Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11644 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11644 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 03/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4694/2023 R.G. proposto da BANCA MONTE DEI RAGIONE_SOCIALE DI SIENA S.p.A., elettivamente domiciliata presso l ‘indicato indirizzo PEC dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende
– ricorrente principale – contro
– controricorrente principale e ricorrente incidentale condizionata – avverso la sentenza n. 5405/2022 del la Corte d’Appello di Napoli, depositata il 20.12.2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11.3.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. venne convenuta in giudizio dal curatore del fallimento Mirabella S.p.A. in revocatoria di una rimessa su conto corrente dell’importo di € 2.089.699,55 effettuata nel periodo sospetto anteriore alla pubblicazione della domanda di ammissione al concordato preventivo che aveva preceduto l’apertura del fallimento .
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale di Napoli accolse la domanda con sentenza che venne sostanzialmente confermata dalla Corte d’Appello di quella città, rigett ando -per quanto di interesse in questa sede -il gravame della banca.
Contro la sentenza della Corte territoriale Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. ha proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi.
RAGIONE_SOCIALEsubentrata alla curatela, quale assuntrice del concordato fallimentare nel frattempo omologato -si è difesa con controricorso, contenente anche ricorso incidentale condizionato.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia «Nullità della sentenza ex art. 360, n. 4, c.p.c. per violazione degli artt. 112, 132, 183, commi 5 e 6, c.p.c.; art. 67, comma 1 e 2, legge fall., nonché ex art. 111 Cost.».
Occorre precisare -sulla scorta della esposizione della vicenda processuale contenuta nella sentenza impugnata -che Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., costituendosi in primo grado per resistere a ll’azione revocatoria pro mossa dal
fallimento, allegò la circostanza che la somma rimessa sul conto corrente proveniva dall ‘ escussione di una garanzia finanziaria prestata, mediante costituzione di titoli in pegno, da tale RAGIONE_SOCIALE società collegata a RAGIONE_SOCIALE ed eccepì che siffatta garanzia sarebbe stata irrevocabile ai sensi del d.lgs. n. 170 del 2004. Preso atto della difesa svolta dalla convenuta, il fallimento -con la memoria depositata nel primo dei termini previsti dall’art. 183, comma 6, c.p.c., nel testo all’epoca vigente a sua volta allegò che la terza garante RAGIONE_SOCIALE era sua debitrice per l’ingente importo di € 7.531.846, sicché il credito di regresso generato dal l’escussione del pegno si era estinto per compensazione, con corrispondente riduzione del l’attivo fallimentare . Il fallimento invocò quindi la revocabilità della rimessa anche quale pagamento anomalo, ai sensi dell’art. 67, comma 1, n. 2, legge fall., perché non effettuato dalla debitrice «con denaro o con altri mezzi normali di pagamento». Il Tribunale accolse in questi termini la domanda del fallimento, disattendendo l’eccezione d ella banca secondo cui si sarebbe trattato di una domanda nuova, inammissibile in corso di causa e, in particolare, una volta superato il limite della prima udienza di comparizione.
Il primo motivo di ricorso ricalca appunto il contenuto dell’eccezione di inammissibilità disattesa dal Tribunale e poi anche dalla Corte d’Appello di Napoli , rigettando il gravame in parte qua .
1.1. Il motivo è infondato.
1.1.1. Correttamente la Corte d’Appello ha ravvisato nelle difese svolte dal fallimento nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 , c.p.c. nient’altro che una modificazione dell’originaria
domanda, oltretutto resa necessaria dalle (e in parte basata sulle) allegazioni contenute nella comparsa di risposta della banca convenuta.
In termini generali, deve essere ribadito il seguente principio di diritto: « La modificazione della domanda ammessa a norma dell’art. 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo ( petitum e causa petendi ), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che per ciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l ‘ allungamento dei tempi processuali » (Cass. S.u. n. 12310/2015; principio più volte ripreso dalla giurisprudenza successiva).
Si è quindi osservato che « le parti possono cambiare le domande e conclusioni avanzate nell’atto introduttivo in maniera sensibilmente apprezzabile (quindi non limitata a mere qualificazioni giuridiche o precisazioni di dettaglio) » (Cass. S.u. n. 22404/2018).
La Corte partenopea si è attenuta a questi principi, ritenendo sottostante alla domanda modificata nella prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. la «medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio», come delineata negli atti introduttivi: non solo l’atto di citazione del fallimento, ma anche la comparsa di risposta della banca, contenente «il vero elemento di novità, costituito dalla stipula di un contratto di pegno da parte di un terzo a garanzia del debito di Mirabella S.p.A.». In sostanza, fermo il petitum indicato nell’atto di
citazione, il fallimento RAGIONE_SOCIALE modificò la causa petendi sulla scorta delle aggiuntive allegazioni della parte convenuta.
Né si può ravvisare un orientamento contrario nella giurisprudenza di legittimità citata nel ricorso, che, se è vero che sottolinea la diversità tra le azioni revocatorie previste nei due commi dell’art. 67 legge fall., lo fa al ben diverso fine di negare l’ammissibilità della modifica della domanda con l’atto d’appello, interpretando l’art. 345 c.p.c., e non l’art. 183, comma 6, c.p.c. (Cass. n. 1079/2004).
1.1.2. Il primo motivo presenta, altresì, un profilo di inammissibilità laddove -nell’ultima parte della relativa illustrazione (pagg. 19 e 20 del ricorso) -sembra prospettare l’ipotesi che il fallimento RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE non avesse in realtà proposto l ‘azione revocatoria di cui all’art. 67, comma 1, n. 2, legge fall. nemmeno con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c.
In tal modo, la ricorrente sembrerebbe voler smentire una precisa affermazione contenuta a pag. 3 della sentenza impugnata: «La Curatela, quindi, sviluppava le sue difese invocando anche la tutela di cui all’art. 67, co. 1, n. 2, r.d. n. 267/1942». Ma lo fa c on prosa invero frammentata e tutt’altro che chiara, senza riportare le parti essenziali degli atti richiamati, come sarebbe stato necessario per consentire alla Corte di vagliare la fondatezza del rilievo; fermo restando che l’interpretazione e la qualificazione della domanda da parte del giudice del merito deve avvenire sulla scorta della lettura dell’intero atto di parte e non della sola precisazione delle conclusioni.
Il secondo motivo di ricorso è strettamente collegato al primo e censura «Nullità della sentenza ex art. 360, n. 3 e 4, c.p.c. per violazione dell ‘ art. 111 Cost., 115 e 183 c.p.c. e 67, commi 1 e 2, legge fall.».
La ricorrente riprende il tema della mutatio libelli al fine di denunciare l’asserita violazione del diritto di difesa perpetrata a suo danno con l’ammissione della domanda come formulata in corso di causa, evidenziando la diversità dei presupposti di fatto richiesti per l’accoglimento de lle due distinte azioni revocatorie fallimentari (pagamenti anomali e pagamenti normali), con particolare riferimento alla distribuzione dell’onere della prova in punto conoscenza dello stato di insolvenza.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Il rispetto del principio del contraddittorio è in effetti un parametro fondamentale per orientarsi nella distinzione tra modifiche delle domande e delle eccezioni consentite in corso di causa e modifiche inammissibili. La medesima giurisprudenza sopra citata sottolinea, infatti, la necessità di evitare modifiche che determinino « la compromissione delle potenzialità difensive della controparte », ovverosia che producano l’effetto di « sorprendere » la controparte.
Sennonché, la compromissione del diritto di difesa quale vizio della sentenza impugnata per cassazione non può essere lamentata in termini puramente astratti e teorici, bensì soltanto con riferimento a un concreto pregiudizio che il ricorrente ha l’onere di specificare (v., ex multis , Cass. nn. 26419/2020; 26831/2014).
Nel caso di specie, Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. evidenzia, sul piano normativo, il diverso riparto dell’onere della
prova per quanto riguarda la conoscenza dello stato di insolvenza, ma non risulta dalla sentenza -né la ricorrente indica in alcun modo -che la questione dell’onere della prova sia stata oggetto di discussione e di indagine nel processo di merito. Del resto, l’allegazione che la rimessa in conto corrente era il frutto dell’escussione del pegno prestato dalla terza garante era di per sé incompatibile con la negazione, da parte della convenuta, della conoscenza dello stato di insolvenza della debitrice principale. E questo spiega il fatto che non se ne sia discusso in alcun modo. In ogni caso, è certamente da escludere che la sentenza della Corte territoriale sia basata sulla presunzione legale relativa di conoscenza dello stato di insolvenza posta dall’art. 67, comma 1, legge fall. ; il che esclude anche che la difesa della banca possa essere stata danneggiata da ll’inversione di una regola sull’onere della prova di cui il Tribunale non ha fatto applicazione.
Il terzo motivo di ricorso è rubricato «Nullità della sentenza ex art. 360, n. 3, c.p.c. per violazione degli artt. 4, 7, 8 e 9 d.lgs. n. 170 del 2004».
La ricorrente ribadisce la tesi secondo cui la speciale disciplina dei «contratti di garanzia finanziaria» contenuta nel d.lgs. n. 170 del 2004 -emanato in attuazione della Direttiva 2002/47/CE, proprio al fi ne di favorire l’accesso delle imprese al credito bancario -porrebbe questi strumenti al riparo dalle azioni revocatorie, anche fallimentari, consentendo alla banca di realizzare i propri crediti mediante compensazione con il ricavato dell’escussione del pegno al di fuori del concorso, come se si trattasse di un pegno irregolare, a prescindere dalla effettiva natura regolare o irregolare del pegno stesso.
3.1. Il motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale è incentrata, ad un tempo, sia su ll’esclusione che il d.lgs. n. 170 del 2004 ponga una deroga alla revocabilità con riferimento ai «contratti di garanzia finanziaria», sia sulle caratteristiche del caso concreto, in cui all’escussione della garanzia ha fatto seguito l’accredito della relativa somma sul conto corrente della società poi fallita. Ed è stata questa rimessa sul conto corrente l’oggetto dell’azione revocatoria, rimasto invariato anche dopo la più compiuta ricostruzione della fattispecie, che ha portato i giudici del merito a qualificare l’operazione nei termini di un pagamento anomalo.
L a Corte d’Appello ha rilevato che «la fattispecie in esame non rientra nel perimetro di applicazione dell’art. 4 d.lgs. n. 170/2004 poiché oggetto dell’azione revocatoria esercitata dal Curatore del fallimento della Mirabella S.p.A. non è un pagamento effettuato dal debitore garante fallito al creditore garantito». Tale rilievo non integra gli estremi di una autonoma ratio decidendi , come sostenuto dal controricorrente, ma nemmeno può essere considerato alla stregua di un mero obiter dictum , come pretende la ricorrente.
Piuttosto si tratta dell’evidenziazione di una caratteristica essenziale del fatto oggetto di accertamento e apprezzamento giuridico, ovverosia che all’escussione del pegno di per sé irrilevante rispetto alla tutela della par condicio creditorum , perché la garanzia era stata prestata da un terzo -seguì la rimessa del ricavato sul conto corrente di RAGIONE_SOCIALE S.p.A. e, a questa, l’utilizzazione della somma a decurtazione del credito della banca verso la società poi fallita.
In questo senso è esatta e decisiva l’osservazione che « la fattispecie in esame non rientra nel perimetro di applicazione dell’art. 4 d.lgs. n. 170/2004 »: non nel senso che le garanzie prestate da terzi siano, in quanto tali, estranee all’ambito di applicazione di quel testo normativo; bensì nel senso che rimane estranea alla presente vicenda la tematica della «compensazione rafforzata» tra credito garantito e debito della banca per la restituzione del ricavato dall’escussione dei pegno. Infatti, non si verifica il presupposto dell’identità soggettiva tra i reciproci rapporti di credito: la banca era creditrice di RAGIONE_SOCIALE S.p.A., mentre i titoli dati in pegno ed escussi erano di RAGIONE_SOCIALE S.p.A. Solo con la rimessa in conto corrente si realizzò la reciprocità di rapporti tra i medesimi soggetti e la vicenda assunse rilevanza ai fini dell’azione revocatoria .
Il quarto e il quinto motivo di ricorso riguardano la decisione assunta dalla Corte d’Appello sulle spese di lite.
4.1. In particolare, il quarto motivo censura «Nullità della sentenza ex art. 360, n. 4, c.p.c. per violazione dell’art 112 c.p.c.». Secondo Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. la Corte territoriale sarebbe caduta nel vizio di extrapetizione condannandola a pagare a RAGIONE_SOCIALE anche le spese legali riferite al primo grado di giudizio, in assenza di una domanda di parte in tal senso.
5.1.1. Il motivo è inammissibile.
La stessa ricorrente riporta le conclusioni rassegnate da RAGIONE_SOCIALE nella comparsa di costituzione in risposta al ricorso in riassunzione successivo all’interruzione del processo d’appello per l’intervenuta omologazione del concordato fallimentare. Ebbene, l’attuale
contro
ricorrente chiese alla Corte territoriale di «dichiarare inammissibile, ovvero respingere l’appello con il favore delle spese, anche della fase cautelare».
La ricorrente nemmeno specifica le ragioni per cui da siffatte generiche e ampie conclusioni si dovrebbe ricavare la volontà della parte di limitare la richiesta di rifusione delle spese a quelle relative al grado d’appello , tanto da ravvisare il vizio di extrapetizione nella condanna pronunciata anche con riferimento alle spese di primo grado.
5.2. Infine, con il quinto motivo si denuncia «Nullità della sentenza ex art. 360, n. 3, c.p.c. per violazione degli artt. 91, 100, 110 e 111 c.p.c.». La ricorrente sostiene che RAGIONE_SOCIALE essendo subentrata al fallimento in pendenza del giudizio d’appello e non avendo quindi partecipato al giudizio davanti dal Tribunale, non avrebbe diritto alla rifusione delle spese con riferimento a quel grado.
5.2.1. Il motivo è palesemente infondato.
Il subentro della società assuntrice del concordato nella medesima posizione processuale precedentemente occupata dal fallimento la legittima a pretendere tutto quanto al fallimento sarebbe spettato all’esito dell’intera vicenda processuale e, quindi, anche la rifusione delle spese relative al primo grado di giudizio.
In base all’esito del ricorso principale non si dà luogo ad alcuna decisione sul ricorso incidentale, che è stato esplicitamente proposto in via condizionata rispetto all’ipotesi dell’accoglimento, in particolare, del terzo motivo del ricorso principale.
Rigettato il ricorso principale, le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, in base al l’esito del giudizio, sussiste , a carico della ricorrente principale, il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso principale;
condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 23.000, per compensi, oltre alle spese generali al 15%, a € 200 per esborsi e agli accessori di legge;
dà atto, ai sensi dell ‘ art.13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio