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Modifica parti comuni: l’unanimità è necessaria

Una nuova proprietaria ha citato in giudizio i vicini per aver modificato illecitamente le parti comuni, chiudendo l’accesso alla soffitta e annettendo una cantina. La Corte di Cassazione ha stabilito che una tale modifica delle parti comuni non è una semplice innovazione, ma un atto di disposizione dei diritti di proprietà. Di conseguenza, è richiesto il consenso unanime e scritto di tutti i comproprietari, e non una semplice delibera a maggioranza. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Modifica Parti Comuni: Unanimità o Maggioranza? La Cassazione Fa Chiarezza

Acquistare un immobile e scoprire successivamente che sono state effettuate modifiche illegittime alle parti comuni è un’esperienza frustrante e purtroppo non rara. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta proprio un caso di modifica parti comuni, stabilendo un principio fondamentale: per le alterazioni che sottraggono di fatto l’uso di un bene comune a uno dei proprietari, non è sufficiente una decisione a maggioranza, ma è indispensabile il consenso unanime di tutti. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Una Ristrutturazione Contesa

La vicenda ha origine in un edificio composto da due sole unità immobiliari, inizialmente diviso tra due fratelli. Anni dopo, gli eredi vendono le rispettive proprietà. I nuovi proprietari del primo piano, d’accordo con l’allora proprietario del piano terra, eseguono importanti lavori di ristrutturazione. Questi interventi includono la rimozione di una scala interna comune, la chiusura definitiva di una botola che garantiva l’accesso alla soffitta comune dal piano terra, e l’incorporazione di un vespaio, anch’esso comune, nella loro proprietà privata.

Tempo dopo, l’appartamento al piano terra viene venduto a una nuova acquirente. Quest’ultima, una volta entrata in possesso dell’immobile, scopre le modifiche e cita in giudizio i vicini, chiedendo il ripristino dello stato dei luoghi e lamentando l’occupazione abusiva delle aree comuni.

Il Percorso Giudiziario e la Decisione della Cassazione

Mentre il Tribunale di primo grado accoglie solo parzialmente la domanda (ordinando il ripristino del vespaio ma non della soffitta), la Corte d’Appello rigetta le richieste della nuova proprietaria. Secondo i giudici d’appello, le modifiche erano state legittimamente decise dai precedenti comproprietari e rientravano nelle “innovazioni” permesse a maggioranza.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ribalta completamente questa interpretazione, accogliendo il ricorso della proprietaria del piano terra e chiarendo la distinzione cruciale tra diversi tipi di interventi sulle aree comuni.

Le Motivazioni: La Differenza tra Innovazione e Atto di Disposizione sulle Parti Comuni

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella corretta qualificazione giuridica delle opere realizzate. La Corte d’Appello le aveva erroneamente etichettate come “innovazioni” ai sensi dell’art. 1108, primo comma, del Codice Civile, che possono essere deliberate con una maggioranza qualificata.

La Suprema Corte, invece, spiega che i lavori in questione non erano semplici migliorie. Al contrario, la chiusura della botola e l’eliminazione della scala interna hanno di fatto comportato una “dismissione della comproprietà su parti comuni”. In altre parole, si è trattato di un vero e proprio atto di disposizione che ha sottratto permanentemente a uno dei comproprietari la possibilità di utilizzare un bene comune a vantaggio esclusivo dell’altro.

Per atti di questa natura, che incidono sul diritto di proprietà, la legge richiede il consenso unanime di tutti i partecipanti alla comunione, manifestato per iscritto, come previsto dal terzo comma dell’art. 1108 c.c. Una semplice richiesta di concessione edilizia, anche se firmata dalla maggioranza, non può sostituire un formale contratto scritto tra tutti i proprietari.

Inoltre, la Corte critica la valutazione della Corte d’Appello riguardo al nuovo accesso alla soffitta, definito “più complesso”. I giudici di legittimità evidenziano come non si possa ignorare un fatto decisivo emerso dalla consulenza tecnica: il nuovo accesso era talmente difficoltoso da richiedere l’intervento di un’impresa edile, l’uso di ponteggi e la rimozione di parte del tetto. Una simile modalità non costituisce un’alternativa valida e sicura all’accesso originario.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza sulla Modifica Parti Comuni

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale a tutela della proprietà e dei diritti dei singoli all’interno di una comunione. La sentenza stabilisce che qualsiasi modifica parti comuni che si traduca in una rinuncia o in una cessione di fatto di un’area comune deve essere approvata all’unanimità e formalizzata per iscritto. Non è possibile per una maggioranza, per quanto qualificata, disporre dei diritti di proprietà della minoranza.

La decisione serve da monito: prima di intraprendere lavori che alterino in modo significativo la struttura o l’utilizzo delle parti comuni, è essenziale ottenere il consenso scritto di tutti i comproprietari. Questo non solo garantisce la legittimità dell’intervento, ma previene anche lunghi e costosi contenziosi futuri, proteggendo l’investimento immobiliare di tutti.

È sufficiente la firma della maggioranza dei proprietari su una richiesta di concessione edilizia per modificare le parti comuni?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che per atti che comportano la dismissione o la costituzione di diritti reali su parti comuni (come l’eliminazione di un accesso) non è sufficiente una delibera a maggioranza, ma è necessario il consenso unanime di tutti i partecipanti, manifestato in un contratto scritto.

Qual è la differenza tra ‘innovazione’ e ‘atto di disposizione’ di una parte comune?
L'”innovazione” (art. 1108 c.c., comma 1) è una modifica che migliora o rende più comodo l’uso della cosa comune e può essere decisa a maggioranza qualificata. L'”atto di disposizione” (art. 1108 c.c., comma 3) invece, come la vendita o la rinuncia a una parte comune che ne impedisce l’uso a un comproprietario, ne altera il diritto di proprietà e richiede l’unanimità.

La creazione di un nuovo accesso, più scomodo, a una parte comune giustifica la chiusura dell’accesso originale?
No. La Corte ha ritenuto che la chiusura dell’accesso originario (una botola interna) non fosse giustificata dalla creazione di un accesso esterno che richiedeva un’impresa edile, ponteggi e la rimozione di tegole. Un nuovo accesso deve garantire una fruibilità del bene paragonabile a quella precedente, senza eccessivi disagi o rischi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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