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Motivazione apparente: nullità del decreto del giudice

La Corte di Cassazione ha annullato un decreto del Tribunale che aveva rigettato parzialmente la richiesta di un istituto di credito di ammissione al passivo fallimentare. La decisione è stata cassata per motivazione apparente, poiché il giudice di merito si era limitato ad affermare la mancata prova del credito senza specificare quali elementi probatori fossero carenti, violando così l’obbligo di fornire una giustificazione effettiva e comprensibile.

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Motivazione Apparente: Perché un Giudice Deve Spiegare le Sue Decisioni

L’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali è un pilastro del nostro ordinamento, sancito anche a livello costituzionale. Ma cosa succede quando una motivazione esiste solo formalmente, senza però spiegare il percorso logico-giuridico seguito dal giudice? In questi casi si parla di motivazione apparente, un vizio che può portare alla nullità della decisione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio di questo principio, analizzando il caso di un credito bancario rigettato in una procedura fallimentare.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dalla richiesta di un istituto di credito di essere ammesso al passivo del fallimento di una società per un credito complessivo di oltre un milione di euro. Tale credito derivava da tre contratti di finanziamento e dai saldi negativi di due conti correnti. Inizialmente, il giudice delegato aveva respinto interamente la domanda per “mancata dimostrazione del credito”.

Successivamente, in sede di opposizione, il Tribunale aveva parzialmente accolto la richiesta, ammettendo il credito relativo ai conti correnti ma confermando il rigetto per la parte concernente i tre finanziamenti, pari a circa 768.000 euro. La ragione addotta dal Tribunale era, ancora una volta, la mancata prova del credito da parte della banca, richiamando una generica affermazione del Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) che non aveva potuto “rilevare il saldo finale per mancanza documentale”.

L’istituto di credito ha quindi proposto ricorso per Cassazione, lamentando proprio la totale assenza di argomentazioni a sostegno della decisione, configurando un caso emblematico di motivazione apparente.

L’Analisi della Corte e la Motivazione Apparente

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della banca, ritenendo il motivo fondato. I giudici supremi hanno evidenziato come il parziale rigetto della domanda fosse privo di una “effettiva e comprensibile motivazione a sostegno”.

Il Tribunale si era limitato a:
1. Enunciare il principio generale sull’onere della prova in capo al creditore che si insinua al passivo (dimostrare l’esistenza del titolo, la sua anteriorità al fallimento, la disciplina di ammortamento, ecc.).
2. Affermare in modo apodittico e generico che “la BANCA non ha assolto tale onere”.

Secondo la Cassazione, una simile statuizione non costituisce una motivazione valida. Sebbene il giudice avesse correttamente identificato i vari elementi che il creditore avrebbe dovuto provare, non ha fornito alcuna indicazione su quali di questi elementi fossero rimasti sforniti di prova e perché le prove offerte fossero state ritenute insufficienti. Questa omissione integra gli estremi della motivazione apparente, ovvero una motivazione meramente tautologica che si limita ad affermare il risultato del giudizio senza illustrare il ragionamento che lo ha determinato.

Le Motivazioni

La Corte ha ribadito che, quando una causa viene decisa sulla base della ripartizione degli oneri probatori, è parte essenziale della motivazione spiegare quali fatti rilevanti non sono stati provati e perché le prove acquisite sono state ritenute irrilevanti o insufficienti. La totale assenza di tali spiegazioni trasforma la motivazione in una formula di stile vuota, violando l’art. 132, n. 4, c.p.c. e l’art. 111 della Costituzione.

Questo vizio processuale comporta la nullità del provvedimento. La Suprema Corte ha quindi cassato il decreto del Tribunale, rinviando la causa allo stesso ufficio, in diversa composizione, affinché esamini nuovamente la domanda e, questa volta, provveda a fornire una motivazione completa ed effettiva sulla propria decisione.

Le Conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio fondamentale dello stato di diritto: le decisioni dei giudici non possono essere arbitrarie o inspiegabili. Le parti di un processo hanno il diritto di comprendere le ragioni per cui le loro domande vengono accolte o respinte. Una motivazione che si limita a enunciare un principio di diritto per poi affermare, senza ulteriori dettagli, che non è stato rispettato, non è una vera motivazione, ma solo un guscio vuoto. La conseguenza è la nullità dell’atto, garantendo che la giustizia non sia solo amministrata, ma anche resa comprensibile.

Quando una motivazione giudiziaria è considerata “apparente”?
Una motivazione è considerata apparente quando è meramente tautologica, si limita ad affermare il risultato del giudizio senza fornire alcuna giustificazione, oppure è così generica da non spiegare il ragionamento logico che ha condotto alla decisione, come nel caso in cui non si specifichi perché le prove offerte siano state ritenute insufficienti.

Qual è la conseguenza di una motivazione apparente in un provvedimento?
La conseguenza è la nullità del provvedimento (sentenza o, come nel caso di specie, decreto) per violazione della legge processuale (art. 132 c.p.c.) e di principi costituzionali (art. 111 Cost.), in quanto viene a mancare un elemento essenziale dell’atto giudiziario.

In una procedura fallimentare, se un giudice rigetta un credito per mancanza di prova, cosa deve specificare nella sua decisione?
Il giudice non può limitarsi ad affermare genericamente che il creditore non ha assolto l’onere probatorio. Deve fornire una spiegazione, anche minima, su quali specifici fatti rilevanti ha ritenuto non provati (ad esempio l’esistenza del contratto, la sua anteriorità al fallimento, le condizioni pattuite) e perché le prove offerte o acquisite sono state considerate irrilevanti o insufficienti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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