Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19890 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19890 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 6946/2021 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, FALLIMENTO DI NOME COGNOME E NOME;
-intimati-
avverso la sentenza n. 270/2020 della CORTE di APPELLO di L’AQUILA, depositata il 13/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Sulmona, NOME COGNOME e il Fallimento NOME e NOME, deducendo che i convenuti avevano realizzato in
Castel di Sandro, al confine con la sua proprietà, una porzione di corpo di fabbrica in violazione della normativa in tema di distanza tra le costruzioni dettata dall’art. 11 del regolamento edilizio norme di attuazione del PRG del Comune di Castel di Sangro; chiese, pertanto, la condanna dei convenuti all’arretramento dell’immobile fino alla distanza di metri cinque dal confine e alla distanza legale dal fronte del fabbricato di sua proprietà, frontista preveniente.
1.1. Si costituirono i convenuti chiedendo il rigetto della domanda attorea. Dedussero che il fabbricato di loro proprietà era stato realizzato quando ancora il confine non esisteva e che, di conseguenza, nessuna violazione delle distanze poteva intravedersi; che, in ogni caso, si era determinata una servitù per destinazione del padre di famiglia che escludeva l’obbligo di rispettare le distanze legali tra edifici; che, peraltro, per il principio della prevenzione, era la società COGNOME a essere tenuta al rispetto della distanza obbligatoria.
NOME COGNOME spiegò, inoltre, riconvenzionale volta alla condanna della società attrice all’arretramento del proprio fabbricato e al risarcimento dei danni.
1.2. Il Tribunale, all’esito dell’istruttoria, accolse la domanda principale.
Avverso la sentenza di primo grado, propose appello il Fallimento COGNOME Benedetto Leonardo e NOME.
Si costituì la RAGIONE_SOCIALE chiedendo il rigetto della domanda.
NOME COGNOME aderì al gravame e, a sua volta, con appello incidentale, chiese l’accoglimento della riconvenzionale spiegata in primo grado; formulò, inoltre, eccezione di usucapione della servitù a mantenere la costruzione a distanza inferiore
rispetto a quella di legge, deducendo che detta eccezione non rientrava nel divieto dei ‘ nova ‘ in appello, essendo stato solo allegato un titolo diverso rispetto a quello inizialmente dedotto, ovvero l’usucapione.
2.1. La Corte di L’Aquila rigettò sia l’appello principale che quello incidentale.
Questi, in sintesi, gli argomenti salienti della sentenza, che qui rilevano:
la dedotta costituzione di servitù ex art. 1062 cod. civ. non poteva rendere legittima il fabbricato degli appellanti <>;
non era stata dimostrata, neppure a livello di presunzioni, l’anteriorità della costruzione degli appellanti rispetto alla costituzione del comune confine;
-doveva escludersi l’applicabilità del principio di prevenzione;
-non poteva trovare accoglimento l’eccezione svolta dalla COGNOME relativa all’intervenuta usucapione della servitù di mantenere una costruzione a distanza inferiore rispetto a quella prevista ex lege per destinazione del padre di famiglia, trattandosi di domanda nuova , rispetto a quella d’usucapione ventennale, e dunque inibita ex art. 345 co. 1 cod. proc. civ.; la stessa, doveva, comunque, considerarsi infondata per difetto di prova circa la dedotta anteriorità della costruzione degli appellati.
NOME COGNOME propone ricorso sulla base di sei motivi, ulteriormente illustrati da memoria.
Gli intimati non hanno svolto difese.
La ricorrente, con quello che enumera come primo motivo, denuncia preliminarmente l’insussistenza, nel caso di specie, dell’ipotesi di c.d. ‘doppia conforme’, non sussistendone , a suo parere, i presupposti.
Con il secondo motivo si censura la sentenza di secondo grado per violazione e falsa applicazione dell’art. 360 co. n 5 cod. proc. civ, per apparente motivazione ed impossibilità di ricostruzione della ‘ ratio decidendi ‘ , nonché per omesso esame di fatti decisivi della controversia oggetto di discussione tra le parti, con riferimento alla pronuncia afferente all’insufficienza della prova circa l’anteriorità del fabbricato Sammarone/Di Benedetto rispetto all’insorgenza del confine tra i lotti ‘ inter partes ‘ e, comunque, rispetto al fabbricato della RAGIONE_SOCIALE (travisamento delle prove ed in particolare di quella testimoniale).
La Corte d’appello si sarebbe limitata ad un mero richiamo alle motivazioni di cui alla sentenza di primo grado, senza prendere posizione rispetto alle doglianze mosse dalla ricorrente con l’appello incidentale e, soprattutto, senza dar mostra di avere vagliato le motivazioni di primo grado, richiamata assai sommariamente, senza dar conto delle doglianze esposte dalla ricorrente.
I giudici di secondo grado, inoltre, non avrebbero preso in esame fatti e circostanze, per come emerse dalla c.t.u., derivandone la violazione di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ.
Dalla consulenza, per la ricorrente, era emerso <>.
Con la terza doglianza si censura la sentenza impugnata per omesso esame circa il fatto secondo cui nella fattispecie, prescindendo dalla questione riguardante la prevenzione di cui al secondo motivo, non poteva sussistere la violazione della distanza dal confine inedificato , in quanto all’epoca le aree, poi alienate all’attuale resistente , si appartenevano allo stesso proprietario alienante, che aveva edificato il proprio fabbricato prima della vendita.
Inoltre, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1062, 869 e 873 cod. civ., assumendo sussistere i presupposti di legge per il riconoscimento di una servitù per destinazione del padre di famiglia derogante il limite legale delle distanze.
In particolar modo, la Corte d’appello, con motivazione , resa in violazione dei principi derivanti dagli artt. 873 cod. civ. e 1062 cod. civ., non aveva tenuto conto della servitù per destinazione del padre di famiglia, che derogava alla distanza dal confine, inedificato e inesistente al momento della vendita del lotto.
I Giudici di secondo grado, infine, avevano errato per avere negato all’autonomia privata la possibilità di derogare alla normativa sulle distanze dettata dai piani regolatori o strumenti urbanistici locali .
Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 cod. civ. con riferimento all’art. 873 cod. civ., in relazione al motivo di appello di cui alla eccezione di usucapione del diritto di servitù a mantenere la costruzione della
ricorrente a distanza inferiore a quella legale. Nonché, violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ.
La Corte d’appello av eva errato nel considerare l’eccezione di usucapione rientrante nel divieto dei ‘ nova ‘ di cui all’art. 345 cod. proc. civ. <>.
Con il quinto motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 873, 874, 875 e 877 cod. civ., per non essere stato rispettato il criterio della prevenzione; nonché, violazione e falsa applicazione degli artt. 873, 974, 975, 977 cod. civ., con riferimento al mancato accoglimento della originaria domanda riconvenzionale di arretramento del fabbricato della Mazzocco, oggetto di apposito motivo azionato in sede di appello.
Con il sesto motivo la ricorrente lamenta l’omessa pronuncia sul motivo di appello afferente la non abbattibilità dell’immobile in ragione dello ‘ ius superveniens ‘, costituito dalle nuove NTA al PRG del comune di Castel di Sangro, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. ; nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e 112 cod. proc. civ. per essere stato violato il giusto processo.
Assorbita ogni altra censura, va accolto il secondo motivo con specifico riguardo al denunciato vizio di difetto assoluto di motivazione.
Per vero, la motivazione della sentenza impugnata, scarna e assertiva, non soddisfa il c.d. minimo costituzionale.
Il Fallimento COGNOME e l’odierna ricorrente avevano impugnato la sentenza di primo grado (l’essenza del motivo d’appello, richiamato dalla ricorrente, trova conferma nella motivazione) asserendo che il fabbricato di loro titolarità dovesse considerarsi prevenuto, rispetto alla formazione del confine fra i due fondi di cui si tratta, che in origine facevano parte d’unico fondo appartenente a un unico proprietario, corroborando l’assunto con specifico riguardo agli accertamenti e alle conclusioni del consulente.
La Corte d’appello, dopo essersi espressa negativamente (a riguardo della domanda subordinata) sulla giuridica ammissibilità dell’acquisto per usucapione del diritto a mantenere la propria costruzione a distanza illegale – posizione, questa, enunciata in non consapevole contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte -, rigetta la prospettazione impugnatoria richiamando la decisione di primo grado.
In particolare, dovevasi confermare che:
(a) siccome affermato dal Tribunale, non era stata raggiunta la prova della dedotta anteriorità della costruzione rispetto alla costituzione del confine, intervenuta con la vendita del 1983 e tale conclusione trovava conforto nel contenuto del rogito;
(b) le valutazioni del c.t.u. avevano natura soggettiva e si fondavano su una foto successiva di due anni rispetto all’atto richiamato e sul punto andava confermata l’inefficacia probatoria esposta alle pagg. 6 e 7 della sentenza di primo grado.
Si è più volte affermata la legittimità della sentenza che, richiamata per ‘relationem’ quella di primo grado, mostri di condividerne le conclusioni, purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Sez. 1, n. 20883, 05/08/2019, Rv. 654951, fra le tante).
Di conseguenza, la sentenza d’appello non può ritenersi legittimamente resa per “relationem”, in assenza di un comprensibile richiamo ai contenuti degli atti cui si rinvia, ai fatti allegati dall’appellante e alle ragioni del gravame, così da risolversi in una acritica adesione ad un provvedimento solo menzionato, senza che emerga una effettiva valutazione, propria del giudice di appello, della infondatezza dei motivi del gravame (Sez. 3, n. 2397, 3/2/2021, Rv. 660394).
Seppure la sentenza qui impugnata compia lo sforzo (esiguo) di evocare l’atto di vendita del 1983, al fine di corroborare le conclusioni del Tribunale, manca del tutto il vaglio delle questioni di fatto sottoposte al Giudice di secondo grado con l’impugnazione, l’esame critico delle risultanze della c.t.u. e dei documenti ad essa allegati, l’esposizione specifica dei condivisi argomenti del Giudice di primo grado, non potendo ad essa supplire la mera indicazione delle pagine reputate salienti.
In altri termini, la sentenza d’appello, omettendo radicalmente di misurarsi con la sostanza dell’impugnazione,
‘sceglie’ di condividere la decisione di primo grado, della quale, salvo quel che si è detto, non richiama, in maniera compiuta e comprensibile, il contenuto specifico.
La giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016).
A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo
della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
Alla luce dei richiamati principi l’impugnata decisione merita di essere cassata, poiché sorretta da un costrutto motivazionale apparente, attraverso il quale il giudice si è illegittimamente sottratto al dovere di spiegare le ragioni della propria decisione, la quale s’impone e giustifica proprio attraverso la piena visibilità del percorso argomentativo, che non può ridursi al nudo atto di libera manifestazione del volere, avendo il giudice il dovere di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, non essendo bastevole una sommaria evocazione priva di un’approfondita disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (in tal senso, da ultimo, Cass. nn. 9105/2017, 20921/2019, 13248/2020).
In definitiva, nel caso in esame, se appare evidente il profilo volitivo della sentenza d’appello, la quale ha inteso manifestare la propria adesione alla statuizione di primo grado, non altrettanto può dirsi per quello argomentativo, non constando l’ostensione degli argomenti consapevolmente valorizzati e, soprattutto, il critico esame di essi in relazione alla prospettazione impugnatoria. Né, il dovere di rendere motivazione effettiva trova soddisfazione attraverso il richiamo alla ‘vendita del 1983’, della quale, peraltro, non è dato conoscere alcunché, in un quadro di complessiva
inadeguata narrazione della vicenda. Trattasi, infatti, d’un elemento spurio e irrelato.
Cassata con rinvio la sentenza impugnata, il Giudice del rinvio, che s’individua nella Corte d’appello di Ancona, riesaminerà la vicenda, non mancando, fra l’altro, di accertare, ove occorra, la sussistenza di ‘ius superveniens’ impediente la demolizione (sesto motivo rimasto assorbito), siccome, da ultimo illustrato da questa Corte con la sentenza n. 11262/2025.
Il Giudice del rinvio, infine, statuirà sul capo delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo del ricorso nei termini di cui in motivazione e dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata, in relazione all’accolto motivo, e rinvia alla Corte d’appello di Ancona, anche per la statuizione sul capo delle spese del giudizio di legittimità
Così deciso nella camera di consiglio del 28 maggio 2025.