Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5777 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5777 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/03/2024
sul ricorso 19031/2020 proposto da:
NOME NOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME e COGNOME NOME;
-ricorrente – contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME; -controricorrente – avverso la sentenza n. 713/2020 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 20/05/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2023 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Rilevato che:
con sentenza n. 20767/2019, la Seconda Sezione Penale di questa Corte annullò, con rinvio al giudice civile, la sentenza con cui la Corte di Appello di L’Aquila aveva assolto ( ai sensi dell’art. 530, 2° co. c.p.p., per insussistenza del fatto) NOME COGNOME dal reato di truffa aggravata in danno di NOME COGNOME;
il tutto in relazione alla vendita di un immobile effettuata da quest’ultimo in favore della RAGIONE_SOCIALE (di cui il NOME era legale rappresentante), rispetto alla quale il COGNOME (querelante costituitosi parte civile) aveva dedotto che l’accordo intervenuto con la controparte prevedeva condizioni diverse e ulteriori rispetto a quelle risultanti dal rogito di trasferimento della proprietà, cui non aveva fatto seguito la formalizzazione e l’adempimento degli ulteriori impegni del NOME (che, in aggiunta al pagamento del corrispettivo di 219.000,00 euro, si era impegnato a cedere due appartamenti e due garages, a mettere a disposizione -a titolo gratuito- un immobile durante i lavori di costruzione e a versare l’ulteriore so mma di 25.000,00 euro);
con la pronuncia di annullamento, la Cassazione penale rilevò che l’accusa di truffa si basava sulla rilevante sperequazione tra il valore dell’immobile compravenduto (indicato in circa 500.000,00 euro nel capo di imputazione e in circa 460.000,00/480.000,00 euro nelle perizie di parte civile) e il corrispettivo dell’atto di compravendita e ritenne che la Corte di Appello avesse erroneamente escluso tale sperequazione sulla base di un ulteriore ‘scorporo’ del valore dei locali non destinati ad uso abitativo rispetto a quello già compiuto dai periti di parte; concluse pertanto che, effettuando una ulteriore e non dovuta riduzione del valore sulle medesime superfici, la Corte di Appello era incorsa in un travisamento della prova di carattere decisivo;
pronunciando in sede di rinvio, la Corte di Appell o di L’Aquila ha determinato il danno patrimoniale in 154.000,00 euro (prendendo a base la stima effettuata nella perizia di parte attrice e applicando un abbattimento del 20% sul valore del fabbricato abitativo e del magazzino) e ha ritenuto che tale differenza fra il valore dell’immobile e il prezzo pagato «è idonea a convincere della sussistenza dell’effetto induttivo della condotta del COGNOME sulla libera determinazione del COGNOME»; ha riconosciuto, inoltre, un danno non patrimoniale di 15.000,00 euro e ha quindi condannato il detto COGNOME al pagamento di complessivi 169.000,00 euro, oltre agli accessori (per rivalutazione ed interessi) e alle spese di lite del giudizio di legittimità e di quello di rinvio;
ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, affidandosi a tre motivi; ad esso ha resistito, con controricorso, il COGNOME;
il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale, ex art. 380-bis.1 c.p.c.;
il ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
col terzo motivo (che si esamina per primo per ragioni di priorità logico-giuridica), il ricorrente denuncia la «violazione e falsa applicazione dell’art. 76 n. 1 c.p.p.» e censura la sentenza impugnata per avere disatteso l’eccezione di inammissibilità della costituzione di p.c. del COGNOME basata -per quanto si apprende dalla pag. 9 del ricorso- sul fatto che detta costituzione nel processo penale era stata effettuata soltanto nel 2014 (successivamente alla sentenza n. 410/2010 emessa dal Tribunale civile di Lanciano nel giudizio promosso dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti del COGNOME per il rilascio del bene compravenduto, in cui il secondo aveva promosso una riconvenzionale risarcitoria che era stata respinta), quando non era più possibile trasferire l’azione civile nel processo penale;
al riguardo, la Corte di Appello ha affermato «l’inammissibilità della riproposizione nell’ambito del presente giudizio civile di rinvio delle eccezioni di inammissibilità della costituzione di parte civile del COGNOME», in quanto «ogni questione relativa all’esistenza dei presupposti di legittimità formale e sostanziale necessari all’esercizio dell ‘ azione civile nel procedimento penale deve ritenersi superata e preclusa per effetto della intervenuta sentenza della Suprema Corte di Cassazione, che ha cassato la sentenza della sezione penale della Corte di appello di L’Aquila su ricorso proposto proprio dalla parte civile disponendo il rinvio alla Corte di appello di L’Aquila in sede civile per la decisione sulle domande risarcitorie»; ha aggiunto che «neanche può spiegare effetto di giudicato, con riferimento al presente giudizio, la pronuncia intervenuta in sede civile che ha rigettato domande risarcitorie proposte dal COGNOME contro la società RAGIONE_SOCIALE»; ciò in quanto la sentenza n. 410/2010 del Tribunale di Lanciano aveva rigettato le domande riconvenzionali del COGNOME sul rilievo che il contratto preliminare dal medesimo invocato era intercorso tra soggetti diversi da quelli che avevano stipulato l’atto pubblico e conteneva pattuizioni del tutto diverse ed incompatibili con quest’ultimo; di talché -ha ritenuto la Corte di rinvio- non ricorreva il «necessario presupposto relativo all’identità dell’elemento soggettivo, atteso che il giudizio civile ha visto quali parti il COGNOME e la società RAGIONE_SOCIALE (soggetto giuridico distinto dalla persona fisica investita della rappresentanza legale) mentre l’azione civile promossa in sede penale è stata proposta contro COGNOME NOME persona fisica autore del delitto di truffa, il quale ha agito in un primo momento spendendo il nome della RAGIONE_SOCIALE (della quale era socio) e poi della RAGIONE_SOCIALE (in rappresentanza legale della quale ha infine concluso il contratto di cui al rogito del maggio 2008)»;
assume il ricorrente che la pronuncia della Corte di Cassazione penale, «avendo pronunciato esclusivamente sulla responsabilità
penale del NOME, ha inteso affidare tutte le questioni riguardanti gli interessi civili, ivi compresa la più volte sollevata eccezione di inammissibilità di costituzione di parte civile», al giudice di rinvio; aggiunge che, se (con la sentenza divenuta definitiva) il giudice civile avesse accolto la domanda riconvenzionale del COGNOME, condannando conseguentemente il NOME a risarcire il danno, si sarebbe potuta determinare una duplicazione risarcitoria in favore della parte civile;
il motivo è inammissibile poiché non censura in modo specifico le due rationes decidendi espresse dalla Corte di rinvio per superare la questione della dedotta inammissibilità della costituzione di p.c.;
quanto alla prima, si limita a d affermarne l’apoditticità e a richiamare quanto sostenuto nell’ambito del giudizio di rinvio, senza tuttavia svolgere nuove e puntuali censure volte a contestare il rilievo che l’accoglimento del ricorso proposto proprio dalla p.c. comportava il riconoscimento, da parte della Cassazione penale, dell’ammissibilità della sua costituzione;
quanto alla seconda, il ricorrente si limita a prospettare la possibilità di una duplicazione risarcitoria per il caso in cui la riconvenzionale risarcitoria proposta dal COGNOME in sede civile fosse stata accolta (anziché rigettata, come avvenuto), senza tuttavia confrontarsi con i rilievi della Corte di rinvio circa la «non ricorrenza del necessario presupposto relativo all’identità dell’elemento soggettivo»;
con il primo motivo, il ricorrente deduce «omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, già oggetto di discussione tra le parti, in ordine alla valutazione dei cespiti immobiliari oggetto dell’accertamento del corretto ristoro dei danni in favore della parte civile»;
col secondo motivo, il COGNOME denuncia «nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132, co. 2 n. 4 c.p.c., in quanto corredata da
motivazione solo apparente, estrinsecantesi in argomentazioni del tutto apodittiche, disancorate dalla fattispecie concreta e sprovviste di riferimenti specifici e puntuali al rapporto in contestazione, assolutamente inidonee a rivelare la ratio decidendi nonché ad evidenziare gli elementi che giustifichino il convincimento del giudice e ne rendano possibile il controllo di legittimità»;
con i due motivi -illustrati congiuntamente- il ricorrente contesta al Giudice di rinvio di avere identificato il parametro fondante della stima del cespite immobiliare nella perizia estimativa di parte (a firma del geom. COGNOME) prodotta dal COGNOME in sede penale, priva di connotazioni di oggettività e attendibilità, senza procedere invece ad una consulenza tecnica d’ufficio; tanto più che nella stessa perizia di parte risultava ricompreso e stimato (25.900,00 euro) un terreno non effettivamente acquistato; lamenta che, per contro, la Corte di rinvio non ha «operato alcuna valutazione in merito alla perizia di parte dell’imputato, reda tta dal geom. COGNOME» ed ha compiuto un «completo svilimento cognitivo» della consulenza tecnica d’ufficio compiuta nel procedimento di esecuzione immobiliare promosso avanti al Tribunale di Lanciano dalla Banca di Puglia e Basilicata nei confronti della RAGIONE_SOCIALE ed avente ad oggetto i medesimi immobili alienati dal COGNOME (nella quale era stata individuata una base d’asta di poco più di 246.00,00 euro); dato atto che la Corte di Appello si è fatta carico di questa consulenza, evidenzia che è tuttavia incorsa «in una serie straordinaria di errori e di contraddizioni», in quanto ha considerato un deprezzamento per «ulteriore stato di incuria» che non andava considerato della durata di dieci anni (bensì di sei); ha inoltre considerato il fabbricato realizzato nel 1967 anziché in data antecedente al settembre 1967; infine, in un passaggio della sentenza, ha qualificato come CTU la stima del geom. COGNOME;
il primo motivo è inammissibile, in quanto:
non evidenzia l’ome sso esame di specifici fatti singolarmente decisivi, ma propone -nella sostanza- una diversa lettura dei fatti e delle risultanze istruttorie, sollecitando pertanto un non consentito nuovo apprezzamento di merito di elementi che dovrebbero condurre ad una diversa valutazione degli immobili;
per di più, difetta di specificità (in relazione alla previsione dell’art. 366, n. 6 c.p.c.) , in quanto non trascrive in misura adeguata i documenti (le due perizie di parte e la relazione della c.t.u. espletata in sede esecutiva) che richiama a fondamento delle censure;
il secondo motivo è infondato, in quanto l ‘ampia e articolata motivazione, lungi dall’essere apparente e basata su affermazioni apodittiche, consente di individuare agevolmente il percorso logicogiuridico seguito dalla Corte di rinvio;
il ricorso va pertanto rigettato;
le peculiarità della vicenda e gli esiti alterni dei giudizi che hanno condotto all’accoglimento della domanda del COGNOME integrano gravi ragioni (ex Corte Cost. n. 77/2018) analoghe a quelle previste dall’art. 92, 2° co. c.p.c. per la compensazione delle spese del giudizio di legittimità;
sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.