Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 28485 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 28485 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26403/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
TABLE
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 5468/2019 depositata il 11/09/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/10/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 5468/2019, depositata in data 11.9.2019, la Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’appello proposto dalla Banca RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE coopRAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza con cui il Tribunale di Latina, con sentenza n. 621/2012 del 23.2.2012, ha dichiarato inefficaci, ex art. 67 comma 2° L.F. e nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, le rimesse effettuate dalla società poi fallita in favore del predetto istituto bancario nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per un importo complessivo di € 2.613.817,03, con conseguente condanna della stessa banca alla corresponsione in favore della curatela della somma, oltre accessori di legge.
finanziaria) si condo grado ha rigettato il primo motivo d’appello -avente ad oggetto il profilo soggettivo dell’azione revocatoria fallimentare – condividendo pienamente la valutazione in fatto svolta dal Tribunale di Latina e ritenendo quindi che gli elementi indiziari da quest’ultimo valorizzati (levata di numerosi protesti, perdita di esercizio, esistenza di una rilevante esposizione debitoria ammontante ad € 1.465.871, 71, comunicazione da parte dei legali della fallita del tentativo di un piano di risanamento della crisi
finanziaria) si connotassero per gravità, precisione e concordanza ai fini del raggiungimento della prova della scientia decoctionis .
Il giudice d’appello ha rigettato anche il secondo motivo d’appello, avente ad oggetto il quantum revocabile, ritenendo infondate le deduzioni svolte dalla banca appellante in ordine al NOME.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Banca RAGIONE_SOCIALE affidandolo a due motivi.
RAGIONE_SOCIALE, nella qualità di assuntore del concordato fallimentare del fallimento RAGIONE_SOCIALE, ha resistito in giudizio con controricorso.
La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c. e comunque l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Si duole la ricorrente di aver dedotto nel primo motivo d’appello, nonchè documentato, la sussistenza di diverse circostanze di fatto, indicative della sua inscientia decoctionis, che il giudice d’appello non ha esaminato. Tali circostanze sono state rappresentate trascrivendo nel ricorso, da pag. 8 all’inizio di pag. 19, l’intero primo motivo d’appello.
Il motivo è inammissibile.
Va, in primo luogo, osservato che questa Corte ha enunciato il principio di diritto secondo cui l’onere di specifica indicazione dei motivi non può ritenersi soddisfatto qualora il ricorso per cassazione (principale o incidentale) sia basato sul mero richiamo dei motivi di appello, atteso che una tale modalità di formulazione del motivo rende impossibile individuare la critica mossa ad una parte ben identificabile del giudizio espresso nella sentenza impugnata, rivelandosi del tutto carente nella specificazione delle
deficienze e degli errori asseritamente individuabili nella decisione (cfr. Cass. n. 1479/2018).
Nel caso di specie, il ricorrente ha richiamato pedissequamente i rilievi mossi con il primo motivo d’appello riproducendo l’intero motivo nel ricorso – senza specificare, neppure per sommi tratti, il contenuto della critica formulata alla sentenza impugnata, dunque impedendo di cogliere la portata delle censure.
In ogni caso, avuto riguardo alle argomentazioni giuridiche svolte dalla ricorrente a fondamento del primo motivo, emerge che la stessa, pur a seguito di formale invocazione della violazione dell’art. 112 c.p.c., ma avendo, in realtà, dedotto l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, ha fatto valere un vizio che è riconducibile alla violazione dell’art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c.
In proposito, questa Corte ha più volte ribadito che una corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato deve avvenire sulla base delle argomentazioni giuridiche e in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della censura; ciò in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, atteso che è solo l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura stessa (cfr. Cass. n. 12690/2018, Cass. n. 14026/2012).
Peraltro, questa Corte ha evidenziato nella sentenza n. 18182/2019, punto 6, pag. 16 (citata dalla stessa ricorrente ma impropriamente) che la differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. e l’omesso esame di fatto decisivo di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., consiste nella circostanza che nella prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della «domanda» di appello), mentre nella seconda ipotesi l’attività di esame del giudice, che si assume omessa, non concerne direttamente la domanda o
l’eccezione, ma una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione.
Orbene, nel caso di specie, posto che nel primo motivo d’appello la ricorrente ha censurato la valutazione che il primo giudice ha compiuto in ordine alla sussistenza di uno degli elementi costitutivi dell’azione revocatoria, ovvero la scientia decoctionis , secondo la sua stessa prospettazione, ciò che il giudice d’appello non avrebbe valutato non è l’esistenza o meno di tale requisito soggettivo dell’azione revocatoria invero pacificamente valutato e ritenuto sussistente -ma le circostanze oggettive che, a dire della ricorrente, rivelerebbero, invece, la sua inscientia decoctionis . E’ quindi evidente che la censura in oggetto è riconducibile alla violazione dell’art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c.
Tale censura è inammissibile, atteso che, con l’apparente doglianza dell’omesso esame di circostanze decisive, la ricorrente non fa altro che sollecitare, ed in modo aspecifico (con il mero richiamo ai motivi d’appello), una ricostruzione dei fatti e una valutazione del materiale probatorio diversi rispetto a quella operata dalla Corte d’Appello.
Con il secondo motivo (riguardante il quantum revocabile) è stata dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c., ovvero l’esame di un fatto storico decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c.
La ricorrente lamenta l’omesso esame da parte del giudice di d’appello di una circostanza che, se considerata e valutata, avrebbe comportato una decisione diversa, ovvero la sussistenza di un contratto creditizio stipulato tra le parti che contemplava l’affidamento per partite non disponibili sino a € 300 milioni (c d. NOME assegni).
Su tale punto, si duole la ricorrente che la Corte d’Appello con l’espressione ‘parimenti sono infondate le deduzioni in ordine di
NOME -non ha speso una ‘parola di motivazione, nemmeno ricavabile aliunde’.
Rileva, inoltre, la ricorrente che il giudice d’appello, omettendo la circostanza che era stato concesso un NOME cd. assegni, non aveva considerato che la banca aveva concesso alla società poi fallita l’immediata disponibilità degli importi versati a mezzo di assegni bancari, con tutte le conseguenze in punto di revocabilità delle rimesse (che lo stesso CTU aveva ritenuto revocabili per la minor somma di € 198.716,02).
4. Il motivo è fondato.
Va osservato che, dalla lettura del motivo, emerge che la ricorrente ha contestato al giudice d’appello, oltre all’omesso esame di fatto decisivo, anche il vizio di motivazione apparente, per aver rigettato le deduzioni svolte in ordine alla questione del NOME, senza, tuttavia, spendere ‘una parola di motivazione, neppure ricavabile aliunde ‘.
Tale censura è fondata, avendo la Corte d’Appello effettivamente rigettato le deduzioni svolte dall’appellante e concernenti il NOME senza fornire alcuna spiegazione sull’iter logico seguito per addivenire a tale conclusione.
La sentenza impugnata deve essere quindi cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, dichiara inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 15.10.2025
Il Presidente NOME COGNOME