Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2375 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2375 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/01/2025
Comunione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16836/2022 R.G. proposto da: NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE che la rappresenta e difende.
– Ricorrente –
Contro
COGNOME, elettivamente domiciliati in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente a ll’ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
– Controricorrenti, ricorrenti incidentali –
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 3802/2021 depositata il 29/12/2021.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 15 gennaio 2025.
Rilevato che:
NOME COGNOME tramite il suo procuratore NOME COGNOME, ha convenuto dinanzi al Tribunale di Milano i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME ( ‘coniugi COGNOME‘) per sentire accertare e dichiarare l’indebita occupazione da parte dei convenuti d i alcune parti comuni dell’immobile sito in Novate Milanese, INDIRIZZO e perché venisse loro ordinato il rilascio delle parti comuni previo ripristino dello stato dei luoghi illegittimamente alterato.
A sostegno della domanda l’attrice ha dedotto di avere acquistato , il 4 novembre 2015, l’unità immobiliare sita in INDIRIZZO e che, immessa nel possesso del bene, aveva scoperto che i convenuti, proprietari del primo piano, si erano appropriati del vespaio comune e del sottotetto comune, al quale, prima dei lavori eseguiti dai coniugi COGNOME, si accedeva tramite una botola realizzata all’ultimo piano.
Il Tribunale di Milano, nel contraddittorio dei convenuti, con sentenza n. 398/2020, in parziale accoglimento della domanda, ha accertato e dichiarato l’occupazione abusiva , da parte dei coniugi COGNOME, del vespaio comune, ha ordinato il ripristino dello stato dei luoghi, e ha respinto le restanti domande di parte attrice;
l a Corte d’appello di Milano ha rigettato gli appelli, principale e incidentale, dell’attrice e dei convenuti .
Queste, in sintesi, per quanto ancora rileva, le ragioni della decisione:
(i) lo stabile oggetto di causa proviene da atto di divisione ereditaria redatto nel 1973, in base al quale il compendio immobiliare veniva assegnato ai fratelli NOME e NOME COGNOME; più precisamente, a NOME veniva assegnato il piano rialzato e a NOME il primo piano, restando in comune le parti evidenziate in giallo nella planimetria allegata all’atto notarile. A seguito di successione, a NOME subentravano NOME COGNOME e NOME COGNOME e a NOME
subentravano, NOME e NOME COGNOME le quali, in data 21/12/1998, cedevano l’appartamento posto al piano primo ai coni ugi COGNOME. Il 12/05/1999, i comproprietari COGNOME COGNOME e NOME COGNOME presentavano al Comune di Novate Milanese una domanda di concessione edilizia avente a oggetto la ‘realizzazione scala esterna e modifiche interne’ e il Comune rilasciava , in data 28/10/1999, il titolo abilitativo richiesto. Venivano quindi eseguite, a spese e cure dei soli appellati, le opere assentite. In data 4/11/2015, NOME COGNOME alienava l’appartamento di sua proprietà, sito al piano rialzato, a NOME COGNOME la quale contestava la regolarità degli interventi eseguiti, modificativi della situazione derivan te dall’atto di divisione del 1973;
(ii) il Tribunale, valutati i documenti e le risultanze della consulenza tecnica disposta in corso di causa, ha ritenuto provata l’abusiva occupazione del vespaio comune da parte dei coniugi COGNOME e ha rigettato le domande di abusiva occupazione del vano sottotetto, escludendo che l’attrice avesse provato, da un lato, la natura comune del sottotetto, dall’altro, l’esecuzione di opere su parti comuni in difformità di quanto a suo tempo validamente deliberato ai comunisti, prima dell’acquisto della proprietà da parte dell’attrice;
(iii) quanto all’appello principale, NOME COGNOME si duole che il primo giudice abbia ritenuto non dimostrata l’esistenza, in epoca anteriore alle modifiche eseguite in forza della concessione edilizia del 1999, di una botola di accesso al sottotetto e che abbia escluso la natura di bene comune di tale porzione immobiliare, nonostante che i convenuti non avessero, nei loro atti difensivi, mai contestato l’esistenza della botola e la natura comune del sottotetto. Allega, inoltre, che la richiesta di tito lo concessorio per l’esecuzione dei lavori non sarebbe comunque valida poiché , tra l’altro, priva della firma di NOME COGNOME moglie di NOME COGNOME e comproprietaria
dell’immobile . È evidente, tuttavia, spiega la sentenza d’appello, che quest’ultima non aveva ragioni per opporsi all’iniziativa degli altri partecipanti alla comunione visto che non ha fatto valere il proprio dissenso in sede amministrativa;
(iv) quanto alla modifica realizzata con la chiusura della botola, non è oggetto del giudizio la natura comune o meno del sottotetto, non essendo stata formulata alcuna domanda al riguardo, poiché l’attrice ha chiesto unicamente di accertare l’indebita occupazione del sottotetto da parte dei convenuti in conseguenza della chiusura della botola. Al contrario di quanto afferma il Tribunale, è provato, sulla base della c.t.u., che prima della ristrutturazione esistesse una botola di accesso al sottotetto e che, con la demolizione delle due rampe di scale e la chiusura, con solaio in cemento armato, del collegamento tra il piano terreno e il piano rialzato, sia venuto meno l’accesso diretto dal piano terreno al sottotetto mediante la botola, la quale, adesso, non esiste più. Si tratta però di una modifica intervenuta con l’accordo dei comproprie tari, compresi i danti causa di NOME COGNOME, consentita dall’art. 1108 c.c. che prevede la possibilità di disporre, sui beni in comunione, tutte le innovazioni dirette al miglioramento della cosa ovvero atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, che non siano pregiudizievoli a ll’interesse di alcuno dei partecipanti, pregiudizio nella specie non verificatosi grazie alla contemporanea realizzazione di un altro punto di accesso al sottotetto, posizionato sulla copertura esterna del fabbricato;
(v) in contrasto con la deduzione del l’appellante, è stato acclarato, dal consulente d’ufficio, che l’accesso al sottotetto è tuttora possibile, seppure con modalità più complesse rispetto a prima, per la necessità di garantire condizioni di sicurezza. E ciò comporta il rigetto del motivo di appello che si appuntava contro l ‘ illegittima chiusura della botola interna unicamente sotto il profilo de ll’impossibilità di
accesso al sottotetto, quale prospettazione smentita dai fatti, ma non censurava il diverso (eventuale) profilo di un eccessivo disagio delle attuali modalità di accesso;
(vi) è infondato il motivo di appello relativo alla violazione degli artt. 1108 e 1136 c.c.: le modifiche eseguite sono atti eccedenti l’ordinaria amministrazione , deliberati dalla maggioranza come previsto dal primo comma dell’art. 1108 c.c. ;
Infine, è inammissibile la domanda di NOME COGNOME proposta per la prima volta in appello, di accertamento che il comignolo realizzato dagli appellati nel corso dei descritti lavori di ristrutturazione insisterebbe ‘nel sottotetto comune’;
(vii) è infondato l’appello incidentale: il tribunale ha debitamente condannato i coniugi COGNOME al ripristino del vespaio posto nel seminterrato, del quale questi ultimi si sono appropriati con la costruzione di un muro che ha inglobato la porta che consentiva alla comproprietaria COGNOME di accedere al piano interrato.
Gli appellanti incidentali invocano la legittimità delle opere perché conformi al titolo autorizzativo rilasciato dalla P.A. e sostengono che, comunque, in caso di ravvisata illegittimità delle stesse, la condanna al ripristino dovrebbe avvenire secondo quanto assentito nella concessione edilizia rilasciata nel 1999 e non (come ritenuto dal primo giudice) secondo lo stato del fabbricato attestato dall’atto di divisione del 1973.
Il rilievo critico non è fondata in quanto il rilascio del titolo autorizzativo da parte de ll’amministrazione non incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali sugli immobili interessati dall ‘intervento; d’altra parte, gli appellanti incidentali non contestano la comune proprietà del vespaio e, anzi, nella comparsa di costituzione e risposta depositata in primo grado, si dichiara che il vespaio sarebbe rimasto comune a entrambi i comproprietari, come
evidenziato anche nella tavola progettuale, dichiarazione che contrasta con la circostanza che, nel corso dei lavori, il vespaio è stato accorpato alla cantina di loro proprietà, con impossibilità di accedervi da parte della comproprietaria. I coniugi COGNOME assumono che ciò sarebbe accaduto con l’accordo dei comproprietari, ma di tale accordo manca la prova;
avverso la sentenza d’appello , NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso, nel quale hanno svolto ricorso incidentale, sulla base di due motivi. Le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’ adunanza in camera di consiglio.
Considerato che:
il primo motivo di ricorso principale denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1102, 1108 c.c.
La Corte d’appello afferma erroneamente che i lavori realizzati dai coniugi COGNOME sono un’innovazione legittimamente attuata dai comproprietari ex art. 1108 c.c. perché necessitata dalla comune decisione di suddividere i due piani del fabbricato eliminando la scala comune interna a vantaggio di entrambe le unità immobiliari. In realtà, non si è in presenza di un’innovazione in ragione del fatto che dei lavori, nel loro complesso, hanno beneficiato soltanto i convenuti, i quali, con la demolizione delle ultime due rampe di scale e la chiusura, con il solaio in cemento armato, del collegamento tra il piano terreno e il piano rialzato e la chiusura dell’accesso dal piano terreno al sottotetto mediante la botola, hanno occupato in via esclusiva una zona comune (nella quale è stata realizzata una cucina ad uso esclusivo).
Inoltre, l a sentenza viola anche l’art. 1102 c.c. , secondo cui ciascun partecipante più servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca il pari uso da parte degli altri partecipanti.
La ricorrente lamenta che la decisione non è conforme a diritto per due ulteriori ragioni: primo, la Corte d’appello ha ritenuto sufficiente la deliberazione della maggioranza dei due terzi, mentre avrebbe dovuto essere assunta all’unanimità, come prescritto dall’art. 1108 comma 3 c.c.; secondo, perché è stata considerata come deliberazione condominiale l’apposizione della firma sulla richiesta di concessione edilizia per la ristrutturazione risalente al 1999, lì dove l’art. 1136 c.c. dispone che l’assemblea non possa deliberare se non consta che tutti gli aventi diritto sono stati regolarmente convocati (mentre la comunista NOME COGNOME è rimasta estranea) e che della riunione dell’assemblea debba essere redatto verbale ( verbale nel caso di specie inesistente).
1.1. il motivo, articolato in distinte censure, è fondato nei termini di seguito illustrati.
La sentenza impugnata, a pag. 8, afferma che «tante la demolizione delle ultime due rampe di scale e la chiusura, con solaio in cemento armato, del collegamento tra il piano terra e il piano rialzato, è pacificamente venuto meno l’accesso diretto dal piano terra al sottotetto mediante detta botola Tale modifica, tuttavia, è intervenuta con l’accordo dei comproprietari aventi diritto, ivi compresi i danti causa di NOME COGNOME e ciò assume rilevanza alla luce del disposto dell’art. 1108 cod. c iv. che prevede la possibilità di disporre, sui beni in comunione, tutte le innovazioni dirette al miglioramento della cosa ovvero atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, sempre che non risultino pregiudizievoli all’interesse di alcuno dei partecipanti» e, poco dopo, soggiunge che la chiusura
della botola non ha pregiudicato l’interesse di alcuno dei partecipanti perché è stato contemporaneamente realizzato un altro punto di accesso, sulla copertura esterna. Successivamente – a pag. 11 della sentenza -è scritto che i lavori, qualificabili come innovazioni o atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, sono stati legittimamente deliberati dalla maggioranza dei comproprietari (esclusa NOME COGNOME moglie di NOME COGNOME, anch’egli partecipante alla comunione), come previsto dall’a rt. 1108 comma 1 c.c.
In base all’accertamento di fatto compiuto dalla Corte d’appello, dunque, vi è stata una demolizione di parti comuni del fabbricato ( come, ad esempio, l’eliminazione della scala comune interna) che ha determinato l’impossibilità del proprietario del piano terreno (e parzialmente rialzato) di accedere al primo piano e, tramite la botola, al sottotetto.
Ciò posto, non è conforme a diritto la sussunzione operata dalla sentenza d’appello secondo cui si sarebbe in presenza di innovazioni o di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione legittimamente deliberati dalla maggioranza qualificata dei partecipanti alla comunione, come previsto dal primo comma dell’art. 1108 c.c.
Rileva il Collegio che, in realtà, gli interventi in questione hanno comportato la dismissione della comproprietà su parti comuni del fabbricato operata da alcuni comunisti (i due proprietari del piano terreno, danti causa di NOME COGNOME a favore di altri comproprietari (i coniugi COGNOME.
La fattispecie concreta va pertanto correttamente sussunta entro il perimetro del terzo comma dell’art. 1108 c.c. che, per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali, impone il consenso di tutti i partecipanti, manifestato in un contratto avente la forma scritta ad substantiam, produttivo di effetti reali (Cass. n. 18044/2022; in termini, Cass. n. 15024/2013, che, in tema di condominio negli
edifici, ai sensi dell ‘ art. 1108 comma 3 c.c., applicabile al condominio in virtù dell ‘ art. 1139 c.c., afferma che, per la costituzione di diritti reali sulle parti comuni, è necessario il consenso di tutti i condòmini, che non può essere sostituito da una deliberazione assembleare a maggioranza e dal decorso del tempo necessario a consolidarla.
Da una diversa prospettiva, ove anche (in via astratta e ipotetica) gli interventi dovessero essere qualificati come innovazioni o atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, in ogni caso , al contrario di quanto asserisce la Corte territoriale, essi non sarebbero stati adottati con la necessaria deliberazione della maggioranza qualificata dei partecipanti, ai sensi de ll’art. 1108 c.c., in ragione del fatto che non costituisce idoneo equipollente, rispetto a ll’imprescindibile requisito formal e (‘deliberazione della maggioranza dei partecipanti’), ad esempio, (facendo riferimento ai fatti di causa) la domanda di concessione edilizia presentata, nel 1999, da tre dei quattro comproprietari al Comune di Novate Milanese, riguardante gli interventi sul fabbricato.
La fattispecie regolata dal secondo comma dell’art. 1108 c.c. comporta una deliberazione della maggioranza qualificata dei comunisti, quanto meno preceduta da una riunione dei titolari della comunione per decidere sull ‘ oggetto di comune interesse (Cass. n. 14162/2000); e, infatti, è orientamento consolidato di questa Corte (Cass. nn. 10699/1994, 18044/2022, cit.) che (appunto) il consenso dei partecipanti alla comunione alle innovazioni e agli altri atti eccedenti l ‘ ordinaria amministrazione debba risultare espresso nelle forme previste dall ‘ art. 1108 c.c. È stato anche chiarito che gli artt. 1105 e 1108 c.c. non suppongono la costituzione formale dell ‘ assemblea, ma semplicemente la decisione a maggioranza dei partecipanti (Cass. n. 29747/2017 che, in motivazione, enuncia il principio secondo cui deve ritenersi regolarmente costituita e capace
di deliberare la riunione dei partecipanti alla comunione con la presenza dell ‘ amministratore per decidere su oggetti di comune interesse);
2. il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., che la sentenza, nella parte in cui afferma che la chiusura della botola che conduceva sottotetto non ha arrecato pregiudizio all’attrice in ragione della realizzazione di un altro punto d’accesso sulla copertura esterna del fabbricato, per un verso, è viziata da motivazione apparente, per altro verso, trascura che la c.t.u. -che il giudice d’appello non ha esaminato -attesta, in maniera incontrovertibile, che la nuova botola realizzata dai convenuti consente di accedere al tetto del fabbricato, ma non anche al sottotetto comune;
2.1. anche tale motivo è fondato nei termini che seguono;
la Corte di Milano nega la prospettata impossibilità di accesso al sottotetto da parte dell’appellante sul rilievo, a suo dire confermato dalle risultanze della c.t.u., che lo stesso accesso sarebbe tuttora possibile passando dal tetto e accedendo al sottotetto tramite una botola esterna , ossia (pagg. 8 e 9 della sentenza) ‘con modalità più complesse rispetto alla situazione precedente, a causa della necessità di garantire le necessarie condizioni di sicurezza’.
Con valenza assorbente rispetto ad ogni altro profilo dell’articolato motivo, rileva il Collegio che la sentenza è viziata da ‘ omesso esame circa un fatto decisivo ‘ perché con risolve una questione cruciale, cioè, se l’attrice abbia o meno la possibilità di accedere al sottotetto in maniera agevole, e, come è ovvio e ragionevole, senza dovere prima provvedere alla rimozione di parti del tetto del fabbricato e senza rischi per la propria e l’altrui incolumità.
Evenienza, questa, decisamente negata dalla ricorrente, la quale (a pag. 18 del ricorso per cassazione), ponendo l’accento su
passaggio della c onsulenza d’ufficio, quale atto istruttorio non adeguatamente apprezzato dalla Corte territoriale, ricorda che il consulente tecnico ha sottolineato che, per potere entrare in sicurezza nel sottotetto, si è reso necessario ‘ coinvolgere un’impresa edile che ha provveduto a montare un ponteggio sicuro, rimuovere alcune tegole ed alcuni listelli di legno sottocoppo ‘.
Ne consegue che, in seguito alla cassazione della sentenza di appello, il giudice del rinvio dovrà compiere il relativo accertamento di fatto, trarne le necessarie conseguenze giuridiche, e illustrare le ragioni del proprio convincimento in maniera chiara, specifica e non contraddittoria;
3. il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 nn. 3 e 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 115 c.p.c.: si deduce che la sentenza interpreta in maniera non corretta la domanda ed esclude che essa sia diretta al l’accertamento circa la natura comune o meno del sottotetto dello stabile. In realtà, come si evince dal contenuto dell ‘atto di citazione in primo grado, l’azione mirava ad ottenere l’accertamento incidentale della natura comune del sottotetto in relazione all’ altrui indebita occupazione delle parti comuni nella prospettiva del ripristino dello stato dei luoghi.
La sentenza d’appello -si afferma – viola anche l’art. 115 c.p.c. in quanto i convenuti non contestavano la natura comune del sottotetto, ma negavano di essersi appropriati di parti comuni e, al riguardo, sostenevano che la comproprietaria NOME continuasse ad avere libero accesso al sottotetto.
Infine, la sentenza non sarebbe conforme a diritto nella parte in cui dichiara inammissibile, perché formulata per la prima volta in appello, la domanda di accertamento che il comignolo realizzato dai convenuti era stato installato nel sottotetto comune.
Sostiene ancora la ricorrente che, nel giudizio di appello, aveva rinunciato alla domanda di demolizione del comignolo proposta in primo grado perché riconosceva che era facoltà dei comproprietari (coniugi COGNOME) la relativa installazione nel sottotetto comune e, richiamata la violazione (da parte del Tribunale) dell’art. 115 c.p.c., aveva chiesto alla Corte distrettuale di accertare e dichiarare che il camino era stato realizzato nel sottotetto comune. Basandosi sull’erroneo presupposto che la natura comune del sottotetto non era oggetto del giudizio, la Corte d’appello ha indebitamente qualificato la domanda come nuova;
3.1. il motivo è assorbito per effetto dell’accoglimento dei motivi precedenti.
il primo motivo di ricorso incidentale denuncia, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., l’omesso esame , da parte della Corte d’appello, della corrispondenza tra lo stato del locale seminterrato e le opere assentite dalla concessione edilizia n. 22/1999 del Comune di Novate Milanese, di cui alle tavole grafiche ad essa allegate, e di avere a causa di tale omissione negato l’esclusiva proprietà del vespaio in favore dei coniugi COGNOME.
L’assunto è che se, viceversa, la Corte territoriale avesse debitamente considerato la conformità del piano seminterrato/vespaio alla concessione edilizia n. 22/1999 e l’acc lusa tavola grafica (‘abbinamenti appartamenti -cantine’) , avrebbe sicuramente accertato la piena titolarità del vespaio da parte dei ricorrenti incidentali , e ciò sulla scorta dell”accordo dei comproprietari’ ( pag. 11 della sentenza), come risultante dalla richiesta di concessione edilizia (poi rilasciata), sottoscritta da questi ultimi e dall’altro comproprietario NOME COGNOME
4.1. il motivo è inammissibile;
sulla premessa che la sentenza in esame , rigettando l’appello incidentale, ha confermato (per quanto qui rileva) il capo della pronuncia di primo grado che ha accertato e dichiarato l’occupazione abusiva, da parte dei convenuti, del vespaio presente nel seminterrato del fabbricato, deve farsi applicazione del principio di diritto secondo cui, nell’ipotesi (come nella specie) di ‘doppia conforme’ prevista dall’art. 348 ter comma 5 c.p.c., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528/2014), incombente, quest’ultimo, nella specie non adempiuto. È stato anche chiarito che il principio della doppia conforme ricorre non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7724 del 09/03/2022, Rv. 664193 -01; Cass. n. 8982/2024);
5. il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 nn. 3 e 4 c.p.c. , la violazione dell’art. 115 c.p.c., per avere la Corte d’appello omesso di porre a fondamento della decisione sia le risultanze documentali prospettate dagli appellati (documentazione relativa alla concessione edilizia n. 22/1999), fatte proprie dal c.t.u. nel giudizio di primo grado, sia la mancata contestazione di tale documentazione da parte dell ‘ appellante principale COGNOME e per avere quindi erroneamente negato che il vespaio fosse diventato di proprietà esclusiva dei coniugi COGNOME e COGNOME;
5.1. il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato;
quanto all ‘inammissibilità del motivo, la dedotta violazione dell’artt. 115 c.p.c. collide con il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che impone la trascrizione degli atti processuali nel caso in cui sia fatta valere l’erronea applicazione del principio di non contestazione. Si tratta di un punto fermo della giurisprudenza di legittimità per la quale, lo ricorda Cass. 12/05/2022, n. 15256, «in tema di non contestazione, tale da espungere il fatto dall’àmbito del controverso e da escludere il bisogno di prova ex art. 115 c.p.c., in virtù del principio di autosufficienza il ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione non può prescindere dalla trascrizione degli atti processuali che ne integrerebbero i presupposti, perché l’onere di specifica contestazione, a opera della parte costituita, presuppone, a monte, un’allegazione altrettanto puntuale a carico della parte onerata della prova (Sez. 3, 5.3.2019, n. 6303). E ciò tanto nel caso in cui il ricorrente lamenti l’erronea qualificazione da parte del giudice del merito di un fatto come non contestato, sia perché effettivamente e specificamente contestato da parte sua, sia perché non allegato in modo specifico dalla controparte, quanto nel diverso caso in cui il ricorrente lamenti la mancata qualificazione del fatto come non contestato da parte del giudice del merito, benché fosse stato specificamente allegato e la controparte non lo avesse specificamente contestato (Sez. 3, 5.3.2019, n. 6303; Sez. 6 – 3, n. 12840 del 22.5.2017, Rv. 644383 01; Sez. 3, n. 20637 del 13.10.2016, Rv. 642919 – 01; Sez. 1, n. 9843 del 7.5.2014, Rv. 631136 – 01; Sez. 1, n. 324 del 11.1.2007, Rv. 596093 – 01). Inoltre, questa Corte ha affermato che con riguardo al novellato art. 115 c.p.c. spetta al giudice del merito apprezzare, nell’àmbito del giudizio di fatto al medesimo riservato,
l’esistenza e il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte e tale accertamento è sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione, nei limiti in cui lo stesso sia tuttora denunciabile, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. »;
inoltre, è il caso di ricordare l’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. U., 30/09/2020, n. 20867, che menziona: Cass. Sez. U., 05/08/2016, n. 16598; Cass. Sez. U., 27/12/2019, n. 34474, con richiami pure a Cass. 19/06/2014, n. 13960, e a Cass. 20/12/2007, n. 26965), secondo cui «n tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.» (in senso conforme, ex multis, Cass. 10/06/2016, n. 11892; Cass. 11/10/2016, n. 20382; Cass. 28/02/2018, n. 4699; Cass. 03/11/2020, n. 24395; Cass. 26/10/2021, n. 30173);
in ultima analisi, non può neppure fondatamente invocarsi il principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c.: è chiaro, infatti, che l’attrice, nel reclamare l’accertamento della proprietà comune del vespaio e nel dolersi dell’occupazione abusiva di esso da parte dei convenuti, ha recisamente contestato l’antitetica prospettazione , offerta dai coniugi COGNOME, di essersi resi proprietari esclusivi del vespaio in virtù di accordi tra i comproprietari conclusi in epoca anteriore alla vendita (in data 4 novembre 2015) de ll’appartamento al
piano terreno (parzialmente rialzato) intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME.
6. in conclusione: in accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso principale, assorbito il terzo, il ricorso principale è accolto, il che comporta la cassazione della sentenza in relazione al ricorso principale, con rinvio al giudice a quo , anche per le spese del giudizio di cassazione; rigettato il secondo motivo di ricorso incidentale, dichiarato inammissibile il primo motivo, il ricorso incidentale è rigettato;
7. a i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e secondo motivo del ricorso principale e dichiara assorbito il terzo; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 15 gennaio 2025, nella camera di