Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 13289 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 13289 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 7009/2021 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, appartenente al RAGIONE_SOCIALE e soggette all’attività di direzione e coordinamento di RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore speciale AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione, dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, che indica il proprio indirizzo di posta elettronica certificata ai fini delle comunicazioni e delle notificazioni
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, e per essa la RAGIONE_SOCIALE, qui rappresentata da RAGIONE_SOCIALE, in forza di procura speciale del 9/5/2019 con atto a firma autenticata dal AVV_NOTAIO
NOME, in Milano, in persona del AVV_NOTAIOssa AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME, giusta procura del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, nella sua qualità di AVV_NOTAIO della RAGIONE_SOCIALE, con la firma autenticata il 28/1/2021 dal AVV_NOTAIO in Milano, rappresentata e assistita, giusta procura speciale allegata, dall’AVV_NOTAIO, sito in Roma, INDIRIZZO e all’indirizzo pec indicato
-controricorrente-
ricorrente incidentale –
E
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, signor NOME COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, in virtù di procura speciale in calce al controricorso rilasciata su foglio separato dal quale è stata estratta copia informatica per immagine inserita nella busta telematica contenente presente atto, tutti elettivamente domiciliati digitalmente presso l’indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-controricorrenti-
avverso la sentenza della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE n. 1193/2020, depositata in data 11 novembre 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 8/5/2024 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
Con la sentenza in data 5/5/2016 il tribunale di RAGIONE_SOCIALE revocava il decreto ingiuntivo emesso in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, nonché di NOME COGNOME e NOME COGNOME, determinando il credito della banca nel minor importo di euro 387.007,44.
Avverso tale sentenza proponevano appello principale la RAGIONE_SOCIALE, il COGNOME COGNOME e il COGNOME.
Si costituiva nel giudizio d’appello la RAGIONE_SOCIALE, contestando il gravame avverso e chiedendo, in via incidentale, il riconoscimento di spese, oneri e competenze già conteggiati dalla banca ma ritenuti non dovuti, in quanto non espressamente pattuiti.
Nel corso del giudizio d’appello la RAGIONE_SOCIALE, costituita in appello il 24/10/2016 veniva incorporata (il 2/2/2017) da RAGIONE_SOCIALE che, per effetto di un’operazione di cartolarizzazione dei crediti pubblicata in G.U. in data 26/7/2018, aveva ceduto il proprio portafoglio crediti a RAGIONE_SOCIALE, la quale a sua volta aveva conferito mandato a RAGIONE_SOCIALE di provvedere alla riscossione dei crediti ceduti.
RAGIONE_SOCIALE interveniva in giudizio il 20/3/2019.
La difesa della appellante sollevava eccezione di carenza di legittimazione passiva nei confronti della neocostituita RAGIONE_SOCIALE e per essa RAGIONE_SOCIALE, intervenuto ai sensi dell’art. 111 c.p.c., quale successore a titolo particolare della UBI.
La Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE con sentenza depositata l’11 novembre 2020 n. 1193 accoglieva «l’appello proposto», revocando il decreto ingiuntivo, evidenziando la fondatezza dell’eccezione processuale sollevata da parte appellante.
In particolare, la Corte territoriale rilevava che a fronte dell’eccezione di difetto di legittimazione e titolarità del rapporto dedotto in giudizio in capo alla neocostituita COGNOME NOME, sollevata dall’appellante, nell’assunto di non ritenere sufficiente la pubblicazione in G.U. dell’avviso di cessione di crediti, «non rinvenendosi il credito in contestazione né in tale avviso, né nella lista pubblicata sul sito di rinvio, né potendo essere definito in sofferenza», l’appellata COGNOME «non ha replicato, né prodotto
ulteriore documentazione che possa dimostrare l’effettiva cessione del credito de quo, non essendo a tal fine sufficiente la produzione della suddetta Gazzetta Ufficiale, che a pagina 25 si limita a richiamare l’avvenuta cessione dei crediti in forza di contratto ai sensi degli articoli 4 e 7.1 L. n. 130/99 del 20/7/2018».
Pertanto, il giudice d’appello «in considerazione delle argomentazioni che precedono, ritenuta assorbita ogni altra domanda nel merito, l’appello deve essere accolto le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza».
Nel dispositivo, condannava l’appellata COGNOME al rimborso delle spese processuali, sia del primo grado che di quelle d’appello.
Successivamente, la RAGIONE_SOCIALE chiedeva la correzione dell’errore materiale contenuto nella sentenza, laddove aveva disposto la condanna alle spese a carico di COGNOME, in luogo della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
La Corte d’appello provvedeva in conformità.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE e per essa RAGIONE_SOCIALE, rappresentata da RAGIONE_SOCIALE, proponendo anche ricorso incidentale.
Hanno resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione principale la ricorrente deduce la «eccezione di incostituzionalità degli articoli 62-72 della legge 9/8/2013, n. 98, in riferimento agli articoli 25,106, 2º comma, e 111 della costituzione, con conseguente violazione dell’art. 360,
primo comma, n. 4, c.p.c., e nullità della sentenza e dell’ordinanza di correzione di errore materiale, ai sensi dell’art. 158 c.p.c.».
In particolare, per la ricorrente la normativa citata avrebbe istituito una magistratura parallela a quella professionale ordinaria, violando anche il principio del giudice naturale, di cui all’art. 25 Cost., e il principio di terzietà e indipendenza del giudice, ex art. 111 Cost.
Il motivo è infondato nei termini che seguono.
2.1. Infatti, con la sentenza della Corte costituzionale n. 41 del 2021 sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi gli artt. 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71 e 72 d.l. 21 giugno 2013, n. 69, conv., con modif., in l. 9 agosto 2013, n. 98, nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dall’art. 32 d.lgs. 13 luglio 2017, n. 116.
La previsione ad opera delle disposizioni censurate dello svolgimento di funzioni (nient’affatto di giudici singoli, ma) di giudici collegiali presso le corti d’appello, dove i giudici ausiliari sono strutturalmente inseriti, risulta essere del tutto fuori sistema e si pone in radicale contrasto con l’art. 106 Cost. I giudici ausiliari d’appello, infatti, non sono riconducibili a figure di «giudici singoli», perché chiamati a esercitare la giurisdizione in composizione stabilmente collegiale, qual è la Corte d’appello, e in giudizi di regola di secondo grado.
Tuttavia, l’interazione dei valori in gioco evidenzia, nell’immediato, il pregiudizio all’amministrazione della giustizia e quindi alla tutela giurisdizionale, presidio di garanzia di ogni diritto fondamentale, in relazione all’esigenza di evitare carenze nell’organizzazione giudiziaria.
Occorre allora -come soluzione, nella specie, costituzionalmente adeguata alla protezione di tali valori – che la
declaratoria di illegittimità delle disposizioni censurate lasci al legislatore un sufficiente lasso di tempo che assicuri la necessaria gradualità nella completa attuazione della normativa costituzionale.
A tal fine la reductio ad legitimitatem può farsi, con la sperimentata tecnica della pronuncia additiva, inserendo nella normativa censurata un termine finale entro (e non oltre) il quale il legislatore è chiamato a intervenire.
In tale periodo rimane – anche con riguardo ai giudizi a quibus – legittima la costituzione dei collegi delle corti d’appello con la partecipazione di non più di un giudice ausiliario a collegio e nel rispetto di tutte le altre disposizioni che garantiscono l’indipendenza e la terzietà anche di questo magistrato onorario.
Con il secondo motivo di impugnazione principale la ricorrente lamenta la «violazione e falsa applicazione degli articoli 111, 4º comma, Costituzione, 112,113,132, 2º comma, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
La Corte d’appello, sulla premessa che chi si afferma successore della parte originaria ha l’onere di fornire la prova documentale della sua legittimazione, dopo aver ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE SPV non aveva assolto completamente a tale onere, ha concluso «sorprendentemente, che, ‘ritenuta assorbita ogni altra domanda di merito’, l’appello dovesse essere accolto».
Trattasi di motivazione apparente, se non, a ben vedere, addirittura inesistente.
Il giudice d’appello, quand’anche avesse ritenuto che la cessionaria del credito non avesse dimostrato la propria legittimazione attiva, non avrebbe mai potuto «trarne come conseguenza giuridica l’accoglimento dell’opposizione, ma avrebbe comunque dovuto affrontare il merito della controversia e accertare l’esistenza o meno del credito».
Persino nell’ipotesi in cui la parte appellata non si fosse mai costituita in giudizio – ma nella specie la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE si era ritualmente costituita nel giudizio di appello il 24/10/2016 – la Corte avrebbe comunque dovuto affrontare il merito della controversia valutare la fondatezza o meno degli appelli, sia quello principale degli opponenti, sia quello incidentale della banca.
Con il terzo motivo di impugnazione principale la società si duole della «violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 287 c.p.c., con riferimento all’ordinanza del 2/2/2021».
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE ha accolto l’istanza di correzione proposta da RAGIONE_SOCIALE quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE, in tal modo, però, erroneamente interpretando l’art. 287 c.p.c., in quanto il provvedimento di correzione di errore materiale poteva avvenire esclusivamente in caso di discrasia tra motivazione e dispositivo. Al contrario, la condanna alle spese di RAGIONE_SOCIALE era corretta, in quanto tale società si era costituita quale successore a titolo particolare dell’originaria parte appellata, ossia la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
La condanna alle spese era derivata dalla circostanza che la RAGIONE_SOCIALE non aveva fornito la prova della propria legittimazione ad intervenire nel giudizio.
Le doglianze della società potevano solo essere oggetto di ricorso per cassazione.
Con il quarto motivo di impugnazione principale la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La condanna alle spese da parte della Corte d’appello è stata prevista nei confronti di una parte non soccombente, sulla base di
un comportamento processuale omissivo che la stessa sentenza impugnata imputa però ad altri, ossia alla RAGIONE_SOCIALE.
È evidente come UBI RAGIONE_SOCIALE sia stata completamente estranea al fatto generatore dell’accoglimento dell’appello, cioè «il mancato assolvimento da parte del cessionario dell’onere di dimostrare la propria legittimazione».
Con il primo motivo di ricorso incidentale la RAGIONE_SOCIALE deduce la «violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 385 del 1993, art. 58, legge n. 130 del 1999, art. 4, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
In realtà, per la società ricorrente quando la cessione riguardi i crediti di una banca in favore di altro soggetto autorizzato, «è condizione sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi».
Con il secondo motivo di ricorso incidentale della società lamenta la «violazione e falsa applicazione dell’art. 111, 6º comma della costituzione, con riferimento all’art. 360, primo comma, numeri 4 e 5, c.p.c. Difetto di motivazione».
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, sulla scorta dell’affermato difetto di legittimazione di RAGIONE_SOCIALE, ha ritenuto «assorbiti» i motivi di appello proposti «dalla parte appellante e di quelli dell’appellante incidentale avverso la sentenza del tribunale».
Dalla motivazione, quindi, non si riesce in alcun modo a comprendere, neppure presuntivamente, l’iter logico giuridico seguito dal giudicante.
Non è dato comprendere le ragioni per cui il difetto di legittimazione ad intervenire di un terzo cessionario di un credito
contestato possa condurre all’annullamento di una sentenza di condanna resa in favore del cedente, ancora parte del giudizio di appello.
Può essere affrontata preliminarmente la questione – sollevata con il primo motivo di ricorso incidentale – relativa al difetto di legittimazione attiva rilevato dalla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, in quanto la motivazione della pronuncia d’appello è comprensibile – nel suo argomentare – solo con riferimento alla soluzione relativa alla questione preliminare.
8.1. Tale motivo di ricorso incidentale è infondato.
Invero, è pacifico il principio per il quale la parte che agisce affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un’operazione di cessione in blocco secondo la disciplina di cui all’art. 58 del d.lgs. 1 dicembre 1993, n. 3 85, ha l’onere di dimostrare l’inclusione del credito medesimo in detta operazione, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale (Cass., sez. 3, 10 febbraio 2023, n. 4277; Cass., 22 febbraio 2022, n. 5857; Cass., 5 novembre 2020, n. 24798).
Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha, in qualche misura, limitato l’onere probatorio della società cessionaria in blocco dei crediti bancari.
Si è ritenuto, dunque, che l’art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993, nel consentire la cessione a banche di aziende, di rami d’azienda, di beni e rapporti giuridici individuabili in blocco, detta una disciplina derogatoria rispetto a quella ordinariamente prevista dal codice civile per la cessazione del credito del contratto (Cass., 31 dicembre 2017, n. 31188).
Ciò per la semplice considerazione che tale regolamentazione specifica è giustificata dall’oggetto della cessione, costituito, oltre che da intere aziende o rami di azienda, da interi blocchi di beni,
crediti rapporti giuridici, «individuati non già singolarmente, ma per tipologia, sulla base di caratteristiche comuni, oggettive o soggettive, motivo per cui la norma prevede la sostituzione della notifica individuale dell’atto di cessione con la pubblicazione di un avviso di essa sulla Gazzetta Ufficiale, cui possono aggiungersi forme integrative di pubblicità (Cass., 16 aprile 2021, n. 10200; Cass., sez. 3, 10 febbraio 2023, n. 4277).
Si è, dunque, affermato che in tema di cessione in blocco dei crediti bancari, è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché sia possibile individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione (Cass., 10 febbraio 2023, n. 4277; Cass., 13 giugno 2019, n. 15884; Cass., n. 31118 del 2017).
9.1. Nella specie, però, la Corte d’appello si è diffusa in un analitico esame della documentazione prodotta, giungendo, con adeguato e sufficiente ragionamento, ad escludere che fosse stata fornita la prova della cessione del credito della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (incorporata per fusione), da parte di UBI (incorporante) in favore della RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, la Corte d’appello ha riferito che, a fronte della specifica eccezione sollevata da parte appellante, la società intervenuta, RAGIONE_SOCIALE, «non ha replicato, né prodotto ulteriore documentazione che possa dimostrare l’effettiva cessione del credito de quo , non essendo a tal fine sufficiente la produzione della suddetta Gazzetta Ufficiale, che a pagina 25 si limita a richiamare l’avvenuta cessione dei crediti in forza di contratto ai sensi degli articoli 4 e 7 L. n. 130/99 del 27 2018 (non ha prodotto in atti) avente ad oggetto ‘tutti i crediti…di RAGIONE_SOCIALE
derivanti da contratti di finanziamento…sorti nel periodo compreso tra il 1960 e il 2017, i cui debitori sono stati classificati ‘a sofferenza’…e segnalati in Centrale dei Rischi’.
Inoltre la Corte territoriale ha ulteriormente approfondito la disamina, giungendo ad affermare che «Nella G.U. è ulteriormente comunicato che tutti i crediti ceduti sono specificatamente individuati nel contratto di cessione ed in particolare in un’apposita lista, denominata ‘Posizioni UBI RAGIONE_SOCIALE‘, depositata presso il AVV_NOTAIO rogante e pubblicata, ai sensi di legge, su un determinato sito Internet al cui indirizzo Web espressamente rinvia: in essa, che è composta di ben 407 pagine divisa in tabelle, vengono indicati – per ciascuna debitore ceduto di cui non viene espresso il nominativo alcuni codici identificativi esclusivamente numerici di probabile uso interno che non sono affatto di ausilio e pertanto idonei ad identificare alcun rapporto debitore ceduto».
Pertanto, alla luce della motivazione congrua ed analitica compiuta dalla Corte territoriale, non è consentita una nuova rivalutazione degli elementi di fatto in questa sede.
9.2. Va dichiarata la inammissibilità del secondo motivo di ricorso incidentale per carenza di interesse, una volta confermata la pronuncia della Corte di appello che aveva affermato il difetto di legittimazione attiva della cessionaria dei crediti
Va trattato, poi, il secondo motivo di ricorso principale.
10.1. Il motivo è fondato.
Invero, per questa Corte, in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né
alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., sez. L., 14 febbraio 2020, n. 3819).
La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez.U., 9 ottobre 2019, n. 25392; Cass., Sez.U., n. 22232 del 2016; Cass., sez. 3, 15 novembre 2019, n. 29721; Cass., sez. 6-3, 25 settembre 2018, n. 22598; Cass., sez. 6-5, 20 gennaio 2015, n. 920).
Nella specie, la Corte d’appello, dopo aver ritenuto che la società interventrice nel giudizio d’appello, ossia la RAGIONE_SOCIALE, a fronte della già avvenuta costituzione della appellata RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (incorporata da UBI, che poi aveva ceduto i crediti a RAGIONE_SOCIALE), non aveva fornito la dimostrazione della propria legittimazione attiva, e quindi della titolarità del credito ceduto, ha accolto l’appello principale, revocando il decreto ingiuntivo, sulla base della seguente motivazione: «in considerazione delle argomentazioni che precedono, ritenuta assorbita ogni altra domanda nel merito, l’appello deve essere accolto e le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza».
Pertanto, non v’è alcun riferimento alle doglianze di merito sollevate dagli appellanti principali sulla base di nove motivi, riportati e trascritti nel ricorso di cassazione principale, né all’appello incidentale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
In realtà, del tutto erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto che, una volta decisa la questione preliminare relativa al ritenuto
difetto di legittimazione attiva della intervenuta RAGIONE_SOCIALE (quale cessionaria dei crediti della appellata, costituita, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, poi incorporata nella UBI), risultassero assorbiti sia l’appello principale (ben nove motivi) sia quello incidentale, trattandosi di questioni del tutto indipendenti rispetto alla decisione sulla questione preliminare.
Del resto, l’erronea considerazione dell’assorbimento da parte del giudice comporta l’assenza assoluta di motivazione (Cass., sez. 1, 12 novembre 2018, n. 28995; Cass., sez. L, 22 giugno 2020, n. 12193).
Peraltro, come correttamente rilevato dalle società ricorrenti, nei rispettivi ricorsi, principale e incidentale, neppure la contumacia dell’appellato poteva comportare l’accoglimento dell’appello principale, senza alcuna disamina dei motivi dell’impugnazione.
Per questa Corte, a sezioni unite, la fusione per incorporazione estingue la società incorporata, che non può dunque iniziare un giudizio in persona del suo ex amministratore, ferma restando la facoltà per la società incorporante di spiegare intervento volontario in corso di causa, ai sensi e per gli effetti dell’art. 105 c.p.c.; nondimeno, ove la fusione intervenga in corso di causa, non si determina l’interruzione del processo, esclusa ” ex lege ” dall’art. 2504 bis c.c. (Cass., Sez.U., 30 luglio 2021, n. NUMERO_DOCUMENTO).
Va, naturalmente, chiarito che, nel caso in cui la fusione si verifichi in corso di causa – come accaduto nella specie nel corso del giudizio di appello (atto del 2 febbraio 2017 fusione con UBI) – essa va assimilata alla successione universale tra persone fisiche.
Tuttavia, in presenza di fusione sopraggiunta nel corso del giudizio, la dizione dell’art. 2504bis c.c. – secondo cui in tutti i rapporti giuridici delle società incorporate «anche processuali» vi è una «prosecuzione» dell’incorporante – vale ad evitare ex lege
l’interruzione stessa, dato che l’incorporata ne prosegue senza soluzione di continuità i rapporti, anche processuali (Cass., Sez. U., n. 21970 del 2021).
In tal senso va letta la modifica operata nel 2003, al più limitato, ma opportuno fine di superare gli inconvenienti prodotti dall’interruzione del processo in caso di fusione di società «evitando l’applicazione dell’istituto , allora non congruente allo scopo».
Trova conferma quindi il precedente orientamento che escludeva l’interruzione del processo, «attesa l’esigenza di ragionevole durata del processo e l’assenza della lesione di interessi di qualsiasi parte».
Il processo, dunque, non si interrompe, non perché la società incorporata, fusa o scissa sia ancora esistente, ma semplicemente perché la incorporante, la società risultante dalla fusione o le società beneficiarie sono, di volta in volta, i soggetti divenuti titolari sia di quel rapporto sostanziale, sia del corrispondente rapporto processuale, ossia del giudizio che quello abbia ad oggetto.
L’esigenza di tutelare la parte colpita dall’evento interruttivo, come pure la controparte, ai fini della migliore esplicazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 della costituzione, diviene ex lege recessiva, «a fronte della superiore esigenza di continuità nei rapporti sostanziali e processuali, a fini di certezza».
Pertanto, in giudizio è rimasta sicuramente la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
Diversamente, come chiaramente affermato dalle sezioni unite di questa Corte n. 21970 del 2021, «l’esclusione dell’interruzione del processo limita le conseguenze della fusione sul processo, dovendosi allora, ad onere della incorporante, provare soltanto la sua qualità ai fini della legittimazione, ove intenda compiere atti processuali».
Il terzo ed il quarto motivo di ricorso principale restano assorbiti, a seguito dell’accoglimento del secondo motivo di ricorso principale.
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso principale; rigetta il primo motivo di ricorso principale; rigetta il primo motivo di ricorso incidentale; dichiara inammissibile il secondo motivo di ricorso incidentale; dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’8 maggio 2024