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Motivazione apparente: Cassazione annulla decreto

Un professionista, ex presidente del collegio sindacale, si vede negare il compenso dalla curatela fallimentare che eccepisce la sua responsabilità per i danni societari. Il tribunale respinge l’opposizione, ma la Cassazione annulla il decreto per motivazione apparente, ritenendo incomprensibile la ratio decidendi del giudice di merito.

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Motivazione Apparente: Quando la Decisione del Giudice è Invalida

L’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali è un pilastro del nostro ordinamento, sancito dall’articolo 111 della Costituzione. Ma cosa accade quando una motivazione è presente solo sulla carta, ma in realtà non spiega nulla? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2371/2024, torna su un tema cruciale: la motivazione apparente, chiarendo come questa violazione possa portare all’annullamento di una decisione. Il caso analizzato riguarda la richiesta di ammissione al passivo fallimentare da parte di un professionista e l’opposizione della curatela, che ha sollevato dubbi sulla sua condotta.

I fatti di causa

Un professionista, già presidente del collegio sindacale di una società poi fallita, chiedeva di essere ammesso al passivo per i compensi maturati durante il suo incarico. La sua domanda veniva inizialmente respinta.

Il professionista proponeva quindi opposizione. In questa fase, la curatela fallimentare si costituiva in giudizio sollevando un’eccezione di inadempimento. In pratica, sosteneva che il professionista avesse delle responsabilità per i danni subiti dalla società, in solido con gli amministratori, e che tali danni superassero ampiamente l’importo del credito richiesto. Il tribunale di merito accoglieva la tesi della curatela e respingeva l’opposizione del professionista.

Contro questa decisione, il professionista ha proposto ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi:
1. La tardività dell’eccezione sollevata dalla curatela.
2. La totale carenza di motivazione del decreto del tribunale.

La decisione della Corte di Cassazione e il problema della motivazione apparente

La Suprema Corte ha analizzato entrambi i motivi di ricorso, giungendo a conclusioni opposte.

Sul primo punto, relativo alla presunta tardività dell’eccezione di inadempimento, la Corte ha rigettato il motivo. Ha chiarito che, sebbene tale eccezione non possa essere rilevata d’ufficio dal giudice, la legge fallimentare consente alla parte resistente di formularla per la prima volta nel giudizio di opposizione, purché rispetti i termini per il deposito della memoria difensiva. Non era emerso che la curatela avesse violato tali termini.

Sul secondo punto, invece, la Cassazione ha accolto pienamente le doglianze del ricorrente. Il cuore della decisione risiede nella valutazione della motivazione apparente del provvedimento impugnato. Secondo gli Ermellini, la motivazione fornita dal tribunale di merito era talmente laconica e generica da risultare incomprensibile.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha censurato duramente il provvedimento del tribunale, definendo la sua motivazione “apodittica”. Il giudice di merito si era limitato ad affermare che “i soli interessi maturati sul debito bancario” superavano la prestazione richiesta e che ciò era “ascrivibile alla negligenza degli organi di controllo”.

Tuttavia, come sottolinea la Cassazione, il decreto non specificava in alcun modo:
– Quali fossero gli addebiti specifici mossi dalla curatela al collegio sindacale.
– Su quali elementi si fondasse la ravvisata responsabilità concorrente dei sindaci.
– Quali fossero le conseguenze dannose concretamente imputabili a loro e come fossero state determinate.

Questa totale assenza di un percorso logico-giuridico rende impossibile comprendere la ratio decidendi, ovvero la ragione fondamentale della decisione. Una motivazione di questo tipo viola il minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost. e si converte in una violazione di legge. Non si tratta di sindacare il merito della scelta del giudice, ma di constatare l’assenza di una motivazione che possa essere definita tale. La motivazione è apparente quando, pur esistendo graficamente, si estrinseca in argomentazioni inidonee a rivelare la ratio decidendi, perché illogiche, perplesse o oggettivamente incomprensibili.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato il decreto impugnato e ha rinviato la causa al medesimo tribunale, ma in diversa composizione, per un nuovo esame. Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: una decisione giudiziaria non può limitarsi a enunciare una conclusione, ma deve spiegare il percorso argomentativo che l’ha generata. Una motivazione apparente equivale a una motivazione assente e determina la nullità del provvedimento, garantendo che ogni cittadino possa comprendere le ragioni di una decisione che lo riguarda e, se del caso, impugnarla efficacemente.

Quando una decisione del giudice è nulla per motivazione apparente?
Una decisione è nulla quando la motivazione, pur essendo presente testualmente, è talmente laconica, generica, illogica o contraddittoria da non rendere comprensibile il percorso logico-giuridico seguito dal giudice per arrivare alla conclusione. In pratica, quando non si riesce a capire la ratio decidendi.

È possibile sollevare per la prima volta un’eccezione di inadempimento nel giudizio di opposizione allo stato passivo?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che, secondo l’art. 99 della legge fallimentare, la parte resistente (in questo caso la curatela) può formulare eccezioni non rilevabili d’ufficio, come quella di inadempimento, per la prima volta nella memoria difensiva del giudizio di opposizione, a condizione che rispetti i termini di legge per il deposito.

Cosa avrebbe dovuto specificare il tribunale per rendere valida la sua motivazione?
Il tribunale avrebbe dovuto indicare chiaramente quali erano gli addebiti specifici contestati dalla curatela al professionista, le prove o gli elementi su cui si basava l’accertamento della sua responsabilità, e il nesso di causalità tra la sua condotta negligente e i danni patrimoniali subiti dalla società.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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