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Motivazione apparente: Cassazione annulla sentenza

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza della Corte d’Appello per motivazione apparente in un caso di risarcimento danni per molestie. Il giudice di rinvio non aveva condotto una valutazione concreta e autonoma delle prove, limitandosi a generiche affermazioni sull’inimicizia tra le parti. La Suprema Corte ha ribadito che una motivazione basata su espressioni generiche e non univoche equivale a un’assenza di motivazione, violando l’obbligo di legge e rinviando nuovamente la causa per un esame approfondito del merito.

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Pubblicato il 19 agosto 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Motivazione Apparente: La Cassazione Annulla la Sentenza d’Appello

L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento sul vizio di motivazione apparente, un difetto che può portare alla nullità di una sentenza. In questo caso, la Corte di Cassazione ha annullato la decisione di una Corte d’Appello che, in sede di rinvio, non aveva adempiuto al suo dovere di esaminare in modo concreto e analitico le prove disponibili, limitandosi a formulare affermazioni generiche. Analizziamo insieme i dettagli di questa complessa vicenda processuale.

I Fatti di Causa: Un Lungo Percorso Giudiziario

La controversia ha origine da un processo penale per il reato di molestia e disturbo alle persone. La vittima si era costituita parte civile per ottenere il risarcimento dei danni. Il procedimento penale si era concluso con l’estinzione del reato per oblazione, ma il ricorso della parte civile aveva portato la Corte di Cassazione a rinviare il caso alla Corte d’Appello competente per la sola decisione sugli aspetti civili.

Il percorso giudiziario è stato tortuoso: una prima decisione della Corte d’Appello, che aveva rigettato la domanda di risarcimento, era già stata annullata dalla Cassazione. La critica mossa era che il giudice non avesse compiuto una “valutazione concreta, autonoma ed analitica degli elementi probatori disponibili”. La causa era stata quindi rinviata nuovamente alla stessa Corte d’Appello, in diversa composizione, per un nuovo esame.

La Sentenza Impugnata e il Vizio di Motivazione Apparente

Nel secondo giudizio di rinvio, la Corte d’Appello ha accolto la domanda risarcitoria, condannando i convenuti al pagamento di una somma di denaro. Tuttavia, anche questa decisione è stata impugnata davanti alla Cassazione. Il motivo principale del ricorso era la nullità della sentenza per violazione dell’obbligo di motivazione, sostenendo che la Corte territoriale fosse incorsa, ancora una volta, in un vizio di motivazione apparente.

I ricorrenti hanno lamentato che il giudice d’appello, invece di analizzare specificamente le prove, si fosse basato su assunti generici e apodittici, come la constatazione di “uno stato di aperta inimicizia fra i due nuclei familiari” che sarebbe “verosimilmente” sfociato in “condotte di reciproca avversione”. Secondo i ricorrenti, questa non era una vera motivazione, ma solo un’affermazione generica che eludeva il compito affidatole dalla Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendo fondato il motivo relativo alla motivazione apparente. Ha stabilito che la Corte d’Appello ha completamente omesso di compiere quella “valutazione concreta, autonoma ed analitica degli elementi probatori disponibili” che le era stata specificamente richiesta nella precedente pronuncia di rinvio. La sentenza impugnata si è limitata a sostituire una conclusione generica con un’altra di segno opposto, senza però mai entrare nel merito delle prove.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha evidenziato come la decisione d’appello si sia basata su “espressioni assolutamente generiche e non univoche”, senza chiarire quali atti fossero stati oggetto di valutazione, con quali criteri e per quali ragioni si fosse giunti a una determinata conclusione. Affermare che, data l’inimicizia tra le parti, la condotta illecita fosse “provata” sulla base degli atti che avevano portato all’emissione del decreto penale di condanna (poi seguito da oblazione) non costituisce un’analisi sufficiente. Tale approccio, secondo la Cassazione, non è una motivazione effettiva, ma solo un’affermazione apodittica.

La Suprema Corte ha ribadito che il giudice di rinvio ha il dovere di effettuare un accertamento approfondito per verificare la sussistenza di specifiche e concrete condotte illecite e del relativo danno, secondo le regole del processo civile. Una motivazione che non adempie a questo compito è solo apparente e, come tale, invalida.

Le Conclusioni

In conclusione, la Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato per la terza volta la causa alla Corte d’Appello di Ancona, in ulteriore diversa composizione. Questa volta, il giudice di rinvio dovrà finalmente procedere a quella valutazione concreta e analitica delle prove che è mancata finora, per accertare l’effettiva sussistenza (o meno) di una sufficiente prova delle condotte illecite addebitate ai convenuti e del danno conseguente. Questa ordinanza rappresenta un forte monito sull’importanza fondamentale di una motivazione reale e non di facciata, che dia conto in modo trasparente e logico del percorso decisionale seguito dal giudice.

Cosa si intende per ‘motivazione apparente’ di una sentenza?
Si ha una motivazione apparente quando il giudice utilizza espressioni generiche, formule di stile o affermazioni apodittiche che non permettono di comprendere il ragionamento logico-giuridico che ha portato alla decisione. In pratica, la motivazione esiste solo in apparenza ma è priva di contenuto effettivo, e ciò causa la nullità della sentenza.

Cosa deve fare il giudice nel ‘giudizio di rinvio’ disposto dalla Cassazione?
Il giudice del rinvio deve riesaminare la causa attenendosi scrupolosamente al principio di diritto stabilito dalla Corte di Cassazione. Nel caso specifico, doveva compiere una ‘valutazione concreta, autonoma ed analitica degli elementi probatori disponibili’ per accertare la fondatezza della domanda, senza potersi limitare a conclusioni generiche.

È sufficiente basare una condanna al risarcimento sulla generica esistenza di inimicizia tra le parti?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha chiarito che fondare una decisione su un assunto generico come l’esistenza di ‘uno stato di aperta inimicizia’ senza analizzare le specifiche condotte illecite allegate e le relative prove costituisce un vizio di motivazione. La prova dell’illecito deve essere concreta e specifica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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