all’esistenza di un «fatto di cronaca particolarmente rilevante».
Col terzo motivo si lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 2 ( rectius , n. 4), c.p.c., per motivazione inesistente o apparente quanto alla contestata rilevanza dell’accertamento peritale in ordine alla falsità delle firme. Si deduce che la società ricorrente aveva censurato la sentenza di primo grado per aver la stessa attribuito rilevanza all’accertamento del carattere apocrifo delle firme disconosciute dagli attori senza che vi fosse alcuna prova che fosse stato COGNOME, nella sua qualità di promotore finanziario di RAGIONE_SOCIALE, a porre in atto le dedotte falsificazioni. Viene rilevato che la Corte di appello non aveva fornito alcuna reale motivazione al riguardo, «limitandosi a difendere l’operato del c.t.u. sebbene questo non fosse stato contestato nei suoi esiti sul piano tecnico, essendosi invece evidenziata l’irrilevanza dell’accertam ento dell’apocrifia della sottoscrizioni contestate ai fini della prova che ad apporre le sottoscrizioni medesime fosse stato proprio il convenuto COGNOME nelle sue qualità».
Il quarto mezzo prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2733, comma 2, c.c. Il motivo investe la
sentenza impugnata nella parte in cui ha attribuito rilievo all’«autodenuncia» del promotore finanziario e alla sua mancata risposta all’interrogatorio formale. Viene rilevato che la banca è soggetto terzo, cui non sono opponibili le dichiarazioni contra se del promotore finanziario e a cui non possono estendersi gli effetti contemplati dall’art. 232 c.p.c. per la diserzione, da parte dello stesso, dell’udienza fissata per il nominato interrogatorio.
Col quinto motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. con riguardo agli effetti della confessione stragiudiziale del promotore e della sua mancata risposta all’interrogatorio formale. La ricorrente si duole che la Corte di appello si sia limitata ad affermare il principio del libero apprezzamento, da parte del giudice, della confessione del litisconsorte e a manifestare una mera condivisione per l’operato del Tribunale «dimenticando però di fornire qualsiasi concreta esplicazione in ordine al contenuto ed alle modalità di esercizio nel caso concreto di tale libero apprezzamento»; la stessa censura è svolta con riguardo alla motivazione spesa dal Giudice del gravame a proposito della mancata risposta di COGNOME all’interrogatorio formale a lui deferito.
Il sesto mezzo veicola una censura di nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. Si lamenta che nulla abbia affermato e argomentato la Corte di appello a fronte dell’eccepito concorso di colpa degli odierni controricorrenti: concorso di colpa che era stato dedotto attribuendo rilievo alla periodica ricezione, da parte degli investitori, della documentazione consistente negli estratti del conto corrente, nelle rendicontazioni, nelle lettere di conferma delle operazioni di volta in volta eseguite: documentazione dalla quale si sarebbe potuto riscontrare l’irregolarità della condotta del promotore.
3.1. È fondato il secondo mezzo, con assorbimento dei restanti.
3.2. Emerge dalla sentenza impugnata che RAGIONE_SOCIALE aveva censurato la pronuncia di primo grado per aver «dato rilevanza
alla notorietà del fatto commesso dal COGNOME». Sul punto la Corte distrettuale ha in sintesi ricondotto il notorio a quelle nozioni che sono conosciute da una persona di media cultura in un dato ambiente in un certo periodo storico; tra questi ha fatto rientrare il «fatto di cronaca particolarmente rilevante».
La pronuncia non fornisce ulteriori indicazioni quanto al fatto assunto come notorio: questo risulta, in sostanza, non individuato.
3.2. Tale carenza rende apparente la motivazione della pronuncia con riguardo al tema che qui interessa: e l’ apparenza della motivazione vanifica la stessa possibilità di effettuare alcun accertamento, in sede di legittimità, quanto alla corretta applicazione dell’art. 115, comma 2, c.p.c. da parte della Corte di merito: accertamento che la ricorrente ha invocato col primo motivo di ricorso. Si rammenta che ove il giudice del merito abbia posto alla base della decisione un fatto qualificandolo come notorio, tale fatto e la sua qualificazione sono denunciabili in sede di legittimità sotto il profilo della violazione della norma testé richiamata e la Corte di cassazione esercita il proprio controllo « ripercorrendo il medesimo processo cognitivo dello stato di conoscenza collettiva operato dal giudice del merit o» (Cass. 31 agosto 2020, n. 18101; Cass. 29 novembre 2011, n. 25218; Cass. 9 settembre 2008, n. 22880): processo cognitivo evidentemente non accessibile al giudice di legittimità ove quello di merito manchi finanche di identificare il fatto cui attribuisce notorietà.
Come è risaputo, la riformulazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83/2012, convertito in l. n. 134/2012, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, la quale ricorre anche in caso di apparenza della motivazione (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053;
Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054; Cass. 3 marzo 2022, n. 7090; Cass. 25 settembre 2018, n. 22598): figura, questa, che si delinea quando, benché graficamente esistente, la motivazione non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. 1 marzo 2022, n. 6758; Cass. 23 maggio 2019, n. 13977).
– La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio della causa alla Corte di Firenze.
Al Giudice del rinvio è devoluta la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il secondo motivo e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Firenze, che giudicherà in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione