Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34485 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34485 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19957-2023 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3199/2023 della CORTE DI APPELLO di NAPOLI, depositata il 04/07/2023;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato, NOME evocava in giudizio il fratello NOME NOME innanzi il Tribunale di Nola, invocando lo scioglimento della comunione ereditaria derivata dalla successione dei genitori, NOME NOME e NOME NOME, con divisione dei beni relitti secondo le quote di rispettiva spettanza.
Si costituiva il convenuto, aderendo alla domanda di scioglimento della comunione ereditaria ma chiedendo, in via riconvenzionale, il riconoscimento di un credito verso la massa.
Con sentenza n. 1888/2017 il Tribunale dichiarava aperta la successione legittima dei due genitori delle parti, scioglieva la relativa comunione ereditaria, assegnando a ciascuno dei fratelli una quota del relictum e condannava NOME NOME al versamento di un conguaglio, pari ad € 97.117, e della ulteriore somma di € 74.535,66 a titolo di rendiconto.
Con la sentenza impugnata, n. 3199/2023, la Corte di Appello di Napoli rigettava il gravame interposto dall’odierno ricorrente avverso la decisione di prime cure, confermandola. La Corte distrettuale riteneva in particolare che il coerede che esegua migliorie sul bene in comunione non può pretendere l’indennità di cui all’art. 1150 c.c., parametrata sull’aumento di valore del cespite, ma soltanto il rimborso delle spese sostenute, esclusa la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta e non di valore. Nella specie, secondo il giudice di appello, COGNOME Antonio non aveva provato di aver sostenuto spese per migliorie sui beni in comunione, in quanto le fatture che egli aveva
prodotto si riferivano a lavori eseguiti dopo il 2011, e dunque dopo la sua costituzione nel giudizio di primo grado; né poteva sostenersi che lavori quantificati dal C.T.U. in € 121.319,31 fossero stati tutti pagati in contanti dall’odierno ricorrente, il quale inoltre aveva dichiarato di aver svolto, negli anni, attività lavorative (prima come aiuto elettricista e poi come dipendente Alfa Romeo) che non potevano avergli consentito di accantonare una somma sufficiente a far fronte al costo dei lavori di cui anzidetto. Secondo la Corte territoriale, dunque, era più credibile che la madre, percettrice di pensione e di un canone da locazione di un immobile, avesse accumulato negli anni risparmi poi investiti nei lavori oggetto della domanda riconvenzionale proposta da NOME NOME. Tale ipotesi, sempre secondo il giudice di secondo grado, era avvalorata dal fatto che la D.I.A. relativa ai lavori di cui si discute non era stata presentata da NOME NOME, ma dalla madre NOME, all’epoca ancora vivente, la quale dunque aveva interesse diretto all’esecuzione delle opere. Infine, la Corte di Appello confermava le quote ed i conguagli fissati dal Tribunale, in linea con le conclusioni della C.T.U. esperita in prime cure, e dichiarava inammissibile la domanda di rimborso relativa alle migliorie asseritamente eseguite dall’odierno ricorrente dopo il 2011, rigettandola invece per quelle anteriori a tale data.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOMECOGNOME affidandosi a cinque motivi.
Resiste con controricorso COGNOME
A seguito di proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art.380 bis c.p.c. la parte ricorrente, con istanza del 7.4.2024 corredata da procura speciale in pari data, ha chiesto la decisione del ricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale, ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente il collegio dà atto che, a seguito della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9611/2024 (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 10/04/2024, Rv. 670667) non sussiste alcuna incompatibilità del presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1, atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.
Passando all’esame dei motivi del ricorso, con il primo di essi, articolato in due distinti profili, il ricorrente contesta in primo luogo l’omesso esame di un fatto decisivo, nonché la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente confermato il rigetto della domanda di rimborso delle migliorie realizzate sull’immobile avente accesso da INDIRIZZO pur in assenza di specifica contestazione di parte avversa e senza considerare che detto fabbricato, all’epoca della morte del padre NOME BartolomeoCOGNOME era ancora allo stato grezzo, e dunque era stato necessariamente completato in epoca successiva.
La censura è inammissibile ex art. 348 ter cpc, quanto al vizio di omesso esame, configurandosi una ipotesi di cd. doppia conforme .
Poiché infatti, nella specie, la Corte di Appello ha confermato la statuizione di prime cure, e nel proprio ricorso COGNOME NOME non ha dato atto che la sentenza del gravame fosse fondata su rationes diverse
da quelle poste a base della decisione di prima istanza, va configurata la fattispecie preclusiva prevista dall’art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c.
Va infatti ribadito, sul punto, il principio secondo cui ‘nell’ipotesi di “doppia conforme” ex art. 348 ter, comma 5, c.p.c., è onere del ricorrente indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e del rigetto dell’appello, dimostrando che sono tra loro diverse e detto onere non viene meno in caso di successione nel diritto controverso tra primo e secondo grado, giacché il sopravvenuto mutamento del soggetto titolare della posizione sostanziale dedotta in giudizio non implica necessariamente la diversità tra le ragioni di fatto alla base della sentenza di primo grado e quelle della conferma in grado di appello’ (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 26934 del 20/09/2023, Rv. 669015; conf. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 5947 del 28/02/2023, Rv. 667202).
Solo con la memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica il ricorrente si diffonde nella dimostrazione della differenza tra le ragioni a sostegno della decisione impugnata rispetto a quella del Tribunale, ma tale sforzo non è idoneo allo scopo, dovendosi ribadire che la memoria ha una mera funzione illustrativa, e non integrativa, rispetto ai motivi del ricorso principale o incidentale. Sul punto, va data continuità al principio secondo cui ‘L’eventuale vizio del ricorso per cassazione non può essere sanato da integrazioni, aggiunte o chiarimenti contenuti nella memoria di cui all’art. 380 bis, comma 2, c.p.c., la cui funzione – al pari della memoria prevista dall’art. 378 c.p.c., sussistendo identità di ratio- è di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrarli’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 30760 del 28/11/2018, Rv. 651598; conf. Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 17603 del 23/08/2011,
Rv. 619537; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7237 del 29/03/2006, Rv. 587979).
Inoltre, con la censura in esame non viene denunciato l’omesso esame di un fatto storico, ma la valutazione delle prove operata dal giudice di merito. Va ribadito, sul punto, che l’omesso esame denunziabile in sede di legittimità deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, ‘… dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016, Rv. 641174; cfr. anche Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2805 del 05/02/2011, Rv. 616733). Non sono quindi ‘fatti’ nel senso indicato dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, ed infine neppure le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio.
Con il secondo profilo della prima doglianza, invece, il ricorrente denunzia la nullità della sentenza e del procedimento, per violazione o falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente confermato il rigetto della domanda di rimborso delle spese per migliorie sostenute sull’immobile avente accesso dalla INDIRIZZO o in alternativa di pagamento dell’aumento di valore del bene predetto, in tal modo incorrendo, oltre che nell’errore dedotto con
il primo profilo, anche in un vizio processuale, sotto il profilo del riparto dell’onere della prova.
La censura è manifestamente infondata, perché la parte ricorrente contesta, in sostanza, la ricostruzione in fatto operata dal giudice di merito, senza però considerare che ‘In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 01). Mentre, con riferimento alla deduzione relativa alla violazione dell’art. 2697 c.c., va ribadito che ‘La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c.’ (Cass. Sez. L, Sentenza n. 17313 del 19/08/2020, Rv. 658541; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19064 del 05/09/2006, Rv. 592634; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2935 del 10/02/2006, Rv. 586772; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2155 del 14/02/2001, Rv. 543860).
Poiché nella specie non si configura una decisione fondata su prove non prodotte dalle parti, né alcuna inversione dell’onere della prova, non sono stati violati né l’art. 115 c.p.c., né l’art. 2697 c.c. Il giudice di appello, piuttosto, ha apprezzato le risultanze istruttorie acquisite agli atti del giudizio di merito secondo il suo prudente apprezzamento, e dunque nei limiti del sindacato attribuitogli dalla legge.
Con il secondo motivo, a sua volta articolato in due profili, il ricorrente contesta, con il primo di essi, la nullità della sentenza e del procedimento e la violazione o falsa applicazione degli artt. 228 c.p.c. e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto che le dichiarazioni dei testimoni escussi in prime cure fossero frutto di conoscenza indiretta dei fatti riferiti. Con il secondo profilo, invece, il ricorrente si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo, nonché della violazione o falsa applicazione degli artt. 116, 228 c.p.c. e 2697 c.c., sempre in riferimento alla parte della decisione della Corte distrettuale che ha ritenuto le dichiarazioni dei testi non frutto di conoscenza diretta.
Con il terzo motivo, invece, COGNOME Antonio lamenta la nullità della sentenza e del procedimento, per violazione degli artt. 228 e 230 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., ancora con riguardo alla valutazione delle risultanze della prova testimoniale.
Le censure, suscettibili di esame congiunto, sono in parte inammissibili e in parte infondate.
Va innanzitutto esclusa l’ammissibilità del vizio di omesso esame, denunziato con il secondo profilo del secondo motivo, per le medesime considerazioni già esposte in occasione dello scrutinio del primo profilo della prima doglianza proposta dall’odierno ricorrente.
Nel resto, quest’ultimo, sotto l’apparente deduzione di un vizio di violazione di legge, contesta in realtà l’apprezzamento della prova
condotto dal giudice di merito, il quale ha evidenziato, in particolare, che sia la teste NOME che il teste COGNOME NOME avevano riferito di fatti che essi avevano appreso direttamente dall’COGNOME NOME, ed ha quindi ritenuto le loro deposizioni ‘de relato’ . A tale ricostruzione il ricorrente contrappone una lettura personale e alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; cfr. anche Cass.
Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328 e Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812).
Con il quarto motivo, inoltre, la parte ricorrente denunzia la nullità della sentenza e del procedimento per violazione o falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 112 c.p.c. e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto non rilevante la mancata autorizzazione, da parte del Tribunale, alla sostituzione di un teste deceduto.
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha ritenuto irrilevante la questione, poiché ha ritenuto che l’eventuale deposizione del testimone da sostituire non potesse incidere sull’esito complessivo del giudizio, alla luce della complessiva valutazione delle altre risultanze istruttorie, già acquisite agli atti del giudizio di merito, in assenza di qualsiasi documento idoneo a comprovare le spese asseritamente sostenute dall’COGNOME NOME e considerata la genericità del capitolo di prova da sottoporre al teste predetto. Il ricorrente contesta tale decisione, sostenendo che la teste COGNOME sua coniuge, che aveva chiesto di ascoltare in sostituzione di quella deceduta, NOME COGNOME era a conoscenza diretta dei fatti oggetto della domanda riconvenzionale da lui proposta. Tuttavia, il ricorrente non considera che la sostituzione dei testimoni è consentita, come correttamente evidenziato nella proposta di decisione, soltanto nei tassativi casi di cui all’art. 257 c.p.c., tra i quali non rientra l’ipotesi del testimone deceduto.
Né, peraltro, il ricorrente chiarisce per quale motivo non avrebbe indicato già ab initio anche la moglie, tra i testimoni da escutere. La doglianza, dunque, presuppone che la parte che sia stata ammessa alla prova orale con un certo numero di testimoni, abbia acquisito il diritto di sentire il numero dei testi ammessi, e possa dunque, in caso di
decesso di uno di quelli indicati in origine, inserirne altri in sostituzione: ipotesi, questa, che non trova alcun appiglio normativo nella disposizione di cui all’art. 257 c.p.c. e che non appare coerente con l’esigenza -giustamente evidenziata anche in proposta- che il giudice possa decidere sull’ammissione delle istanze istruttorie con una valutazione sincrona e complessiva delle stesse.
Va ribadito, al riguardo, il principio secondo cui ‘L’assunzione di testi che non siano stati preventivamente e specificamente indicati può essere consentita solamente nei casi previsti dall’art. 257 c.p.c., con una enunciazione che deve ritenersi tassativa, dal momento che l’obbligo della rituale indicazione è inderogabile e la preclusione ex art. 244 c.p.c. ha il suo fondamento nel sistema del vigente codice e si inquadra nel principio, espresso dal successivo art. 245 c.p.c., secondo il quale il giudice provvede sull’ammissibilità delle prove proposte e sui testi da escutere con una valutazione sincrona e complessiva delle istanze che tutte le parti hanno sottoposto al suo esame. Di conseguenza, la parte non può pretendere di sostituire i testi deceduti prima dell’assunzione con altri che non siano stati da essa stessa indicati nei modi e nei termini di cui all’art. 244 c.p.c.’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8929 del 29/03/2019, Rv. 653303; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4071 del 05/04/1993, Rv. 481710 e Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6515 del 29/05/1992, Rv. 477450).
Con il quinto motivo, infine, il ricorrente denunzia la nullità della sentenza o del procedimento per violazione o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente confermato la decisione di prime cure anche sotto il profilo della determinazione del conguaglio a carico del ricorrente.
La censura è infondata, per le medesime considerazioni già esposte con riferimento al secondo e terzo motivo, in quanto essa si risolve nella contestazione della valutazione condotta, in punto di fatto, dalla Corte distrettuale. Valutazione che, peraltro, è stata operata dal giudice di secondo grado -come già aveva fatto il Tribunale, in precedenza- in coerenza con le conclusioni del C.T.U. e sulla scorta di una motivazione non viziata da apparenza, né manifestamente illogica, idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logicoargomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
In definitiva, alla luce delle esposte argomentazioni, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., vanno applicati – come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis c.p.c.- il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati.
Condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore pari a quella sopra liquidata per compensi, nonché al pagamento della somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda