Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18842 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18842 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19637/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME COGNOME, che la rappresenta e difende giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende giusta procura in atti;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 3960/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 12.06.2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
La Corte osserva
RAGIONE_SOCIALE, esponendo di avere promesso in vendita, in data 6/3/1991, due immobili ad NOME COGNOME, per il prezzo complessivo di £. 340.000.000, di cui £. 200.000.000 da
versare in contanti e il residuo mediante il pagamento del mutuo bancario, a suo tempo stipulato dalla promittente alienante; che ricevuta la consegna degli immobili il promissario acquirente si era reso inadempiente in ordine al pagamento delle rate del mutuo; che, perciò, la mutuante (Banca di Roma), vantando un credito di poco più di centoventuno milioni di lire, aveva avviato procedura esecutiva, esitata nel pignoramento immobiliare, trascritto il 29/5/2000 in favore di RAGIONE_SOCIALE; che essendo rimaste vane le diffide inoltrate all’altra parte, avvalendosi di clausola risolutiva espressa, aveva citato in giudizio il COGNOME, chiedendo dichiararsi la risoluzione del contratto per colpa del convenuto e condannarsi quest’ultimo a restituire gli immobili, a risarcire il danno nella misura di poco più di quarantuno milioni di lire, nonché a corrispondere un’indennità nella misura minima di £. 1.500.000 mensili fino all’effettiva riconsegna.
Il Tribunale dichiarò la risoluzione del contratto e condannò il convenuto al rilascio dei beni e alla corresponsione di £. 1.500.000 mensili con decorrenza dall’1/8/2005 e fino all’effettivo rilascio.
La Corte d’appello di Roma, accolta per quanto reputato di ragione l’impugnazione di NOME COGNOME, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarò risolto il contratto per colpa di RAGIONE_SOCIALE, condannò quest’ultima a pagare all’appellante la somma di € 179.311,03, oltre interessi al tasso legale dal 2/3/2006 al saldo; condannò il COGNOME a pagare ad RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE. € 84.278,38 dall’1/8/2005 al 13/10/2011 (data della riconsegna), a titolo di indennizzo per il godimento dei beni.
2.1. Il diverso opinamento rispetto al Giudice di primo grado consiglia riprendere, sia pure in breve, gli argomenti decisivi posti a sostegno della decisione d’appello.
Il promissario acquirente aveva versato £. 347.194.577, a fronte del pattuito prezzo di £. 340.000.000, tenendo conto dei
pagamenti effettuati a mano di NOME COGNOME, al tempo rappresentante legale di RAGIONE_SOCIALE (quietanzati in parte su carta intestata della società, ma comunque sempre con la quietanza del COGNOME, altre su carta della Banca, con la specifica indicazione del numero del mutuo) e la sottoscrizione non aveva mai formato oggetto di disconoscimento; nonché della somma di £. 50.000.000, pagate al momento della stipula del contratto preliminare a titolo di caparra penitenziale.
Tenuto conto delle rispettive condotte, doveva addebitarsi alla promittente alienante l’inadempimento determinante la risoluzione del contratto, non avendo costei fatto luogo al contratto definitivo, nonostante l’incameramento di somma addirittura maggiore del prezzo, con conseguente restituzione al COGNOME della somma corrisposta, equivalente ad € 179.311,03.
Le parti avevano, di fatto, modificato l’accordo iniziale riguardante i pagamenti, né poteva addebitarsi al COGNOME il mancato pagamento delle rate del mutuo e, di conseguenza, dell’avvio della procedura esecutiva da parte dell’Istituto di credito, proprio perché costui aveva fatto luogo alla prestazione e non poteva a lui addebitarsi il mancato riversamento della provvista per l’estinzione del mutuo.
Tenuto conto degli esiti della c.t.u., l’indennizzo doveva quantificarsi in € 685,00 mensili, non meritando condivisione le contrapposte tesi dei consulenti delle due parti
RAGIONE_SOCIALE ricorre sulla base di tre motivi. NOME COGNOME resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1458 cod. civ., nonché motivazione apparente e/o <>.
Si sostiene che la sentenza era incorsa in errore, sulla base di quanto appresso in sintesi:
ai sensi dell’art. 1458 cod. civ. A.P.A. doveva restituire la somma incamerata di € 179.3111,03, mentre il COGNOME era tenuto a corrispondere l’indennizzo per l’occupazione degli immobili dalla consegna del 6/3/1991 al rilascio del 13/10/2011;
effettuata la compensazione del caso, il COGNOME avrebbe dovuto essere condannato a pagare quanto da lui dovuto a titolo d’indennità, detratto quanto dal medesimo versato in esecuzione del contratto;
la Corte d’appello aveva, invece, addebitato per due volte all’A.P.A. le somme versate dal COGNOME;
la sentenza, dopo aver ridotto l’ammontare dell’indennità dovuta dal COGNOME ad € 84.278,38, <>, prosegue la ricorrente, <>, così venendo riconosciuti equivalenti i due contrapposti debiti, ciascuno ammontante a € 179.311,03; di talché quest’ultimo, come reputato dal Tribunale, era tenuto a corrispondere per l’occupazione millecinquecento euro mensili a decorrere dal primo agosto 2005;
tuttavia, si soggiunge, <>, con la conseguenza che la ricorrente era risultata debitrice nei confronti della controparte di € 95.032,65, mentre, in corretta applicazione dell’art. 1458 cod. civ., sarebbe stata sua creditrice per € 84.278,38.
4.1. La doglianza è fondata nei sensi e limiti di cui appresso.
Occorre riprendere il ragionamento della Corte d’appello.
All’inizio di pag. 11 la sentenza afferma: <>. Tuttavia, nel paragrafo immediatamente successivo viene soggiunto: <>.
Alle pagg. 11 (in fine) e 12 (all’inizio) viene negato riscontro probatorio di proposta di locazione da parte di tale NOME COGNOME, <> e determinato l’ammontare mensile in € 685,00.
Sebbene non possa concordarsi con la ricorrente nella parte in cui sostiene che la sentenza di secondo grado abbia confermato quella di primo grado in punto di decorrenza dell’indennità per l’occupazione dal 6/3/1991 e di compensazione del suo complessivo ammontare con quanto dovuto dalla ricorrente a titolo di restituzione di quanto versato dal promissario acquirente, stante
che una tale statuizione non è dato rinvenire, sussiste, tuttavia, un evidente distonia, non colmabile in sede di legittimità, tra le due opposte conclusioni sopra riportate, laddove, in irriducibile contrasto, si afferma che il motivo con il quale l’appellante COGNOME si era doluto del mancato riconoscimento della prescrizione del credito vantato dalla controparte per l’occupazione dal 6/3/1991 al momento della domanda, era infondato e, allo stesso tempo, immediatamente dopo, se ne proclama la fondatezza.
La giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016).
A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla
motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, ord., n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
Nel caso che ci occupa resta insondabile e non riducibile l’evidenziata contraddizione, che non rende comprensibile il percorso argomentativo seguito dal giudice su un punto decisivo della controversia.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia motivazione apparente e/o <>, per non avere la Corte di merito rilevato che, a prescindere di quanto versato in totale dal promissario acquirente, costui, per il periodo novembre 1991-dicembre 1994, si era reso inadempiente, avendo sospeso ogni pagamento. Di una tale circostanza si sarebbe dovuto tener conto per il decorso degli interessi, che la Banca aveva quantificato in oltre quarantunomila euro. Di ciò si sarebbe dovuto tenere conto anche al fine dell’imputabilità dell’inadempimento.
5.1. Il motivo è manifestamente infondato.
In primo luogo va osservato che la Corte d’appello ha tenuto conto delle reciproche colpevoli condotte e con giudizio in questa
sede non censurabile, ha giudicato prevalente quella della odierna ricorrente, evocando puntualmente la giurisprudenza di legittimità.
Sotto altro profilo risulta una mera spoglia congettura l’asserto secondo il quale dalla condotta del COGNOME sarebbe derivato un danno per l’esborso d’interessi a carico della ricorrente.
Con il terzo motivo si denuncia, ancora una volta, motivazione apparente e/o <>, addebitandosi alla sentenza di non avere tenuto conto delle osservazioni del c.t.p. a riguardo della stima dell’indennità.
6.1. Il motivo è manifestamente infondato.
La sentenza ha reso ampia motivazione sul punto in questa sede non censurabile.
In conclusione la sentenza deve essere cassata in relazione al primo motivo e per le ragioni e nei limiti sopra esposti. Il Giudice del rinvio regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo del ricorso e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione all’accolto motivo e rinvia alla Corte d’appello di Roma, altra composizione, anche per il