Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22156 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22156 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso R.G.N. 02931/2023
promosso da
RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME , in persona del socio accomandatario e legale rappresentante NOME COGNOME ed NOME COGNOME in proprio, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, con studio in Pordenone, INDIRIZZO, pec: , in virtù di procura speciale in atti;
– ricorrenti –
contro
NOME COGNOME e NOME COGNOME , rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, con studio in PordenoneINDIRIZZO INDIRIZZO, pec: , in virtù di procura speciale in atti;
– controricorrenti –
nonché contro
COGNOME NOME ;
– intimata –
Avverso la sentenza n. 445/2022 della Corte d’Appello d i Trieste, pubblicata il 16/11/2022, notificata il 17/11/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME; letti gli atti del procedimento in epigrafe.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La RAGIONE_SOCIALE e dal suo socio accomandatario NOME COGNOME impugnavano davanti al Tribunale di Pordenone il lodo arbitrale irrituale, depositato in data 23/05/2019, reso a definizione della procedura incardinata da COGNOME NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, che aveva stipulato con COGNOME NOME un contratto di affitto di azienda.
Nel procedimento arbitrale, i primi avevano chiesto il pagamento dei canoni di affitto scaduti, e non saldati, oltre alla riconsegna del complesso dei beni. La RAGIONE_SOCIALE, nel costituirsi: a) aveva eccepito la nullità del contratto d’affitto d’azienda; b) aveva chiesto il riconoscimento: 1) di un accordo intercorso tra le parti in ordine lavori eseguiti dall ‘affittuaria all’interno dei locali; 2) dell’intervenuta autorizzazione della proprietà all’esecuzione dei lavori; 3) della circostanza che le parti avevano conferito congiuntamente mandato al perito COGNOME perché operasse una stima delle opere eseguite, al fine di determinare l’importo che la proprietà avrebbe dovuto corrispondere alla società; c) aveva chiesto l’accertamento delle opere eseguite dalla RAGIONE_SOCIALE all’interno dei locali aziendali e il maggior valore dell’azienda a seguito dei lavori eseguiti; d) aveva chiesto che venisse accertata la consegna di un assegno di €. 3.600,00 a titolo di caparra, con condanna alla restituzione dello stesso; e) in subordine, aveva chiesto la compensazione dei reciproci crediti.
Espletata CTU, a seguito della formulazione delle conclusioni definitive delle parti, veniva emesso il lodo che, dichiarato cessato il
contratto alla data del 31/01/2018, indicava le somme dovute a titolo di canone di locazione e di indennità da ritardata restituzione e stabiliva che fossero assegnati e trasferiti agli attori le opere, le attrezzature e gli arredi stimati dal perito COGNOME, unitamente all’insegna sotto la quale la società affittuaria aveva esercitato la propria attività di pubblico esercizio, con la conseguenza che rimanevano acquisite alla proprietà le pitture, i riferimenti ed ogni ulteriore collegamento all’insegna, con diritto degli attori di utilizzo di quanto indicato e con facoltà di trasferire a terzi i relativi diritti. Lo stesso lodo specificava che gli attori avrebbero dovuto corrispondere il controvalore di quanto ad essi trasferito, come stimato, e, effettuata la compensazione tra le reciproche poste attive e passive, determinava in € 11. 200,00 (oltre interessi) il credito residuo degli attori.
Il Tribunale di Pordenone respingeva l’impugnazione del lodo e la Corte d’appello di Trieste confermava la sentenza di primo grado .
Avverso tale statuizione hanno proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE ed NOME COGNOME, affidato a due motivi di impugnazione.
Solo gli intimati NOME COGNOME e NOME COGNOME si sono difesi con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza impugnata, per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1429, 1428 e 1427 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nella parte in cui il giudice dell’appello ha respinto il primo motivo d’appello svolto dalla RAGIONE_SOCIALE in ordine alla declaratoria di invalidità del lodo per violazione del principio del contraddittorio, integrante, comunque, un ‘ ipotesi di errore essenziale sull’oggetto del contratto di mandato, oltre che di violazione del contratto di mandato.
Secondo i ricorrenti, la Corte d’appello di Trieste ha errato nel valutare il motivo d’appello con il quale la RAGIONE_SOCIALE aveva lamentato la violazione del contradittorio in relazione ad un elemento fondamentale della vicenda, ossia le risultanze istruttorie del CTU, circostanza che aveva indotto l’arbitro in una falsa rappresentazione della realtà , tenuto conto che, nello scarno elaborato peritale del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, composto di sole 7 righe, quest’ultimo si era limitato a dire che il valore dei beni di cui alla perizia del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, riguardante le migliorie apportate dall’affittuaria, era, a sua stima, da decurtarsi del 50%, in base ad una valutazione che, nei chiarimenti richiesti dall’arbitro e dalle parti , dichiarava di aver effettuato secondo la propria esperienza, così operando riduzioni arbitrarie, indiscriminate e senza alcuna motivazione.
Ad opinione dei ricorrenti, la decisione assunta nel lodo, che aveva fatto propria una stima così arbitraria, aveva impedito alla società di esercitare il proprio diritto di difesa, non consentendo di contrapporre proprie ragioni a ragioni immotivate. Inoltre, l a volontà dell’arbitro, relativamente ai rapporto dare avere tra le parti, si era formata su una errata rappresentazione della realtà, fornita dall’elaborato peritale del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che aveva ingenerato un errore di fatto, senza dubbio essenziale e riconoscibile, non essendovi nella perizia alcuna traccia del processo logico-estimativo seguito, della metodologia assunta, dei criteri specifici seguiti, pur fatti propri in sede di decisione dall’arbitro .
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in quanto corredata da motivazione apparente, in violazione dell’art. 36 , comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., in relazione al secondo motivo d’appello , con il quale gli attuali ricorrenti avevano lamentato l’indebita assegnazione alle controparti
dei segni distintivi e del l’insegna della RAGIONE_SOCIALE, per avere l’arbitro oltrepassando i limiti del mandato ad esso conferito e delle controversie indicate nella clausola compromissoria.
I ricorrenti hanno evidenziato di avere dedotto che l’oggetto dell’arbitrato era determinato dalle domande contenute nell’istanza di attivazione della procedura arbitrale e nell’atto di costituzione della parte convenuta, ove si specificava che l’arbitro avrebbe dovuto decidere sui ‘ reciproci obblighi in relazione allo stato dei locali, ai lavori eseguiti, alla morosità ‘ , aggiungendo che il mandato conferito era chiaro, specifico e confinato all’interno delle questioni arbitrabili , giusta clausola compromissoria contenuta nel contratto d’affitto d’azienda , il quale non faceva alcuna menzione a ll’insegna e ad altri segni distintivi. Gli stessi ricorrenti hanno anche precisato di avere subito eccepito la novità delle domande in questione, dichiarando di non accettare il contraddittorio sulle stesse, sicché il lodo non avrebbe dovuto occuparsi di tali richieste.
In quest’ottica , ad opinione dei ricorrenti, la statuizione della Corte d’appello ha risposto solo in apparenza alle censure formulate.
Occorre preliminarmente rilevare l’infondatezza dell’eccezione d’inammissibilità del ricorso, sollevata dai controricorrenti, secondo i quali, dietro la rappresentazione di vizi riconducibili all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. i ricorrenti avevano prospettato questioni di merito già valutate in modo conforme nei precedenti due gradi di giudizio.
Dalla semplice lettura del ricorso si evince, infatti, che, con il primo motivo di ricorso, è stata fatta valere, in contrasto con la valutazione in diritto operata dal giudice di merito, la ritenuta esistenza di vizi del lodo impugnato, mentre con il secondo motivo di ricorso è stata dedotta l’ apparenza della motivazione sulle censure formulate con un motivo di appello.
Si tratta, dunque, di censure astrattamente riconducibili ai vizi elencati nell’art. 360, comma 1, c.p.c.
Il primo motivo di ricorso è comunque inammissibile, per altre ragioni.
3.1. È incontestato tra le parti che la materia del contendere riguardi un procedimento arbitrale che ha condotto all’adozione di un lodo irrituale.
Com’è noto, la convenzione di arbitrato irrituale costituisce un contratto che determina la nascita in capo alle parti contraenti di una situazione complessa, di carattere strumentale, finalizzata alla tutela dei diritti, mediante il quale, secondo lo schema de ll’art. 1703 c.c., viene conferito un mandato collettivo, senza necessità di rappresentanza, a uno o più arbitri, preordinato alla stipula di un accordo contrattuale. L’accordo con cui le parti decidono di far ricorso ad un arbitrato irrituale si sostanzia, dunque, nel conferimento in un mandato a comporre la controversia insorta, mediante un negozio, appunto, compositivo, da porre in essere nel termine stabilito dalle parti. La scelta dell’arbitrato irrituale comporta, in virtù della stessa volontà espressa del legislatore, una deroga all’art. 824 bis c.p.c. e, conseguentemente, al successivo art. 825 c.p.c., palesandosi, con essa, l’intenzione pattizia di escludere quell’efficacia di sentenza divenuta ex lege propria del dictum degli arbitri rituali. L ‘applicazione delle regole proprie del ‘lodo -sentenza’ è, quindi, inequivocabilmente esclusa per il ‘lodo -contratto’, con la conseguenza che la possibilità di attuare i diritti discendenti dall’arbitrato irrituale è rimessa esclusivamente al comportamento delle parti, potendo, in caso di mancata attuazione, insorgere una nuova controversia sull’esecuzione della determinazione arbitrale rimasta inadempiuta (v. Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 12058 del 13/04/2022).
Nella disciplina previgente alla riforma introdotta con il d.lgs. n. 40 del 2006, stante l’assenza di una specifica normativa speciale, la giurisprudenza si era conformata all’orientamento dottrinale secondo il quale l’arbitrato irrituale, quale strumento di risoluzione delle controversie, imperniato sull’affidamento a terzi del compito di ricercare una composizione amichevole riconducibile alla volontà delle parti, avesse natura negoziale e, pertanto, il relativo lodo fosse impugnabile solo per vizi della volontà negoziale (errore, dolo o violenza) o per incapacità delle parti o degli arbitri (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 6830 del 24/03/2014).
In un siffatto contesto, questa Corte aveva ritenuto che la diligenza degli arbitri dovesse essere valutata in riferimento all’oggetto dell’incarico conferito, il quale, come si è detto, non consisteva nella realizzazione di un assetto d’interessi appagante per tutte le parti in causa, ma nella pronuncia di una decisione, secondo diritto o secondo equità, all’esito di un procedimento nel quale, previa fissazione del thema decidendum , fosse consentito a ciascuna delle parti lo svolgimento di attività di allegazione, eccezione e prova su un piano di parità. Essenziale, in questa prospettiva, era il rispetto del principio del contraddittorio, il quale non implicava, tuttavia, che il procedimento dovesse articolarsi necessariamente in forme rigorose ed in fasi progressive, eventualmente mutuate dalla disciplina del processo ordinario, risultando invece sufficiente che a ciascuna delle parti fosse assicurata la possibilità di far valere le proprie ragioni e di conoscere e contrastare quelle dell’altra, in relazione agli elementi utilizzati dagli arbitri per la propria pronuncia (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 16164 del 15/07/2014; v. anche Cass., Sez. 1, Sentenza 08/09/2004, n. 18049). La natura negoziale dell’arbitrato irrituale comportava, peraltro, che, in sede d’impugnazione, la violazione del principio del contraddittorio non potesse essere fatta valere come vizio del procedimento, ma
esclusivamente come violazione del contratto di mandato, che in tanto poteva assumere rilievo ai fini dell’annullamento della decisione, in quanto si fosse tradotto in una falsa rappresentazione della realtà, tale da inficiare la volontà espressa dagli arbitri (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17636 del 10/08/2007).
Con l’introduzione dell’art. 808 ter c.p.c., qui pacificamente applicabile ratione temporis , il legislatore ha inteso formalizzare i possibili motivi di impugnazione del lodo irrituale, denominato ‘lodo contrattuale’, cristallizzandoli in un elenco, dalla maggioranza degli interpreti ritenuto tassativo (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 33900 del 17/11/2022).
L’articolo appena menzionato, al comma 2, prevede, in particolare, quanto segue: « … Il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente secondo le disposizioni del libro I: 1) se la convenzione dell’arbitrato è invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimento arbitrale; 2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale; 3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell’articolo 812; 4) se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo; 5) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio … » .
È fatto, dunque, espresso riferimento al rispetto del principio del contraddittorio.
Questa Suprema Corte ha recentemente precisato che l’osservanza a tale principio nel procedimento arbitrale, anche irrituale, deve essere apprezzato in una chiave essenzialmente sostanziale, non potendosi ancorare il giudizio de quo alla verifica delle sole formalità eventualmente imposte dagli arbitri, ma occorrendo invece assicurare
che la decisione sia il frutto della valutazione di argomentazioni difensive e di elementi probatori sui quali le parti abbiano avuto modo di esperire la loro valutazione e formulare le eventuali osservazioni (cfr. Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 22994 del 26/09/2018; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 33900 del 17/11/2022).
Anche nell’arbitrato irrituale il principio del contraddittorio deve essere rispettato non tramite la osservanza di una schema prestabilito, ma nella sua essenza, implicante la possibilità per la parte di rappresentare la propria posizione e di conoscere compiutamente quella altrui, ancorché al di fuori del rigore di fasi progressive, con la possibilità di esercitare su un piano di eguaglianza le facoltà processuali loro attribuite, e quindi da assicurare l’osservanza della regola audiatur et altera pars (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 18601 del 30/06/2023).
3.2. Nel caso di specie, i ricorrenti hanno dedotto che il perito nominato dall’arbitro ha operato un deprezzamento delle valore delle migliorie appartate già oggetto di una perizia acquisita agli atti, spiegando tale soluzione -dietro sollecitazione degli arbitri e delle parti – mediante il mero richiamo alla sua esperienza, in questo modo operando una valutazione del tutto arbitraria, che di fatto non ha consentito ai ricorrenti di controdedurre e argomentare in senso contrario.
Non è, dunque, prospettato che alle parti non è stato consentito di criticare la valutazione operata dal tecnico nominato dall’arbitro, risultando anzi il contrario dalle stesse allegazioni dei ricorrenti, che hanno dedotto di avere contestato tali valutazioni e l’arbitro ha chiesto chiarimenti al perito, sicché nella formulazione del motivo non è rappresentata la violazione del diritto al contraddittorio ad opera dell’arbitro irrituale , ma, semmai, un vizio di motivazione del lodo ingenerato da un vizio di motivazione della perizia.
Nessuna violazione del contraddittorio, nei termini sopra illustrati, risulta pertanto neppure prospettata.
3.3. La censura è, poi, estremamente generica nella parte in cui è dedott o che l’operato del perito ha determinato un errore su un aspetto essenziale della decisione, incidente sul contenuto del mandato, tenuto conto che i ricorrenti non hanno in alcun modo specificato di quale errore in concreto si sia trattato, non potendo farsi coincidere l’allegazione di una valutazione immotivata con l’allegazione di una valutazione conseguente a una percezione dei fatti errata.
Il secondo motivo di ricorso è fondato.
4.1. I ricorrenti hanno dedotto di avere eccepito già nel corso dell’arbitrato che le controparti avevano formulato nelle conclusioni da ultimo rassegnate domande riguardanti l’insegna e i segni distintivi della società affittuaria dell’azienda, che non erano comprese nel mandato conferito all’arbitro e neppure erano state oggetto di regolamentazione nel contratto di affitto di azienda – riguardando beni di proprietà esclusiva dell’affittuario , estranei all’azienda oggetto del contratto d’affitto -aggiungendo che avevano dichiarato di non accettare il contraddittorio sul punto.
Gli stessi ricorrenti hanno evidenziato che, ciò nonostante, l’arbitro ha statuito anche su tale richiesta, attribuendo ai controricorrenti e all’intimata l’insegna e tutti i segni distintivi presenti nell’azienda e usati dalla RAGIONE_SOCIALE durante la l’esecuzione del contratto di affitto.
I ricorrenti hanno, quindi, dedotto di avere impugnato il lodo per tale motivo, ottenendo il rigetto dell’impugnazione, e chiedendo, in appello, la riforma della decisione sul punto, ribadendo l’intervenuta violazione del contraddittorio, il superamento dei limiti di mandato e la sussistenza di domanda nuova delle controparti, non compresa nelle reciproche richieste al momento dell’avvio del procedimento arbitrale,
ma che la Corte d’appello ha respinto il motivo con una motivazione del tutto apparente.
4.2. Nella sentenza impugnata si legge quanto segue: «Non può essere accolto neppure il secondo motivo di gravame con il quale viene anche nel caso lamentato un vulnus del diritto di difesa ed una violazione dell’ambito del mandato conferito all’arbitro. Va innanzi tutto osservato come nell’arbitrato irritual e non vi siano preclusioni tipiche del procedimento giudiziale e come il limite del rispetto del contradittorio sia garantito per il solo fatto che ciascuna delle parti abbia potuto svolgere le proprie difese e far valere le proprie argomentazioni compiutamente; nel caso di specie il procedimento arbitrale si svolse, come si legge nel lodo stesso, senza l’applicazione di alcuna specifica norma procedurale e con la massima libertà delle forme. Non vi erano quindi preclusioni purché fosse rispettato il diritto di difesa da intendersi come possibilità data a ciascuna delle parti di difendersi né si può ravvisare un eccesso di mandato e ciò in relazione al contenuto della clausola arbitrale ed alla documentazione scambiata via mail dalla quale emerge che non vi erano limiti all’oggetto dell’accertamento. Ed infatti, come rilevato anche dal giudice di prime cure con motivazione che questa Corte ritiene di far propria, tutte le parti ebbero modo di interloquire a riguardo su ogni aspetto della vicenda e ciò fino alla decisione finale; entrambe le parti quindi erano state messe in condizioni di potersi difendere.»
4.3. Com’è noto, in virtù della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c. (introdotta nel 2012) non è più consentita l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. «per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio» , ma soltanto «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» .
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la richiamata modifica normativa ha avuto l’effetto di limitare il vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In particolare, la riformulazione appena richiamata deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 prel., come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è divenuta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In altre parole, a seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. ancora Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 13248 del 30/06/2020).
A tali principi si è uniformata negli anni successivi la giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte precisato che la violazione di legge, come sopra indicata, ove riconducibile alla violazione degli artt. 111 Cost. e 132, comma 2, n. 4, c.p.c., determina la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. (così Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; conf. Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n.
22598 del 25/09/2018; Cass., Sez. L, Sentenza n. 27112 del 25/10/2018; Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).
Questa Corte ha, in particolare, affermato che il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logicogiuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 3819 del 14/02/2020).
Ricorre, dunque, il vizio di motivazione apparente della sentenza, qualora essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 13248 del 30/06/2020).
Tale evenienza si verifica non solo nel caso in cui la motivazione sia meramente assertiva, ma anche quando sussiste un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, perché non è comunque percepibile l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento e, di conseguenza, non è possibile effettuare alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 12096 del 17/05/2018; Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018).
Alle stesse conseguenze è assoggettata una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, poiché anche in questo caso non è
possibile comprendere il ragionamento seguito dal giudice e, conseguentemente, effettuare un controllo sulla correttezza dello stesso (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022).
4.4. Nel caso di specie si verifica proprio il vizio appena prospettato , perché la Corte d’appello, sebbene abbia argomentato sull ‘ assenza di preclusioni processuali e sulla libertà delle forme nel corso del procedimento per arbitrato irrituale, evidenziando la necessità di operare un ‘ interpretazione sostanzialistica della tutela del diritto al contraddittorio, non ha, però, dato alcuna risposta alle critiche poste con il motivo di appello respinto.
In particolare, la Corte di merito non ha risolto la questione relativa alla trattazione della questione relativa alla richiesta di attribuzione della propria insegna e dei propri segni distintivi dell’impresa affittuaria, nonostante la non accettazione del contraddittorio sul punto di quest’ultima in ragione dell’asserita es orbitanza rispetto ai limiti dell’arbitrato , questione ben diversa da quella relativa alle preclusioni procedimentali e al l’esercizio di poter contraddire , riguardando piuttosto la verifica dell’estraneità della statuizione al mandato conferito all’arbitro e all ‘ oggetto del compromesso, questione astrattamente riconducibile al disposto del l’art. 808 ter , comma 2, n. 1, c.p.c.
La Corte d ‘appello ha aggiunto che dal contenuto della clausola arbitrale e dalla documentazione scambiata via mail emergeva che non vi erano limiti all’oggetto dell’accertamento , ma è evidente che anche tale spiegazione si presenta del tutto eccentrica rispetto alla censura mossa e si risolve in una mancanza di motivazione, perché la questione non riguardava l’esistenza di limiti alla cognizione arbitrale per alcune delle questioni riconducibili al contratto di affitto di azienda, ma la stessa riconducibilità delle questioni affrontate senza il consenso dei
ricorrenti alla materia oggetto del contratto di affitto di azienda e, dunque, alla clausola compromissoria e al mandato conferito all’ arbitro.
In conclusione, deve essere accolto il secondo motivo di ricorso nei termini sopra indicati e, dichiarato inammissibile il primo, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Trieste, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte
accoglie il secondo motivo di ricorso nei termini sopra indicati e, dichiarato inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Trieste, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile