Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15653 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 15653 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24771/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME NOME e dall’avvocato NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso lo studio quest’ultimo in INDIRIZZO INDIRIZZO;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Genova n. 535/2020, depositata il 22 giugno 2020.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15 maggio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 25 gennaio 2013, NOME COGNOME conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Genova, la sorella, NOME COGNOME, al fine di sentirsi dichiarare unica proprietaria dell’intero piano seminterrato dello stabile in Chiavari, INDIRIZZO, nonché comproprietaria per il 50% del vano scala, del piccolo vano ad uso wc lavanderia (posto tra l’ultimo piano e la terrazza), della copertura dell’ edificio non ad uso esclusivo, del terreno adiacente e della corte intorno all’ edificio, del piazzale ad uso posti auto e del ‘magazzino/pollaio’ ivi esistenti, chiedendo che la convenuta fosse condannata a lasciare libero da persone e cose l’intero piano seminterrato, nonché a consentirle l’uso e il godimento delle parti comuni, nel rispetto della sua quota di comproprietà, mediante il ripristino dello stato dei luoghi, nonché a risarcirle i danni, nella misura indicata nella consulenza tecnica espletata nel procedimento di accertamento tecnico preventivo (ATP), ovvero nella diversa misura determinata in causa. Esponeva che l’immobile era costituito da una villa a uso abitativo, realizzata alla fine dell’Ottocento, composta da un piano seminterrato, da un piano terra e da un primo piano con sovrastante torretta e terrazzo; che tale immobile, a seguito di alcune vicende successorie e a un atto di donazione del 1951 della zia patema, era pervenuto a NOME COGNOME per la nuda proprietà del piano seminterrato e del piano terra e per la quota della metà del terreno circostante, mentre per l’usufrutto della quota di NOME COGNOME e per la piena proprietà del primo piano, era pervenuto a NOME COGNOME, madre di NOME e NOME COGNOME; che alla morte di NOME COGNOME, avvenuta nel 1997, si consolidava l’usufrutto, per cui NOME COGNOME era divenuta piena proprietaria del seminterrato e del primo piano, oltre che della metà indivisa del restante terreno, mentre alla sorella NOME, che fino ad allora aveva
convissuto con la madre NOME COGNOME, con atto di ultima volontà di quest’ultima, veniva attribuita la piena proprietà quanto già in piena proprietà della madre, e cioè il primo piano e la metà indivisa del restante terreno, pretermettendo la sorella NOME COGNOME, la quale, però, non impugnava il testamento; che NOME COGNOME risiedeva negli U.S.A. e aveva istituito procuratrice di fatto la sorella NOME, alla quale aveva affidato la cura dell’immobile e la sua manutenzione, in quanto fino al 1997 conviveva con la madre NOME COGNOME nell’appartamento del primo piano. Sosteneva di essere venuta a conoscenza che, durante la convivenza con la madre e anche successivamente alla sua morte, la sorella NOME, senza alcuna autorizzazione, aveva eseguito opere edili nelle unità immobiliari, fra cui: nel piano seminterrato aveva realizzato un appartamento a fini abitativi che aveva concesso in uso a terzi; nelle scale comuni aveva realizzato un muro che chiudeva l’ultima rampa , rendendo possibile l’accesso solo dal primo piano di sua proprietà e inglobando un bagno comune; nel terreno di proprietà comune indivisa aveva realizzato alcuni parcheggi che aveva concesso in locazione a terzi. Riferiva che, con ricorso del 22 dicembre 2011, NOME COGNOME aveva proceduto a un accertamento tecnico preventivo avanti al Tribunale di Chiavari per verificare lo stato dell’immobile, l’eventuale esecuzione di opere abusive e determinare i costi necessari a riportarlo alle originarie condizioni e, a seguito del deposito della consulenza, chiedeva che la sorella NOME provvedesse in conformità delle conclusioni dell’ accertamento tecnico e, in difetto, promuoveva l’azione avanti al Tribu nale di Genova.
NOME COGNOME si costituiva in giudizio con comparsa di costituzione con la quale chiedeva, in via principale, il rigetto delle domande dell’attrice e, in via riconvenzionale, di essere dichiarata proprietaria esclusiva per titoli: dell’intera terrazza che funge da copertura all’appartamento all’ultimo piano dello stabile in Chiavari; della torretta ivi esistente; della rampa di scale che conduce alla
terrazza; della superficie antistante la porta di accesso al proprio appartamento; del bagno nell’ammezzato; per usucapione: del bilocale ristrutturato e dei locali adibiti a cantina posti nel piano seminterrato, nonché dell’area adibita a parcheggio.
Esaurita l’istruttoria, il Tribunale di Genova , con sentenza n. 10229/2015 del 13 novembre 2015, dichiarava NOME COGNOME proprietaria esclusiva dell’intero piano seminterrato e comproprietaria al 50% del vano scala dell’edificio sito in Chiavari, INDIRIZZO, del locale a uso bagno nell’ammezzato e di tutto il terreno adiacente al palazzo, compreso il piazzale attualmente adibito a parcheggio; dichiarava NOME COGNOME proprietaria esclusiva dell’intera terrazza che funge da copertura dell’appartamento al secondo piano del medesimo edificio e della torretta; respingeva le restanti domande riconvenzionali; condannava NOME COGNOME a consegnare a NOME COGNOME i locali del seminterrato liberi da cose e persone, a rimuovere la chiusura del vano scale comune, arretrando la porta dell’ appartamento di sua proprietà nella sua posizione originaria e a consegnare le chiavi del bagno nel piano ammezzato e del cancello del parcheggio; condannava NOME COGNOME a pagare all’a ttrice euro 420,00 al mese dal 10 agosto 2012 al rilascio, oltre interessi legali e rivalutazione, per il mancato godimento dei parcheggi; euro 10.927,62, oltre interessi e rivalutazione dal 10 agosto 2012 al saldo, per la sanatoria amministrativa dei parcheggi; euro 10.500,64 oltre accessori, interessi e rivalutazione dal 10 agosto 2012 al saldo, per il ripristino del seminterrato; euro 4.758,99 oltre accessori, interessi e rivalutazione dal 10 agosto 2012 al saldo, nell’ipotesi di mancata rimozione della chiusura del vano scale. Condannava, altresì, la convenuta a rifondere integralmente a NOME COGNOME le spese di lite.
–NOME COGNOME proponeva appello sostenendo l’errata valutazione sia in diritto che in fatto della presunzione di tolleranza relativamente al possesso dell’ area di parcheggio esterna e del
bilocale creato nel seminterrato, l’errore in fatto e in diritto per non aver dichiarato l’esclusiva proprietà del bagno all’ammezzato , sia per titoli che, in ipotesi, per usucapione, anche in relazione al corridoio posto al piano terreno. Lamentava, infine, il rigetto delle indennità di miglioria relativamente all’area di parcheggio e ai locali del seminterrato; la condanna al risarcimento dei danni per il mancato uso dell’area di parcheggio e per la regolarizzazione delle opere della suddetta area e dei locali al seminterrato. Contestava anche l’integrale condanna al pagamento delle spese di lite, nonostante la non totale soccombenza.
Si costituiva in giudizio NOME COGNOME con comparsa di costituzione e risposta con la quale chiedeva il rigetto dell’appello e proponeva appello incidentale relativamente alla dichiarazione di proprietà esclusiva dell’intera terrazza che funge da copertura dell’edificio.
In parziale accoglimento dell’appello proposto da NOME COGNOME, e in parziale riforma della sentenza gravata, la Corte di appello di Genova ha condannato NOME COGNOME al pagamento in favore di NOME COGNOME della somma di euro 210,00 al mese dal 10 agosto 2012 fino al rilascio dell’area comune adibita a parcheggio, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, come in motivazione, eliminando la condanna di NOME COGNOME al pagamento della somma di euro 10.927,62 e accessori; ha dichiarato NOME COGNOME tenuta a sostenere in via esclusiva, a proprio carico, le somme relative alle sanzioni, pari a euro 4.060,02, conseguenti al rilascio della sanatoria dell’area parcheggio e la condanna a tenere indenne la comproprietaria, NOME COGNOME da tale somma, ove eventualmente pagata, in tutto o in parte, a tale titolo, all’ente pubblico, provvedendo al relativo rimborso con gli interessi dalla data dell’esborso. L’appello incidentale proposto da NOME COGNOME è stato invece respinto. NOME NOME è stata altresì condannata al pagamento in favore di NOME COGNOME del 70% delle spese
d ell’ accertamento tecnico preventivo, di mediazione e del giudizio di primo grado e al 70% delle spese del grado di appello.
–NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a otto motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
NOME COGNOME ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo di ricorso si prospetta la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell ‘art. 276 , secondo comma, cod. proc. civ. in relazione a ll’ art. 183, commi quinto e sesto, cod. proc. civ. Error in procedendo ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ. NOME COGNOME -costituendosi nel giudizio promosso dalla sorella -aveva chiesto, in via riconvenzionale, l’accertamento del proprio acquisto per usucapione dei beni rivendicati dalla controparte (in particolare della proprietà esclusiva dell’intero parcheggio, del bilocale nel piano seminterrato da lei ristrutturato, delle cantine e del bagno nell’ammezzato). L ‘ attrice ha eccepito che il possesso delle cantine (ma non ha citato gli altri beni) da parte della convenuta non sarebbe stato utile p er l’usucapione, in quanto sarebbe stato esercitato per sua mera tolleranza. Tale eccezione sarebbe stata sollevata tardivamente, soltanto nella memoria ex art. 183, comma 6, cod. proc. civ., depositata il 10 giugno 2013. L’odierna ricorrente ha contestato la tardività di tale avversaria eccezione nella successiva memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 cod. proc. civ. del 28 giugno 2013.
1.1. -Il motivo è infondato.
In materia di acquisto per usucapione di diritti reali immobiliari, la deduzione del proprietario che il bene sia stato goduto dal preteso possessore per mera tolleranza costituisce un’eccezione in senso lato e, pertanto, essa è proponibile per la prima volta anche in grado di
appello, sempre che la dimostrazione dei relativi fatti emerga dal materiale probatorio raccolto nel rispetto delle preclusioni istruttorie, concernendo il divieto di cui all’art. 345 cod. proc. civ. le sole eccezioni in senso stretto, ossia quelle riservate in esclusiva alla parte e non rilevabili d’ufficio (Cass., Sez. II, 6 dicembre 2018, n. 31638).
-Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 1140, 1141, 1144 e 1163 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 5 cod. proc. civ. La Corte di appello di Genova ha respinto le domande di usucapione avanzate da NOME COGNOME (per l’intera proprietà del parcheggio, del bagno posto all’ammezzato, delle cantine e del bilocale che aveva ristrutturato al piano seminterrato e per la quota del 50 % del corridoio ubicato nel piano seminterrato) poiché il potere di fatto dalla stessa esercitato su tali beni sarebbe stato semplicemente tollerato dalla madre e dalla sorella e, quindi, non sarebbe stato efficace ai fini del maturare del termine per usucapirne la proprietà. La Corte motiva tale decisione affermando che NOME COGNOME abitava con la madre; che la sorella le avrebbe delegato la gestione ‘degli spazi dell’immobile’ e che la riscossione – da parte della ricorrente – dei canoni del parcheggio e del bilocale era tollerata dalla madre poiché anche quest’ultima, come riferito dalla teste NOME, riscuoteva direttamente tali proventi ovvero pagava lei stessa le spese di manutenzione della strada, come riferito dal teste COGNOME. Assumendo tale decisione, la Corte di appello avrebbe violato e, comunque, erroneamente applicato gli artt. 2697, 1140, 1141, 1144 e 1163 cod. civ., non avendo considerato un fatto decisivo per il giudizio.
2.1. -Il motivo è inammissibile.
Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione
non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa (Cass., Sez. I, 6 marzo 2019, n. 6519; Cass., Sez. V, 28 novembre 2014, n. 25332). Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti.
Esula, altresì, dal vizio di legittimità ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il giudice di merito si è formato, ex art. 116, commi primo e secondo, cod. proc. civ., in esito all’esame del materiale probatorio e al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità (Cass., Sez. III, 1° giugno 2021, n. 15276).
Nel caso di specie, parte ricorrente fa riferimento a una congerie di disposizioni che sarebbero state violate, richiamando congiuntamente sia l’errore di diritto sia l’omesso esame di un fatto decisivo, richiedendo un nuovo esame delle risultanze istruttorie così come valutate dal giudice di merito, che è giunto a escludere l’esistenza di un possesso utile ai fini dell’intervenuta usucapione, non essendo stata fornita la relativa prova.
Errato, inoltre, è il richiamo all’art. 2697 c.c. La sua violazione si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova,
sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass., Sez. IV, 19 agosto 2020, n. 17313).
3. -Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’ art. 1117 cod. civ., nonché degli artt. 1350 e 1362 e ss. cod. civ. in relazione all’ art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. La Corte di appello avrebbe respinto la domanda della convenuta NOME COGNOME di accertamento della sua proprietà esclusiva del bagno nell’ammezzato e del vano scale, sulla base di un errato ragionamento fondato su una arbitraria interpretazione del contratto, con violazione e falsa applicazione degli artt. 1350 e 1362 cod. civ. e, comunque, violando e falsamente applicando l’art. 1117 cod. civ.
3.1. -Il motivo è inammissibile.
L’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., anche nell’ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (Cass., Sez. IV, 4 aprile 2022, n. 10745).
Parte ricorrente, tuttavia, non denuncia quale criterio d’interpretazione del contratto sarebbe stato violato dalla Corte di appello, cercando di fornire -mettendo insieme brani di differenti atti negoziali -una diversa ricostruzione dei fatti, così come risultante dall’esame della documentazione acquisita agli atti e congruamente svolta dal giudice del gravame. Si tratta, dunque, di una valutazione non sindacabile in sede di legittimità.
4. -Con il quarto motivo di ricorso si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo per la decisione -ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. -di condanna di NOME COGNOME alla demolizione e rimessione in pristino delle scale ovvero al pagamento in favore di
NOME COGNOME del costo delle opere di ripristino delle medesime scale. Error in procedendo -ex art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. -per violazione dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. Erroneamente la corte non avrebbe riformato il capo della sentenza di primo grado che aveva condannato NOME COGNOME al pagamento del costo delle opere per il ripristino del vano scale. La Corte di appello, infatti, avrebbe pedissequamente recepito le conclusioni della perizia redatta dal AVV_NOTAIO COGNOME nel procedimento per RAGIONE_SOCIALE, senza indicare le ragioni per le quali non ha -invece -accolto le puntuali osservazioni critiche mosse dall’appellante alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio e, adottando tale soluzione, avrebbe altresì contraddetto quanto aveva esposto nella parte motiva della medesima sentenza.
La parte deduce di aver sollevato in appello puntuali critiche alle conclusioni del AVV_NOTAIO COGNOME che, nel computo metrico estimativo (allegato 14 della perizia, pagg. 1-2), aveva elencato gli interventi asseritamente necessari per il ripristino del vano scale. Nella propria impugnazione, avrebbe lamentato l’erroneità e l’ incongruenza delle conclusioni del perito. La corte pertanto avrebbe confermato la condanna di COGNOME NOME a eseguire anche tali opere (o, comunque, a pagarne il costo), senza esaminare e pronunciarsi sulle critiche sollevate dalla ricorrente, né saebbero state indicate le ragioni per le quali queste non fossero eventualmente fondate e senza addurre ulteriori e diverse ragioni per le quali le opere indicate dal consulente tecnico d’ufficio fossero davvero necessarie per permettere l’accesso al locale bagno . Tale omissione riguarderebbe un punto decisivo ed essenziale della decisione, in relazione al capo della sentenza che ha condannato la ricorrente all’esecuzione di opere di ripristino, comunque eccessive, ovvero al pagamento alla controparte del significativo costo delle stesse. L’omessa esposizione delle ragioni per le quali non ha accolto le critiche formulate dall’appellante alla perizia di ufficio, nonché della motivazione per la
quale le onere indicate dal consulente tecnico d’ufficio fossero davvero assolutamente necessarie per permettere l’accesso della attrice al locale bagno, costituirebbe altresì un error in procedendo che ulteriormente vizia la decisione per violazione dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ.
4.1. -Il motivo è infondato.
Qualora il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poiché l’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche per relationem dell’elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente (Cass., Sez. V, 6 maggio 2021, n. 11917; Cass., Sez. I, 11 giugno 2018, n. 15147). Diversa è l’ipotesi in cui alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori: in tal caso il giudice del merito, per non incorrere nel vizio ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione.
Nel caso di specie, tuttavia, la parte si limita a riportare brani tratti dai propri scritti difensivi e a formulare critiche ad alcuni passaggi della consulenza d’ufficio , rinviando per il resto a un allegato alla perizia, senza riportare rilievi del consulente tecnico di parte da cui emergano critiche specifiche e circostanziate, impedendo dunque una valutazione delle doglianze in conformità alla giurisprudenza richiamata. Non risulta, peraltro, dal motivo di impugnazione, se le considerazioni del consulente di parte erano state ritualmente sottoposte prima al consulente tecnico d’ufficio e poi al giudice.
5. -Con il quinto motivo di ricorso si deduce l’ omessa pronuncia in merito alla domanda di accertamento della servitù di passaggio sul corridoio per destinazione del padre di famiglia ex art. 1062 cod. civ. Error in procedendo -ex art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. – p er violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. Violazione e falsa applicazione, ex art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. , dell’art. 1062 cod. civ. La Corte avrebbe omesso del tutto di considerare la domanda di accertamento della servitù di passaggio sul corridoio, costituita per destinazione del padre di famiglia, ai sensi dell’art. 1062 cod. civ., proposta da NOME COGNOME in via alternativa a quella volta all’accertamento del carattere condominiale del bene o dell’usucapione della servitù di passaggio. Il Tribunale -nonostante che l’istruttoria avesse confermato che la condizione dei luoghi e gli elementi di fatto soddisfacevano i presupposti della norma indicata e che, quindi, la pronuncia richiesta doveva essere accolta -ha respinto la domanda della ricorrente sulla base di una motivazione errata ed inconferente. NOME COGNOME ha impugnato la decisione del Tribunale su tale punto, formulando un motivo di appello. La Corte d’appello ha affermato (pagg. 7-8) che, per quanto riguarda il corridoio che collega il seminterrato al giardino comune, ‘ L’uso fattone dall’appellante è stato effettuato nella tolleranza dell’utilizzo dei locali al seminterrato … per cui non può essersi consolidata né una servitù di passo, né tanto meno una comproprietà ‘, omettendo totalmente di pronunciarsi sulla diversa domanda di accertamento della costituzione della servitù di passaggio sul corridoio, per destinazione del padre di famiglia ai sensi dell’art. 1062 cod. civ., pur espressamente formulata dalla convenuta.
5.1. -Il motivo è fondato.
L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello -così come l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio -risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di
attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo -ovverosia della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ. -la quale consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità -in tal caso giudice anche del fatto processuale -di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello (Cass., Sez. V, 13 ottobre 2022, n. 29952).
Nel caso di specie, il vizio è stato correttamente dedotto ed è palese che la Corte di appello non si è pronunciata sul motivo d’impugnazione riguardante la costituzione della servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia per atto del AVV_NOTAIO del DATA_NASCITA.
6. -Con il sesto motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. degli artt. 936, 1150, 1102, 1121, 1147, 2697 cod. civ. La corte -affermando che alla fattispecie fosse invece applicabile l’art. 1102 cod. civ. -ha respinto la domanda formulata in via riconvenzionale da NOME COGNOME per la condanna della controparte al pagamento, ex artt. 936 e 1150 cod. civ. , dell’indennità per migliorie e addizioni che la prima aveva apportato al parcheggio. La Corte di appello -come, in precedenza, il giudice di primo grado -sarebbe però incorsa in un errore affermando che in ordine alle migliorie e addizioni apportate all’area parcheggio, in comune al 50% con la sorella NOME, è condivisa l’applicazione della norma di cui all’art. 1102 cod. civ. (pag. 9 della sentenza), ritenendo che, quando eseguì le opere per il parcheggio (posa delia pavimentazione in cemento e del cancello), NOME COGNOME fosse comproprietaria dell’area unitamente alla sorella. In realtà, l’istruttoria ha accertato che, allorché realizzò tali opere con l’aiuto del l’ ex marito NOME COGNOME (nel DATA_NASCITA, come da lei dichiarato, o comunque negli anni DATA_NASCITA, come confermato dalla stessa NOME COGNOME nel proprio interrogatorio del 10 febbraio 2014),
NOME COGNOME non era titolare di alcun diritto, né reale né personale, sul l’ area in questione, della quale erano comproprietarie la sorella e la madre (quest’ultima era anche usufruttuaria della quota del 50 % della figlia NOME). Sarebbe quindi evidente l’ errore commesso dalla corte che, non considerando tali fatti e travisando le risultanze processuali, ha respinto la domanda dell ‘ appellante, ritenendo erroneamente applicabile alla fattispecie l’art. 1102 cod. civ. e non l’art . 936 cod. civ. (che prevede che il terzo che abbia eseguito opere su fondo altrui abbia diritto ad una indennità quando il proprietario come è nel nostro caso – le ritenga a proprio vantaggio), pur essendo acclarato che NOME COGNOME aveva realizzato le opere del parcheggio molti anni prima che divenisse (per successione della madre) comproprietaria dell’area e quando era, quindi, terzo estraneo alla proprietà.
La Corte ha altresì respinto la domanda -anch’essa proposta in via riconvenzionale dalla convenuta -di condanna di COGNOME NOME a pagare alla ricorrente l’indennità di cui agli artt. 936 e 1150 cod. civ. per le migliorie e addizioni realizzate nel bilocale al piano seminterrato, affermando (pag. 9 della sentenza) che ‘ la Corte condivide la motivazione della sentenza gravata che ne ha escluso il riconoscimento con richiamo alla norma di riferimento dell’art. 1150 cod. civ. e dell’art. 936. A tale fine, è il terzo a dover provare la propria buona fede, non potendosi applicare la presunzione di cui all’ar t. 1147 ‘. Secondo la Corte di appello, NOME COGNOME non poteva non ritenersi a conoscenza di eseguire tali opere sulla nuda proprietà della sorella NOME e, conseguentemente, avrebbe avuto diritto alla minor somma tra l’importo della spesa e l’aumento di valore. La decisione del Giudice di appello sarebbe dunque errata, non motivata o fornita di motivazione apparente, non suffragata da alcun elemento di prova, riducendosi ad una affermazione apodittica.
6.1. -Il motivo è fondato.
Errato è di tutta evidenza il richiamo all’art. 1102 cod. civ. poiché è pacifico che all’epoca dei fatti NOME COGNOME non fosse comproprietaria dell’area, essendo la proprietà della sorella e della madre. Né può dirsi, come ha ritenuto controparte, che l’attività era ‘ sostanzialmente ‘ svolta nell’interesse e in rappresentanza della madre, che era proprietaria di parte dell’area.
Errata è altresì l’esclusione dell’indennità per le migliorie al pianterreno, ove si richiamano gli artt. 1150 e 936 cod. civ., poiché il diritto a una indennità per i miglioramenti arrecati alla cosa ed esistenti al tempo della restituzione, il quale si correla all’incremento attuale ed effettivo che si verifica, in conseguenza di tali miglioramenti, nel patrimonio del proprietario, spetta al possessore in ogni caso, ex art. 1150 cod. civ., avendo la distinzione tra possessore di buona o mala fede rilevanza unicamente ai fini del calcolo della indennità medesima (Cass., Sez. II, 22 agosto 2002, n. 12342).
7. -Con il settimo motivo di ricorso si prospetta l’ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio -ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. in relazione alla condanna di NOME COGNOME a versare la somma mensile di euro 210 per il mancato uso da parte di NOME COGNOME dall ‘ area comune adibita a parcheggio, in relazione agli artt. 1223, 2056 e 2967 cod. civ. La corte ha condannato NOME COGNOME a pagare la somma di euro 210 al mese -a far data dalla messa in mora, con lettera del 10 agosto 2012, fino al rilascio -a titolo di risarcimento del danno per il mancato uso dell’area comune adibita a parcheggio. La corte avrebbe omesso di valutare la circostanza -incontestata e acquisita agli atti della causa -che la convenuta era legittima comproprietaria del parcheggio a partire dal 1997 e che, in quanto tale, aveva diritto di godere di tale bene, almeno per la parte corrispondente alla sua quota. Il risarcimento a favore della controparte avrebbe quindi dovuto essere limitato al corrispettivo della locazione di un solo posto auto e non di tre, considerando che
uno è stato utilizzato direttamente dalla convenuta e solo due locati. Pertanto, alla attrice sarebbe spettato la metà del corrispettivo da ciò ricavato: euro 70 al mese, ma non già euro 210 erroneamente stabilito dalla corte. A tutto voler concedere alle ragioni addotte dalla controparte, NOME COGNOME poteva essere condannata a corrispondere al massimo la metà degli astratti proventi dell ‘ area e quindi – essendo stati ricavati tre posti auto in totale – il corrispettivo dell’affitto di 1,5 posti auto, ovvero euro 105 mensili (euro 70×3/2 = euro 105).
Con l’ ottavo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione ex art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., degli artt. 2043 e 2056 cod. civ., in relazione agli artt. 1223, 1226 e 2967 cod. civ. La sentenza impugnata, inoltre, non farebbe corretta applicazione degli artt. 2043 e 2056 cod. civ., in relazione agli artt. 1223, 1226 e 2967 cod. civ. poiché erroneamente non considera che la controparte non ha fornito la prova del preteso danno che avrebbe subito per il mancato godimento del parcheggio. NOME COGNOME ha sostenuto che la convenuta avrebbe realizzato tre posti auto, ma non ha dedotto né dimostrato di aver subito un effettivo danno per la mancata disponibilità dei posti auto, né provato di non aver potuto locare il posto auto, avendo subito per tale fatto una perdita economica. La prova del mancato guadagno spettava infatti all’attrice che sostiene di aver subito un danno in conseguenza della perdita del possesso del parcheggio.
7.1. -Entrambi i motivi, da trattarsi congiuntamente, sono fondati.
A norma dell’art. 1102 cod. civ. si ha abuso della cosa comune quando vi sia alterazione della sua destinazione ovvero l’impedimento del pari uso di essa da parte degli altri partecipanti alla comunione, mentre il danno, inteso come diminuzione della quota o come perdita materiale del bene oggetto della comproprietà,
costituisce soltanto l’effetto che, a sua volta, da luogo all’azione di risarcimento (Cass., Sez. II, 10 gennaio 1981, n. 243).
Se la locazione di beni comuni -senza il consenso della comproprietaria -ha indubbiamente provocato un pregiudizio alla controparte, il calcolo degli importi da riconoscere a tale titolo andava effettuato prendendo come base di riferimento i soli posti auto effettivamente locati e dividendo l’importo per due, essendo anche NOME COGNOME comproprietaria del bene.
-Sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso, quindi, va accolto nei termini di cui in motivazione.
La sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il quinto, sesto, settimo e ottavo motivo di ricorso; rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione